S. FRANCESCO SAVERIO BIANCHI (1743-1815)

Il P. Bianchi per 12 anni s’impose un severo tenore di vita da cui mai si discostò se non per le confessioni, le visite ai malati nelle case e negli ospedali, i soccorsi ai poveri e alle fanciulle raccolte nei conservatori. Una volta ebbe necessità di andare a confessare le religiose del conservatorio di Santa Maria Maddalena di Barra mentre pioveva a dirotto. Un suo benefattore avrebbe preferito condurvelo con un tempo migliore, ma il Santo, esortandolo ad avere fiducia, insistette. Durante il viaggio tanto il postiglione quanto i cavalli non furono bagnati da una sola goccia d’acqua.

Questo apostolo di Napoli
nacque ad Arpino (Frosinone) il 2-12-1743, figlio maggiore di un fabbricante di
tele. La sua genitrice meritò il titolo di "madre dei poveri" perché,
in casa, teneva sempre pronti sedici letti per i malati più bisognosi. Alla
scuola di lei Francesco crebbe mansueto e pio. Invece di andare a trastullarsi
con i compagni, egli preferiva recarsi in chiesa a servire la Messa, innalzare
in casa altarini, cingersi i fianchi con le cordicelle e battersi la schiena
con le funi che comprava con i soldi che la mamma di quando in quando gli
regalava.
A nove anni i genitori posero
il figlio nel collegio che i Barnabiti avevano aperto ad Arpino, ma appena si
accorsero che propendeva ad abbracciare la vita religiosa, lo mandarono a
studiare nel seminario di Noia. In un corso di esercizi spirituali predicati da
Sant’Alfonso de Liguori, Francesco si sentì confermare nel proposito di
lasciare il mondo, ma la madre, per distoglierlo da quell’ispirazione, lo mandò
a studiare diritto a Napoli (1761) da dove il figlio ritornò l’anno successivo
più che mai convinto che il Signore lo voleva religioso. I genitori, in seguito
ai buoni suggerimenti dei Barnabiti, gli permisero di entrare (1762) nel loro
noviziato di Zagarolo (Roma). Il Bianchi in quel tempo fu tormentato da molte e
gravi tentazioni e afflizioni di spirito di cui con la grazia di Dio trionfò.
Dopo la professione religiosa
il Santo fu mandato a perfezionarsi nella filosofia a Macerata, a studiare
teologia a Roma, e a prepararsi agli ordini sacri, nella fedelissima osservanza
di tutte le regole, nel collegio di San Carlo alle Mortelle a Napoli (1766).
Furono tanto rapidi i progressi da lui fatti e nello studio e nella pietà, che
meritò di essere ordinato sacerdote a soli 23 anni. I primi 2 anni di ministero
apostolico li passò ad Arpino, intento a insegnare retorica e a bandire la
parola di Dio. Poi i superiori lo rimandarono a Napoli (1769) perché insegnasse
filosofia ai chierici barnabiti.
Le condizioni economiche e
morali del collegio erano tristi. Esigendo un pronto ed efficace rimedio, il
capitolo generale elesse il Bianchi (1773) a preposito di quella casa. Sotto il
suo governo scomparvero gli abusi, fu abbellita la chiesa, arricchita la biblioteca,
restaurato il collegio. Tre anni dopo fu riconfermato nell’ufficio. In quel
tempo, in seguito alle insistenze di Don Anselmo Toppi, abate di Montevergine
(Avellino), Francesco contrasse amicizia con la stigmatizzata Terziaria
Francescana S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe che, manifestandogli gli
straordinari carismi ricevuti da Dio, lo stimolò a salire più speditamente il
monte della perfezione. I superiori furono tanto soddisfatti del modo con cui
governava il collegio che nel capitolo generale, radunato a Milano (1779), per
la terza volta consecutiva lo elessero superiore. Il nuovo preposito generale
lo volle compagno nelle visite delle case dell’Ordine, tant’era grande la stima
che nutriva di lui.
Una notte, smarrita la via, i
viaggiatori caddero in un fosso profondo. Mentre pensavano alla maniera di
uscirne, apparve sulla strada un giovane cavaliere, fornito di fiaccola e di
funi, il quale in un attimo rialzò la vettura rovesciata e condusse i cavalli
al più vicino ospizio. I viaggiatori cercarono il giovane per ringraziarlo, ma
egli era già scomparso. Dopo otto mesi il P. Bianchi ritornò a Napoli, parlò di
quella vicenda a Suor M. Francesca ed ella lo rassicurò che si trattava
dell’arcangelo Raffaele. Un padre Alcantarino andava a celebrare la messa
nell’oratorio privato di lei e a comunicarla. Quando costui era trattenuto a
letto da infermità, la Santa prendeva misteriosamente parte al sacrificio
eucaristico del P. Bianchi o facendo diminuire le specie del vino consacrato, o
facendo sparire il frammento dell’ostia immerso nel calice oppure la piccola
ostia posta accanto a quella grande per comunicare qualche persona presente
alla messa. Le prime volte il P. Bianchi ne rimase profondamente sconcertato,
ma quando narrò lo strano fenomeno alla sua confidente, sentì rispondersi:
"Tutto l’avrei bevuto il vino consacrato se l’arcangelo Raffaele non me lo
avesse sconsigliato, dovendo compiersi il sacrificio". Suor M. Francesca
assicurò il Santo che, giunta in Paradiso, gli avrebbe ottenuto dal Signore
qualunque grazia spirituale avesse chiesto e che, tre giorni prima della morte,
gliene avrebbe dato avviso. Toccandogli alfine le ginocchia, esclamò; "Oh
quanto avranno a soffrire queste gambe!".
Lo svariato sapere del P.
Bianchi e la conoscenza che aveva delle lingue, lo resero noto ai cultori delle
lettere e delle scienze. Nonostante bramasse immergersi soltanto nella
contemplazione, nel 1778, sempre preoccupato di morire a se stesso e di
attendere al compimento del divino volere, accettò la nomina a professore
straordinario di teologia all’Università di Napoli; a membro dell’Accademia
ecclesiastica fondata dal cardinale Spinelli; a socio dell’Accademia di scienze
e di lettere. Nel 1782 si sobbarcò per la quarta volta al peso della triennale
propositura del Collegio. Il gravoso compito non gli impedì di continuare a
predicare al popolo, alle confraternite e alle famiglie religiose. Nel capitolo
generale del 1785 chiese e ottenne di essere finalmente esonerato da qualsiasi
carica. Suor M. Francesca gli confermò essere giunta per lui l’ora di darsi
alla tanto desiderata vita contemplativa.
Il P. Bianchi per 12 anni
s’impose un severo tenore di vita da cui mai si discostò se non per le
confessioni, le visite ai malati nelle case e negli ospedali, i soccorsi ai
poveri e alle fanciulle raccolte nei conservatori. Una volta ebbe necessità di
andare a confessare le religiose del conservatorio di Santa Maria Maddalena di
Barra mentre pioveva a dirotto. Un suo benefattore avrebbe preferito condurvelo
con un tempo migliore, ma il Santo, esortandolo ad avere fiducia, insistette.
Durante il viaggio tanto il postiglione quanto i cavalli non furono bagnati da
una sola goccia d’acqua.
Nel 1791 Suor M. Francesca
s’ammalò a morte. Il P. Bianchi andò a confortarla nella sua agonia. Prima di
allontanarsi la Santa lo pregò di accettare un anello di vile materia recante
inciso lo stemma di San Francesco d’Assisi perché, al ricordo, si sentisse
rianimato a maggior perfezione. Assistette in morte anche il sacerdote Tommaso
Fiore che gli affidò la direzione di numerosi suoi penitenti, sconcertati dai
rivolgimenti cagionati dalla proclamazione della repubblica partenopea da parte
dei francesi (1799).
Gesù sacramentato esercitava
un’attrazione fortissima sul cuore del Bianchi. Un giorno, mentre l’adorava
solennemente esposto nella chiesa dei Teatini, sentì dirsi: "Io sono il
tuo Dio". Un’altra volta, mentre pregava nella solitaria chiesa del Divino
Amore, improvvisamente si sentì trapassare il cuore da acutissima ferita. Aveva
desiderato tanto di sentire impresso in sé il ricordo della Passione del
Signore ed era stato esaudito. Dopo d’allora fu visto frequentemente piangere,
tremare in tutto il corpo, dibattersi nelle membra, stramazzare a terra svenuto
mentre celebrava la Messa; visitava il Ss. Sacramento, riceveva la benedizione
eucaristica, impartiva l’assoluzione ai penitenti o sentiva nominare Gesù,
Maria, presepio, croce, ecc. Per l’ardore della carità i suoi figli spirituali
lo videro talora raggiare in volto, o sollevarsi per aria sulla sedia, o
prendere parte alla processione del Ss. Sacramento senza toccare terra. Il
Bianchi possedeva in grado eminente il dono del consiglio, della scrutazione
dei cuori, motivo per cui tante persone di tutti i ceti sociali accorrevano al
suo confessionale per avere pace di coscienza e forza per superare le
tentazioni della carne. Al suo consiglio fecero ricorso persino  S. Alfonso de Liguori, il B. Vincenzo Romano,
parroco di Torre del Greco, Carlo Emanuele IV e la sua consorte, la Ven. Maria
Clotilde di Borbone, esuli in varie città d’Italia dopo l’annessione del
Piemonte alla Francia (1798).
Nel 1804 si avverò la
profezia che S. Maria Francesca aveva fatto al Bianchi. A poco a poco le gambe
gli s’indurirono, si gonfiarono e si copersero di piaghe da cui però emanava un
pus odorifero e un umore scottante. I medici non riuscirono a diagnosticare la
natura del misterioso male. A chi domandava al paziente cosa sentisse nelle
gambe, rispondeva: "Spine e fuoco". Quando i dolori erano più lancinanti,
egli ripeteva più volte; "Accrescete, o Signore, le grazie e accrescete i
patimenti".
Nel 1809 Gioacchino Murat,
succeduto a Giuseppe Bonaparte nel regno di Napoli, soppresse gli Ordini
religiosi (1809), com’era stato predetto dalla confidente del Bianchi. Questi
esortò i suoi confratelli a conformarsi alla volontà di Dio e li assicurò più
volte che il loro Ordine sarebbe stato ristabilito. Il parroco di Santa Maria
in Cosmodin, mosso a compassione del pietoso stato fisico di lui, col pretesto
di averne bisogno per le confessioni, chiese e ottenne che continuasse a
rimanere nel proprio appartamento, assistito da un confratello. Persone devote
gli fornirono cibo e vestiti a titolo di carità Finché visse. Poté cosi
destinare ai poveri la tenue pensione che il governo gli erogava mensilmente.
Passò gli anni della sua infermità intento a meditare la S. Scrittura, a
scrivere lettere di direzione spirituale, a confessare quanti andavano da lui a
ogni ora del giorno. Il Signore lo arricchì del dono della profezia. Previde
difatti in spirito, con precisione, le eruzioni del Vesuvio, e l’inizio
dell’umiliazione della Francia da parte della Spagna ribelle al governo di
Giuseppe Bonaparte, vide lo sterminio operato dall’arcangelo S. Michele
dell’armata francese entrata in Mosca (1812); l’arresto, l’esilio e il ritorno
trionfale a Roma (1814) del papa Pio VII, dopo la caduta di Napoleone I.
Nel 1813 i mali del Bianchi
s’inasprirono di più. Egli non rifiutò gli ultimi sacramenti benché non fosse
ancora giunta la sua ora. Riprese difatti a celebrare la Messa nell’oratorio
privato con i soliti veementi battiti del cuore e fremiti. Fu udito esclamare
sovente: "Chi veramente ama, canta e delira e sospira e geme e patisce e
langue. Oh la bella occupazione! Gesù ce la conceda. Amen". Nel pio
esercizio della Via Crucis impiegava non meno di due ore. Negli ultimi
10 mesi di vita il suo corpo divenne tutto una piaga. Il letto si era
trasformato per lui in un tormentoso eculeo, che non lo lasciava dormire.
Invece di lamentarsi, volgendo lo sguardo ai crocifisso, sospirava: "Oh
Signore, ti lodo, ti ringrazio, ti benedico; voglio patire per te". I
pannolini che gli coprivano le gambe, quando venivano tolti, sembravano
strinati da ferro rovente.
Negli ultimi mesi il Bianchi,
non potè più alzarsi per celebrare la Messa. Ne soffrì ancor più che per i
tormenti corporali benché gli fosse portata tutte le mattine la comunione, che
poté sempre ingerire nonostante fosse tormentato dal vomito. 11 27-01-1815 si
provò a mutare da se stesso la posizione del corpo, gli vennero meno le forze e
cadde dal seggiolone per terra. Ridotto in fin di vita, nella notte Suor M.
Francesca andò a trovarlo, si sedette vicino al suo letto e conversò a lungo
con lui. Tre giorni dopo, e cioè il 31 gennaio, il P. Bianchi la raggiunse in
cielo predicendo che quella sua stanza sarebbe stata trasformata in oratorio.
Leone XIII lo beatificò il 19-12-1892 e Pio XII lo canonizzò il 21-10-1951. Le
sue reliquie sono venerate a Napoli nella chiesa dei Santi Giuseppe e Teresa.
 
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 Sac. Guido Pettinati
SSP,

I Santi canonizzati del
giorno
, vol. 1, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 1400-404.

http://www.edizionisegno.it/