Morte di Mons. Casaldáliga: La teologia marxista della liberazione perde un suo araldo

È deceduto in Brasile, agli inizi di agosto, il religioso claretiano e poeta spagnolo Pedro Casaldáliga, vescovo emerito della diocesi amazzonica di Sao Félix de Araguaia e uno dei più attivi esponenti della Teologia della Liberazione.
A causa della sua avanzata età, non era venuto al recente Sinodo sull’Amazzonia, ma i documenti sinodali e persino l’esortazione apostolica Querida Amazonia avevano voluto ricordarlo in omaggio al ruolo da protagonista occupato nelle decadi precedenti.

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Beatificazione di un Vescovo comunista?

Comizio sindacale di Helder Camara

di Julio Loredo

Verso la beatificazione di Dom Helder Câmara?

Si è parlato molto in queste settimane di Dom Helder Câmara, il cui processo di beatificazione è stato recentemente avviato in Brasile, dopo la luce verde del Vaticano.
Per l’italiano medio la figura di mons. Helder Pessoa Câmara è pressoché sconosciuta. Chi era davvero Dom Helder?

 

Per l’italiano medio la figura di mons. Helder Pessoa Câmara (1909-1999), noto come Dom Helder, vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, e poi arcivescovo metropolita di Olinda-Recife, è pressoché sconosciuta.
Le uniche notizie che filtrano dalla stampa nostrana provengono da fucine propagandistiche tanto sbilanciate che non esito a definire ai limiti del ridicolo.

Una propaganda ai limiti del ridicolo. Ricordo benissimo, per esempio, la reazione della stampa all’epoca della scomparsa di Dom Helder, nell’agosto 1999. I mass media italiani gareggiarono in panegirici, conferendogli titoli altisonanti come “Profeta dei poveri”, “Santo delle favelas”, “voce del Terzo Mondo”, “San Helder d’America” e via discorrendo. Fu una sorta di canonizzazione massmediatica (1).
Questa stessa macchina propagandistica sembra essersi riattivata a proposito dell’apertura del processo di beatificazione, firmato in Vaticano lo scorso 25 febbraio. Qualche informazione in merito non nuocerebbe affatto.

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Allontanato Enzo Bianchi, falso monaco e formatore del PD

Il sedicente “priore” era in realtà figura di spicco della scuola di partito del PD
Bianchi e Bose, il vero scandalo è non averlo fermato prima
Un messaggio per Cardinali e Vescovi troppi “aperti”?

 

Non è ancora chiaro quali siano stati i reali problemi a portare la Santa Sede a disporre l’allontanamento di Enzo Bianchi, insieme a Goffredo Boselli e Antonella Casiraghi, dalla Comunità di Bose.
Ufficialmente si parla di tensioni con l’attuale priore, Luciano Manicardi, e con il resto della comunità, cosa che ben difficilmente giustifica una sanzione tanto pesante.
Ma è curioso che a destare tanta attenzione sia l’intervento attuale della Santa Sede, quando ci si dovrebbe piuttosto interrogare sul perché la Santa Sede non sia intervenuta ben prima riguardo alla “predicazione” di Bianchi, e le sue tesi eterodosse che hanno trovato grande accoglienza tra molti vescovi.

In realtà, qualcuno a Roma si mosse, tanto che esiste un dossier Bianchi presso la Congregazione per la Dottrina della Fede che risale al 2004.
Ma qualche importante prelato, amico del fondatore di Bose, provvide a fermare la pratica e insabbiare tutto.

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La Stirpe di Giuda nella Lettera Apostolica Notre Charge Apostolique

Il 28 agosto 1910 Papa san Pio X (1903-1914) emanava una Lettera Apostolica destinata all’episcopato francese, ma rivolta a tutti i vescovi del mondo, quindi equivalente a un’enciclica per importanza.
La lettera condanna il movimento del Sillon («Solco»), fondato in Francia nel 1902 – sulla scia di una precedente associazione, la Crypte, nata nel 1894 – da Marc Sangnier (1873-1950), all’epoca la principale organizzazione della scuola detta cattolico-democratica.

La Notre charge apostolique costituisce l’applicazione alla società politica degli insegnamenti dell’Enciclica Pascendi dominici gregis del 1907 – in cui san Pio X descrive e condanna l’eresia modernista  – ed è pure una delle descrizioni più complete dell’ideologia cattolica-democratica.

Il documento mostra i riflessi politico-sociali del modernismo, che rappresenta il sistematico cedimento dei cattolici al relativismo filosofico e morale, e costituisce quindi un complemento ineludibile (e volutamente oscurato) alla Pascendi.

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Cattolici subalterni: la stirpe di Giuda

Al termine delle nostre riflessioni sulle “Nuove sfide alla famiglia”, dobbiamo fare un’indagine sui fallimenti dei vari Family day: perché perdiamo e quali rimedi adottare? Una risposta può venire da un rapido excursus, che può anche fornire gli anticorpi per non ripetere gli errori del passato, anche recente.

Leone XIII ha così delineato le prime tre tappe che han portato all’attuale deriva etica: «la così detta Riforma del secolo sedicesimo […] Dischiuso così il cammino, sopraggiunge il filosofismo orgoglioso e beffardo del secolo decimottavo […] le fazioni socialistiche» (1). Successivamente, Giovanni Paolo II ha aggiunto una quarta tappa del processo di secolarizzazione, quella della «dittatura del relativismo» che sembra connotare le moderne società democratiche (2).

E’ importante sottolineare che tutti i pontefici vedono ciascuna fase di quel processo come una preparazione della successiva, e la successiva come completamento degli obiettivi di quella precedente: così, ad esempio, «il movimento socialista è un semplice compimento del movimento liberale» (3).

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Alle radici del rahnerismo: l’Opzione fondamentale

La diffusione del rahnerismo in Italia: G.B. Libanio, E. Chiavacci

L’opzione fondamentale esistenzialistica e il peccato

di P. Alberto Galli O.P., maestro di P. Tomas Tyn O.P.
Tratto da «Sacra Doctrina», n° 2 del marzo-aprile 1985,
Edizioni http://www.esd-domenicani.it/

 

 

Ho già detto, in alcuni articoli precedenti (1), come alcuni moralisti seguaci del trascendentalismo e più precisamente del soggettivismo fenomenologico o esistenzialistico, si trovino nell’impossibilità di riconoscere una base oggettiva alla morale in genere, e in particolare alla riflessione sul peccato.

Mi propongo ora di ritornare su quest’ultimo tema analizzando soprattutto lo scritto di G.B. Libanio il quale dedica al nostro argomento la parte centrale del libro Peccato e opzione fondamentale (Cittadella, Assisi 1977). Mi riferirò anche ad alcuni testi di B. Haring, F. Bockle, K. Rahner e E. Chiavacci.

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Don Dariusz Oko: Dinamica e metodo dell'”omoeresia”

Le note di questo paper sono state spostate nella pagina: https://www.paginecattoliche.it/don-dariusz-oko-dinamica-e-metodo-dellomoeresia-note/

del prof. don Dariusz Oko
Dipartimento di Filosofia dell’Università Pontificia Giovanni Paolo II di Cracovia
[traduzione del saggio Mit dem Papst gegen Homohäresie, “Theologisches” 9/10 (2012), pp. 403-426 presente qui: http://www.theologisches.net/files/2012%20-%20Theolog%20-%2009%20+%2010.pdf]

 

Da molte settimane in  Polonia ha luogo un’accesa discussione sulla “omosessualità clandestina nella Chiesa” causata dalle dichiarazioni di don Tadeusz Isakowicz-Zaleski nel suo ultimo libro Mi importa della verità [1].

Alcuni negano l’esistenza di questo mondo sommerso e divulgano tesi del tutto contrarie all’insegnamento della Chiesa; in entrambi i casi ciò non corrisponde al vero [2].

Vista la serietà del problema, mi sento in dovere di prendere la parola, perché anch’io vorrei la verità; ma soprattutto vorrei il bene, il bene fondamentale dell’uomo e della Chiesa, la comunione fondamentale della sua vita.

Nella discussione bisogna sempre partire dal principio fondamentale e assiomatico che sicuramente ognuno di noi ha una conoscenza solo parziale di ogni argomento, e che questa conoscenza è probabilmente in parte inesatta. Questo principio dovrebbe portare alla semplice esposizione del proprio punto di vista e all’ascolto attento degli argomenti degli interlocutori o degli avversari. Così ciascuno di noi può, nel miglior modo possibile, arricchire le proprie convinzioni di base eventualmente ampliandole e correggendole da possibili errori. La validità e la soddisfazione di un dialogo onesto consistono proprio in ciò, ed io vorrei attenermi a questo „modus operandi”.

Il dovere di prendere posizione sul problema dell’omosessualità clandestina nella Chiesa è legato al mio impegno nella critica filosofica dell’ideologia e della propaganda omosessuale (in breve omoideologia e omopropaganda), della quale mi occupo da tanti anni su richiesta e con l’incoraggiamento di molti cardinali e vescovi [3].

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Don Dariusz Oko: Dinamica e metodo dell'”omoeresia” (NOTE)

Don Dariusz Oko, nato nel 1960 ad Oświęcim, è stato ordinato sacerdote nel 1985, è prete dell’Arcidiocesi di Cracovia, dottore di ricerca in filosofia ed in teologia, professore al Dipartimento di Filosofia dell’Università Pontificia Giovanni Paolo II di Cracovia.
I principali settori delle sue ricerche scientifiche sono: metafisica, filosofia di Dio, teologia contemporanea, zone di confine tra filosofia e teologia, critica dell’ideologia atea. Per sei anni ha studiato in diverse università in Germania, Italia e negli Stati Uniti. Dopo l’ordinazione sacerdotale, insieme al lavoro scientifico, ha sempre svolto quello di ministro cristiano come sacerdote residente in diverse parrocchie europee ed americane. Per sedici anni è stato direttore spirituale degli studenti, e dall’anno 1998 è direttore spirituale dei medici nella sua diocesi. Nel corso di studi, congressi scientifici e pellegrinaggi con i medici ha visitato circa quaranta paesi di tutti i continenti. In Polonia è conosciuto come editorialista, ed i suoi articoli sono stati spesso accolti con riconoscimento ed hanno dato origine a discussioni e dibattiti a livello nazionale.

Ricezione dell’articolo

Il presente testo è una traduzione di Józef  Kowalski dell’articolo pubblicato originariamente in polacco sotto il titolo: Z papieżem przeciw homoherezji, “Fronda” 63 (2012), pp. 128-160 (http://www.fronda.pl/news/czytaj/tytul/z_papiezem_przeciw_homoherezji_(cz.i)_22079/strona/2) apparsa su https://www.corrispondenzaromana.it/con-il-papa-contro-lomoeresia-di-don-dariusz-oko/.

L’articolo in questione è apparso anche in Germania sul mensile “Theologisches”, una delle riviste teologiche più importanti. Il periodico è molto apprezzato da papa Benedetto XVI che vi abbonato da decenni (prima come sacerdote e cardinale Ratzinger). Su questa rivista hanno pubblicato spesso i loro articoli non soltanto Joseph Ratzinger, ma anche cardinali come Hans Urs von Balthasar, Avery Dulles S.I., Leo Scheffczyk e molti altri. Cfr. D. Oko, Mit dem Papst gegen Homohäresie, “Theologisches” 9/10 (2012) pp. 403-426.

In Polonia ed all’estero è stato accolto con grande interesse ed ha suscitato un’accesa discussione. È stato subito tradotto in lingua ceca e nel luglio del 2011 per cinque mercoledì successivi (4, 11, 18, 25 ed il 31 luglio 2011) è stato trasmesso a puntate dalla Sezione Ceca della Radio Vaticana (al posto delle catechesi delle udienze generali del Santo Padre, che vengono sospese durante le vacanze). L’articolo è stato molto discusso in Slovacchia e nella Repubblica Ceca perché spiegava in parte la situazione dell’arcivescovo Robert Bezak di Trnawa, che proprio in questi giorni è stato rimosso dal vescovato. Cfr. : “S Papežem proti homoherezi”.

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DOSSETTI E IL DOSSETTISMO. UN APPROCCIO IDEOLOGICO ALLA FEDE

INTRODUZIONE – Ho esitato a lungo prima di scegliere il titolo per questo intervento. Tra l’altro, pensando al titolo avevo immaginato anche quest’altro titolo possibile, cioè Dossetti, ovvero dell’inquietudine cattolica. Perché una ragione psicologica all’attivismo straordinario di questo personaggio deriva proprio dall’irrequietezza con cui ha vissuto il suo impegno politico prima, ed ecclesiale poi, incapace, perché teso certamente alla grandezza della fede, di accettare i limiti con cui questa poteva essere vissuta, praticata e predicata sia nella politica, sia nelle comunità cristiane, sia nella Chiesa. Ed è un limite enorme, questo, che lo ha portato ad un ipercriticismo ea un attivismo dove, in nome del meglio, si è spesso perso il bene possibile. La contrapposizione ideale non deve tuttavia far venir meno l’onestà intellettuale e capisco che con un titolo del genere la dimensione spirituale di un personaggio come Giuseppe Dossetti (1913-1996) sembra venirne inevitabilmente ridotta. Dunque, prima di entrare nel vivo del mio intervento voglio anch’io rendere in qualche modo omaggio a un personaggio che pur distantissimo dalle mie convinzione resta un fratello nella fede, dotato di una intelligenza e di un’acutezza straordinarie, e usando le «parole che il card. Giacomo Biffi (1928) ha speso per lui, pur criticandolo aspramente, si può dire che è stato un autentico uomo di Dio, un asceta esemplare, un discepolo generoso del Signore che ha cercato di spendere totalmente per lui la sua unica vita. Sotto questo profilo egli resta un raro esempio di coerenza cristiana, un modello prezioso seppur non facile da imitare» (G. Biffi, Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Siena 2008, Cantagalli, p. 477).

Resta comunque impossibile tacere dei limiti di quella che è stata non solo la sua opera in campo politico, ma anche e soprattutto in seno alla Chiesa cattolica pensando in particolar modo al suo lascito raccolto e sviluppato dai suoi eredi, riferendomi non solo alla sinistra politica cattolica dei vari Rosy Bindi (1951) e Romano Prodi (1939) ma soprattutto all’opera culturale intrapresa dalla cosiddetta “officina bolognese”, cioè dal Centro di studio da lui fondato a Bologna all’indomani del suo “abbandono” politico oggi trasformato in Istituto superiore di scienze religiose, e divenuto anche Fondazione, che da anni egemonizza l’intellighenzia cattolica soprattutto in relazione alla interpretazione della ricezione conciliare.

PERCHE’ UN APPROCCIO IDEOLOGICO? – Per ideologia intendo una costruzione della mente che intende imporsi sulla realtà, anche quando questa naturalmente gli resiste. Allora occorre qui, ripercorrendo sinteticamente le tappe del percorso politico-culturale di Dossetti vedere che genere di ideologia si sviluppa e in che modo si è venuta formando.

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Ciò che Dio ha unito. La rivoluzione culturale del cardinale Kasper

Ciò che Dio ha unito. La rivoluzione culturale del cardinale Kasper
(di Roberto de Mattei su Il Foglio del 01-03-2014)

La dottrina non cambia, la novità riguarda solo la prassi pastorale”. Lo slogan, ormai ripetuto da un anno, da una parte tranquillizza quei conservatori che misurano tutto in termini di enunciazioni dottrinali, dall’altra incoraggia quei progressisti che alla dottrina attribuiscono scarso valore e tutto confidano nel primato della prassi. Un clamoroso esempio di rivoluzione culturale proposta in nome della prassi ci viene offerto dalla relazione dedicata a Il Vangelo della famiglia con cui il cardinale Walter Kasper ha aperto il 20 febbraio i lavori del Concistoro straordinario sulla famiglia. Il testo, definito da padre Federico Lombardi come “in grande sintonia” con il pensiero di Papa Francesco, merita anche per questo di essere valutato in tutta la sua portata.

Punto di partenza del cardinale Kasper è la constatazione che “tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso”. Il cardinale evita però di formulare un giudizio negativo su queste “convinzioni”, antitetiche alla fede cristiana, eludendo la domanda di fondo: perché esiste questo abisso tra la dottrina della Chiesa e la filosofia di vita dei cristiani contemporanei? Qual è la natura, quali sono le cause del processo di dissoluzione della famiglia? In nessuna parte della sua relazione si dice che la crisi della famiglia è la conseguenza di un attacco programmato alla famiglia, frutto di una concezione del mondo laicista che ad essa si oppone. E questo malgrado il recente documento sugli Standard per l’educazione sessuale dell’“Organizzazione Mondiale della Sanità” (OMS), l’approvazione del “rapporto Lunacek” da parte del Parlamento europeo, la legalizzazione dei matrimoni omosessuali e del reato di omofobia da parte di tanti governi occidentali. Ma ci si chiede ancora: è possibile nel 2014 dedicare 25 pagine al tema della famiglia, ignorando l’oggettiva aggressione che la famiglia, non soltanto cristiana, ma naturale, subisce in tutto il mondo? Quali possono essere le ragioni di questo silenzio se non una subordinazione psicologica e culturale a quei poteri mondani che dell’attacco alla famiglia sono i promotori?

Nella parte fondamentale della sua relazione, dedicata al problema dei divorziati risposati, il cardinale Kasper non esprime una sola parola di condanna sul divorzio e sulle sue disastrose conseguenze sulla società occidentale. Ma non è giunto il momento di dire che gran parte della crisi della famiglia risale proprio all’introduzione del divorzio e che i fatti dimostrano come la Chiesa avesse ragione a combatterlo? Chi dovrebbe dirlo se non un cardinale di Santa Romana Chiesa? Ma al cardinale sembra interessare solo il “cambiamento di paradigma” che la situazione dei divorziati risposati oggi esige.

Quasi a prevenire le immediate obiezioni, il cardinale mette subito le mani avanti: la Chiesa “non può proporre una soluzione diversa o contraria alle parole di Gesù”. L’indissolubilità di un matrimonio sacramentale e l’impossibilità di un nuovo matrimonio durante la vita dell’altro partner “fa parte della tradizione di fede vincolante della Chiesa che non può essere abbandonata o sciolta richiamandosi a una comprensione superficiale della misericordia a basso prezzo”. Ma immediatamente dopo aver proclamato la necessità di rimanere fedeli alla Tradizione, il cardinale Kasper avanza due devastanti proposte per aggirare il perenne Magistero della Chiesa in materia di famiglia e di matrimonio.

Il metodo da adottare, secondo Kasper, è quello seguito dal Concilio Vaticano II sulla questione dell’ecumenismo o della libertà religiosa: cambiare la dottrina, senza mostrare di modificarla. “Il Concilio – afferma – senza violare la tradizione dogmatica vincolante ha aperto delle porte”. Aperto delle porte a che cosa? Alla violazione sistematica, sul piano della prassi, di quella tradizione dogmatica di cui a parole si afferma la cogenza.

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