Anna Rosa Gattorno, religiosa

Una vera grande grazia per la Chiesa di Genova


Card. DIONIGI TETTAMANZI


Arcivescovo di Genova


La Chiesa di Genova, insieme alle Chiese sorelle di Piacenza e di Roma, è nella gioia spirituale ritenendosi, ancora una volta, benedetta da Dio e fecondata dal suo Spirito: il Santo Padre, infatti, domenica 9 aprile proclama beata la Madre Rosa Gattorno, nata e cresciuta a Genova, e qui vissuta per 35 anni, prima di passare a Piacenza e concludere la sua vita terrena a Roma. Come ha scritto il Papa nella sua lettera di preparazione al Grande Giubileo: «Le canonizzazioni e le beatificazioni… manifestano la vivacità delle Chiese locali. Il più grande omaggio, che tutte le Chiese renderanno a Cristo alla soglia del terzo millennio, sarà la dimostrazione dell’onnipotente presenza del Redentore mediante i frutti di fede, di speranza e di carità in uomini e donne di tante lingue e razze, che hanno seguito Cristo nelle varie forme della vocazione cristiana» (Tertio Millennio adveniente, 37).

La Chiesa genovese, dunque, è riconoscente al Signore perché si è degnata di scegliere una sua figlia per mostrarsi Santo in mezzo a noi (cfr Siracide 36, 3) e per rivelarsi Consolatore di tutti, specialmente di quanti sono colpiti dalle diverse forme di sofferenza e di disagio, attraverso il carisma specifico che Madre Rosa ha ricevuto in dono: chinarsi amorevolmente sulle ferite e sulle piaghe dell’umano dolore con un servizio materno di consolazione e di aiuto concreto in favore dei poveri, dei malati e sofferenti, dei giovani, delle famiglie, degli emarginati, ovunque si trovino. La beatificazione di Madre Rosa nell’anno giubilare ripropone alla nostra comunità diocesana quel forte e affascinante richiamo al «vero anelito alla santità» che Giovanni Paolo II instancabilmente indica come obiettivo essenziale e primario dell’Anno Santo 2000 (cfr Tertio Millennio adveniente, 42). Nessun cristiano può dimenticare che la santità è la «misura» che Dio ha pensato per il cammino spirituale di tutti, senz’alcuna eccezione, come attesta la categorica espressione del Signore: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Matteo 5, 48). Per questo il riconoscimento ufficiale della santità particolare di Madre Rosa è per la Chiesa genovese una vera grande grazia, un invito suadente e incoraggiante a riproporre a se stessa – ai singoli e alle comunità – l’ideale impegnativo di vivere e di operare nella quotidianità con una fede in Cristo Gesù nostro Signore più convinta, più gioiosa e più missionaria: perché la Chiesa cresca in santità e perché la società si rinnovi nell’amore e nella dedizione alla verità e al bene. «La Chiesa di Genova – scrivo nella lettera pastorale Resta con noi, Signore, del 1996-97 – deve continuare a operare nel solco della sua ricca storia di carità e di servizio alle diverse forme di povertà, seguendo la luminosa tradizione dei suoi santi e delle sue sante, che hanno saputo ascoltare con il cuore, discernere con l’intelletto della fede e rispondere con la forza dell’amore di Dio alle piaghe sociali più dolorose del loro tempo… Sono esempi che provocano i singoli e le comunità ecclesiali a verificare di continuo criteri, motivazioni, forme d’intervento nella luce della vera carità, che è, insieme, dono dello Spirito e comandamento del Signore». Abbiamo dunque un’eredità viva che ci è stata consegnata e che oggi ci arricchisce di una nuova «figura spirituale», in attesa di un ulteriore arricchimento con l’ormai vicina beatificazione dell’Arcivescovo genovese Tommaso Reggio, il 3 settembre prossimo. Non ci è lecito disperdere o lasciare inutilizzata una simile eredità. Siamo piuttosto chiamati a proseguirla con rinnovata determinazione. Madre Rosa non è morta. Continua a vivere in Dio, e in qualche modo è ritornata a vivere e operare nella sua Genova. Infatti, una piccola comunità di tre suore Figlie di s. Anna ha preso dimora proprio nell’antica casa – vicino alla Chiesa Cattedrale di san Lorenzo – in cui Rosa Gattorno ha avuto la prima visione-intuizione del nuovo Istituto e dalla quale partiva, spesso anche di notte, per recarsi a visitare e ad assistere i malati e i poveri. Queste sue Figlie, con l’adorazione nella loro casa e in cattedrale ogni pomeriggio e con la presenza a domicilio tra le persone anziane, sole e povere, rendono ancora presente in Genova la loro Fondatrice, ne prolungano in modo umile e convinto la missione nel tessuto travagliato del Centro storico e sono per tutti noi un costante richiamo a tradurre la fede e la preghiera in carità operosa e disinteressata «perché il mondo creda».


Quella «rosa» tra le spine


MARIO PICCHI


In questi giorni celebriamo il primo centenario della morte di Rosa Gattorno (6 maggio 1900) e, contemporaneamente, ne celebriamo la solenne beatificazione da parte del Santo Padre in Piazza San Pietro, domenica 9 aprile di questo Anno Giubilare. Rosa Gattorno, nata a Genova il 14 ottobre 1831, è stata sposa, madre di tre figli, vedova a 34 anni e, quindi, nel 1866 fondatrice a Piacenza dell’Istituto delle suore Figlie di s. Anna, da cui nel tempo sono germinati nuovi virgulti: il ramo di vita contemplativa, l’Associazione pubblica di fedeli Figli di s. Anna (ramo maschile della Congregazione), l’Istituto secolare delle Figlie di s. Anna e il Movimento laicale della Speranza. Nel 1980 ebbi a vivere personalmente un’esperienza molto forte nei miei rapporti con le suore Figlie di S. Anna. Cercavo una casa dove ospitare una quarantina di giovani e di ragazze che stavano percorrendo un cammino di reinserimento sociale dopo la drammatica esperienza della droga. Ero disperato, perché la mancanza di un appoggio concreto rischiava di vanificare il difficile lavoro svolto fin lì con quei ragazzi; quando, nello spirito del carisma della fondatrice, le Figlie di s. Anna misero a nostra disposizione gli spazi necessari per accogliere nella loro casa generalizia questa del tutto inconsueta comunità giovanile. Cominciai allora a comprendere e a conoscere più profondamente la figura di Madre Rosa, donna forte e materna insieme, che seppe scrivere, nei confini della vita quotidiana, un capitolo fecondo nella storia della Chiesa del nostro tempo.


Lo sguardo amoroso verso gli oppressi


«Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli» (Mt 5, 1). Mentre si fa forte l’invito di Gesù perché i suoi discepoli gli si stringano intorno, lui continua a rivolgere lo sguardo sul mondo che gli sta ai piedi. Il passo mi pare illumini sul carisma di Madre Rosa, sul suo sguardo amoroso verso i tanti oppressi dall’ingiustizia, dalla miseria, dall’intolleranza. Madre Rosa accolse gioiosamente l’invito di Gesù ad accostarsi a lui per capire fino in fondo il significato delle beatitudini, senza mai dimenticare la realtà circostante. Il percorso tracciato da Dio per questa sua creatura non si fermò sul monte delle beatitudini, ma la sospinse oltre, fino alle pendici del Golgota, già accostato con la perdita dello sposo e di un figlio, tra povertà e umiliazione. E sarà il Crocifisso a tracciare la via che Madre Rosa avrebbe percorso con le sue figlie spirituali. In un mondo contrassegnato dal calcolo e dal potere che tendono a spegnere le lampade della speranza, la Gattorno ha rivelato, nella sua femminile fragilità, tutta la forza della fede che la sosteneva. Come un‘anfora nelle mani del vasaio, è stata docile strumento del cuore di Dio in una società profondamente segnata dai fremiti rivoluzionari, dalle guerre, dalle ingiustizie del suo tempo.


Una splendida stagione di apostolato


Sotto la sua guida l’Istituto delle Figlie di s. Anna ha sperimentato una stagione splendida di sacrifici, stupori e trepidazioni, con uno spirito missionario che ha condotto la giovane congregazione a oltrepassare «come volo di colomba» le frontiere per una concreta e amorevole presenza in ogni parte del mondo, così come aveva profetizzato alla fondatrice papa Pio IX, nell’udienza del 1866. Dalle favelas dell’America Latina a sperduti villaggi nel cuore dell’Africa, dall’India all’Australia e alle Filippine, dall’Egitto alla Palestina e ad Israele, le Figlie di s. Anna continuano a testimoniare il carisma della loro fondatrice Rosa Gattorno, proclamata beata da Giovanni Paolo II.


 


Madre mistica e vittima di amore sensibile verso i poveri ed i sofferenti


VIRGINIA SINAGRA – Superiora Generale delle Figlie di s. Anna


Espressione di un singolare disegno di Dio per la Chiesa e il mondo, Rosa fu preparata nell’ambito familiare, quale figlia obbediente, sorella attenta al bene di tutti i congiunti, e sensibile verso i poveri e i sofferenti, a divenire Madre, Ricettacolo di comunicazioni ineffabili di Dio, e a offrirsi vittima in Gesù, Vittima divina, per i peccatori. Il susseguirsi di dolori e sacrifici in un matrimonio, contratto per disposizione paterna ma vissuto con fede e amore tenero, rivelatosi però disastroso, anziché abbatterne lo spirito contribuì a fare di lei un modello di fortezza cristiana nelle prove. La maternità crocifiggente, a causa dell’handicap della prima figlia, della morte prematura del terzo figlio e del disorientamento spirituale del secondo, introducendola, oltre che nel mistero divino della creazione, nella gratuità misericordiosa di Dio, la preparò ad una più ampia e inaspettata maternità che doveva essere segno e strumento della maternità e paternità divina nel mondo. Lo Spirito Santo ve la preparò nel periodo di vedovanza, introducendola a un livello di vita cristica estremamente esigente, da non lasciare spazio ad altro che non fosse il suo «Bene» e il servizio alla Chiesa e ai poveri in molteplici forme. A questo livello di maturità, Dio le mostrò il progetto che doveva realizzare. Lasciandosi espropriare da Cristo in un divenire costante, come ella stessa testimonia: «il mio Crocifisso ha cambiato la mia volontà con la sua, ed è infinitamente dolce e piacevole il non possederla», dilatò il suo cuore alla maternità spirituale che in tutt’uno con la prima, premessa di umana crescita, ha la sua origine nell’unica fonte: la Paternità e Maternità divina che creando l’uomo non lo abbandona a se stesso nel bisogno, suscitando alcuni che, chinandosi verso di lui, gli rivelino il suo volto di Padre e di Madre. Rosa fu una di questi. Ella realizzò la sua vocazione missione materna nella donazione eroica per densità d’impegni, di responsabilità e sofferenze vissute nella partecipazione intima alla passione di Cristo, testimoniando in tal modo l’amore misericorioso di Dio, che contemplava anche nella missione materna di s. Anna, e di Maria,


Madre del Verbo. Rosa,  lasciandosi  guidare  dallo  Spirito  Santo, ascese  alle  vertiginose  altezze  della  perfezione  cristiana.


Seppe, specialmente nell’ora della prova, orientare le sue potenzialità affettive in Cristo Crocifisso aprendosi all’irruzione dello Spirito. L’invasione del divino acquistò svariate forme:


esperienza unitiva con le tre Persone divine, colloqui filiali con Maria e sant’Anna sua madre, con s. Francesco d’Assisi e altri Santi protettori dell’Istituto; introspezione dei cuori, doni di guarigioni. Nel tessuto umano divino di tale esperienza si legge il processo della sua appassionata identificazione con Cristo, il dispiegarsi della missione ricevuta da Lui esplicitamente: «Da te voglio quest’Opera», e il crescente zelo missionario: «Potessi ottenere di farti conoscere da tutto il mondo» alimentato dalla contemplazione dell’Amore di Dio non corrisposto. Causa, centro e meta di tutto il pellegrinaggio di Rosa: il caro Crocifisso e l’Eucaristia sperimentata quale fonte di rinnovato vigore, sacramento unificante, partecipazione speciale con Cristo Crocifisso e Glorioso, presenza viva contemplata nei diversi aspetti della sua offerta. Incisiva, chiara e attuale è la prospettiva Cristocentrica in cui nell’età matura rilesse il suo itinerario: «Il mio Crocifisso! In una via mi condusse; ero deforme e con la sua grazia mi rese bella; m’insegnava a patire e, come il miele delle api mi conservava il patire; questo si cambiava in dolcezza; con lezioni sublimi mi faceva capire come si traeva tanta squisitezza dal


patire, mentre la natura ne era ribelle. Quando, in terra boccone per non avere più forza per l’oppressione del dolore, mi affogavo, mi rialzava. Così camminando, seguendo le sue pedate non mi accorgevo che, tutta punture ne stavo addolorata, ma una forza da gigante mi sentivo».


Entrata nella logica del Patire-Amare di Gesù, vi aderì pienamente facendo sua l’estrema donazione di Cristo, in cui si rivela anche la pienezza di dono del Padre nello Spirito: «L’amore di Dio per noi si è manifestato nel fatto che Lui ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4, 9 ss). Consegnata totalmente nelle mani del Padre, sperando contro ogni speranza nella sua fedeltà, facendo sua la supplica di Cristo: «Nella sua vita terrena Egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà» (Eb 5, 7), poté realizzare la vocazione- missione di offrirsi vittima in Lui, secondo quanto Gesù stesso le aveva confidato: «Una vittima d’amore desideravo, assai me ne compiaccio». Sublimi illuminazioni che la disposero ad abbracciare con amore incondizionato la pesante croce, tutte le tentazioni, le desolazioni spirituali, gli assalti del maligno, le umiliazioni, incomprensioni e ingratitudini innumerevoli, che forgiarono in lei la vittima che Gesù volle associare a sè nell’offerta per i peccatori.


 


Modellata dall’Amore che genera amore


NATALINA SOTGIA


Quando Rosa Gattorno vede la luce, il 14 ottobre 1831, Genova è da poco emersa dalla sua lunga e gloriosa storia di libera repubblica ed è divenuta, dopo la temporanea riduzione a provincia dell’impero napoleonico, parte integrante del Regno di Sardegna; e la cittadinanza si apre ai tempi nuovi sforzandosi di conciliare l’atavico interesse per gli affari economici e la mai sopita fede tradizionale con i nuovi ideali nazionalistici. Variegato di interessi anche l’ambiente familiare: di rigorosa onestà non disgiunta da accorta abilità negli affari il padre, Francesco, titolare di un’antica ed affermata casa di commercio; piissima la mamma, Adelaide; mazziniano fervente e anticlericale irriducibile lo zio materno, Federico Campanella, legato da  grande  affetto  alla  sorella  e  al  cognato. Alla nascita di Rosa (preceduta da un fratello) segue quella di due sorelle e due fratelli. La sua educazione è comune a quella delle figlie della classe agiata: solida formazione religiosa, maestri in casa per le lezioni di lingua e letteratura italiana e francese, musica, disegno, danza e canto; e, con non minore impegno, nell’intimità dell’ambiente domestico, l’apprendimento di quanto riguarda la direzione e il governo di una casa signorile. Personalità della cultura, della finanza e della politica frequentano abitualmente le sale ospitali di Casa Gattorno mentre la grazia e la finezza di modi di Rosa e della sorella Giustina esercitano una forte attrattiva sui più giovani. Lieti trattenimenti musicali e danze festose si alternano quindi ai gravi ragionamenti d’affari e alle accese discussioni politiche.


Rosa, entrata ormai nella pensosa stagione delle scelte della vita, in quell’ambiente vivace ma moralmente corretto tempra il suo carattere e vaglia le sue inclinazioni. Guidata da un saggio direttore spirituale si orienta per il matrimonio. Le occasioni non mancano; sia per l’elevata posizione sociale, sia per la già brillantemente affermata carriera professionale, tra gli altri, l’avvocato Tito Orsini sembra, al signor Gattorno, costituire un ottimo partito per la figlia prediletta. Ma più attente considerazioni circa le idee religiose e forse anche i costumi dell’Orsini fanno rivolgere la preferenza al lontano cugino Gerolamo Custo le cui doti morali e la correttezza del comportamento assicurano a Rosa un meno brillante ma più solido e sereno avvenire. Il matrimonio viene celebrato il 5 novembre 1852 e la stessa sera gli sposi partono per Marsiglia dove Gerolamo ha la sua sede di commercio. Della vita coniugale di Rosa Gattorno restano scarni ricordi. Frammenti di vita intrisi di amore sincero ma così brevi e per di più offuscati dagli eventi dolorosi tra i quali si intersecano da non lasciare tracce profonde. Nasce la prima figlia, Carlotta; gioia indicibile troppo presto oscurata dall’angosciosa constatazione della sua sordità. Sorda, Carlotta sarà anche sordomuta, nonostante le cure intense mai trascurate. Il declino degli affari economici menoma la gioia della nascita del secondo figlio, Alessandro; e quando i segni di una favorevole ripresa degli affari sembrano sgombrare le nubi, giunge implacabile la malattia di Gerolamo. Assistito con tenerezza infinita, giorno e notte, da Rosa, muore il 9 marzo 1858. Il primo dicembre 1857 era nata una nuova creatura, Francesco, che seguirà il padre nella tomba dopo pochi mesi. Viva è la fede di Rosa ma delicate e sensibilissime sono le fibre del suo cuore; occorreranno lunghi mesi di preghiera intensissima prima che lei, sotto la paziente guida del confessore, riesca a riprendere in pugno le proprie forze e a guardare avanti a sé, verso la vita che le pone domande ineludibili. Riprende a vivere, per i figli. Ma il Signore ha ancora altro da chiederle. Le ha fatto capire presto quanto effimere siano le gioie terrene e da quanti dolori possa essere intristita la vita ma l’ha insieme dotata di una inesauribile capacità di amore oblativo per cui l’esperienza del dolore, piuttosto che amareggiarne e inasprirne l’animo l’apre alla comprensione e alla condivisione dei dolori altrui.


Già piissima da giovinetta e sinceramente incline alla pietà verso i poveri e i sofferenti, sostenuta ora dalla Comunione quotidiana, con Cristo nel cuore diventa madre, sorella, amica di tutti coloro che soffrono. Oltre la cura assidua dei suoi bambini Rosa si dedica al servizio dei poveri e alle opere di zelo che fioriscono nella Genova del suo tempo. Il Signore la vuole fondatrice di una nuova famiglia religiosa segnata in modo particolare dal sigillo della maternità. Fondatrice e madre, dunque. Anzi mamma prima che fondatrice. Ma mamma che, distrutte le inevitabili scorie dell’umano al fuoco della più dolorosa delle rinunce, potrà realizzare la duplice dimensione della maternità naturale-spirituale con la purezza di cuore di chi ormai appartiene totalmente a Dio. E nel profluvio di lacrime che irrorano le sue notti angosciate le è sembrato di intravvedere un filo di luce: andrà dal Papa.


Già informato della qualità della visitatrice e del motivo della visita, il Papa Pio IX l’ascolta a lungo in silenzio, poi, con voce ferma, sentenzia: «Non devi differire dal compiere la volontà di Dio». Un grido è la risposta: «Santità, non posso abbandonare i miei figli!». E alla voce severa del Papa: « Se non farai ciò che Iddio vuole da te ne avrai rimorso per tutta la vita e morirai senza pace», non lei , ma la forza dello Spirito che la travolge le fa dire: «Santità, voglio fare la volontà di Dio». Tornata all’alloggio si chiude in camera e piange e singhiozza per tutta la notte. All’alba, nella chiesa di s.Marcello al Corso, prostrata davanti al quadro della Vergine dal cuore trafitto, le parla, la interroga, le si confida da mamma a mamma. Si leva rafforzata nella fede, «pronta – dice lei stessa – a fare il sacrificio di Abramo». L’8 dicembre 1866, festa dell’Immacolata Concezione, nasce l’Istituto delle «Figlie di s. Anna» dedito all’incremento della fede e alle opere di carità, Istituto che ha per Madre e Protettrice s. Anna, Madre dell’Immacolata. Nel mese di giugno del 1867 scoppia a Piacenza un’epidemia di colera che tra luglio e agosto miete migliaia di vite. Incuranti del pericolo le Figlie di s. Anna si prodigano giorno e notte nell’assistenza dei malati e alla fine dell’epidemia Madre Rosa (è questo ormai il suo appellativo) apre la sua casa alle orfane rimaste abbandonate. Per nutrirle, poiché l’Istituto è poverissimo, le Suore vanno alla questua. Presto molte giovani chiedono di far parte dell’Istituto e con il moltiplicarsi dei membri possono essere fondate diverse comunità la cui opera è richiesta in molte parti d’Italia. Nel 1878, appena dodici anni dopo la fondazione un gruppo di sedici Suore, presto seguite da altre, parte per la Bolivia e dopo la Bolivia, tra il 1884 e il 1896 le Figlie di s. Anna raggiungono il Brasile, il Cile, l’Eritrea, il Perù, la Francia e la Spagna. Il «volo di colomba» profetizzato da Pio IX nella drammatica udienza del 3 gennaio si realizzava pienamente. Inoltre, tra il 1883 e il 1886, a Roma, sulla via Merulana, per espresso desiderio del S.Padre, è stata costruita la Casa generalizia con l’annessa chiesa pubblica dedicata a Maria Mater Gratiae et Misericordiae. Muore la mattina del 6 maggio 1900.


 


L’iter della causa


ANGELA FLORIO – Postulatrice


Dodici anni appena dalla sua morte, il 27 luglio 1912, nella sede del Vicariato di Roma ebbe inizio il Processo diocesano informativo sulla sua fama di santità; esteso, per rogatoria, anche alle sedi di Napoli, Palermo, Piacenza e Genova, sua patria di origine, si concluse il 26 gennaio 1927. I testimoni complessivamente escussi furono 125 (inclusi 7 contesti); e solo tre per conoscenza indiretta. Il complesso delle prove testimoniali, corredato degli scritti della Fondatrice, fu consegnato alla competente Congregazione (allora) dei Riti, per l’introduzione della Causa. Ottenuto il Nulla osta (3 aprile 1979), furono riconosciuti validi i Processi informativi (con Decreto 19 settembre 1991); e in conformità alla nuova procedura del Dicastero ecclesiastico, si passò direttamente all’esame delle virtù attraverso lo studio della relativa Positio super virtutibus, che, completata da un congruo apparato documentale, fu consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi il 21 novembre 1991. Il vaglio dei Consultori Teologi, conclusosi il 22 maggio 1998, condusse al riconoscimento dell’esercizio eroico di tutte le virtù, praticate dalla Gattorno, e fu ratificato dalla Sessione ordinaria dei Cardinali e Vescovi (il 1° dicembre successivo). Il 21 dicembre del 1998, con la promulgazione del conseguente Decreto, Madre A. Rosa Gattorno veniva dichiarata «Venerabile». Già nel 1991 era avvenuta, a Medicina (Bologna), la guarigione di Ida Rosa Zanchetta (Suor A. Angelina) da «glomerulonefrite proliferativa mesangiale con persistente proteinuria ed ematuria; calcolosi renale infetta; anemia sideropenica e gastrite atrofica», per esplicita invocazione a Madre Rosa Gattorno. Il relativo Processo, celebrato presso la Curia ecclesiastica di Bologna dal 26 aprile 1995 al 26 giugno 1996, aveva diligentemente indagato sul ventennale decorso morboso della paziente che, avuto inizio (lei appena ventiseienne) con una vasta flogosi tonsillo faringea, si era aggravato con infezioni ai reni e all’apparato urinario – tanto da richiedere una serie di ricoveri in ospedali altamente specializzati (Padova, Treviso, Verona) oltre che in quelli delle province di Bari e Bologna (Medicina) – fino a egenerare, con persistenti dolori addominali, macroscopiche ematurie, coliche renali ricorrenti, edemi, albuminurie, proteinuria, grave ritenzione idrica, gastrite atrofica e anemia sideropenica, nella suddetta diagnosi di «Glomerulonefrite mesangiale… ». Suor Angelina, che già invocava continuamente la Fondatrice perché le ottenesse dal Signore la guarigione, accogliendo volentieri l’iniziativa della novena univa la sua supplica a quella delle sue Consorelle. Era il 2 febbraio 1991. Nella tarda mattinata del successivo giorno 11, a conclusione della novena, all’improvviso – e ormai contro ogni aspettativa dei medici – si verificava il rapidissimo cambiamento della situazione. Sottoposto il caso alla Congregazione delle Cause dei Santi per lo studio da parte del Collegio medico a ciò preposto, il 17 dicembre 1998 così concludeva il verdetto unanime degli specialisti: la guarigione della Suora è da ritenersi «estremamente rapida, completa e duratura; assolutamente inspiegabile secondo le nozioni scientifiche attuali».


I Consultori teologi, deputati alla convalida ecclesiale del giudizio prettamente tecnico-scientifico, sancivano ulteriormente «la qualifica di miracolo di III grado» onde potersi «procedere verso la Beatificazione» (9 aprile 1999). Analogamente si pronunciavano i Padri Cardinali e Vescovi riuniti nella Sessione Ordinaria del 25 giugno, così che il 28 successivo,  alla  presenza  di  Giovanni Paolo II, veniva pubblicato il Decreto sul miracolo.


© L’OSSERVATORE ROMANO Domenica 9 Aprile 2000