La fede nell’Eucarestia

Paolo VI, Enciclica Mysterium fidei, circa errori e opinioni che mettono in dubbio la fede nell’eucaristia e il suo culto fuori della Messa. Il legame tra sacrificio eucaristico, la Chiesa e la presenza reale di Cristo


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Paolo VI
Mysterium fidei


La chiesa cattolica ha sempre religiosamente custodito come preziosissimo tesoro l’ineffabile mistero di fede che è il dono dell’eucaristia, largitole da Cristo suo sposo come pegno del suo immenso amore, e ad esso nel concilio Vaticano II ha tributato una nuova e solennissima professione di fede e di culto. Difatti i padri del concilio, trattando della restaurazione della sacra liturgia, per la loro sollecitudine a favore della chiesa universale niente hanno avuto più a cuore che esortare i fedeli affinché con integra fede e somma pietà partecipino attivamente alla celebrazione di questo sacrosanto mistero, offrendolo unitamente al sacerdote come sacrificio a Dio per la salvezza propria e di tutto il mondo e nutrendosi di esso come spirituale alimento. Giacché se la sacra liturgia occupa il primo posto nella vita della chiesa, il mistero eucaristico è come il cuore e il centro della sacra liturgia, in quanto è la fonte di vita che ci purifica e ci corrobora in modo che viviamo non più per noi, ma per Dio, e tra noi stessi ci uniamo col vincolo strettissimo della carità.


E affinché sia evidente l’intimo nesso tra la fede e la pietà, i padri del concilio, confermando la dottrina che la chiesa ha sempre sostenuto e insegnato e il concilio di Trento ha solennemente definito, hanno voluto premettere alla trattazione del sacrosanto mistero eucaristico questa sintesi di verità: “Il nostro Salvatore nell’ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, a perpetuare così il sacrificio della croce nei secoli fino al suo avvento, lasciando in tal modo alla sua diletta sposa, la chiesa, il memoriale della sua morte e della sua risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità vincolo di carità convito pasquale, in cui si riceve Cristo, l’anima si riempie di grazia e ci si largisce il pegno della gloria futura”. Con queste parole si esaltano insieme il sacrificio, che appartiene all’essenza della messa celebrata quotidianamente, e il sacramento, di cui i fedeli partecipano con la santa comunione mangiando la carne di Cristo e bevendone il sangue, ricevendo la grazia, che è anticipazione della vita eterna; e la medicina dell’immortalità, secondo le parole del Signore: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.


Dalla restaurazione dunque della sacra liturgia noi speriamo fermamente che scaturiranno copiosi frutti di pietà eucaristica, affinché la santa chiesa, elevando questo salutifero segno di pietà, progredisca ogni giorno verso la perfetta unità e inviti tutti quelli che si gloriano del nome cristiano all’unità della fede e della carità, attraendoli soavemente sotto l’azione della grazia divina. Ci sembra di intravedere questi frutti e quasi di gustarne le primizie nell’aperta gioia e prontezza d’animo, con cui i figli della chiesa cattolica hanno accolto la costituzione della sacra liturgia restaurata; e anche in molte e ben elaborate pubblicazioni destinate a investigare più profondamente e a conoscere con maggiore frutto la dottrina intorno alla ss. eucaristia, specialmente per quel che riguarda la sua connessione col mistero della chiesa. Tutto questo è per noi motivo di non poca consolazione e gaudio, che vogliamo comunicare anche a voi, venerabili fratelli, con grande piacere, perché anche voi insieme con noi rendiate grazie a Dio, largitore di ogni bene, che col suo Spirito governa la chiesa e la feconda di crescenti virtù.


 


Motivi di sollecitudine pastorale e di ansietà


Tuttavia, fratelli venerabili, non mancano, proprio nella materia che ora trattiamo, motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del nostro dovere apostolico non ci permette di tacere. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo sacrosanto mistero ci sono alcuni che circa le messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede, come se a chiunque fosse lecito porre in oblio la dottrina già definita dalla chiesa, oppure interpretarla in maniera che il genuino significato delle parole o la riconosciuta forza dei concetti ne restino snervati. Non è infatti lecito, tanto per portare un esempio, esaltare la messa così detta “comunitaria” in modo da togliere importanza alla messa privata; né insistere sulla ragione di segno sacramentale come se il simbolismo, che tutti certamente ammettono nella ss. eucaristia, esprimesse esaurientemente il modo della presenza di Cristo in questo sacramento; o anche discutere del mistero della transustanziazione senza far cenno della mirabile conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue di Cristo, conversione di cui parla il Concilio di Trento, in modo che essi si limitino soltanto alla “transignificazione” e “transfinalizzazione” come dicono; o finalmente proporre e mettere in uso l’opinione secondo la quale nelle ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della messa nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente. Ognuno vede come in tali opinioni o in altre simili messe in giro la fede e il culto della divina eucaristia sono non poco incrinati.


Affinché dunque la speranza, suscitata dal concilio, di una nuova luce di pietà eucaristica, che investe tutta la chiesa, non sia frustrata e inaridita dai semi già sparsi di false opinioni, abbiamo deciso di parlare di questo grave argomento a voi, venerabili fratelli, comunicandovi sopra di esso il nostro pensiero con apostolica autorità. Certamente noi non neghiamo in coloro che divulgano tali opinioni il desiderio non disprezzabile di scrutare un sì grande mistero, sviscerandone le inesauribili ricchezze e svelandone il senso agli uomini del nostro tempo; anzi riconosciamo e approviamo quel desiderio; ma non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede.


 


La ss. eucaristia è un mistero di fede


Anzitutto vogliamo ricordare una verità, a voi ben nota, ma assai necessaria a respingere ogni veleno di razionalismo, verità che molti cattolici hanno suggellato col proprio sangue e che celebri padri e dottori della chiesa costantemente hanno professato e insegnato, che cioè l’eucaristia è un altissimo mistero, anzi propriamente, come dice la sacra liturgia, il mistero di fede: “In esso solo infatti, come molto saggiamente dice il nostro predecessore Leone XIII di f. m., sono contenute con singolare ricchezza e varietà di miracoli, tutte le realtà soprannaturali”. È dunque necessario che specialmente a questo mistero ci accostiamo con umile ossequio non seguendo umani argomenti, che devono tacere, ma aderendo fermamente alla divina rivelazione. S. Giovanni Crisostomo, il quale, come sapete, trattò, con tanta elevatezza di linguaggio e con tanto acume di pietà, del mistero eucaristico, istruendo una volta i suoi fedeli intorno a questa verità, si espresse in questi appropriati termini: “Inchiniamoci a Dio senza contraddirgli, anche se ciò che Egli dice possa sembrare contrario alla nostra ragione e alla nostra intelligenza; ma prevalga sulla nostra ragione e intelligenza la sua parola. Così anche comportiamoci riguardo al Mistero [eucaristico], non considerando solo quello che cade sotto i sensi, ma stando alle sue parole: giacché la sua parola non può ingannare”.


Identiche affermazioni hanno fatto spesso i dottori scolastici. Che in questo sacramento sia presente il vero corpo e il vero sangue di Cristo, “non si può apprendere coi sensi, dice s. Tommaso, ma con la sola fede, la quale si appoggia alla autorità di Dio. Per questo commentando il passo di s. Luca 22,19: “Questo è il mio corpo che viene dato per voi”, Cirillo dice: Non mettere in dubbio se questo sia vero, ma piuttosto accetta con fede le parole del Salvatore: perché essendo egli la verità, non mentisce”. Pertanto, facendo eco al dottore angelico, il popolo cristiano canta frequentemente: “Visus, tactus, gustus in te fallitur. Sed auditu solo tuto creditur: credo quidquid dixit Dei Filius: nil hoc verbo veritatis verius”. Ma c’è di più: gli stessi dottori scolastici asseriscono che il mistero eucaristico non solo tra gli altri sacramenti, ma anche tra i misteri della fede è “il più difficile a credere”. Del resto la stessa cosa accenna l’evangelo quando racconta che molti dei discepoli di Cristo, udito il discorso della carne da mangiare e del sangue da bere, voltarono le spalle e abbandonarono il Signore dicendo: “Questo discorso è duro e chi può ascoltarlo?”. E domandando Gesù se anche i dodici volessero andarsene, Pietro affermò con slancio e fermezza la fede sua e degli apostoli con la mirabile risposta: “Signore, da chi ce ne andremo? Tu hai parole di vita eterna”.


È logico dunque che noi seguiamo come una stella nell’investigare questo mistero il magistero della chiesa, a cui il divin redentore ha affidato la parola di Dio scritta o trasmessa oralmente perché la custodisca e la interpreti, convinti che “anche se non si indaghi con la ragione, anche se non si spieghi con la parola, rimane tuttavia vero ciò che fin dall’antichità con verace fede cattolica si predica e si crede in tutta la Chiesa”. Ma non basta. Salva infatti l’integrità della fede, è necessario anche serbare un esatto modo di parlare, affinché usando parole incontrollate non ci vengano in mente, che Dio non permetta, false opinioni riguardo alla fede dei più alti misteri. Torna a proposito il grave monito di s. Agostino quando considera il diverso modo di parlare dei filosofi e del cristiano: “I filosofi, egli dice, parlano liberamente senza timore di offendere orecchi religiosi in cose molto difficili a capirsi. Noi invece dobbiamo parlare secondo una regola determinata, per evitare che la libertà di linguaggio ingeneri qualche opinione empia anche intorno al significato della parola”.


La norma di parlare dunque, che la chiesa con lungo secolare lavoro, non senza l’aiuto dello Spirito Santo, ha stabilito, confermandola con l’autorità dei concili, norma che spesso è diventata la tessera e il vessillo della ortodossia della fede, dev’essere religiosamente osservata; né alcuno, secondo il suo arbitrio o col pretesto di nuova scienza, presuma di cambiarla. Chi mai potrebbe tollerare che le formule dogmatiche usate dai concili ecumenici per i misteri della ss. Trinità e dell’Incarnazione siano giudicate non più adatte agli uomini del nostro tempo ed altre siano ad esse temerariamente surrogate? Allo stesso modo non si può tollerare che un privato qualunque possa attentare di proprio arbitrio alle formule con cui il Concilio Tridentino ha proposto a credere il mistero eucaristico. Poiché quelle formule, come le altre di cui la chiesa si serve per enunciare i dogmi di fede, esprimono concetti che non sono legati a una certa forma di cultura, non a una determinata fase di progresso scientifico, non all’una o all’altra scuola teologica, ma presentano ciò che l’umana mente percepisce della realtà nell’universale e necessaria esperienza: e però tali formule sono intelligibili per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Invero quelle formule possono fruttuosamente spiegarsi più chiaramente e più largamente, mai però in senso diverso da quello in cui furono usate, sicché progredendo l’intelligenza della fede rimanga intatta la verità di fede. Difatti il concilio Vaticano I insegna che nei sacri dogmi “si deve sempre ritenere quel senso, che una volta per sempre ha dichiarato la santa madre chiesa e mai è lecito allontanarsi da quel senso sotto lo specioso pretesto di più profonda intelligenza”.


 


Il mistero eucaristico si realizza nel sacrificio della messa


Ora, a comune edificazione e letizia, ci piace, venerabili fratelli, richiamare la dottrina che la chiesa cattolica possiede dalla tradizione e insegna con unanime consenso. Giova anzitutto ricordare quello che è come la sintesi e l’apice di questa dottrina, che cioè nel mistero eucaristico è rappresentato in modo mirabile il sacrificio della croce una volta per sempre consumato sul Calvario; vi si richiama perennemente alla memoria e ne viene applicata la virtù salutifera in remissione dei peccati che si commettono quotidianamente.


Il Signore Gesù istituendo il mistero eucaristico, ha sancito col suo sangue il nuovo Testamento di cui egli è Mediatore, come già Mosè aveva sancito il Vecchio col sangue dei vitelli. Difatti, come racconta l’evangelista, nell’ultima cena “preso il pane, rese grazie e lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo dato per voi: fate questo in memoria di me. Similmente prese il calice, dopo la cena, dicendo: Questo è il calice del nuovo Testamento nel mio sangue, sparso per voi”. Ordinando agli apostoli di far questo in sua memoria, volle perciò stesso che la cosa si rinnovasse in perpetuo. E la chiesa nascente l’ha fedelmente eseguito perseverando nella dottrina degli apostoli e radunandosi per celebrare il sacrificio eucaristico. “Erano poi tutti perseveranti, attesta accuratamente s. Luca, nella dottrina degli apostoli e nella comunione della frazione del pane e nella preghiera”. E tanto era il fervore che i fedeli ne ricevevano che si poteva dire di loro: “La moltitudine dei credenti era un cuor solo e un’anima sola”.


E l’apostolo Paolo, che ci ha tramandato fedelissimamente quello che aveva ricevuto dal Signore, parla apertamente del sacrificio eucaristico quando dimostra che i cristiani non possono partecipare ai sacrifici dei pagani, proprio perché sono stati fatti partecipi della mensa del Signore. “Il calice di benedizione che benediciamo, egli dice, non è forse la comunione del sangue di Cristo? E il pane che spezziamo non è forse partecipazione del corpo di Cristo?… non potete bere il calice di Cristo e il calice dei demoni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni”. Questa “nuova oblazione del nuovo Testamento, che Malachia aveva preannunziato, la chiesa, ammaestrata dal Signore e dagli apostoli, l’ha sempre offerta, non solo per i peccati, le pene, le espiazioni ed altre necessità dei fedeli viventi, ma anche a suffragio dei defunti in Cristo non ancora del tutto purificati”.


Per tacere di altre testimonianze vogliamo ricordare solo quella di s. Cirillo di Gerusalemme il quale, istruendo i neofiti nella fede cristiana, uscì in queste memorabili parole: “Dopo compiuto il sacrificio spirituale, rito incruento, sopra quell’ostia di propiziazione noi supplichiamo Dio per la pace universale della chiesa, per il retto ordine del mondo, per l’imperatore, per gli eserciti e gli alleati, per i malati, per gli afflitti e in generale preghiamo noi tutti per tutti coloro che han bisogno di aiuto e offriamo questa vittima… e preghiamo anche per i santi padri e vescovi e in generale per tutti quelli che in mezzo a noi sono morti, convinti che questo sarà di sommo giovamento a quelle anime per le quali si eleva la preghiera mentre qui è presente la vittima santa e tremenda”. Confermando la cosa con l’esempio della corona intrecciata per l’imperatore per ottenere il suo perdono agli esiliati, lo stesso santo dottore così conclude: “Allo stesso modo anche noi offriamo preghiere a Dio per i defunti, anche peccatori; non gli intrecciamo una corona, ma gli offriamo in sconto dei nostri peccati Cristo immolato, cercando di rendere Dio clemente per noi e per loro”. S. Agostino attesta che la consuetudine di offrire il sacrificio della nostra redenzione anche per i defunti vigeva nella chiesa romana e nello stesso tempo attesta che quella consuetudine, come tramandata dai padri, si osservava in tutta la chiesa.


Ma c’è un’altra cosa che, essendo assai utile ad illustrare il mistero della chiesa, ci piace di aggiungere, cioè la chiesa fungendo in unione con Cristo da sacerdote e da vittima, offre tutta intera il sacrificio della messa e tutta intera vi è offerta. Questa mirabile dottrina già insegnata dai padri, recentemente esposta dal nostro predecessore Pio XII di f.m., ultimamente espressa dal concilio Vaticano II nella costituzione sulla chiesa, a proposito del popolo di Dio, noi ardentemente desideriamo che sia sempre più spiegata e più profondamente inculcata nell’animo dei fedeli, salva però, com’è giusto, la distinzione, non solo di grado, ma anche di natura, che passa tra il sacerdozio dei fedeli e quello gerarchico. Tale dottrina infatti è quanto mai adatta ad alimentare la pietà eucaristica, ad esaltare la dignità di tutti i fedeli, nonché a stimolare l’animo a toccare il vertice della santità, che altro non è che mettersi tutto a servizio della divina maestà con una generosa oblazione di sé.


Inoltre bisogna richiamare la conclusione che scaturisce da questa dottrina circa l’indole pubblica e sociale di ogni messa. Giacché ogni messa, anche se privatamente celebrata da un sacerdote, non è tuttavia cosa privata, ma azione di Cristo e della chiesa, la quale nel sacrificio che offre, ha imparato ad offrire sé medesima come sacrificio universale, applicando per la salute del mondo intero l’unica e infinita virtù redentrice del sacrificio della croce. Poiché ogni messa celebrata viene offerta non solo per la salvezza di alcuni, ma anche per la salvezza di tutto il mondo. Ne consegue che se è sommamente conveniente, che alla celebrazione della messa partecipi attivamente gran numero di fedeli, tuttavia non è da riprovarsi, anzi da approvarsi, la messa celebrata privatamente, secondo le prescrizioni e le tradizioni della santa chiesa, da un sacerdote col solo ministro inserviente; perché da tale messa deriva grande abbondanza di particolari grazie, a vantaggio sia dello stesso sacerdote, sia del popolo fedele e di tutta la chiesa, anzi di tutto il mondo, grazie che non si possono ottenere in uguale misura mediante la sola comunione. Raccomandiamo dunque con paterna insistenza ai sacerdoti, che sono in modo particolare nostro gaudio e nostra corona nel Signore, affinché memori del potere ricevuto dal vescovo consacrante, o di offrire cioè a Dio il sacrificio, di celebrare messe sia per i vivi che per i defunti nel nome del Signore, celebrino la messa ogni giorno degnamente e con devozione, perché essi stessi e gli altri fedeli cristiani usufruiscano dell’applicazione dei copiosi frutti provenienti dal sacrificio della croce. In tal modo contribuiranno molto anche alla salvezza del genere umano.


 


Nel sacrificio della messa Cristo si fa presente sacramentalmente


Quello che abbiamo detto brevemente intorno al sacrificio della messa ci porta a dire qualche cosa anche del sacramento dell’eucaristia, facendo parte sacrificio e sacramento dello stesso mistero sicché non è possibile separare l’uno dall’altro. Il Signore s’immola in modo incruento nel sacrificio della messa, che rappresenta il sacrificio della croce, applicandone la virtù salutifera, nel momento in cui per le parole della consacrazione comincia ad essere sacramentalmente presente, come spirituale alimento dei fedeli, sotto le specie del pane e del vino.


Tutti ben sappiamo che vari sono i modi secondo i quali Cristo è presente alla sua chiesa. È utile richiamare un po’ più diffusamente questa bellissima verità che la costituzione della sacra liturgia ha esposto brevemente. Cristo è presente alla sua chiesa che prega, essendo egli colui che “prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi: prega per noi come nostro Sacerdote; prega in noi come nostro Capo; è pregato da noi come nostro Dio”; è lui stesso che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti in nome mio là sono io in mezzo a loro”. Egli è presente alla sua chiesa che esercita le opere di misericordia non solo perché quando facciamo un po’ di bene a uno dei suoi più umili fratelli lo facciamo allo stesso Cristo, ma anche perché è Cristo stesso che fa queste opere per mezzo della sua chiesa, soccorrendo sempre con divina carità gli uomini. È presente alla sua chiesa pellegrina anelante al porto della vita eterna, giacché egli abita nei nostri cuori mediante la fede, e in essi diffonde la carità con l’azione dello Spirito Santo, da lui donatoci. In altro modo, ma verissimo anch’esso, egli è presente alla sua chiesa che predica, essendo l’evangelo che essa annunzia parola di Dio, che viene annunziata in nome e per autorità di Cristo Verbo di Dio incarnato e con la sua assistenza, perché sia “un solo gregge sicuro in virtù di un solo pastore”. È presente alla sua chiesa che regge e governa il popolo di Dio, poiché la sacra potestà deriva da Cristo e Cristo, “Pastore dei pastori”, assiste i pastori che la esercitano, secondo la promessa fatta agli apostoli.


Inoltre in modo ancora più sublime Cristo è presente alla sua chiesa che in suo nome celebra il sacrificio della messa e amministra i sacramenti. Riguardo alla presenza di Cristo nell’offerta del sacrificio della messa, ci piace ricordare ciò che s. Giovanni Crisostomo pieno d’ammirazione disse con verità ed eloquenza: “Voglio aggiungere una cosa veramente stupenda, non vi meravigliate e non vi turbate. Che cosa è? l’oblazione è la medesima, chiunque sia l’offerente, o Paolo o Pietro; quella stessa che Cristo affidò ai discepoli e che ora compiono i sacerdoti: questa non è affatto minore di quella, perché non gli uomini la fanno santa, ma colui che la santificò. Come le parole che Dio pronunziò, sono quelle stesse che ora il sacerdote dice, così medesima è l’oblazione”. Nessuno poi ignora che i sacramenti sono azioni di Cristo, il quale li amministra per mezzo degli uomini. Perciò i sacramenti sono santi per se stessi e per virtù di Cristo, mentre toccano i corpi, infondono grazia alle anime. Queste varie maniere di presenza riempiono l’animo di stupore e offrono alla contemplazione il mistero della chiesa. Ma ben altro è il modo, veramente sublime, con cui Cristo è presente alla sua chiesa nel sacramento dell’eucaristia, che perciò è tra gli altri sacramenti “più soave per la devozione, più bello per l’intelligenza, più santo per il contenuto “; contiene infatti lo stesso Cristo ed è “quasi la perfezione della vita spirituale e il fine di tutti i Sacramenti”.


Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia perché è anche corporale e sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente. Malamente dunque qualcuno spiegherebbe questa forma di presenza, immaginando il corpo di Cristo glorioso di natura “pneumatica” onnipresente; oppure riducendola ai limiti di un simbolismo, come se questo augustissimo sacramento in niente altro consistesse che in un segno efficace “della spirituale presenza di Cristo e della sua intima congiunzione con i fedeli membri del Corpo Mistico”. Invero del simbolismo eucaristico, specialmente in rapporto all’unità della chiesa, molto trattarono i padri e gli scolastici; il concilio di Trento ne ha compendiata la dottrina insegnando che il nostro Salvatore ha lasciato l’eucaristia alla sua chiesa “come simbolo della sua unità e della carità con la quale egli volle intimamente uniti tra loro tutti i cristiani”, “e perciò simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo”.


Fin dai primordi della letteratura cristiana l’ignoto autore della Didaché così scrive in proposito: “Per quanto riguarda l’eucaristia così rendete grazie… come questo pane spezzato era prima disperso sui monti e raccolto diventò uno, così si raccolga la tua chiesa dai confini della terra nel tuo regno”. Parimenti s. Cipriano difendendo l’unità della chiesa contro lo scisma, scrive: “Finalmente gli stessi sacrifici del Signore mettono in luce l’unanimità dei cristiani cementata con solida e indivisibile carità. Giacché quando il Signore chiama suo corpo il pane composto dall’unione di molti granelli, indica il nostro popolo adunato, che egli sostentava; e quando chiama suo sangue il vino spremuto dai molti grappoli e acini e fuso insieme, indica similmente il nostro gregge composto di una moltitudine unita insieme”. Del resto prima di tutti l’aveva detto l’apostolo ai Corinzi: “Poiché molti siamo un solo pane, un solo corpo tutti noi che partecipiamo di un solo pane”.


Ma se il simbolismo eucaristico ci fa comprendere bene l’effetto proprio di questo sacramento, che è l’unità del corpo mistico, tuttavia non spiega e non esprime la natura del sacramento, per la quale esso si distingue dagli altri. Giacché la costante istruzione impartita dalla chiesa ai catecumeni, il senso del popolo cristiano, la dottrina definita dal concilio di Trento e le stesse parole con cui Cristo istituì la ss. eucaristia ci obbligano a professare “che l’eucaristia è la carne del nostro salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati e che il Padre per sua benignità ha risuscitato”. Alle parole del martire s. Ignazio ci piace aggiungere le parole di Teodoro di Mopsuestia, in questa materia testimone attendibile della fede della chiesa: “Poiché il Signore non disse: questo è il simbolo del mio corpo e questo è il simbolo del mio sangue, ma: questo è il mio corpo e il mio sangue, insegnandoci a non considerare la natura della cosa presentata, ma [a credere] che essa con l’azione di grazia si è tramutata in carne e sangue”. Il Concilio Tridentino, appoggiato a questa fede della chiesa “apertamente e semplicemente afferma che nell’almo sacramento della ss. eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente sotto l’apparenza di quelle cose sensibili”. Pertanto il nostro Salvatore nella sua umanità è presente non solo alla destra del Padre, secondo il modo di esistere naturale, ma insieme anche nel sacramento dell’eucaristia “secondo un modo di esistere, che, sebbene sia inesprimibile per noi a parole, tuttavia con la mente illustrata dalla fede possiamo intercedere e dobbiamo fermissimamente credere che è possibile a Dio”.


 


Cristo Signore è presente nel sacramento dell’eucaristia per la transustanziazione


Ma perché nessuno fraintenda questo modo di presenza, che supera le leggi della natura e costituisce nel suo genere il più grande dei miracoli, è necessario ascoltare docilmente la voce della chiesa docente e orante. Ora questa voce, che riecheggia continuamente la voce di Cristo, ci assicura che Cristo non si fa presente in questo sacramento se non per la conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue; conversione singolare e mirabile che la chiesa cattolica chiama giustamente e propriamente transustanziazione. Avvenuta la transustanziazione, le specie del pane e del vino senza dubbio acquistano un nuovo fine, non essendo più l’usuale pane e l’usuale bevanda, ma il segno di una cosa sacra e il segno di un alimento spirituale; ma intanto acquistano nuovo significato e nuovo fine in quanto contengono una nuova “realtà”, che giustamente denominiamo ontologica. Giacché sotto le predette specie non c’è più quel che c’era prima, ma un’altra cosa del tutto diversa; e ciò non soltanto in base al giudizio della fede della chiesa, ma per la realtà oggettiva, poiché convertita la sostanza o natura del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, nulla rimane più del pane e del vino che le sole specie, sotto le quali Cristo tutto intero è presente nella sua fisica “realtà” anche corporalmente, sebbene non allo stesso modo con cui i corpi sono nel luogo.


Per questo i padri ebbero gran cura di avvertire i fedeli che nel considerare questo augustissimo sacramento non si affidassero ai sensi, che rilevano le proprietà del pane e del vino, ma alle parole di Cristo, che hanno la forza di mutare, trasformare, “transelementare” il pane e il vino nel corpo e nel sangue di lui; invero, come spesso dicono i padri, la virtù che opera questo prodigio è la medesima virtù di Dio onnipotente, che al principio del tempo ha creato dal nulla l’universo. “Istruito in queste cose e munito di robustissima fede, dice s. Cirillo di Gerusalemme concludendo il discorso intorno ai misteri della fede, per cui quello che sembra pane, pane non è, nonostante la sensazione del gusto, ma è il corpo di Cristo; e quel che sembra vino, vino non è, a dispetto del gusto, ma è il sangue di Cristo… tu corrobora il tuo cuore mangiando quel pane come qualcosa di spirituale e rallegra il volto della tua anima”. Insiste s. Giovanni Crisostomo: “Non è l’uomo che fa diventare le cose offerte corpo e sangue di Cristo, ma è Cristo stesso che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote, figura di Cristo, pronunzia quelle parole, ma la loro virtù e la grazia sono di Dio. “Questo è il mio corpo”: questa parola trasforma le cose offerte”.


E col vescovo di Costantinopoli Giovanni è perfettamente d’accordo Cirillo vescovo di Alessandria, che nel commento all’evangelo di s. Matteo scrive: “[Cristo] in modo indicativo disse: Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue, affinché tu non creda che siano semplice immagine le cose che si vedono; ma che le cose offerte sono trasformate, in modo misterioso da Dio onnipotente, nel corpo e nel sangue di Cristo realmente! partecipando a queste cose riceviamo la virtù vivificante e santificante di Cristo”. E Ambrogio, vescovo di Milano, parlando chiaramente della conversione eucaristica, dice: “Persuadiamoci che questo non è ciò che la natura ha formato, ma ciò che la benedizione ha consacrato e che la forza della benedizione è maggiore della forza della natura, perché con la benedizione la stessa natura è mutata”. E volendo confermare la verità del mistero, egli richiama molti esempi di miracoli narrati nella sacra scrittura, tra i quali la nascita di Gesù dalla vergine Maria, e poi passando all’opera della creazione così conclude: “La parola dunque di Cristo, che ha potuto fare dal nulla ciò che non esisteva, non può mutare le cose che esistono in ciò che non erano? Non è infatti meno dare alle cose la propria natura che mutargliela”.


Ma non è necessario riportare molte testimonianze. È più utile richiamare la fermezza della fede con cui la chiesa, con unanime concordia, resistette a Berengario, il quale, cedendo alle difficoltà suggerite dalla ragione umana, osò per il primo negare la conversione eucaristica; la chiesa gli minacciò ripetutamente la condanna se non si ritrattasse. Perciò Gregorio VII, nostro predecessore, gli impose di prestare il giuramento in questi termini: “Intimamente credo e apertamente confesso che il pane e il vino posti sull’altare, per il mistero della orazione sacra e le parole del nostro Redentore, si convertono sostanzialmente nella vera e propria e vivificante carne e sangue di nostro Signore Gesù Cristo; e che dopo la consacrazione c’è il vero corpo di Cristo, che è nato dalla Vergine e per la salvezza del mondo fu offerto e sospeso sulla croce e ora siede alla destra del Padre; e c’è anche il vero sangue di Cristo, che uscì dal suo fianco, non soltanto come segno e virtù del sacramento, ma anche nella proprietà della natura e nella realtà della sostanza”.


Con queste parole concordano (mirabile esempio della fermezza della fede cattolica!) i concili ecumenici Lateranense, Costanziense, Fiorentino e finalmente il Tridentino in ciò che costantemente hanno insegnato intorno al mistero della conversione eucaristica, sia esponendo la dottrina della chiesa sia condannando gli errori. Dopo il Concilio di Trento, il nostro predecessore Pio VI, contro gli errori del Sinodo di Pistoia, ammonì con parole gravi che i parroci, che hanno il compito d’insegnare, non tralascino di parlare della transustanziazione, che è uno degli articoli di fede. Parimenti il nostro predecessore Pio XII di f. m., richiamò i limiti che non devono sorpassare tutti coloro che discutono sottilmente del mistero della transustanziazione. Noi stessi nel recente Congresso nazionale italiano eucaristico di Pisa, secondo il nostro dovere apostolico, abbiamo reso pubblicamente e solennemente testimonianza della fede della chiesa.


Del resto la chiesa cattolica non solo ha sempre insegnato, ma anche vissuto la fede nella presenza del corpo e del sangue di Cristo nella eucaristia, adorando sempre con culto latreutico, che compete solo a Dio, un così grande sacramento. Di questo culto s. Agostino scrive: “In questa carne (il Signore) ha qui camminato e questa stessa carne ci ha dato da mangiare per la salvezza; e nessuno mangia quella carne senza averla prima adorata.. sicché non pecchiamo adorandola, ma anzi pecchiamo se non la adoriamo”.


 


Del culto latreutico dovuto al sacramento eucaristico


La chiesa cattolica professa questo culto latreutico al sacramento eucaristico non solo durante la messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana. Di questa venerazione abbiamo molte testimonianze negli antichi documenti della chiesa. I pastori della chiesa infatti esortano sollecitamente i fedeli a conservare con somma cura l’eucaristia che portano a casa. “In verità è il corpo di Cristo, che i fedeli devono mangiare e non disprezzare” ammoniva gravemente s. Ippolito. Consta che i fedeli si credevano in colpa, e giustamente, come ricorda Origene, se, ricevuto il corpo del Signore, pur conservandolo con ogni cautela e venerazione, ne cadesse per negligenza qualche frammento. Che poi i pastori riprovassero fortemente il difetto di debita riverenza, lo attesta Novaziano (degno di fede in questo), il quale ritiene degno di condanna colui che “uscendo dalla celebrazione domenicale e portando ancora con sé, come si suole, l’eucaristia… ha portato in giro il corpo santo del Signore” non a casa sua, ma correndo agli spettacoli. Anzi s. Cirillo d’Alessandria rigetta come follia l’opinione di coloro che sostenevano che l’eucaristia non serve affatto alla santificazione se si tratta di qualche residuo di essa rimandato al giorno seguente: “Né infatti, egli scrive, si altera Cristo né si muta il suo sacro corpo, ma persevera sempre in esso la forza, la potenza e la grazia vivificante”.


Né si deve dimenticare che anticamente i fedeli, sia che si trovassero sotto la violenza della persecuzione, sia che per amore di vita monastica dimorassero nella solitudine, solevano cibarsi anche ogni giorno dell’eucaristia, prendendo la santa comunione anche con le proprie mani, quando era assente il sacerdote o il diacono. Non diciamo però questo perché si cambi il modo di custodire l’eucaristia o di ricevere la santa comunione stabilito in seguito dalle leggi ecclesiastiche e oggi vigenti, ma solo per congratularci della fede della chiesa che rimane sempre la stessa.


Da questa unica fede è nata anche la festa del Corpus Domini, che nella diocesi di Liegi, specialmente per opera della serva di Dio beata Giuliana di Mont Cornillon, fu celebrata per la prima volta e il nostro predecessore Urbano IV estese a tutta la chiesa; e molte altre istituzioni di pietà eucaristica che, sotto la ispirazione della grazia divina, si sono moltiplicate sempre più, e con le quali la chiesa cattolica, quasi a gara, si adopera sia a rendere omaggio a Cristo, sia a ringraziarlo per tanto dono, sia a implorarne la misericordia.


 


Esortazione a promuovere il culto eucaristico


Vi preghiamo dunque, venerabili fratelli, affinché questa fede, che non tende ad altro che a custodire una perfetta fedeltà alla parola di Cristo e degli apostoli, rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura e integra nel popolo affidato alla vostra cura e vigilanza, e promoviate, senza risparmiare parole e fatica, il culto eucaristico, a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà. I fedeli, sotto il vostro impulso, conoscano sempre più e sperimentino quanto dice s. Agostino: “Chi vuol vivere ha dove e donde vivere: si accosti, creda, s’incorpori per essere vivificato. Non rinunzi alla coesione dei membri, non sia un membro putrido degno d’essere tagliato, non un membro distorto da vergognarsi: sia un membro bello, idoneo, sano, aderisca al corpo, viva di Dio a Dio; ora lavori sulla terra per poter poi regnare nel cielo”.


Ogni giorno, come è desiderabile, i fedeli in gran numero partecipino attivamente al sacrificio della messa, nutrendosi con cuore puro e santo della sacra comunione, e rendano grazie a Cristo Signore per sì gran dono. Si ricordino delle parole del nostro predecessore s. Pio X: “Il desiderio di Gesù Cristo e della chiesa che tutti i fedeli si accostino quotidianamente alla sacra mensa, consiste soprattutto in questo: che i fedeli, uniti a Dio in virtù del sacramento, ne attingano forza per dominare la libidine, per purificarsi dalle lievi colpe quotidiane e per evitare i peccati gravi, ai quali è soggetta l’umana fragilità”. Durante il giorno i fedeli non omettano di fare la visita al ss. sacramento, che dev’essere custodito in luogo distintissimo, col massimo onore nelle chiese, secondo le leggi liturgiche, perché la visita è prova di gratitudine, segno d’amore e debito di riconoscenza a Cristo Signore là presente.


Ognuno comprende che la divina eucaristia conferisce al popolo cristiano incomparabile dignità. Giacché non solo durante la offerta del sacrificio e l’attuazione del sacramento, ma anche dopo, mentre la eucaristia è conservata nelle chiese e negli oratori, Cristo è veramente l’Emmanuel, cioè il “Dio con noi”. Poiché giorno e notte è in mezzo a noi, abita con noi pieno di grazia e verità; restaura i costumi, alimenta le virtù, consola gli afflitti, fortifica i deboli, e sollecita alla sua imitazione tutti quelli che si accostano a lui, affinché col suo esempio imparino ad essere miti e umili di cuore, e a cercare non le cose proprie, ma quelle di Dio. Chiunque perciò si rivolge all’augusto sacramento eucaristico con particolare devozione e si sforza di amare con slancio e generosità Cristo che ci ama infinitamente, sperimenta e comprende a fondo, non senza godimento dell’animo e frutto, quanto sia preziosa la vita nascosta con Cristo in Dio; e quanto valga stare a colloquio con Cristo, di cui non c’è niente più efficace a percorrere le vie della santità.


Vi è inoltre ben noto, venerabili fratelli, che l’eucaristia è conservata nei templi e negli oratori come il centro spirituale della comunità religiosa e parrocchiale, anzi della chiesa universale e di tutta l’umanità, perché essa sotto il velo delle sacre specie contiene Cristo capo invisibile della chiesa, redentore del mondo, centro di tutti i cuori, “per cui sono tutte le cose e noi per lui”. Ne consegue che il culto eucaristico muove fortemente l’animo a coltivare l’amore “sociale”, col quale si antepone al bene privato il bene comune; facciamo nostra la causa della comunità, della parrocchia, della chiesa universale; ed estendiamo la carità a tutto il mondo, perché dappertutto sappiamo che ci sono membra di Cristo.


Giacché dunque, venerabili fratelli, il sacramento eucaristico è segno e causa dell’unità del corpo mistico e in quelli che con maggior fervore lo venerano, eccita un attivo spirito “ecclesiale”, non cessate di persuadere i vostri fedeli che, accostandosi al mistero eucaristico, imparino a far propria la causa della chiesa, a pregare Dio senza intermissione, a offrire se stessi a Dio in grato sacrificio per la pace e l’unità della chiesa; affinché tutti i figli della chiesa siano una cosa sola e abbiano lo stesso sentimento, né ci siano tra di loro scismi, ma siano perfetti nello stesso sentimento e nello stesso pensiero, come vuole l’Apostolo; e tutti quelli che non sono ancora uniti con perfetta comunione con la chiesa cattolica, in quanto sono da essa separati, ma si gloriano del nome cristiano, quanto prima con l’aiuto della divina grazia arrivino a godere insieme con noi di quella unità di fede e di comunione, che Cristo volle fosse il distintivo dei suoi discepoli. Questo desiderio di pregare e di consacrarsi a Dio per l’unità della chiesa devono considerarlo soprattutto come proprio i religiosi, uomini e donne, essendo essi in modo particolare addetti all’adorazione del ss. Sacramento, facendogli corona sulla terra in virtù dei voti emessi.


Ma il voto per l’unità di tutti i cristiani, di cui niente è più sacro e più ardente nel cuore della chiesa, noi vogliamo esprimerlo ancora una volta con le stesse parole del Concilio Tridentino nella conclusione del Decreto sulla ss. eucaristia: “in ultimo il s. Sinodo con paterno affetto ammonisce, esorta, prega e implora per la misericordia del nostro Dio, affinché tutti e singoli i cristiani, in questo segno di unità, in questo vincolo di carità, in questo simbolo di concordia, finalmente convengano e concordino, e memori di tanta maestà e di così alto amore di nostro Signore Gesù Cristo, il quale diede la sua diletta anima in prezzo della nostra salvezza e la sua carne a mangiare, credano e adorino questi sacri misteri del suo corpo e del suo sangue con quella fede ferma e costante, con quella devozione, pietà e culto, che permette loro di ricevere frequentemente quel pane ” supersostanziale “, e questo sia per essi veramente vita dell’anima e perenne sanità di mente, sicché corroborati dal suo vigore, da questo misero pellegrinaggio terrestre possano pervenire alla patria celeste per mangiare là senza nessun velo lo stesso pane degli angeli che ora mangiamo sotto i sacri veli”. Oh, che il benignissimo Redentore, che già prossimo alla morte pregò il Padre perché tutti quelli che avrebbero creduto in lui diventassero una cosa sola, come lui e il Padre sono cosa sola, si degni di esaudire al più presto questo voto nostro e di tutta la chiesa che cioè tutti con una sola voce e una sola fede celebriamo il mistero eucaristico e fatti partecipi del corpo di Cristo formiamo un sol corpo compaginato con quegli stessi vincoli, con i quali egli lo volle formato.


E ci rivolgiamo con paterna carità anche a quelli che appartengono alle venerande chiese di Oriente, nelle quali fiorirono tanti celeberrimi padri, di cui ben volentieri in questa nostra lettera abbiamo ricordato le testimonianze intorno alla eucaristia. Ci sentiamo pervasi da grande gaudio quando consideriamo la vostra fede riguardo all’eucaristia, che coincide con la fede nostra, quando ascoltiamo le preghiere liturgiche con cui voi celebrate un così grande mistero, quando ammiriamo il vostro culto eucaristico e leggiamo i vostri teologi che espongono e difendono la dottrina intorno a questo augustissimo sacramento.


La beatissima vergine Maria, dalla quale Cristo Signore ha assunto quella carne che in questo sacramento sotto le specie del pane e del vino “è contenuta, è offerta ed è mangiata”, e tutti i santi e le sante di Dio, specialmente quelli che sentirono più ardente devozione per la divina eucaristia, intercedano presso il Padre delle misericordie, affinché dalla comune fede e culto eucaristico scaturisca e vigoreggi la perfetta unità di comunione fra tutti i cristiani. Sono impresse nell’animo le parole del martire Ignazio, che ammonisce i fedeli di Filadelfia sul male delle deviazioni e degli scismi, per cui è rimedio l’eucaristia: “Sforzatevi dunque, egli dice, di usufruire di una sola eucaristia: perché una sola è la carne di N.S. Gesù Cristo, e uno solo è il calice nella unità del suo sangue, uno l’altare, come uno è il vescovo…”. Sorretti dalla soavissima speranza che dall’accresciuto culto eucaristico deriveranno molti beni a tutta la chiesa e a tutto il mondo, a voi, venerabili fratelli, ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti quelli che a voi prestano la loro collaborazione, a tutti i fedeli affidati alle vostre cure, impartiamo l’apostolica benedizione con grande effusione d’amore, in auspicio delle grazie celesti.


Dato a Roma, presso s. Pietro, nella festa di s. Pio X il 3 settembre 1965 anno terzo del nostro pontificato.