I Miracoli Eucaristici: MACERATA (1356)

di Padre Giorgio Finotti dell’Oratorio. Se quel povero sacerdote del lontano 25 aprile 1356, di cui è rimasto sconosciuto il nome, ma svelato il suo atroce dubbio nella presenza di Gesù nell’ostia consacrata, fosse stato più fedele all’amore di Dio, non avrebbe provocato una nuova prova – miracolosa – della presenza sacramentale di Gesù nell’Eucaristia! Era da un po’ di tempo che un dubbio tremendo lo tormentava, scuotendo la sua fede, il suo amore. Se avesse detto: Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me! Se si fosse coltivato nello spirito, predicando, operando il bene, avrebbe avuto quel dubbio che scuoteva la sua vita sacerdotale?

I Miracoli Eucaristici: MACERATA (1356)



Mi è stato più volte segnalato o richiesto: perché alcuni davanti al S.S.mo che sta nel Tabernacolo non fanno più la genuflessione o tutt’al più piegano appena la testa? Insomma si deve ancora inginocchiarsi in chiesa davanti a Gesù Sacramento o no?


Mi sento di rispondere così, in breve: la genuflessione (cioè piegare il ginocchio destro fino a terra in segno di adorazione davanti al S.S. Sacramento) è sempre doverosa perché (nonostante una crescente enfasi contraria):


1 ° manifesta l’atteggiamento proprio dell’orante davanti alla santità di Dio; inginocchiarsi davanti a Dio non è una umiliazione ma un onore!


2° esprime il sentimento più profondo dell’uomo davanti a Dio: l’adorazione.  Chi adora Dio e lo riconosce e lo loda, è un uomo grande!


3° significa ogni atto di riverenza, di fede nella presenza reale di Gesù nel S.S.mo Sacramento dell’altare.


È scritto nelle nuove rubriche del messale al n. 84 che davanti all’altare dove si conserva il Santissimo, il sacerdote e i ministri devono fare la genuflessione.


Riassumendo “durante la messa – dice testualmente la istituzione Generale del Messale Romano – si fanno tre genuflessioni:


dopo l’ostensione dell’ostia

dopo l’ostensione del calice

e prima della comunione.

Ma se nel presbiterio ci fosse il Tabernacolo col S.S.mo Sacramento/ si genuflette anche prima e dopo la messa e tutte le volte che si passa davanti al SS.mo” (n. 233).


Il Papa ha detto a Dublino (29 settembre 1979): “L’Eucaristia nella Messa e fuori della Messa è il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo e merita quindi l’adorazione che si tributa al Dio vivente e a lui solo.  Così, ogni atto di riverenza, ogni genuflessione che fate davanti al SS.mo Sacramento è importante perché è un atto di fede in Cristo, un atto d’amore per Cristo”.


E il 15 giugno 1995, il Papa, prostrato in ginocchio davanti all’ostensorio del Santissimo nella Chiesa di S. Maria Maggiore, ha confidato di porre e di conservare sull’inginocchiatoio della Sua Cappella l’elenco di tutte le persone che si raccomandano alle sue preghiere (Oss. Rom., 29.10.1995).


Come è desolante invece vedere gente che passando davanti a Gesù Sacramentato o stando in piedi o sempre seduti durante la messa, nemmeno si accorgono di Gesù che sta nel tabernacolo o sull’altare!


Tu non dimenticare mai che stando davanti a Gesù nel Sacramento e passando davanti a lui, la genuflessione è il segno evidente del tuo amore, della tua fede, della tua gioiosa consapevolezza che Gesù è qui, vivo e vero, tra noi e lo adori, lo riconosci, lo benedici e lo invochi.


Quando ti inginocchi davanti a Dio è allora che sei grande, veramente!


Fa’ così, insegna così, perché non ti avvenga come è successo un giorno a Macerata, il 25 aprile 1336.  Antica ed illustre città del Piceno, nella regione centrale d’Italia, le Marche, tra le valli del Potenza e del Chienti, sta Macerata, capoluogo di provincia.  È edificata sopra un colle a 340 metri circa sopra il livello del mare, e da questa collina ferace, quasi come da vedetta militare, si domina e si osserva tutta la regione picena, al nord sino al mare Adriatico, a sud fino alle catene degli Appennini, offrendo uno splendido panorama all’occhio dell’osservatore.


La bella Cattedrale è dedicata a Santa Maria Assunta e a San Giuliano.  È un tempio vasto e maestoso nell’interno e formato di colonne toniche binate che sostengono le arcate.  È proprio in

questa Cattedrale che si custodisce un miracoloso lino liturgico impropriamente detto corporale, macchiato di sangue sgorgato da un’ostia consacrata.


È la cattedrale del vescovo Mons. Francesco Tarcisio Carboni, recentemente scomparso.  In quella buia mattina del 20 novembre la sua auto a Chiarine di Recanati/ tentava di evitare l’urto frontale di uno sprovveduto ma veniva investita sulla fiancata proprio in direzione di Sua Eccellenza, che è deceduto sul colpo e la Beata Vergine di Loreto se lo è portato in Paradiso!  È da là, che ancora oggi, ci ripete: “La croce non è solo la croce di legno, ma è la volontà del Padre!  Chi mi vuoi seguire, prenda la sua croce e mi segua…”.  “L’essere inchiodato a quella croce è la mia realtà!  Se la croce si accetta con amore, questa è perseveranza!” (17 novembre 1995).


Ai sacerdoti diceva: “Siate maestri di orazione nella liturgia, nella direzione spirituale, nella vostra stessa vita.  Siate messaggeri di speranza nella gioia del vostro sacerdozio in Maria; nella povertà della vostra vita, nella luminosità della vostra predicazione.


Siate trovati fedeli da Colui che legge nei cuori, da chi richiede il vostro ministero, dalla vostra coscienza, ogni sera; da Maria Vergine”.  “Nella forza dell’Eucaristia”.


Nella forza dell’Eucaristia, creduta, amata, celebrata, ricevuta, donata.


In Gesù Eucaristia: “L’amore di Dio – diceva Paolo VI – si è fatto fratello nostro; è Gesù che ha camminato per le nostre strade e ha detto a ciascuno di noi: io sono il tuo pane, il tuo maestro, la tua forza/ la tua guida”.


Se quel povero sacerdote del lontano 25 aprile 1356, di cui è rimasto sconosciuto il nome, ma svelato il suo atroce dubbio nella presenza di Gesù nell’ostia consacrata, fosse stato più fedele all’amore di Dio, non avrebbe provocato una nuova prova – miracolosa – della presenza sacramentale di Gesù nell’Eucaristia!


Era da un po’ di tempo che un dubbio tremendo lo tormentava, scuotendo la sua fede, il suo amore.


Se avesse detto: Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me!  Se si fosse coltivato nello spirito, predicando, operando il bene, avrebbe avuto quel dubbio che scuoteva la sua vita sacerdotale!


O è stata una prova indicibile?  A volte il Signore permette che veniamo sottoposti a prove dolorose per rettificare il nostro amore per lui; a volte permette che veniamo tentati perché la nostra fede divenga sempre più ardente e convinta!


Noi allora diciamo: perché Signore? Perché mi abbandoni in balìa di me stesso?


Perché mi abbandoni Signore?  Che cosa ti ho fatto?… e non sappiamo vedere anche in questa prova, una grazia che ci innalza ad un amore più forte, ad un dono più puro.


Quel sacerdote andava ogni mattina in una delle chiese di Macerata. Probabilmente – dicono i documenti antichi – andava a celebrare la messa in quella dedicata a Santa Caterina, che era la cappella delle monache benedettine.


Quella mattina, 25 aprile, era la festa di San Marco evangelista, proprio colui che ci narra come il centurione battendosi il petto dinanzi a Gesù Crocifisso esclamò “Costui è veramente il Figlio di Dio”!  L’evangelista che pone più in rilievo il tradimento di Giuda e di Pietro.


Vendere Cristo o rifiutare di riconoscerlo è il tradimento che perennemente sta in agguato dietro ogni nostra Cena eucaristica!


Quel prete, stanco e deluso, salito all’altare in sacri paramenti, all’orazione sopra le offerte aveva detto: “Accogli Signore il sacrificio di lode che ti offriamo nel ricordo glorioso di San Marco e fa’ che nella tua Chiesa sia sempre vivo e operante l’annunzio missionario del Vangelo.  Per Cristo nostro Signore!”.  Le monache risposero con fede: “Amen, così sia, così è”.


Ma il prete è sempre stanco, avvilito, spento.  Più si avvicinava il momento “tremendo e vivificante della consacrazione” più sentiva impazzire il cuore.


“Come farò a dire: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue!  Come farò Signore se un dubbio terribile mi attanaglia il cuore e mi distrugge la fede?”.


Ma tu, sacerdote del Signore, non conosci le parole del serafico padre San Francesco che esclamava: “O meravigliosa altezza e degnazione che da stupore.  O umiltà sublime e sublimità umile che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, abbia ad umiliarsi così da nascondersi sotto la piccola figura del pane per la nostra salute!


Guardate, fratelli, l’abbassamento di Dio… Quindi non tenetevi nulla di voi stessi, affinché interamente vi accolga colui che tutto si da a voi!”.


Se tu avessi conosciuto San Filippo Neri quando celebrava la santa messa, mentre teneva fra le candide mani diafane la santissima Ostia, l’avresti sentito piangere e adorare:


“Mio Dio, mio tutto!  Mio Dio, mio tutto!”.


Le monache benedettine raccolte in preghiera, di solito con gli occhi bassi, in quella fresca mattina primaverile, alzarono gli occhi esterrefatte.


Il celebrante era giunto alla frazione del pane, prima della comunione.  Dicendo stentatamente: “II Corpo e il Sangue di Cristo uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna…”, ma non riuscì a finire, si sentì male, mentre un fremito lo percorse per tutta la persona: dall’ostia era cominciato a stillare vivo sangue che cadde in parte nel calice e parte sul lino sottostante.


Ancora una volta Gesù si era manifestato visibilmente, ancora una volta aveva infranto i veli del pane e del vino e si era mostrato nella sua realtà di carne e sangue!  Ma quando crederemo senza vedere?


Quando, Signore, ti ameremo senza domandarti una prova una conferma?


Il prete avventurato cadde in ginocchio con le mani rosse del sangue santissimo di Nostro Signore, a motivo del timore e del tremore che aveva invaso il suo cuore e le sue ginocchia.


Inginocchiato pianse a lungo.  Poi finita finalmente la celebrazione che gli sembrò durata un’eternità, non riuscendo a contenere l’emozione e il turbamento, corse dal suo vescovo, Nicolo da S. Martino, il quale subito ordinò dì portare la preziosa tela insanguinata a lui, in cattedrale.


Lasciamo andare la storia e anche noi ancora smarriti e confusi avviciniamoci all’altare dove sta il sacro lino insanguinato.


Inginocchiamoci riverenti e devoti e guardiamo umili e riconoscenti.  Vedi un lino di forma allungata di 129×41 centimetri, di colore giallastro a motivo dei secoli trascorsi.  Ma intanto vedi e adora le due macchie grandi del Sangue santissimo di Gesù vivente e prega e adora: “Eterno Padre, noi ti offriamo con Maria, madre del Redentore del genere umano, il sangue che Gesù sparse con amore nella passione e ogni giorno offre in sacrificio nell’Eucaristia.  In unione alla Vittima immolata per la salvezza del mondo ti offriamo le nostre misere gocce di sangue quotidiano in espiazione dei nostri peccati, per la conversione dei peccatori, per le anime sante del purgatorio, per le necessità della santa Chiesa.


Oh sangue preziosissimo, segno di vita e di misericordia concedici di perseverare nella fede, nella speranza, nella carità…”.


Ah! Come però spesso vanno le cose umane!  La sacra reliquia rimase ad un certo momento della sua storia secolare, “dimenticata” chiusa nell’armadio che custodiva le altre reliquie nella cattedrale, sino al 1932, quando finalmente per ordine del vescovo mons. Peio Scarponi si tornò ad esperia alla pubblica venerazione.  Attualmente il sacro lino è conservato sotto l’altare del SS.mo Sacramento, per ricordarci ancora una volta che l’Eucaristia è la fonte e il vertice della vita cristiana.


È in questo augusto Sacramento che il cristiano fa esperienza più forte di Dio, sentito e gustato come l’amico, l’intimo, l’ineffabile.  È qui che il divino Maestro parla al cuore, e lo accende d’amore.