I Miracoli Eucaristici: PATIERNO (NAPOLI) 1772

Di Padre Giorgio Finotti dell’Oratorio È la notte del 27 gennaio 1772 e nella Chiesa di S. Pietro avviene l’ennesimo furto sacrilego: mentre tutti dormono, nessuno s’accorge che ladri rimasti ignoti rubano, con gesto esecrando gli arredi sacri, gli ornamenti liturgici e due pissidi contenenti complessivamente un centinaio di particole consacrate.

Tornando da Castellammare ove ho predicato alle care monache Adoratrici Perpetue, ho conosciuto il carissimo Don Nicola, apostolo dell’Eucaristia, il prof. Franco Arienza che mi ha curato con amore, e tutti i fedeli che ho incontrato, ho avuto modo di fermarmi presso il Santuario della Madonna di Pompei e poi sono arrivato in un popoloso quartiere di Napoli alla Chiesa parrocchiale di S. Pietro a Patierno per conoscere personalmente il grande miracolo eucaristico, assai ben documentato.
Don Franco, che è il parroco, mi ha accolto con gentilezza, accompagnato da Delia e Rita, due consacrate che mi attendevano.  Ho visitato la chiesa ove era conservato il miracolo eucaristico e poi anche il luogo, custodito oggi dalle Suore Adoratrici della S.S. Trinità ove avvenne il ritrovamento delle ostie trafugate…
Prima di narrare le vicende di questo miracolo eucaristico ai cari lettori e alle care lettrici, voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno accolto con affetto a Castellammare di Stabia, a Cava dei Tirreni, a Patierno di Napoli o che mi sono venuti a trovare come le vedove di Aversa e le suore Eucaristiche dì San Vincenzo Pallotti da Caserta.  Grazie, perché ovunque trovo affetto e vero calore fraterno.
S. Alfonso Maria de” Liguori morì a 91 anni, malato e quasi cieco.  Quando fu vescovo della diocesi di Sant’Agata dei Goti – che resse per 12 anni – ebbe la singolare sorte di raccogliere le testimonianze giurate di quello che viene chiamato il miracolo eucaristico di Paterno, sobborgo della stupenda città di Napoli.
È la notte del 27 gennaio 1772 e nella Chiesa di S. Pietro avviene l’ennesimo furto sacrilego: mentre tutti dormono, nessuno s’accorge che ladri rimasti ignoti rubano, con gesto esecrando gli arredi sacri, gli ornamenti liturgici e due pissidi contenenti complessivamente un centinaio di particele consacrate.
Personalmente mi sono domandato tante volte perché c’è sempre qualcuno che ruba i vasi sacri, forzando sacrilegamente il tabernacolo.  E quello che soprattutto non so spiegarmi, è il fatto che viene commesso: come fa una persona o come fanno più persone a violare la sacralità del santo ciborio?  Come si fa ad allungare la mano sporca e sudata contro la purezza del Signore conservato nella pisside dorata per la comunione eucaristica?
Abbiamo numerosissime testimonianze che manifestano evidentemente come Gesù Eucaristia si è spesso difeso dalle mani sacrileghe e ha sfidato le ingiurie del tempo.  Moltissime volte ha lasciato fare come fa anche con chi lo riceve in peccato… Anche questo è un sacrilegio!
Io credo che i sacrileghi rubino la pisside, la teca per avere dell’oro o dell’argento per rivenderli poi a qualche usuraio per pochi denari.
Di solito le sacre particele non interessano, vengono buttate or qui or là, tra cespugli, tra rifiuti, nelle cassette delle offerte, nei confessionali, insomma dove prima capita.
Purtroppo oggi c’è anche la terribile vendita delle ostie consacrate per fare le messe nere, sataniche…
Caro Gesù mi sembrano queste vicende, tremende e terribili, una rinnovata passione tra sputi/ irriverenze crudeli, e gesti di sacrilega viltà!  Certo di notte anche noi fedeli andiamo a dormire, ma quanti anche di giorno non sanno custodire con geloso amore la divina Eucaristia!
A volte, io penso che Gesù si lasci rubare dai nostri tabernacoli per ricordarci che le nostre indifferenze, freddezze, negligenze gli fanno più male di quando lo rubano e lo buttano nelle acque del torrente o fra le ortiche dell’orto!
A volte io penso che Gesù preferisca stare fra le mani dei ladri per richiamarci ad una più vigilata purezza delle nostre mani, della nostra bocca, del nostro cuore!
Fatto sta che anche stavolta il tabernacolo è stato violato e i vasi sacri, con più di cento particele consacrate, sono stati rubati…
Quando successe questo fatto, Sant’Alfonso entrava nei suoi 77 anni.  A causa del cagionevole stato di salute si era ritirato ad Arienzo che si trova sulla strada che da Napoli va a Benevento.
Il Santo rimase attento a tutto ciò che accadeva nel regno di Napoli e con grande freschezza di spirito seguì il movimento delle idee sempre pronto a difendere la fede e la morale cattolica.
Nel marzo del 1772 alcuni amici gli riferirono una notizia sbalorditiva: il furto di ostie consacrate avvenuto in gennaio nella parrocchia di San Pietro a Paterno, alla periferia nord di Napoli.  Soprattutto gli raccontarono i fatti singolari che le hanno fatto ritrovare un mese più tardi in un campo tra Capodichino e Casoria.
A sentire il racconto, il Santo si commosse, anche se non era un credulone.  Per questo volle condurre personalmente un’inchiesta circa i prodigi di Patierno e preparò per iscritto un “Ragguaglio” cioè un rapporto sulla scoperta miracolosa delle sacre ostie rubate.  Ecco come andarono i fatti secondo la ricostruzione dello stesso Sant’Alfonso.
Al mattino del 28 gennaio 1772 il parroco, trovato aperto e violato il tabernacolo della sua chiesa dedicata a San Pietro, constatò con indescrivibile amarezza la scomparsa delle due pissidi con le numerose ostie – un centinaio – consacrate, in esse contenute.
Secondo il rapporto di polizia, i ladri avevano rubato anche otto tovaglie dall’altare, un rasoio e una spada d’argento che ornavano la statua della Vergine Addolorata per un furto totale di circa 50 ducati.
Nei giorni seguenti, ci furono lacrime e desolazione tra la popolazione, ma nonostante le ricerche, non sì riuscì a trovare ne i sacri cibori, ne almeno le sacre Specie.
Ma ecco che il giovedì 19 febbraio, verso sera, un giovane di 18 anni, Giuseppe Orefice – che faceva il “mondezzaro”, cioè, si direbbe oggi, operatore ecologico, in verità: spazzino, vide passando per un terreno del duca di Grottolelle una quantità di luci, simili a stelle splendenti.  Il giovane, giunto a casa, ne parlò col padre, il quale non gli diede attenzione.
Ma la sera dopo, passando per lo stesso luogo, Giuseppe era accompagnato da suo padre e da suo fratello Giovanni che ad un certo momento esclamò: “Papà, là ci sono delle luci come ha
detto ieri sera Giuseppe!”.
Quest’ultimo informò il suo confessore don Girolamo Guarino che assieme ad un suo fratello sacerdote, don Diego, volle sincerarsene, ma non videro nulla.
Ma lunedì 23 febbraio Giuseppe e Giovanni con altri due giovani, Carlo e Tommaso, giunti sul luogo videro apparire al di sopra di un pioppo uno splendore così vivo da sembrare un intenso raggio di sole, in mezzo al quale si elevò una colomba che poi si posò ai piedi del pioppo. I quattro giovani erano sbigottiti e non compresero che cosa volesse significare quella colomba.
Però Tommaso spinto da un impulso interiore cominciò a scavare il terreno con le mani ove s’era posata la colomba e con sua somma gioia trovò un’ostia bianca come carta.
Qualcuno corse a chiamare i sacerdoti.  Per primo arrivò don Diego Marino che inginocchiato per terra, raccolse l’Ostia santa in un pannolino bianco tra la commozione di tutta la gente sopraggiunta.
Don Diego disse di cercare ancora e là dove erano apparse le luci furono trovate quasi 40 ostie che non avevano affatto perduto il loro candore.
Sopraggiunti altri sacerdoti, le ostie sante ritrovate furono messe in una pisside e in processione la portarono in chiesa.  Erano ormai le prime luci del nuovo giorno, 24 febbraio.
Ma ecco alla sera seguente di martedì 25 si vide di nuovo apparire nel medesimo luogo una piccola luce assai brillante.
Un sacerdote presente, assieme a molta gente, don Giuseppe Lintner si mise a gridare: “O Gesù, o Gesù!  Guardate quella luce!  Guardate là!”.  Il bagliore si era alzato un poco da terra e la punta era simile ad una rosa e la luce era così abbagliante da restare quasi accecati.  Ma fu la sera del giovedì 27 febbraio, verso l’una di notte, che Giuseppe Orefice e il suo amico Carlo Maretta, dopo aver recitato l’atto di fede, di speranza e carità, trovarono nel luogo della luce fulgidissima altre ostie consacrate.  Don Guarino per la grande paura, svenne.  Ma poi, riavutosi, raccolse in un fazzoletto di lino bianco il sacro tesoro nascosto.
Nel descrivere questo prodigio eucaristico non ho certo narrato tutti i particolari, ben più numerosi e stupefacenti: però quello che vi ho detto è tutto ben documentato e approvato come autentico, come ne fa fede lo stesso Sant’Alfonso e la Curia di Napoli che ne fece ampia ricerca di testimonianze sotto giuramento con esito positivo circa la sincerità dei fatti.
La profanazione dell’Eucaristia (odio smisurato verso l’ostia consacrata), pur se da una parte manifesta l’empietà di alcuni fratelli, dall’altra però – per un intervento miracoloso dello stesso Signore profanato – è una riprova chiara per chi ne avesse bisogno, della presenza reale di Cristo Gesù nel Sacramento!
Perciò al di là del furore distruttivo dei servi del maligno, rimane inalterata e significativa la memoria di un prodigio che ha segnato la storia religiosa della città di Napoli e del suo popolo.
“Ogni miracolo eucaristico, quali che siano le sue vicende – ha scritto p. Nasuti nel suo libro su “L’Italia dei prodigi eucaristici” (pag. 255) – si pone come richiamo e rinvio alla meravigliosa e ignota grazia dell’Eucaristia che si rivela a chi ne fa esperienza: infusione di grazia nell’anima, ritorno in essa del vigore perduto e riconquista della bellezza spirituale (…)”.
L’Eucaristia ci offre una presenza, un rimedio, un nutrimento: “Chi vuoi vivere, ha qui di che vivere”, diceva stupendamente Sant’Agostino.  Sta qui il senso compiuto del mistero eucaristico, così meravigliosamente e variamente evocato nel fiorire dei miracoli eucaristici lungo i secoli”.
Ed io, umilmente, torno a dire (concludendo questa prima parte sui miracoli eucaristici avvenuti in Italia) che solo chi ama sa donare.
Gesù è stato il primo.  E tu?  Ed io?  L’Eucaristia è presenza di luce.  È mangiata come pane, ma tutto diventa luce, nella mente, nel cuore, nella vita, nella famiglia, nella comunità, nel mondo, nella storia.
È il cibo di vita, è la luce di un’immensa energia pasquale.
Beato chi ama la vita e adora la luce divina!