Beato Edward Joannes Maria Poppe, presbitero

Una vita sacerdotale fondata su contemplazione e azione


FERNAND VAN DE VELDEPostulatore


 La breve vita (1890-1924) di questo «prete di fuoco» fu interamente uniformata al programma di vita scritto sull’immagine-ricordo della sua ordinazione, il 1° maggio 1916: «Il sacerdote è un altro Cristo». Egli aveva scelto, come «Magna Charta» della sua vita sacerdotale, il discorso d’addio di Cristo nel Vangelo di Giovanni, del quale due frasi gli erano particolarmente care: 1. «Restate in Me come Io in voi, perché senza di Me non potete far niente» (Gv XV, 4-5). 2. «In verità, in verità vi dico: colui che crede in Me compirà anche lui le opere che Io faccio. Sì, egli ne compirà di più grandi perché Io vado al Padre» (Gv XIV, l 2). Queste parole sono sempre rimaste le garanti della straordinaria interdipendenza e del meraviglioso programma di contemplazione e di azione nella sua vita sacerdotale.

La salita al sacerdozio


Edward Poppe proveniva dal modesto ambiente di un panettiere di Temse. Da sua madre, semplicemente e profondamente pia, egli aveva preso non solo una naturale disposizione alla preghiera ed alla generosità, ma anche il gusto della espressione chiara e l’intelligenza del cuore. Di suo padre il ragazzo ammirava l’attaccamento al lavoro e l’amore per gli umili.


Questo ragazzo tanto dotato non defletteva mai da ciò che aveva deciso. L’anno 1909 fu importante per Edward: fu l’anno in cui l’amore verso gli umili ereditato da suo padre, la sua vocazione sacerdotale – la decisione fu presa il 20 maggio – e gli ideali del movimento della gioventù fiamminga chiamato «Blauvoeterie» si fusero in una meravigliosa unità. Quando Edward un anno più tardi cominciò gli studi da seminarista come studente-soldato della compagnia universitaria a Lovanio, fu chiaro che la rude vita di caserma non poteva distoglierlo dalla sua vocazione; fu il tempo in cui divenne il suo libro preferito la «Storia di un’anima».


Il 13 maggio 1912 entrò nel seminario «Leone XIII» dove, secondo la sua stessa testimonianza, gli furono donati i mezzi per la sua futura felicità: amore di Dio, coscienza della presenza di Dio, umiltà e amore verso la Vergine Santa. Nella sua scala di valori Luigi Maria Grignion de Montfort e Teresa Martin stavano più in alto che il dottorato in filosofia ottenuto a Lovanio nel 1913, con ottimi voti.


Durante le vacanze il seminarista Poppe animava con mano ferma e santo ardore il gruppo studentesco da cui era lui stesso uscito. Spronava i suoi compagni al combattimento per l’emancipazione della sua cara «Arm Vlaanderen» (Povera Fiandra) e li formava alla prassi del «vedere giudicare agire». Quando scoppiò la guerra, gli studi teologici di Edward furono forzatamente interrotti, ma per i disegni della divina Provvidenza egli giunse al piccolo villaggio vallone di Bourlers. Questa fu una doppia tappa per il suo avvenire sacerdotale.


1. Nell’insegnamento preparatorio alle Comunioni che il parroco gli aveva affidato, Poppe scoprì il suo carisma per la catechesi e l’educazione alla fede.


2. Leggendo la «Vita del Padre Chevrier» vide in essa descritto il proprio ideale sacerdotale. Egli seguirà il Maestro nella sua povertà (il Presepe) nella sua offerta (la Croce) e nel suo amore (il Tabernacolo). Il motto di Chevrier «La mia vita è Gesù Cristo» divenne il suo.


 


Le tappe della sua vita sacerdotale


1. Nominato il 16 giugno 1916 vicario della Parrocchia del quartiere operaio di Gent Santa Coletta, don Poppe trovò il programma del suo futuro apostolato nel passo di Luca IV, 18 che egli tradusse così per se stesso: «Il Signore mi ha mandato a predicare ai poveri, a guarire i cuori feriti, a liberare i prigionieri e a dare la vista ai ciechi». A Santa Coletta, Poppe divenne «il nostro Curato d’Ars». Povero fra i poveri, egli va di preferenza alla ricerca delle piccole case miserabili nella città secolarizzata e segnata dalle miserie della guerra. Il suo amore per il suo popolo vi divenne adulto.


La crisi per la giustizia sociale non lo abbandonò mai. La sua predilezione era per i bimbi dei poveri abbandonati, secondo la «piccola via di Teresa Martin: «praticare l’amore nelle piccole cose e farsi piccoli fino all’eroismo». Due anni di S. Coletta «fecero» Poppe, ma gli rovinarono la salute.


2. Per ragioni appunto di salute, alla fine della guerra passò a Moerzeke per riprendere le forze: in questo villaggio isolato fu elemosiniere del convento per quattro anni (1918-1922) durante i quali fu più spesso a letto che in piedi. L’interminabile malattia gli concedeva molto tempo da dedicare alla preghiera, allo studio e alla riflessione. Fu un tempo di grande interiorità. La relazione quotidiana con Dio, alla scuola missionaria del Beato Grignon de Montfort, caratterizzata dalla profonda venerazione di Maria, («che ha donato al mondo la Divina Sapienza fattasi uomo e che è pure per il mondo il cammino del ritorno a Dio»), non determinava soltanto il suo comportamento interiore verso Maria, ma lo preparava pure alla tormentata epoca che si avvicinava, con le ferite del marxismo e del materialismo.


Lo studio della teologia, con preferenza per la mariologia, e delle scienze umane, particolarmente quella dell’educazione, tratta dall’insegnamento e dalla vita dei Santi, fanno di Poppe un geniale pedagogista di religione che, in un tempo record, attraverso le sue lettere e i suoi scritti (fra gli altri «Eucharistisch Catechistenboek» del 1920 e il meraviglioso piccolo libro di preghiere «L’Amico Dei Fanciulli» del 1922, si è fatto un nome fino nei luoghi più lontani di lingua olandese. Moerzeke fu pure il tempo di un apostolato illuminato ed efficace, donde partirono l’unione sacerdotale, l’opera del catechismo, l’educazione alla fede attraverso la Crociata Eucaristica, il rinnovamento liturgico, l’apostolato dei laici, il movimento sociale fiammingo. Ma nello stesso tempo la vita interiore di Poppe progrediva rapidamente. La visita alla tomba della Venerabile piccola Carmelitana Teresa Martin a Lisieux , il 5 settembre 1920, fu una svolta nella spiritualità di Edward. Fu là infatti che, secondo la sua stessa testimonianza, egli ricevette «le più grandi grazie della sua vita».


La piccola voce di Teresa divenne definitivamente il suo «cammino interiore» e sulla scia di Teresa, Edward fece a sua volta, come lei due anni prima della sua morte, nel 1° mese dell’anno nuovo 1922, l’offerta di se stesso all’amore misericordioso del Signore. Questo significò per lui la rinuncia totale alla sua volontà e l’abbandono totale alla volontà del Padre, come egli l’avrebbe conosciuta dalla voce del suo direttore spirituale.


Era là, a giudizio di Poppe, la conseguenza ultima della «scorciatoia» che la sua santa prediletta aveva percorso prima di lui e per la quale egli pregava ogni giorno la «preghiera infuocata» di Grignon.


Ognuno trovava presso l’elemosiniere di Moerzeke ciò di cui aveva bisogno. Là si pregava, si era incoraggiati, riconfortati, guariti, indirizzati verso cammini di pace e di riconciliazione, in una Fiandra divisa dai contraccolpi della guerra. Ma non era Poppe; era il Maestro che si ascoltava per tornare a casa percorrendo un’altra strada.


3. La stima del Card. Mercier condusse don Poppe a Leopoldsburg il 6 ottobre 1922. Vi fu nominato direttore spirituale degli ecclesiastici di tutto il paese, che venivano a fare il servizio militare al campo di Beverlo. Fu la terza ed ultima nomina. Poppe vi giunse in pieno vigore e vi conobbe il suo tempo più felice. Fu il suo «Anno Miracolo». I Cibisti – così furono chiamati gli ecclesiastici che facevano il servizio militare al C(entro) I(struzione) B(arellieri) e I(nfermieri) – misero a profitto la sua direzione collettiva (allocuzioni, conferenze, ritiri spirituali) e il suo contagioso esempio. Lui stesso si nutriva del nutrimento che presentava (cibando cibor). Oltre alla direzione spirituale personale Poppe passava la maggior parte del suo tempo a scrivere per rispondere a lettere e redigere articoli.


La prima parte della trilogia pedagogica «Il metodo eucaristico» apparve all’inizio del 1924. Fu con «L’amico dei piccoli» ed il suo opuscolo «Salviamo i nostri operai» che entrò definitivamente nel mondo della francofonia. I saggi di catechesi e di liturgia erano pressoché finiti, un trattato sulla mediazione era in preparazione.


Ma prima di tutto egli voleva annunciare la Buona Novella. Concepiva il suo sacerdozio sulla traccia dei suoi Santi preferiti. Già 40 anni prima del Concilio, grazie al fervido impegno in vari apostolati e ad una sempre più profonda crescita interiore, don Poppe maturò e visse, nel giro di circa 8 anni, quello che il Vaticano, «nel decreto del 7 dicembre 1965 su iuIl ministero e la vita dei sacerdoti, e Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica “La formazione dei sacerdoti per il nostro tempo” (1992), auspicavano.


Viveva l’essenziale del ministero sacerdotale come un carisma di annuncio della Parola di Dio, per mandato della Chiesa, nella misura in cui i più alti gradi di intensità sacramentale di questa Parola gli sono affidati (K. Rahner) o come un carisma di direzione che realizza l’unità della Chiesa attraverso il servizio della parola, il servizio dei sacramenti (in particolare dell’Eucaristia e della Confessione) e la diaconia mutua e comunitaria (W. Kasper).


Benché obbediente – e talvolta fu difficile – Poppe non esitava a segnalare al Cardinale i problemi che la più alta autorità ecclesiale non vedeva: fra gli altri, le lacune dell’insegnamento della religione, il dovere della gerarchia di vegliare sulla educazione alla fede nelle scuole e le opere di apostolato, il non delegare ad altri la più alta autorità, l’opporsi alla pressione morale sulla coscienza fiamminga cercando anche di comprendere le associazioni studentesche contestatrici. Quanti argomenti per le conferenze dei Vescovi! Poppe divenne pure l’apostolo dei suoi confratelli, ma insieme l’apostolo del sacerdozio comune dei laici, di tutti i fedeli (bimbi compresi) che chiamava alla santificazione ed all’apostolato. Faceva appello al sostegno dei contemplativi e sognava un rendimento apostolico accresciuto finché dei «consacrati senza abito religioso» si immergessero nel mondo, fuori dai conventi.


All’inizio del 1924 l’angelo della morte impedì improvvisamente a Poppe, in vacanza a Moerzeke, di tornare a Leopoldsburg. Quando si furono calmate le violente crisi di angoscia davanti alle morte e al Giudizio, Poppe lasciò serenamente il suo ministero, redasse il suo testamento e presentò la sua vita al Signore per la santificazione dei suoi confratelli. Il sogno della sua vita si realizzava.


L’11 aprile 1924 espresse così la sua felicità ad un collega: «Fratello, è meraviglioso vivere così dipendente dalla Madre, da essere trasformato in un altro Gesù nel suo seno di grazia!». Come da Teresa Martin, Poppe aveva appreso a vivere, così poteva morire come lei dicendo: «Io trovo buono tanto il morire quanto il vivere; questo significa che se potessi scegliere, io preferirei morire. Ma poiché il Buon Dio sceglie per me, io voglio ciò che Egli vuole. Faccio più volentieri quello che Lui sceglie».


Poppe morì il mattino del 10 giugno 1924, con gli occhi fissi sulla statua del Sacro Cuore, nella misericordia del quale aveva posto la sua totale confidenza. Tutta la Fiandra era in lutto. Nella sua lettera di condoglianze a mamma Poppe il Cardinale scriveva: «Cara Signora, comprendo il vostro dolore, perché ho avuto la fortuna di conoscere colui che Voi piangete. Non avreste potuto desiderare un figlio più affezionato e più virtuoso. Egli portava Cristo non solo nella sua anima, ma anche nel suo linguaggio e perfino nel suo comportamento; non si poteva entrare in contatto con lui senza sentirsi


migliori. Il Sacro Cuore vi accordi la grazia di accettare coraggiosamente questa prova. Da parte mia pregherò certamente ed offrirò la Santa Messa per la sua intenzione; ma non esiterò ad invocarlo perché ho la convinzione che vostro figlio sia santo e che il Dio della pace già l’abbia accolto nella sua gloria. Gli raccomanderò la sua Crociata eucaristica e la nostra cara gioventù del «C(entro) I(struzione) B(arrellieri) e I(nfermieri)» di cui era la guida luminosa e l’amico profondamente amato». D.J. Card. Mercier Arcivescovo di Malines.


 


 


La perenne attualità del suo messaggio


GIUSEPPE MEES – Arcivescovo titolare di Ieper


Prendiamo tre esempi per dimostrare l’attualità del messaggio trasmesso dal sacerdote Poppe: 1) La centralità della Eucaristia nella vita cristiana e nel ministero sacerdotale. Il santo Pio X è stato il Papa che ha promosso in modo straordinario la vita eucaristica nella Chiesa. Egli ha reso accessibile la santa Comunione anche ai fanciulli. Nella spiritualità di Poppe la santa Messa è veramente il centro e la sua pedagogia è fatta anzitutto per promuovere con parole e scritti, con la direzione spirituale, questo apostolato eucaristico, centro della vita cristiana. Purtroppo nei tempi presenti siamo immersi in tante attività di apostolato, in tante iniziative di promozione sociale, che rischiamo di perdere di vista l’Eucaristia come base dell’apostolato e del ministero sacerdotale nella Chiesa. Il beato ci insegna anche come nella pratica e nella vita sacramentale dei fedeli, a cominciare dai fanciulli, c’è sempre bisogno di catechesi appropriata e di preparazione al sacramento della riconciliazione; inoltre di primaria importanza è l’educazione al sacrificio. Oggi chi osa infatti parlare di «fioretti», di autodisciplina per prepararsi all’incontro con Gesù veramente presente nell’ostia consacrata? Poppe dà una lezione di cui abbiamo bisogno anche nel nostro tempo.


2) La devozione alla santissima Vergine, vissuta in modo profondamente sentito e completo, fa parte integrante della spiritualità di Poppe. La sua vita, la sua vocazione al sacerdozio, il suo apostolato, sono intimamente uniti alla sottomissione filiale e gioiosa alla Madonna; sulle orme di Luigi Grignion de Monfort, egli ha imparato a consacrarsi interamente alla santa Vergine. Il Santo Padre Giovanni Paolo II non perde occasione per sottolineare la centralità della devozione mariana nella vita della Chiesa. La santa Vergine è veramente la «Madre della Chiesa», titolo che il Papa Paolo VI ha dato a Lei durante il Concilio Vaticano II. Anche in questo aspetto della Chiesa postconciliare, troviamo Poppe come precursore. Se la Chiesa vuole trovare la strada giusta da seguire, nella evangelizzazione del mondo moderno, in questi tempi difficili e di continua evoluzione, dev’essere un punto fermo ed indispensabile la devozione a Maria santissima, Madre della Chiesa e di ogni cristiano.


3) La sua spiritualità. Esiste una evidente similitudine tra la spiritualità di Poppe e quella di santa Teresa di Gesù Bambino. Nel corso degli anni, la piccola carmelitana di Lisieux diventava sempre più la santa favorita di Poppe: troviamo un perfetto parallelismo tra il metodo di santificazione di s. Teresina «la piccola via» e ciò che Poppe chiamava «il cammino scorciatoia» verso la santità. Adesso che la carmelitana di Lisieux ha ricevuto il titolo di Dottore della Chiesa, è evidente che il Papa e l’episcopato del mondo intero, sono convinti che la sua spiritualità sia adatta al nostro tempo. La spiritualità di Poppe era parallela a quella di santa Teresina: qualcosa dunque di valido anche per il nostro tempo e per la generazione del terzo millennio


 


Il suo unico obiettivo era farsi santo


ARTHUR LUYSTERMAN – Vescovo di Gent


Chi ha conosciuto Poppe ci ha raccontato che tante persone, subito dopo la sua morte, avevano già espresso il giudizio che era stato un giovane prete veramente santo. Tale reazione immediata è importantissima; davvero può vedersi frequentemente nel caso di santi. La gente si rende conto spontaneamente quando ha da fare a un santo. Edward Poppe non è nato santo. Non fu protetto da fanciullo delle cose che passarono intorno a lui. Conosceva il mondo anche cogli aspetti brutti e negativi. Neanche era venuto al mondo col talento innato di essere un uomo totalmente offerto per gli altri. Per conquistare questa virtù si è battuto. Ma aveva la ferma volontà di diventare un santo, e voleva diventarlo rapidamente. All’età di 33 anni, molti di quelli che l’avevano conosciuto credevano che in verità era già santo.


Poppe considerava la santità nel senso originale: sono sante le persone e le cose vicine a Dio. Per conseguenza Iddio gli occupava spesso la mente. Voleva sapere come avevano vissuto i grandi santi. Una lettera, scritta nel 1923, cioè un anno prima della morte, ci scoprì il suo pensiero sulla spiritualità. Eccone il contenuto: «La mia spiritualità? Di’ piuttosto un’Ave Maria per me e non mi far parlare della mia spiritualità! Che so io, fratello, se è benedettina o ignaziana? Quel che so è che, abitualmente, cerco i fondamenti nel Vangelo e nella Sacra Scrittura. Solo dopo l’azione constato se ha più di Sant’Ignazio o di san Benedetto. Tutto quel che so dire è che essa vive umilmente unita alla vita di Gesù Cristo nella sua Santa Chiesa e pienamente sottomessa a tutti coloro per mezzo dei quali Nostro Signore ci dirige; che non cerca i suoi elementi nelle cose straordinarie, ma nei doveri, nelle croci, nelle situazioni in cui ci mette la Provvidenza di Gesù, hic et nunc, (in questo luogo e in questo momento); che vuol portarci semplicemente al più completo distacco interno ed esterno ed alla pura conformità a Gesù, così da trasformarci in altrettanti Gesù, in fratellini straordinariamente somiglianti a Gesù, viventi per Lui e in Lui, in tutti i nostri pensieri, preghiere e azioni, soprattutto nella nostra carità verso i fratelli, gli uomini tutti, amici o nemici; che in questa spiritualità l’altare sta al centro, con sopra l’Agnello divino, come il Calvario col Crocifisso sta al centro della storia… Dove stiamo meglio che con Maria, ai piedi della Croce, in piedi con la Corredentrice, dissetando all’altare l’anima nostra, nutrendo il nostro spirito con l’Ostia?Quando potremo in piena e perfetta unione di desideri, d’amore e di disposizioni con Maria, bere a larghi e dolcissimi sorsi alla sorgente di energie costituita dalle piaghe di Gesù? Fratello carissimo, non chiedermi più un nome per la mia spiritualità: non ho mai preteso di averne una speciale. Benedettina nel senso che intendi tu, no, non lo è affatto. Ripeto: pietà sentimentale in nessun modo, ma vita di fede e vita di amore. Si appoggia di preferenza sulla fiducia, perché ne deriva una maggior generosità per morire del tutto a se stesso, in Gesù. Lo trovo nel modo più intimo in Grignion di Montfort, negli scritti sulpiziani e di S. Francesco di Sales. Anche il metodo di Sant’Ignazio si trova, in forma semplificata, nel mio insegnamento circa l’esame di coscienza, la meditazione, ecc. Devo aggiungere che mi è impossibile indicare in tutto ciò la minima particella che mi appartenga esclusivamente, e che non si tratta di una inmiali(?) spiritualità.


Col distacco di tre quarti d’un secolo, questo stile di scrittura e di vita appare passato, anzi antiquato. Ma siamo chiari: soltanto lo stile! La santità mantiene lo stesso carattere attraverso tutti i tempi. Nella fede cristiana, un santo è qualcuno che può dimenticare se stesso in modo di aprire tutto lo spazio interno e sociale per Dio e il prossimo. Forse possiamo anche dire che un santo sia quello che si avvicina al modo d’essere di Gesù. I familiari hanno visto rapidamente che tale era la statura di Edward Poppe.


 


Geniale insegnante di religione


Il segreto di Poppe ebbe le sue radici nel desiderio di compiere la volontà di Dio nel modo più perfetto possibile, secondo l’esempio di Gesù e Maria e sulle orme dei santi Così come Gesù entrò nel mondo tramite e grazie a Maria, anche noi dobbiamo rinascere dal suo grembo misericordioso di Maria. I santi ci mostrano come questa rinascita possa avvenire. Per Poppe i santi il cui esempio seguire furono Agostino, Francesco d’Assisi, Francesco di Sales ed i beati (ora santi) Grignion di Montfort, Teresa di Lisieux ed il curato d’Ars. Soffermiamoci prima di tutto sul carisma di Poppe come geniale pedagogo di religione. Allenato negli ideali educativi del movimento della gioventù fiamminga e nella prassi del vedere, giudicare, agire, impregnato delle opinioni dei grandi pedagoghi del suo tempo ed arricchito dalla dottrina e dalla vita dei santi, Poppe ideò un metodo educativo in cui è centrale la vita da e verso l’Eucaristia. Educazione (agire giustamente) ed insegnamento (sapere giustamente) sono obiettivi equivalenti, così come vengono presentati e vissuti nell’esempio divino di Gesù, il maestro ed educatore perfetto. Poppe non fu soltanto il teorico del Metodo Eucaristico. In soli quattro anni, egli seppe con la parola e lo scritto, mettere in moto una corrente Eucaristica alla quale una intera generazione, soprattutto educatori e bambini, s’ispirò. La sua guida e la sua parola formativa raggiunsero molti. Nel primo quarto di questo secolo, Poppe stabilì le linee di forza della catechesi così come vengono presentate nei documenti postconciliari. Di qui la riflessione passa sul suo coinvolgimento col mondo.


Già da bambino, Poppe fu familiare con la società pluralistica: il padre fu seguace di Daens; il suo unico zio, tutore della famiglia dopo la morte del padre (1907), fu liberale e presidente della fondazione Willems; la sua unica cugina fu moglie del fondatore del partito socialista di Temse.


Egli conobbe i capi del movimento sociale e pedagogico fiammingo. S’impegnò per la conciliazione fra le diverse tendenze all’interno del movimento fiammingo dopo la prima guerra mondiale. Propose un Tentativo di Soluzione Pratica nel conflitto fra movimento studentesco e gerarchia. Contestò gli abusi nella chiesa e nella società. Mantenne innumerevoli contatti con sacerdoti nelle Fiandre, in Vallonia (più di cento) e nei Paesi Bassi (Breda, Haarlem, Meersen, Nijmegen, Tilburg). Poppe fu sensibile ai segni del suo tempo. Ma fu anche anima proiettata al futuro.


Egli previde la crisi nella Chiesa e nella società a causa del dilagarsi del marxismo, materialismo e secolarismo. Egli denunciò le lacune nella scuola cattolica e nell’insegnamento religioso ed esortò l’Episcopato a prendersi cura dell’educazione alla fede senza abbandonarla.


Vivendo così intensamente il suo sacerdozio, Poppe riuscì in soli otto anni a superare la teologia e spiritualità sacerdotali del suo tempo ed aprì la strada ad una visione del sacerdozio e della liturgia in cui viene considerato il Cristo intero, in armonia con il Vaticano II. Egli visse l’essenza del sacerdozio ministeriale come un carisma di predicazione della parola di Dio per incarico della Chiesa, in modo tale che gli furono confidati i poteri sacramentali di questa parola nella forma più elevata (K. Rahner) o come un carisma di guida che concretizza l’unità della Chiesa tramite il culto della parola, il culto dei sacramenti (in particolare l’eucaristia e la confessione) e la diaconia reciproca e comune (W. Kasper).


Poppe diventò non soltanto l’apostolo dei suoi confratelli, ma del sacerdozio comune dei credenti (bambini inclusi) che invitò all’autosantificazione ed all’apostolato.


Egli fece appello al sostegno dei contemplativi e sognò un rendimento apostolico superiore, se i religiosi si sarebbero impegnati nel mondo. La pastorale giovanile, l’apostolato nel proprio ambiente, la Chiesa dei poveri furono per lui obiettivi prioritari che devono tenere acceso il fuoco degl’inizi nella Chiesa di oggi. Edward Joannes Maria Poppe, riconobbe la priorità della coscienza formata cristianamente e l’autonomia dei valori terrestri che soltanto con il Vaticano II vennero professati ufficialmente dalla Chiesa.



La miracolosa guarigione della piccola Delanghe


Nel 1986, dopo accurato studio della sua vita e dei suoi scritti, con tante testimonianze di indiscussa autorità, fu dichiarato servo di Dio. Mancava soltanto il miracolo per procedere alla beatificazione. Come fu il caso per il beato P. Pio anche per Poppe si direbbe che il diavolo ha fatto di tutto per ostacolare questo ulteriore requisito e per ritardare in tal modo il momento che il sacerdote belga, dichiarato ufficialmente beato, potesse essere presentato al clero diocesano come un modello di vera vita sacerdotale nel mondo moderno. Finalmente, dopo tanti fatti miracolosi che per l’una o l’altra ragione dovevano essere scartati, venne alla luce la miracolosa guarigione completa, pronta e duratura della bimba Godelieve Delanghe da tubercolosi polmonare, malattia giunta ad uno stadio che le possibilità di guarigione erano minime. Era l’anno 1928 e la medicina nel campo della TBC non aveva ancora fatto gli enormi progressi che conosciamo ai nostri giorni. Inoltre non c’era alcun dubbio per l’intercessione del Servo di Dio perché la grazia fu proprio ottenuta pregando sulla tomba del candidato alla beatificazione. Dopo approfondito studio il miracolo fu approvato dalla consulta medica, dai teologi e poi dalla riunione dei Cardinali e Arcivescovi della Congregazione delle cause dei Santi. Nel 1998 la causa ebbe il suo felice epilogo con il decreto e l’approvazione del Santo Padre. Come abbiamo detto, il 3 ottobre Sua Santità procederà alla celebrazione ufficiale della beatificazione.


G.M.


 


(C) L’OSSERVATORE ROMANO Domenica 3 Ottobre 1999