Storia greca, cap. III

Alberto Torresani

Storia greca

CAP. 3 – SPARTA E ATENE

 

     Le vicende di Sparta e Atene durante il periodo arcaico, ossia dall’VIII secolo fino alle guerre persiane all’inizio del V secolo a.C., meritano particolare attenzione per l’importanza che ebbero le due poleis più significative nella storia greca e per l’originalità degli sviluppi sociali e politici sperimentati.

     Sorta in Laconia, nella parte meridionale del Peloponneso, Sparta si sviluppò a spese dei popoli vicini, soprattutto i Messeni, e reagì ai mutamenti sociali ed economici dell’VIII-VII secolo praticando una chiusura nei confronti delle altre città e realizzando un modello politico-sociale peculiare, che prefigura alcuni regimi totalitari moderni, fondati su un esasperato militarismo al fine di mantenere immutati i vertici del potere.

     Scrive Plutarco: “Un’innovazione arditissima di Licurgo fu la ripartizione dei campi, poiché in Sparta era grande la diseguaglianza sociale, essendo alcuni mendicanti e privi di terra, altri ricchissimi, Licurgo per bandire ogni causa d’insolenza e d’invidia, d’infelicità e di eccessivo benessere, in una parola, per cacciare la miseria e la ricchezza, cause essenziali delle passate turbolenze persuase tutti i cittadini a mettere in comune tutte le loro terre per farne più tardi un’equa ripartizione, in questo dando la precedenza alla sola virtù”. Sparta raggiunse l’apice della sua potenza nel corso del VI secolo a.C., dando vita a un’alleanza politico-militare con le città confinanti, che gli storici chiamano Lega del Peloponneso.

     Atene, sorta nella regione dell’Attica in seguito a un fenomeno di aggregazione tra i centri agricoli preesistenti, reagì in modo diverso da quello di Sparta di fronte alla crisi economica e sociale del VII secolo. Accettò la sfida che i cambiamenti proponevano e, attraverso una serie di riforme legislative, giunse alla realizzazione del primo regime democratico della storia. Tra i riformatori si ricorda Dracone operante intorno al 621 a.C., poi vi furono le riforme di Solone, approvate nel 594 a.C. e, dopo l’intermezzo della tirannide dei Pisistratidi, la definitiva sistemazione costituzionale realizzata da Clistene nel 508 a.C. Il sistema democratico di Clistene aboliva qualunque privilegio legato alla nascita e consentiva, almeno in linea di principio, l’accesso alle cariche dello Stato a tutti i cittadini, realizzando una salda coesione politica interna che avrebbe fatto di Atene la più importante polis greca nei secoli V e IV a.C.

     Ne cogliamo una vivida eco nelle parole di Tucidide: “Atene è la sola città dalla quale il nemico assalitore non si sdegna di essere vinto; e dalla quale ancora il suddito non si lagna di essere governato. E noi presentiamo, quindi, una potenza avvalorata da insigni prove, senza che si abbia bisogno di un Omero che ci lodi  o di qualsiasi altro poeta i cui versi, se al momento convincono, possono essere distrutti dalla verità dei fatti. Pochi Greci vantano come gli Ateniesi gesta uguali alla fama”. Poco sopra, sempre Tucidide, aveva affermato: “Atene è la scuola dell’Ellade”.

 

3.1                                                       SPARTA

La penisola del Peloponneso, dopo l’occupazione dorica, era divisa in sei regioni: al centro l’Arcadia, tutt’intorno, a nord e a est l’Acaia e l’Argolide; a sud la Laconia e la Messenia; a ovest l’Elide. Nella Laconia, terra montagnosa e poco fertile, con un solo porto di scarso rilievo e inoltre decentrato rispetto alle rotte commerciali, sorse la città di Sparta sulle sponde del fiume Eurota che attraversa la regione da nord a sud. La data di fondazione della città non è nota. Si pensa che i primi nuclei abitativi di un certo rilievo risalgano al X secolo a.C., mentre la nascita della polis vera e propria, frutto dell’unione di diversi villaggi confinanti, secondo un procedimento chiamato sinecismo, è senz’altro posteriore e databile verso la fine del IX secolo a.C. Il nome di Sparta allude alla configurazione della città ossia al fatto che i suoi quartieri erano sparpagliati sul territorio, anche se è dimostrato che disponeva di un centro con le tipiche strutture della polis greca: l’acropoli e l’agorà.

La diarchia     Fin dalle origini il potere supremo era distribuito tra due famiglie, gli Agiadi e gli Euripontidi, che eleggevano al proprio interno ciascuna un re: insieme governavano la città. I matrimoni tra le due famiglie erano proibiti. Questa istituzione è la probabile conseguenza di una lotta tra due ghene al momento dell’insediamento dei clan sul territorio della Laconia, risolta con la spartizione paritetica del potere. La presenza di due re fu una costante della storia spartana, ma essi non mantennero a lungo i poteri iniziali: anche in Sparta, come nelle altre città greche, l’aristocrazia finì col prevalere e ai due re furono lasciate solamente funzioni di tipo militare e religioso, mentre la gestione politica della città finì nelle mani dei capi delle famiglie nobili, riuniti nella Gherusia.

Le prime conquiste     Al momento del loro arrivo in Laconia, gli Spartani sottomisero le popolazioni residenti sul sito di Sparta, riducendole in schiavitù. La terra conquistata fu distribuita in parti uguali (kleros) tra i vincitori, i cittadini a pieno titolo. Ben presto, col crescere della popolazione, si dovette ricorrere a un allargamento dei territori e ciò avvenne a spese degli abitanti della Laconia meridionale. Gli Spartani discesero a sud lungo il fiume Eurota e conquistarono i territori fino al mare. Queste nuove terre non divennero parte integrante della polis che restò circoscritta al territorio iniziale. Fin d’allora, quindi, si operò una distinzione tra i territori cittadini (politiké kora) e quelli circostanti (perioikis), frutto di successive espansioni e soggetti a un regime di parziale sottomissione ai primi, che restavano inalterati e intangibili. Anche queste terre furono divise in lotti uguali e distribuite tra i cittadini.

Mutamenti sociali     Ben presto i cambiamenti sociali ed economici esaminati nel precedente capitolo e che mutarono il volto della Grecia nel corso dell’VIII secolo a.C., tra cui l’avvento della moneta metallica e lo sviluppo dei commerci, interessarono anche Sparta dove questo insieme di fenomeni divenne più pericoloso per la presenza dell’istituto del maggiorascato che veniva applicato con ferrea precisione. Infatti, i figli cadetti non avevano diritto alla terra, riservata al primogenito  e si vedevano ridotti al rango di cittadini con scarsi diritti. Tutto ciò favorì il costume, tipicamente spartano, di evitare la nascita di altri figli dopo il primo, fatto che procurò agli Spartani la sempre incombette minaccia del crollo demografico. La soluzione adottata da molte città era stata la migrazione per fondare colonie. Sparta, che si limitò a fondare Taranto verso la fine dell’VIII secolo, fece ricorso a un altro espediente, la conquista militare e la sottomissione della Messenia, la regione situata a ovest della Laconia.

Le guerre messeniche     La prima guerra messenica fu combattuta intorno alla metà dell’VIII secolo e fu seguita da una seconda guerra combattuta agli inizi del VII secolo a.C. Le terre conquistate furono distribuite nuovamente tra i cittadini, mentre i Messeni, che continuavano a coltivarle per i nuovi padroni, divennero iloti, assumendo una condizione servile peggiore di quella degli schiavi. I Messeni non accettarono mai tale sottomissione, anche perché il trattamento subito e la condizione sociale in cui finirono differiva totalmente da quella degli altri popoli sottomessi agli Spartani. La necessità di mantenere gli iloti sottomessi a un regime di polizia strettissimo e il timore dell’inferiorità numerica in cui si trovavano i cittadini a pieno titolo, ossia gli Spartiati, rispetto agli abitanti della regione  circostante o perieci, indussero gli Spartani a darsi una ferrea struttura politica con marcati influssi sul corpo sociale, che consentisse di far fronte a situazioni di estremo pericolo politico-istituzionale e militare.

La legislazione spartana     Le leggi spartane attribuite al mitico Licurgo, forse un appellativo che può essere un attributo di Apollo lycurgeios, apportatore di luce, sono frutto della scelta accennata, ma si svilupparono nel corso di almeno tre secoli, dall’XI al VII. Tuttavia, le istituzioni spartane assunsero la forma di un vero e proprio comunismo di Stato con le caratteristiche peculiari di cui si dirà ora, solamente a partire dalla seconda metà del VII secolo a.C., vale a dire dopo la fine della seconda guerra messenica.

Uguaglianza e conservatorismo     A partire da questa data, Sparta si dà una serie di leggi che concorrono a trasformare l’originario costume aristocratico, presente nelle altre città della Grecia, in un’ideologia che pone a fondamento della compagine statale l’assoluta uguaglianza dei cittadini tra loro (si chiamavano “uguali”), ma solamente se appartenenti all’aristocrazia e dopo l’addestramento militare. Il fine che si proponevano era di avere sempre a disposizione un nucleo scelto di opliti con funzioni di comando, in grado di mobilitare le altre forze disponibili per soccorrere la patria in pericolo.

Chiusura verso l’esterno     Il mezzo principale per ottenere questo risultato fu la chiusura della polis spartana a qualunque influsso esterno, tanto la cultura quanto il benessere economico. La moneta straniera, di metallo prezioso, non aveva corso a Sparta; vi erano monete locali di ferro per evitare l’accumulo di ricchezza, ritenuta fonte di diseguaglianza e di ambizione. Non si praticavano le arti e qualunque iniziativa personale, specie nella classe dirigente, veniva scongiurata. Con questi sistemi Sparta riuscì a tenere lontana ogni tentazione anche vagamente democratica. La terra della polis apparteneva ai membri primogeniti delle famiglie, divisa in parti uguali. La terra dei territori conquistati veniva assegnata ai figli cadetti e permetteva a questi ultimi di non perdere i diritti civili.

Gli iloti     A lavorare la terra provvedevano gli iloti, perché l’unica attività degli spartiati fosse la guerra o la sua preparazione. Gli iloti erano di proprietà dello Stato e venivano ceduti in uso agli spartiati. Questa situazione aggravava la condizione sociale degli iloti che, oltre a non godere alcun rapporto fiduciario che di norma si stabiliva tra padrone e schiavo, non avevano nemmeno la speranza di poter essere venduti ad altri padroni o, magari, di riacquistare la libertà. Il loro lavoro doveva garantire al proprietario una quantità fissa di prodotti, qualunque fosse l’andamento stagionale: è possibile che gli iloti potessero trattenere per sé una parte del raccolto, ma non potevano venderlo. Dal punto di vista giuridico, gli iloti non erano soggetti di diritto e la loro vita non era tutelata se non come quella degli animali che lavoravano nei campi al servizio dello Stato. Questa era la condizione degli iloti in Messenia.

I perieci     Oltre agli iloti c’erano altre due classi, da chiamare piuttosto caste, vista l’assoluta impermeabilità reciproca, ossia gli spartiati (omoioi) e i perieci. Questi ultimi non potevano risiedere all’interno del territorio della polis vera e propria, bensì in villaggi intorno a Sparta. Godevano di una certa autonomia nelle decisioni che riguardavano i loro villaggi, ma non avevano la possibilità di partecipare alla conduzione dello Stato. Prestavano servizio militare come opliti, ma sottoposti agli spartiati. Si occupavano delle attività economiche, ma senza ricavarne grandi vantaggi, perché non c’erano attività commerciali con l’estero, e all’interno tutto era posto sotto il controllo dello Stato. I perieci non ebbero mai prestigio politico a Sparta, né poterono arricchirsi. I matrimoni tra perieci e spartiati erano vietati.

Gli Spartiati     Il collettivismo caratterizzava la vita degli spartiati: essi non potevano possedere oro o argento, non potevano dedicarsi ad attività economiche o artistiche; non avevano il diritto di educare i figli che venivano affidati allo Stato, non esistendo una famiglia vera e propria; dovevano vestirsi allo stesso modo con un’uniforme di colore rosso; prendevano i pasti in comune e combattevano a fianco a fianco nella stessa compagnia.

L’educazione spartana     Fin dalla nascita il cittadino spartano apparteneva allo Stato che valutava se il neonato avesse le caratteristiche per divenire un buon soldato. In caso contrario veniva eliminato perché inservibile. Dopo aver trascorso i primi sette anni di vita con la madre, il bambino veniva dato in carico allo Stato e iniziava ad apprendere ciò che era giudicato necessario per un buon soldato. Tra i dodici e i venti anni i giovani spartani, dopo aver appreso a leggere e scrivere, passavano attraverso una serie di prove durissime  per abituarli a sopportare il caldo e il freddo, la fame e la sete, la fatica e il sonno. Dovevano imparare a procurarsi il cibo praticando il furto e la rapina. A vent’anni divenivano soldati e partecipavano alle operazioni militari o si allenavano in campagne simulate (crupteia), durante le quali, come in un durissimo corso di sopravvivenza, ogni mezzo era lecito per superare le prove proposte, anche l’assassinio degli iloti. A ventidue anni il cittadino spartano entrava a far parte degli spartiati: con quattordici compagni frequentava la mensa comune e veniva inquadrato in un reparto di opliti. Lo Stato faceva obbligo a tutti gli Spartiati di contrarre matrimonio entro il trentesimo anno di età e così procreare soldati per l’esercito futuro. Questa educazione, com’è ovvio, permise di avere buoni soldati, ufficiali competenti e qualche geniale stratega, ma in Sparta non ci furono mai politici di genio e la polis spartana finì per replicare per secoli una società priva di slanci ideali, centrata sull’autoconservazione.

Le istituzioni politiche: la diarchia     Al vertice della struttura statale di Sparta c’era la diarchia, ma come si è accennato i due re finirono per conservare solamente funzioni religiose e il comando degli eserciti in guerra. Il loro potere era ereditario, ma il titolo non spettava necessariamente al primogenito, bensì al primo figlio nato dopo l’incoronazione del padre.

L’Apella     Il potere politico spettava all’Apella, l’assemblea degli Spartiati, cittadini maschi sopra i trent’anni, che prendeva le sue decisioni per acclamazione. Durante il VI secolo a.C. si formò un organismo formato da pochi membri, una specie di comitato interno all’Apella, (mikra ekklesia) che prendeva in segreto le decisioni più importanti senza dar loro pubblicità che poteva risultare pericolosa per lo Stato.

La Gherusia     L’Apella provvedeva all’elezione della Gherusia, il consiglio di anziani di trenta membri, due dei quali erano i re in carica e gli altri ventotto erano scelti tra i cittadini di età superiore ai sessant’anni. La Gherusia si occupava di politica estera e giudicava i casi di omicidio, ma soprattutto formulava le leggi e i provvedimenti da sottoporre all’attenzione dell’Apella.

Gli efori     Tra i membri dell’Apella venivano eletti cinque efori, magistrati che agivano collegialmente, sia per far applicare le leggi, sia per controllare l’operato dei re e dei cittadini. Il loro potere crebbe col trascorrere del tempo e nel 556 a.C il loro potere fu equiparato a quello esercitato dai due re. Perciò, il potere fu sempre saldamente nelle mani dell’oligarchia militare formata dagli Spartiati il cui numero si aggirava intorno a cinquemila membri. Questa tenace oligarchia, basata sul collettivismo statale, minò in radice la possibilità di esercitare una reale egemonia di Sparta su tutti gli altri Greci. Alla lunga risultò impossibile mantenere il controllo di una situazione che comportava uguaglianza assoluta, mentre cresceva il numero di iloti e perieci che un poco alla volta acquistavano maggiore visibilità sociale. Il declino di questo modello non avvenne tutto in una volta, ma all’inizio del V secolo a.C. era già sensibile. Quando al termine della guerra del Peloponneso Sparta riuscì a fiaccare Atene, l’esiguità della sua consistenza numerica permise la sua sconfitta miliare di fronte ai due geni militari di Tebe, Pelopida ed Epaminonda a Leuttra. Dopo quella sconfitta Sparta non si riprese più.

Apogeo di Sparta     In ogni caso, alla fine del VII secolo Sparta possedeva il migliore esercito operante sul suolo greco e con questo formidabile strumento cercò di risolvere i problemi di politica estera, nei confronti delle città confinanti. Gli Spartani assunsero davanti agli altri Greci la funzione dei paladini contro i regimi tirannici. Gli Spartani attaccarono Tegea in Arcadia, una regione montuosa che non si prestava allo spiegamento degli opliti e perciò non fu ottenuto completamente l’obiettivo di sottomettere l’intera regione: gli Arcadi mantennero una certa indipendenza ma rimanendo subordinati agli Spartani per quanto riguarda la politica estera.

La Lega del Peloponneso     A causa della scarsa consistenza numerica degli Spartani non fu possibile l’allargamento del territorio controllato direttamente, ma fu possibile esercitare l’egemonia militare su quasi tutto il territorio del Peloponneso, comprendente l’Elide in cui c’era la città di Olimpia e numerose città dell’Argolide. Anche Egina e le città dell’istmo come Corinto finirono nella Lega del Peloponneso. Gli Spartani con gli alleati formavano una simmachia, ossia un’alleanza militare governata da un sinedrio, a sua volta controllato dall’Apella spartano. Ogni città aveva un rapporto bilaterale con Sparta, senza avere contatti politici indipendenti con le altre città formanti la Lega. Mediante questo strumento militare, Sparta divenne una grande potenza, dotata di una buona flotta come era quella di Corinto. Tuttavia, fu proprio il rigido conservatorismo di Sparta a impedire che la potenza militare spartana potesse unificare la Grecia. Questo fatto divenne chiaro quando, verso la fine del VI secolo, il re spartano Cleomene cercò di porre la Lega del Peloponneso al centro del sistema di alleanze in grado di controllare tutta la Grecia mediante un’alleanza con i Tessali che aveva il compito di fiaccare le iniziative di Atene. Cleomene guidò una serie di spedizioni a sostegno dei nemici di Atene, ma a Cleomene venne meno l’appoggio politico dei suoi concittadini che giudicavano pericolosi i suoi successi, quasi che andassero in direzione di una tirannide. In ogni caso, alla vigilia delle guerre persiane la Lega del Peloponneso e gli Spartani formavano un blocco militare di tutto rispetto, capace di imporre timore a qualunque avversario: non era un segreto per nessuno.

 

  1. 2 ATENE

 

L’Attica è la regione più orientale della Grecia: è circondata dal mare e risulta saldata al continente lungo il confine con la Beozia. La regione è caratterizzata da pianure e colline di modesta entità, adatta all’agricoltura. Atene dista alcuni chilometri dal mare e dispone del porto del Pireo in grado di assorbire un grande volume di traffico. Di fronte al Pireo c’è l’isola di Salamina.

Le origini     Sembra che la città sia sorta in epoca micenea, a seguito del raggruppamento di numerosi villaggi che dettero vita alla polis avente per baluardo l’acropoli, fortificata per la prima volta nel XIII secolo a.C. Non sappiamo quasi nulla di Atene nei secoli durante il medioevo ellenico, ma sicuramente da Atene partì il flusso migratorio che a partire dell’XI secolo colonizzò le coste settentrionali dell’Asia Minore. Un poco alla volta Atene divenne la città più potente dell’Attica, grazie anche alla sua posizione geografica.

Re, Arconti, Areopago     La prima forma di governo di cui rimane traccia nella tradizione fu la monarchia. All’inizio del VII secolo la monarchia fu sostituita da una magistratura collegiale formata da nove Arconti, uno dei quali era l’arconte basileus che conservava le funzioni sacerdotali. Poi c’era l’arconte polemarco che comandava l’esercito e l’arconte eponimo che dava il nome all’anno in cui esercitava il suo mandato. Infine c’erano sei arconti tesmoteti che si occupavano del tribunale e delle leggi. A partire dal 683 a.C. la carica di arconte divenne annuale e da allora la serie degli arconti eponimi non presenta interruzioni. Gli ex arconti entravano a far parte di un consiglio chiamato Areopago che fin dall’inizio esercitava funzioni giudiziarie su casi di estrema gravità, oltre al controllo dell’operato degli arconti e alla loro elezione. Esisteva anche un’assemblea popolare, Ekklesia, che non aveva grandi poteri.

Classi sociali     Gli arconti e perciò anche i membri dell’Areopago appartenevano alla classe dei proprietari terrieri, chiamati eupatridi: costoro avevano il potere politico e giudiziario. Le altre classi sociali, ossia i contadini con piccoli appezzamenti, gli artigiani e i salariati a giornata (teti) resistevano a quei privilegi. L’esercito era formato soprattutto da cavalieri, ossia dai proprietari terrieri così ricchi da poter mantenere un cavallo. Gli artigiani e i piccoli proprietari formavano la falange degli opliti, ma con funzioni subordinate alla cavalleria.

Mutamenti economici e sociali     Mentre Sparta di fronte ai mutamenti economici e sociali decise la chiusura entro i suoi confini, Atene percorse il cammino opposto, attraversando una serie di crisi interne che trovarono il loro sbocco in forme democratiche di governo. La produzione agricola rimase alla base dello sviluppo economico di Atene. Quando le importazioni di frumento e orzo dal mar Nero sconsigliarono la produzione di cereali, si passò alla produzione di olio, di fichi secchi, di uva passa e di vino che oltremare erano molto richiesti, ossia l’agricoltura si orientò verso il mercato e l’economia ateniese divenne un’economia di mercato con grandi trasferimenti di merci. Un’agricoltura specializzata non può realizzarsi in modeste unità poderali e perciò i piccoli proprietari finirono per indebitarsi e per cedere la loro terra: migrarono o divennero marinai. Anche tra i proprietari terrieri c’erano quelli molto ricchi, ovvero pentacosiomedimmi, produttori di cinquecento staia di grano, e hippeis o cavalieri che ne producevano poco di più della metà. L’artigianato, come abbiamo visto, si sviluppò in maniera eccezionale permettendo la creazione di una categoria di ricchi mercanti imprenditori. Perciò la dialettica politica ad Atene si sviluppava tra grandi proprietari terrieri, artigiani e commercianti di fronte ai quali rimaneva la massa dei contadini impoveriti e dei teti ovvero lavoratori salariati la cui condizione non accennava a migliorare.

Il colpo di Stato di Cilone     Verso il 632 a.C. Cilone tentò un colpo di Stato per instaurare una tirannide ai danni dei grandi proprietari terrieri. Cilone aveva trionfato nella corsa nelle Olimpiadi dell’anno 640 a.C. ed era parente di Teagene, tiranno di Megara. Il suo tentativo fallì soprattutto a causa della potente famiglia degli Alcmeonidi, ma questi ultimi furono accusati di sacrilegio nei confronti dei congiurati che si erano già arresi e perciò gli Alcmeonidi furono banditi da Atene: forse per evitare la guerra con Megara che aveva favorito il colpo di Stato. L’aristocrazia aveva vinto, ma il malcontento di artigiani e commercianti era cresciuto soprattutto sul piano giuridico. Infatti, quelle categorie chiedevano la redazione scritta delle leggi da sottrarre all’arbitrio dei nobili.

Le leggi di Dracone     La lotta per ottenere la redazione scritta delle leggi obbligò gli organi di governo ad affidare a Dracone, tra il 624 e il 621 a., il compito di redigere il nuovo codice. Non sappiamo di preciso come si sia svolto il suo lavoro, ma la tradizione è unanime nell’affermare che si trattava di leggi dure e impietose, soprattutto nei confronti dei debitori insolventi. In realtà, Dracone aveva ottenuto la seisaktheia ovvero la cancellazione dei debiti divenuti inesigibili e si voleva che mai più potessero accendersi crediti non accompagnati da restituzione. La cosa importante era di aver sottratto ai nobili la facoltà di far eseguire la pena. Le leggi di Dracone avevano il compito di riformare il settore giudiziario sottraendolo ai nobili.

Le riforme di Solone     Nel 594 a.C. viene eletto arconte Solone, appartenente a una famiglia illustre. Atene batteva alcune delle più importanti rotte commerciali e aveva conquistato l’isola di Salamina per poter controllare il traffico in entrata e in uscita dal Pireo. Gli Alcmeonidi, ancora in esilio, erano in grado di controllare il passaggio attraverso lo stretto dell’Ellesponto. Le tensioni sociali divenivano sempre più acute a causa dei problemi creati dai piccoli proprietari terrieri che non reggevano la pressione dell’inflazione, ma erano in grado di impedire lo sviluppo delle attività manifatturiere e commerciali.

Riforme economiche     Il primo provvedimento di Solone fu di esigere l’amnistia per gli esiliati, seguito da un nuovo annullamento dei debiti o seisaktheia per impedire che i debitori divenissero schiavi. In una società avanzata occorre la mobilità sociale, ossia che quando un settore dell’economia diviene obsoleto, gli addetti possano trasferirsi ad altro settore più remunerativo: le leggi devono favorire la mobilità sociale permettendo alle persone di rifarsi una vita quando certi settori di lavoro si chiudono. A molti contadini falliti fu restituita la terra. Solone si oppose a una riforma agraria che prevedesse la redistribuzione della terra in tanti piccoli lotti, una vera utopia perché l’agricoltura specializzata ha bisogno di grandi estensioni, mentre i piccoli lotti servono solamente per l’autoconsumo della famiglia del contadino un sogno che confina con l’utopia. Solone inoltre fece introdurre il sistema di pesi e misure impiegato nell’isola Eubea e che essa aveva diffuso in tutto l’Egeo: facendo così il commercio ateniese diveniva sempre più competitivo.

Le classi sociali     Con le riforme di Solone il potere politico passava dalle mani degli aristocratici e proprietari terrieri ai nuovi ceti che avevano investito il loro denaro in una agricoltura che produceva per il mercato. In cima alla scala sociale rimanevano i pentacosiomedimmi ovvero produttori di cinquecento medimmi di cereali; poi venivano triacosiomedimmi i produttori di trecento medimmi e possessori di un cavallo e finalmente i diacosiomedimmi con duecento medimmi di cereali, chiamati anche zeugiti perché potevano arare con una coppia di buoi. L’ultima classe era formata dai teti  ossia i salariati giornalieri.

Riforme istituzionali     L’Areopago, formato dagli ex arconti divenne il tribunale supremo in possesso di una certa capacità legislativa. C’era la Boulé ovvero consiglio, di nuova istituzione, formato da 400 membri estratti a sorte tra coloro che ne avevano diritto. All’arcontato e alla Boulé potevano essere eletti gli appartenenti alle prime due classi di censo. Gli Zeugiti potevano far parte di un collegio di undici membri con funzioni di polizia. All’Ekklesia potevano partecipare tutti i cittadini, anche i teti con facoltà di eleggere i magistrati. Solone introdurre anche il tribunale dell’Eliea, al quale poteva appellarsi ogni cittadino, anche contro le sentenze emesse dagli altri tribunali. Le prime due classi formavano la cavalleria; gli zeugiti fornivano la fanteria; i teti potevano fornire solamente i rematori della flotta.

La lotta tra i gruppi sociali     Anche le riforme di Solone non ebbero il potere di riportare la pace tra i gruppi sociali di Atene, perché i commercianti ricchi non erano disposti a immobilizzare le loro ricchezze, divenendo proprietari terrieri e così entrare a far parte della classe dirigente. Del tutto naturalmente si formarono come tre gruppi d’interesse: i pediei ovvero agrari; i parali ovvero commercianti, industriali, navigatori, artigiani, e i diacri ovvero contadini, pastori, operai giornalieri. A capo di questi raggruppamenti si posero i rappresentanti di alcuni ghene  che cercavano di farsi largo tra gli scontenti di ogni riforma.

La tirannide di Pisistrato     Il colpo di mano riuscì a Pisistrato nel 561 a.C. capo dei diacri che promise una pace duratura, permessa da una specie di polizia privata che egli poté assoldare con i proventi di miniere d’oro che possedeva in Tracia. Dopo cinque anni dovette andarsene, ma fece ritorno ad Atene nel 546 a.C., rimanendovi abbastanza indisturbato fino alla morte avvenuta nel 528 a.C. Possiamo immaginare un governo in grado di mantenere l’ordine pubblico permettendo a ciascuno di provvedere ai propri affari, anche se nessuno sembrava entusiasta della soluzione. La città venne abbellita e come sempre il favore della plebe fu guadagnato con le feste pubbliche. Ad Atene furono invitati poeti e artisti che la posero a capo delle città della Grecia per quanto riguardava lo splendore esterno. Certamente i prodotti dell’industria ateniese conquistarono tutti i mercati. I lavori pubblici, condotti in grande stile, dettero lavoro a molti teti. La popolazione ateniese crebbe perché l’ospitalità verso gli stranieri, soprattutto se avevano capitali da investire, era molto larga: il numero degli abitanti, se si lavora, non è un problema.

La fine della tirannide     A Pisistrato successero i figli Ippia e Ipparco, ma la situazione politica ateniese appariva mutata. Le famiglie aristocratiche apparivano intenzionate a riprendere l’esercizio del potere anche a costo di ricorrere ad aiuti di alleati esterni come potevano essere gli Spartani. Il potere dei Pisistratidi si indebolì quando perdettero le miniere d’oro del Pangeo in Tracia ad opera dei Persiani. Clistene si pose a capo dei nobili tornati in città. Clistene apparteneva alla famiglia degli Almeonidi e poteva contare sull’aiuto di Cleomene, re di Sparta. Ipparco era stato ucciso e rimaneva solamente Ippia che nel 510 a.C. si arrese, per avere salva la vita: esiliato in Asia Minore, si pose al servizio dei Persiani.

Fallisce la reazione oligarchica     I capi dei nobili parali e pediei tentarono la restaurazione aristocratica in Atene, avversati anche da Clistene che, pur essendo nobile, comprendeva che il futuro della città dipendeva dall’accettazione del sistema democratico. L’arconte Isagora fece esiliare Clistene nel 509 a.C., ma questi, con l’aiuto di truppe fornite da Sparta e comandate da Cleomene, poté rientrare in Atene. Cleomene tentò di sciogliere la Boulé, ma la città insorse e assediò Isagora e gli Spartani nell’acropoli, obbligandoli alla resa.

Le riforme di Clistene    A partire dal 508 a.C. Clistene propose le riforme che avevano il compito di impedire l’affermarsi delle tirannidi o la restaurazione dell’aristocrazia, obbligando i tre gruppi sociali più importanti a integrarsi tra loro. La decisione più importante fu la suddivisione di tutto il territorio in demi ovvero circoscrizioni territoriali col compito di accertare chi era cittadino di Atene e aveva il diritto di eleggere o di essere eletto alle cariche pubbliche (demo-crazia: potere del demo). I demi furono raggruppati in trittie ossia trenta dipartimenti, dieci per la città, dieci per la costa e dieci per l’interno verso la Beozia. Le trenta trittie furono raggruppate in dieci tribù entro le quali erano presenti gli interessi dei tre gruppi fondamentali che fino a quel momento si erano contesi il potere. La tribù divenne l’organismo politico di base che forniva un reparto di opliti all’esercito e lo stratego che doveva comandarlo. Col passare del tempo gli strateghi soppiantarono il potere degli arconti.

La Boulé     La  tribù doveva fornire anche cinquanta cittadini di età superiore ai trent’anni da estrarre a sorte, ovvero pritani, chiamati a far parte del supremo organo esecutivo e amministrativo, la Boulé di cinquecento membri che restavano in carica un anno con turni mensili, ciascuno presieduto da una pritania (l’anno in Attica durava dieci mesi).

L’Ekklesia     L’organo legislativo era l’Ekklesia che esaminava i provvedimenti proposti dalla Boulé o dall’iniziativa popolare. Ne erano membri di diritto tutti i cittadini con più di vent’anni e aveva il potere di votare l’ostracismo, ossia l’esilio dalla città per dieci anni nei confronti di coloro che fossero sospettati di tramare contro l’ordinamento dello Stato. Il temine “ostracismo” deriva dal fatto che come scheda elettorale si usavano cocci di vaso: l’ostracizzato rimaneva cittadino di Atene e i suoi beni erano tutelati. Le competenze di queste due assemblee erano molto estese e in qualche caso si sovrapponevano.

La democrazia ateniese     Il sistema di Clistene risultò decisivo per instaurare la democrazia perché le tribù dovevano fornire anche gli arconti. Le quattro classi di censo istituite da Solone rimasero in funzione, ma erano calcolare non più in base alla rendita fondiaria, ma a quella tradotta in denaro. Gli arconti decaduti entravano a far parte dell’Areopago che perdette molte delle sue competenze a favore del tribunale dell’eliea. La democrazia resistette al tentativo condotto dalla coalizione di Spartani, Beoti e Calcidesi guidati da Isagora e monitorati sul piano militare da Cleomene re di Sparta. L’esercito dei coalizzati fu sconfitto e la possibilità di riportare i Pisistratidi al potere declinò per sempre nell’anno 500 a.C.