Libro III Cap. 23 – La Terza Repubblica francese

Prof. A. Torresani. 23. 1  Repubblica o monarchia? – 23. 2  L’affare Dreyfus – 23. 3  Verso la Prima guerra mondiale – 23. 4  La svolta anticlericale – 23. 5  Una grande epoca culturale – 23. 6  Cronologia essenziale – 23. 7  Il documento storico – 23. 8  In biblioteca

La Francia ha sperimentato più di ogni altro Stato moderno una grande varietà di istituzioni: infatti, nel corso di due secoli ha avuto cinque repubbliche, due imperi e due monar­chie. La Terza Repubblica sembrava, alla sua nascita, un fragile regime ma nel tempo è durata più degli altri. In Francia esiste­va un dualismo tra l’atteggiamento cauto, spesso conservatore, prevalente nelle province, e le propensioni rivoluzionarie di Pa­rigi che per tutto questo periodo fu la vera capitale del mondo, brillante, colta, aperta alle novità dell’arte e della letteratu­ra: in ogni caso, nel 1870 terminò lo strapotere di Parigi sulle province e da allora le rivoluzioni furono solo verbali.
     La sconfitta militare e la perdita delle due regioni orien­tali di Alsazia e Lorena produssero una tensione permanente con la Germania: ogni politico alle elezioni doveva promettere l’im­mancabile revanche per ricevere il voto degli elettori. Si spie­ga così, almeno in parte, l’accanimento posto nel corso della vicenda Dreyfus che riempì per anni le pagine dei giornali. Certamente la rivalità tra Francia e Germania favorì lo scoppio della prima guerra mondiale.
     La vita politica francese durante la Terza Repubblica fu molto instabile. I partiti erano numerosi e le differenze tra lo­ro molto sottili. In genere i deputati non si sentivano vincolati da alcuna disciplina di partito, bensì si accostavano a quei rag­gruppamenti di volta in volta giudicati più meritevoli di atten­zione. Sempre il linguaggio era più bellicoso degli atteggiamenti pratici. I governi avevano una breve durata: i poteri del presi­dente della repubblica erano stati limitati per impedire colpi di Stato di tipo bonapartista. La situazione di perenne instabilità rese alcuni intellettuali ostili nei confronti del regime parla­mentare e democratico: questo atteggiamento si tradusse nel movi­mento dell’Action française, considerata da alcuni storici come la prima forma di fasci­smo.

23. 1 Repubblica o monarchia?
     Il termine “repubblica” ricordava ai francesi la tradizione giacobina, la rivoluzione. Parigi per un se­colo era stata il terreno di coltura delle rivoluzioni eu­ropee, ma il resto della Francia non si identificava con Parigi.
Significato del bonapartismo Dopo aver avuto la terra i contadi­ni aspiravano all’ordine, alla stabilità politica e favorivano qualunque governo conservatore. D’altra parte, le persone che avevano costruito la loro fortuna sul crollo dei Borbone temevano il loro possibile ritorno e perciò apprezza­vano un regime ambiguo come il bonapartismo che non avrebbe rimesso in discussione i risultati conseguiti dalla rivo­luzione del 1789. Il bonapartismo si può definire come un regime borghese autoritario, fondato sulle classi sociali emerse con la rivoluzione francese, ma che rifiutavano di proseguire la rivolu­zione politica fino a trasformarla in rivoluzione sociale. Il bonapartismo cercava mediante successi in politica estera di far dimenticare le sue ambiguità ideologiche: era un regime monarchi­co con un imperatore scelto mediante plebiscito popolare, vo­tato da cittadini ostili al repubblicanesimo giacobino.
Contraddizioni del bonapartismo Apertamente monarchico-legittimisti erano solo i nobili e quella parte dei cattolici che avevano identificato la repubblica con l’anticleri­calismo e con l’ateismo.  Napoleone III andò al potere sostenuto dal consenso popolare, affermando che “l’empire c’est la paix“, ossia che avrebbe fatto una politica di concordia nazionale, di pace, escludendo gli estremismi. Ma il bonapartismo aveva un punto debole: per perpetuarsi doveva rinverdire gli allori mili­tari del primo Napoleone. Napoleone III combatté la guerra di Crimea, la guerra d’Italia del 1859; nel 1864 inviò soldati nel Messico; inviò spedizioni colonia­li in Africa e in Indocina; fu sconfitto dalla Prussia nel 1870: di pace, ai francesi, ne offrì poca.
Napoleone III e i cattolici Dopo il 1860 Napoleone III incontrò crescenti difficoltà politiche che lo spinsero nella direzione di un parlamentarismo moderato. Egli aveva assoluto bisogno dei cattolici e per blandirli offrì loro un certo rispetto, almeno esterno, del culto; permise la diffusione delle scuole cattoliche e, soprattutto, mantenne  in vita il potere temporale del papa a Roma: quando Garibaldi tentò un colpo di mano, Napoleone III or­dinò lo sbarco a Civitavecchia di due divisioni armate di fucili a canna rigata, gli Chassepots che a Mentana, nel 1867, “fecero meraviglie” contro i garibaldini.
Nascita della Terza repubblica La sconfitta militare del 1870 ridette slancio ai repubblicani. Léon Gambetta fuggì in aerosta­to da Parigi assediata, formò un governo provvisorio a Bordeaux, poi trasferito a Versailles, che dovette reprimere un tentativo di rivoluzione sociale, la Comune di Parigi durata dal marzo al maggio 1871, assicurando il potere ai repubblicani moderati.
Il Parlamento di Bordeaux È opportuno ricordare che il Secondo Impero non fu travolto da una rivoluzione, bensì dalla sconfitta militare: la partenza di Napoleone III per l’esilio lasciò un vuoto che non fu colmato da nuove forze progressiste. Il carattere fortemente conservatore della società francese nel 1871 si manifesta proprio nella repressione della Comune di Parigi: infatti, l’Assemblea Nazionale eletta a Bordeaux non si propose di creare una nuova Francia, bensì di far rinascere quella vecchia essenzialmente monarchica. C’erano molti repubblicani radica­li come il sindaco di Montmartre Georges Clemenceau e un gruppo di nobili dell’antico regime.
Il trattato di pace con la Germania Il primo compito del governo presieduto da Adolphe Thiers fu la conclusione della pace con la Germania che costò alla Francia la perdita di un milione e mezzo di abitanti presenti in Alsazia-Lorena. Poi ci fu il pagamento delle riparazioni di guerra ammontanti a due miliardi di franchi-oro, una operazione terminata nel novembre 1873 con largo anticipo sul previsto e che rivela le notevoli possibilità finan­ziarie della Francia. Dopo il pagamento dell’ultima rata dei danni di guerra le truppe di occupazione tedesche dovettero par­tire. L’altro compito dell’Assemblea Nazionale era di dare alla Francia una nuova costituzione che abrogasse quella provvisoria, un compito non facile perché occorreva lasciar tramontare i sogni di gloria del Secondo Impero.
Divisioni tra i monarchici I deputati dell’Assemblea Nazionale erano in maggioranza monarchici, ma erano divisi tra loro. C’erano, infatti, i monarchici legittimisti orientati verso il conte di Chambord, figlio postumo del duca di Berry, un uomo vissuto per tutta la vita nell’esilio austriaco elaborando una ferma opposizione alle idee rivoluzionarie. Non avendo figli, l’erede era il conte di Parigi, della casata rivale di Orléans. Costui aveva studiato in Inghilterra, aveva viaggia­to e combattuto in America: politicamente appariva così avanzato da rendere impossibile l’accordo con bonapartisti e mo­narchici lealisti. La battaglia si accese sul simbolo stesso del­la nazione, la bandiera, che per tutti doveva rimanere il trico­lore consacrato dalla rivoluzione, mentre il conte di Chambord avrebbe voluto rimettere in funzione la bandiera bianca coi gigli d’oro dei Borbone.
Aumentano i deputati repubblicani Nelle elezioni suppletive del luglio 1871 e degli anni seguenti il successo andò ai repubblica­ni: si spiega così perché un’assemblea monarchica alla fine votò una costituzione repubblicana. Nel 1873 il Thiers dovette dimet­tersi: la scelta del successore cadde sul maresciallo Mac Mahon, un bonapartista incapace di comprendere la situazione: costui nominò primo ministro il duca de Broglie, un conservatore. Non riuscendo a condur­re in porto una costituzione monarchica, fu deciso di attribuire al Mac Mahon un incarico presidenziale della durata di sette anni nel corso dei quali si sperava di ottenere l’appoggio della clas­se media a favore della monarchia. I cattolici apparivano favorevoli alla monarchia, ma, non rendendosi conto dei ra­dicali mutamenti politici avvenuti in Europa, proponevano misure assurde come un intervento militare in Italia a favore della restaurazione dello Stato della Chiesa non richiesto neppu­re da Pio IX e dal cauto successore Leone XIII il quale si rendeva conto che i catto­lici francesi si cacciavano in un vicolo cieco.
La nuova Camera repubblicana Nel 1874 de Broglie fu rovesciato da una coalizione di repubblicani, di bonapartisti e di monarchi­ci estremisti. Nel gennaio 1875, con lo scarto di un solo voto, fu votato un emendamento che di fatto istituiva la repubblica. Nel dicembre 1875 l’Assemblea Nazionale fu sciolta: la nuova camera ebbe finalmente una maggioranza repubblicana con disappunto del presidente Mac Mahon che aveva propensioni monar­chiche. 
Tentativo reazionario del Mac Mahon Nel 1877 il Mac Mahon volle tentare una specie di colpo di Stato: sciolse la Camera, richiamò il de Broglie alla guida di un governo provvisorio per indire elezioni che furono ampiamente manipolate per ottenere una camera monarchica e così risolvere il problema istituzionale. Il risul­tato fu nettamente contrario alle attese dei monarchici. Al Mac Mahon non rimase che dimettersi: con lui se ne andarono il de Broglie e il personale ammini­strativo che aveva tentato il colpo di Stato. Presidente della repubblica divenne Jules Grévy che ricevette limitati poteri, mentre i poteri reali ricaddero sulla Camera dei deputati.
Governo repubblicano moderato Tra il 1877 e il 1881 il regime repubblicano si rafforzò in un momento caratterizzato da notevole stabilità economica e finanziaria, adottando un programma conservatore per non turbare la classe media desiderosa di godere i vantaggi di un regime borghese che aveva come punti di forza il positivismo in filosofia, il realismo in letteratura e la vita notturna di Parigi per il divertimento.
I simboli repubblicani Alcune innovazioni furono introdotte per avere nuovi simboli: nel 1879 la Marsigliese fu scelta come inno nazionale e il 14 luglio divenne festa nazionale; il Senato e la Camera furono trasferiti da Versailles a Pa­rigi, una città divenuta ormai inoffensiva dopo i grandi lavori di ammodernamento della viabilità voluti da Napoleone III per rendere la capitale più bella ma anche meno pericolosa in caso di tumulti e barricate. Nel 1879 fu promulgata un’amnistia per gli implicati nelle vicende della Comune che erano ancora in car­cere o in esilio, e una legge che ampliava la libertà di stampa. Alle elezioni del 1881 i repubblicani aumentarono i loro seggi in Parlamento e tra i partiti di destra aumentarono i bonapartisti.
La riforma dell’istruzione Il polo del conflitto tra destra e sinistra si spostò nel campo dell’istruzione anche perché era di­venuto ministro dell’educazione nazionale Jules Ferry, deciso fautore della laicizzazione dell’inse­gnamento. Costui era convinto che la vittoria tedesca del 1870 era stata favorita dal sistema scolastico tedesco, più moderno di quello francese che si rifaceva ancora agli ideali del classicismo francese del XVII secolo, mentre in Germania era preferito lo studio delle scienze naturali e delle lingue moder­ne. Ferry condusse una campagna astiosa contro l’influenza con­servata dalla Chiesa cattolica sull’educazione francese: laicizzò il Consiglio superiore della pubblica istruzione; rese obbligato­ria l’istruzione elementare; istituì scuole per la formazione professionale delle maestre, escludendo l’inse­gnamento della religione dalla scuola statale. Il Ferry propose una legge per escludere gli appartenenti a congregazioni religiose non autorizzate dall’esercizio della professione di insegnante anche nelle scuole private. Tra le congregazioni religiose non autorizzate figuravano i Ge­suiti, i Fratelli Maristi, i Domenicani che da sempre erano dedicati all’insegnamento. Il senato francese respinse la legge, ma il governo reagì ripristi­nando una vecchia disposizione risalente al tempo di Napoleone che distingueva gli Ordini religiosi in due categorie, quelli au­torizzati e gli altri solo tollerati: gli Ordini religiosi citati rientravano nella seconda categoria.
Nuovo governo Ferry Il governo presieduto dal Ferry ordinò l’espulsione dalla Francia degli appartenenti agli Ordini tollerati. Il provvedimento pro­vocò numerosi casi di coscienza: circa duecento magistrati si di­misero dal loro ufficio, mentre i religiosi si barricavano nei loro conventi. In seguito i religiosi tornarono alla spicciolata al loro posto ma erano ancora più ostili nei confron­ti della Terza Repubblica.
L’impero coloniale francese Dopo un brevissimo governo presiedu­to dal Gambetta, il Ferry tornò al potere nel 1883. L’anno dopo fece passare la legge sui poteri dei sindaci dei comuni, eletti a suffragio universale e dotati di poteri molto ampi. Fra le altre leggi approvate ci fu quella che faceva divieto di revisione del­la forma repubblicana; l’abolizione progressiva dei senatori a vita; l’introduzione del divorzio. Il Ferry fu alla presidenza del consiglio dei ministri nel momento in cui la Francia mise in piedi un grande impero coloniale, secondo solo a quello britanni­co. I partiti di sinistra erano contrari a quei progetti temendo un pericoloso accrescimento di potenza dell’esercito, considerato roccaforte di cattolici e monarchici; il Ferry, inve­ce, era convinto che le colonie rappresentassero il necessario mercato di sbocco della produzione industriale francese. Nel 1881 la Francia aveva occupato la Tunisia prece­dendo una possibile occupazione italiana: quell’avvenimento ebbe non piccola influenza nell’indurre l’Italia ad aderire alla Tri­plice alleanza con Austria e Germania, sottoscritta l’anno suc­cessivo.
Crisi economica Le altre imprese coloniali ebbero per centro il Tonchino in Indocina dove fu combattuta una guerra contro la Cina. Le spese delle guerre coloniali furono ingenti e numerosi i soldati morti soprattutto a causa delle malattie tropicali, pro­ducendo notevole risentimento in Francia dove i sostenitori del colonialismo non erano in maggioranza. Nel 1885 i francesi subi­rono una dura sconfitta coloniale, subito utilizzata dagli avver­sari del Ferry, in particolare dal radicale Clemen­ceau, per chiedere le dimissioni del governo. L’insuccesso colo­niale giungeva nel momento in cui la crisi economica mon­diale, iniziata intorno al 1875, interessava anche la Francia. L’agricoltura francese, ossia la parte più importante dell’econo­mia di quel paese, vedeva la sua viticoltura in crisi a causa della fillossera, e solo verso il 1885 cominciavano a dare buoni risultati i vigneti ripiantati. I prezzi agricoli in ogni caso continuavano a scendere e quindi anche il reddito delle proprietà terriere.
Crisi finanziaria Nel 1882 la grande banca Union Génerale uscì perdente dallo scontro con la banca Rothschild, controllata da ebrei, provocando una serie di fallimenti; infine, il bilancio francese dal 1882 al 1887 registrò un deficit che si ripercosse sull’industria dove si registrarono caduta dei salari e disoccu­pazione. Dopo il 1885 i governi repubblicani apparvero deboli a causa della depressione economica. Alle elezioni di quell’anno i repubblicani si presen­tarono divisi: l’ala di estrema sinistra era composta dai radica­li, mentre i repubblicani moderati, favorevoli alla prosecuzione delle imprese coloniali e alla prudenza nelle questioni sociali, raccoglievano il voto degli opportunisti.
Indebolimento dei monarchici I monarchici avevano perduto i loro pretendenti: Napoleone Eugenio morì in Africa nel 1879; il conte di Chambord nel 1883. Rimaneva il pretendente orleanista, il conte di Parigi, e perciò l’opposizione monarchica apparve per qualche anno meno divisa, obbligando i repubblicani a mettere da parte le loro discussioni interne.

23. 2 L’affare Dreyfus
     La vita della Terza Repubblica fu caratterizzata da crisi, scandali, tensioni interne che a lungo paralizzarono il paese. Esamineremo il caso più clamoroso, l’affa­re Dreyfus.
Processo indiziario a carico di Dreyfus Nel dicembre 1894 ini­ziò a Parigi un processo a carico di Alfred Dreyfus, capitano di stato maggiore dell’esercito francese accusato di spionaggio a favore dei tedeschi. Il processo era indiziario, costruito su un pezzo di carta, il famoso bordereau che conteneva un elenco di documenti concernenti un nuovo cannone, un esplo­sivo dalla formula segreta e il nuovo manuale di tiro dell’arti­glieria. Questi documenti risultavano consegnati all’addetto militare dell’ambasciata tedesca di Parigi da un ufficiale dello stato maggiore francese. Una perizia grafica notò la somiglianza della scrittura del borde­reau con la scrittura del Dreyfus.
Falsa testimonianza La prova era così tenue e la difesa di Drey­fus così convincente che nessun tribunale della civile Francia poteva condannare all’ergastolo un uomo sulla base di un indizio tanto discutibile. Ma Dreyfus aveva il difetto di essere ebreo e l’esercito aveva il difetto di volere a tutti i costi una condanna che salvasse l’onore. Inoltre sembrava meno grave se a tradire fosse risultato un ebreo. Chi più di tutti si dette da fare per fabbricare prove contro Dreyfus fu il maggiore Hubert Henry del servizio di controspionaggio. Costui disse ai giudici, nel corso del processo celebrato a porte chiuse, che una persona al di sopra di ogni so­spetto gli aveva rivelato il nome del colpevole, ossia proprio Dreyfus.
La Francia si divide in due campi I giornali avevano ricevuto indiscrezioni dallo stesso Henry, scatenando una polemica in cui ciascuno combatteva per suoi fini particolari. La destra monar­chica combatteva contro i repubblicani; i cattolici combattevano contro gli atei, i massoni e gli ebrei, che spesso coincidevano con i repubblicani; le province combattevano contro la capitale; i proletari combattevano contro i capitalisti, senza preoccuparsi se Dreyfus fosse colpevole o innocente.
Degradazione e condanna del Dreyfus In una fredda mattinata d’inverno, al capitano Dreyfus furono strappati i gradi e spezzata la sciabola da ufficiale. Poi fu condotto nell’isola del Diavolo al largo della Guyana, perché il clima dell’equatore fiaccasse l’ex-ufficiale.
Il vero colpevole Nel corso del 1896, un biglietto del maggiore Ferdinand Walsin-Esterhazy fu intercetta­to dal controspionaggio francese e si ebbe la prova della sua colpe­volezza. L’inchiesta fatta sul suo conto mise in luce che, per debiti di gioco, si era ridotto a vendere informazioni ai tedeschi.
La prova della colpevolezza Il colonnello Georges Picquart, capo del servizio di controspionaggio, non era convinto della colpevo­lezza di Dreyfus e per interesse personale aveva proseguito le indagini sulla vicenda. Poiché la condanna era avvenuta in base a un indizio grafologico, aveva finito per divenire competente anche in quel campo. Quando ebbe tra le mani uno scritto di Esterhazy si accorse che la grafia era identica a quella del bordereau. Da quel momento non ebbe più dubbi sull’identità del colpevole.
Revisionisti e antirevisionisti Queste novità produssero  un rime­scolamento delle carte. I francesi si divisero tra coloro che chiedevano la revisione del processo e quelli che la negavano con vari pretesti. Tra i primi ci furono i repubblicani, i radi­cali e alcuni letterati celebri come Émile Zola; tra i secondi c’erano i monarchici, gli ufficiali dell’esercito e numerosi cattolici.
J’accuse di Zola Gli indizi contro Esterhazy erano schiaccianti, eppure il processo intentato contro di lui dal fratello di Drey­fus si concluse con l’assoluzione dello sciagurato giocatore. Il giorno dopo la scandalosa assoluzione, il 13 gennaio 1898, comparve sul giornale di Clemenceau “l’Aurore” un articolo firma­to da Zola intitolato J’accuse, in cui si rinfacciava ai generali di aver fatto condannare Dreyfus e assolvere Esterhazy: l’autore sfidava il governo e l’esercito a citarlo in tribunale per diffa­mazione. Picquart aveva testimoniato al processo contro Esterha­zy: avendo perduto la causa fu condannato con disonore a lasciare l’esercito. Divenuto privato cittadino, Picquart pubblicò arti­coli su “l’Aurore” in cui affermava che dei tre documenti in base ai quali Dreyfus era stato condannato, due non si riferivano a lui e il terzo era falso, preparato dal maggiore, ora colonnello, Henry. Citato davanti al ministro della guerra il colonnello Hen­ry ammise la sua colpa e il giorno dopo si uccise. L’Esterhazy fu espulso dall’esercito per comportamento immorale, non per il tradimento ormai provato.
Revisione del processo Dreyfus A questo punto non si poteva ne­gare la revisione del processo in base al quale Dreyfus era stato condannato.  Il 3 giugno 1899 il tribunale di cassazione annullò il processo precedente. Dreyfus fu trasferito dall’isola del Diavolo a Rennes, il Picquart fu scarcerato.  Nel 1899 iniziò il nuovo processo durato un mese.  Quando fu pubblicato il verdetto si toccò l’assurdo: Dreyfus fu rico­nosciuto traditore e condannato a dieci anni di carcere. Tutti si ribellarono alla nuova e peggiore ingiustizia, e anche il Dreyfus ebbe un crollo di nervi. Solo nel 1906 il processo di Rennes fu invalidato: a Dreyfus e Picquart fu restituito l’onore perché giudicati colpevoli “erroneamente e a torto”.
Aspetto pretestuoso della vicenda A parte i risvolti umani, l’affare Dreyfus servì per coprire una serie di manovre politiche miranti a risolvere lo stallo in cui era caduta la politica in­terna francese divaricata tra una destra senza idee e una sini­stra, radicale a parole, ma che nei fatti praticava una politica moderata. L’affare Dreyfus servì a ripescare personaggi grave­mente compromessi come il Clemenceau che, divenuto paladino di una causa giusta, poté far dimenticare le sue gravi responsabili­tà per quanto riguarda lo scandalo del canale di Panama; mentre i cattolici, divenuti sostenitori di una causa sbagliata, fecero cadere il grande progetto di rallie­ment, di adesione al regime repubblicano raccomandato da Leone XIII, un atteggiamento che poteva segnare la nascita di un grande partito di cattolici simile al Zentrum tedesco.
Lo scandalo del canale di Panama Per comprendere l’origine dello scandalo del canale di Panama occorre rifarsi un po’ indietro nel tempo.  Dopo la trionfale conclusione dei lavori per il canale di Suez, inaugurato nel 1869, Ferdinand de Lesseps e i grandi finan­zieri francesi avevano lanciato il progetto del taglio dell’istmo di Panama. L’impresa risultò molto più ardua a causa del clima caldo e umido che stroncava le forze dei lavoratori.  Il capitale da investire risultò molto superiore a quello sottoscritto. Per raccogliere i nuovi finanziamenti la Società del Canale di Panama dovette lanciare una nuova sottoscrizione che necessitava di au­torizzazione parlamentare. Il denaro fu raccolto, ma le diffi­coltà di realizzazione del progetto risultarono ancora superiori alle disponibilità finanziarie per cui la Società costruttrice fece bancarotta. La vicenda fu sfruttata dall’opposizione di destra per gettare discredito sui repubblicani, alcuni dei quali avevano ricevuto bustarelle. Ci furono dimissioni di ministri e, infine, la ca­duta del governo. Dopo l’inchiesta, maggiormente implicati ri­sultarono il ministro delle finanze, il presidente della camera e il capo dei radicali Clemenceau.
Dimissioni del Clemenceau La polemica più aspra fu diretta con­tro quest’ultimo che si era fatto molti nemici con i suoi violen­ti discorsi, con gli articoli velenosi e con i frequenti duelli. Denunciato in piena Camera, il Clemenceau dovette dimettersi da deputato. Nel 1893 ci furono le nuove elezioni politiche che ri­velarono la crescente tensione nel paese, esplosa l’anno dopo con l’assassinio del presidente della repubblica Sadi Carnot. I go­verni repubblicani succeduti fino al 1898, furono deboli e non riuscirono a introdurre un’importante riforma finanziaria, l’im­posta sul reddito, approvata con gran fatica solo nel 1917. Do­po il 1898 il Clemenceau e i repubblicani radicali seppero uti­lizzare abilmente l’affare Dreyfus per battere la destra conser­vatrice caduta nella trappola di una causa sbagliata sia sul pia­no etico sia sul piano politico.
Leone XIII e i cattolici francesi Per quanto riguarda la situa­zione dei cattolici francesi occorre ricordare che Leone XIII fin dall’inizio del suo pontificato nel 1878 si era adoperato perché i cattolici francesi assumessero un atteggiamento più costruttivo nei confronti del regime repubblicano, ma non fu ascoltato. Nel 1884 il papa aveva ribadito la neces­sità di non mostrare ostilità nei confronti di alcun regime purché rispettoso dei diritti delle coscienze. Nel 1892 Leone XIII pubblicò l’enciclica Inter innumeras sollicitudines in cui invitava espli­citamente i cattolici francesi ad aderire alla repubblica pren­dendo parte costruttiva all’elaborazione della politica naziona­le. L’anno precedente, il 1891 era divenuto memorabile per la pubblicazione della nota enciclica sociale Rerum novarum, rivolta ai cattolici di tutto il mondo perché contribuissero all’elabora­zione di una politica sociale più attenta ai problemi dei lavora­tori. L’appello non cadde nel vuoto e ci furono numerosi preti democratici che si gettarono in un operoso apostolato a favore dei meno abbienti: occorre ripetere tuttavia che la Francia di allora era un paese politicamente di sinistra, ma socialmente era un paese di destra. Perciò, dopo un decennio di difficili espe­rimenti gli ideali del cattolicesimo sociale furono lasciati ca­dere anche perché i capi del movimento sociale cattolico erano personalmente uomini di destra come Albert de Mun che pure aveva condotto i primi e più promettenti passi nella direzione di reali riforme sociali. Tra l’anticlericalismo dei radicali, conserva­tori sul piano sociale, e i cattolici conservatori in campo poli­tico ma aperti ai problemi sociali non ci fu posto per un parti­to di cattolici che confluissero nella repubblica nonostante il seguito popolare sul quale potevano contare.
La società francese di fine secolo Per comprendere meglio la strana anomalia della politica francese di quell’epoca occorre ricordare alcuni dati sociologici per spiegare l’apparente incon­gruenza. La popolazione francese non conobbe l’esplo­sione demografica di Germania e Gran Bretagna: da 36 milioni di abitanti nel 1871, la popolazione francese salì ad appena 39 mi­lioni nel 1914. Quasi la metà di quegli abitanti vivevano in co­muni con meno di 2000 residenti. L’agricoltura rimase per tutto questo periodo la principale attività economica, ma su oltre mez­zo milione di aziende agricole quasi la metà avevano un’estensio­ne di circa un ettaro. Solo circa 30.000 aziende avevano terra per un’estensione di circa 100 ettari. L’industria francese ave­va una base di circa 1.100.000 aziende, ma circa 1.000.000 tra esse impiegava meno di cinque operai, ossia erano fabbriche fami­gliari che rendevano difficile la nascita di un vigoroso movimen­to sindacale. Per ironia della sorte, il sistema industriale francese non poteva svilupparsi per mancanza di capitali di inve­stimento, perché la Francia aveva investito all’estero circa 50 miliardi di franchi (un sesto della ricchezza nazionale: un quar­to di quella somma risultava investito in Russia per motivi poli­tici). 
Matura la svolta politica Si può concludere che il conflitto con la Germania ha irrigidito la Francia per tutto il XIX secolo: la svolta si ebbe dopo il 1898, quando le tensioni coloniali con la Gran Bretagna si attenuarono, quando la politica navale tedesca obbligò la Gran Bretagna a ricercare l’alleanza con Francia e Russia formando la Triplice intesa, e quando i repubblicani deci­sero di rompere la coalizione tra i partiti di destra e i catto­lici adottando una vigorosa politica anticlericale, per certi aspetti incivile, ma politicamente risolutiva, condotta da Clemen­ceau e dai suoi amici radicali.

23. 3 Verso la prima guerra mondiale
     Dopo il 1898 anche in Francia il partito socialista modificò gli orientamenti  politici. 
Sviluppo del socialismo francese Il socialismo poteva diffonder­si solo nelle regioni dove fosse presente la grande industria e dove perciò si potesse ricorrere all’arma dello sciopero, piutto­sto che alla lotta di classe e alla presa del potere mediante un colpo di Stato. Nell’ultimo decennio del secolo XIX si erano sviluppati alcuni partiti socialisti che non si ispiravano a Marx perché costui era tedesco e perché era ancora viva la tradizione del socialismo francese professata da Auguste Blanqui, rivolta alle riforme sociali. Il socialismo marxista fu introdotto in Francia da Jules Guesde che fondò il Partito operaio presente nelle regioni minerarie del centro e nelle regioni industriali del nord-est. I contadini, invece, che erano stati una classe rivoluzionaria nel 1789, non aderirono al socialismo, co­sì come non vi aderì Parigi che cessò d’essere la roccaforte del­le sinistre.  Dopo il 1900 il consiglio comunale di Parigi risultò formato da uomini di destra.
Sono autorizzati i sindacati Nel 1884 furono autorizzati i sindacati, dapprima combattuti dai da­tori di lavoro e dallo stesso governo che aveva vietato l’iscri­zione agli statali e ai ferrovieri. I primi sindacati, peraltro, credevano solo all’azione diretta e diffidavano dei politici e degli ideologi di origine borghese. Nel 1886 il Guesde riuscì a promuovere una Federazione Nazionale dei Sindacati con finalità eminentemente politiche. I lavoratori, invece, favorirono la formazione di Borse di lavoro come nuclei di mutuo soccorso, di istruzione dei lavoratori: anche le Borse di lavoro, nel 1892, si unirono in una federazione nazionale. Tuttavia, in quell’anno, gli iscritti ai sindacati erano solo 140.000; nel 1899 raggiunse­ro la cifra di 540.000, ancora bassa rispetto a una popolazione di circa 39 milioni di persone.  Nel 1890 il 1° maggio fu ricono­sciuto festa dei lavoratori, ma già l’anno dopo durante quella ricorrenza accaddero tumulti con intervento dell’esercito e l’uccisione di alcuni lavoratori che chiedevano la giornata lavo­rativa di otto ore. Nel 1893, in un periodo di recessione dell’industria, si diffuse l’ideologia anarchica che proponeva l’impiego della violenza individuale: la vittima più illustre fu il presidente della repubblica Sadi Carnot. Seguirono leggi re­pressive con pene severe a carico di chi incitava alla violenza contro le persone e contro la proprietà anche solo per mezzo della stampa. Verso la fine del secolo arrivarono alla Ca­mera i primi deputati appartenenti a uno dei quattro partiti so­cialisti.
Formazione di movimenti di estrema destra Più pericoloso l’altro fatto nuovo delle elezioni del 1898, ossia l’arrivo in Parlamento di un gruppo di nazionalisti di estrema destra che cercava con­sensi tra gli ufficiali dell’esercito e tra i cattolici che ave­vano fatto fallire la politica di allineamento col regime repub­blicano. L’arroventata polemica suscitata dall’affare Dreyfus condusse alla fondazione, nell’agosto 1898, dell’Action Française che alcuni considerano la prima formulazione del fascismo. Fino a quel momento i monarchici, la borghesia conservatrice e la par­te di cattolici che identificavano i loro interessi con la destra filomonarchica non avevano abbandonato il terreno costituzionale. Charles Maurras, invece, dette vita a un movimento violento e ag­gressivo che tendeva a far propri i metodi attivi dei rivoluzio­nari.  Innanzitutto si procurò i mezzi finanziari per pub­blicare un giornale che aveva lo stesso titolo del movimento, e che con un linguaggio efficace e immaginifico propugnava la dife­sa della “vera” Francia,  calpestata dai repubblicani, dai socia­listi, dai massoni e dagli ebrei. Secondo il Maurras, la vera Francia era quella di san Luigi, di Giovanna d’Arco, di Luigi XIV. I militari di professione e i capi della polizia furono in gran parte conquistati, e spesso chiusero non uno bensì entrambi gli occhi.  L’acceso nazionalismo non permise a molta gente di vedere fino in fondo la pericolosità del movimento i cui aderenti ricorrevano alla bastonatura dei presunti avversari, e a soprusi troppo facilmente perdonati come intemperanze giovanili. La Chiesa Cattolica mise in guardia i fedeli dai pericoli insiti in quel movimento chiaramente neopaga­no, ma la condanna formale arrivò solo nel 1926.

23. 4 La svolta anticlericale
     La svolta anticlericale di inizio secolo fu condotta dal primo ministro Waldeck-Rousseau. Una delle sue prime misure fu la condanna di coloro che avevano sfruttato l’affare Dreyfus per scopi che esulavano dalla giustizia. 
Scioglimento delle Congregazioni tollerate Tra coloro che furono colpiti da questo provvedimento c’erano i Padri Assunzionisti, i quali mediante il loro giornale “la Croix” avevano assunto una parte di primo piano nell’affare Dreyfus. Poiché si trattava di una Congregazione tollerata risultò facile decretarne lo sciogli­mento. Nel 1899 il Waldeck-Rousseau presentò un disegno di legge con l’obbligo per le Congregazioni religiose di richiedere il ri­conoscimento legale, e per le scuole rette da religiosi di adot­tare programmi identici a quelli statali. Tali proposte furono trasformate in legge nel 1902. 
Nuovi schieramenti L’interminabile discussione su questi due provvedimenti divise i francesi in due schieramenti: da una parte le classi medie si mostrarono tenacemente anticlericali; mentre le classi superiori, pur essendo spesso indifferenti sul piano religioso, si schierarono per la Chiesa. La massoneria assunse la direzione dello schieramento anticlericale: le elezioni del 1902 furono considerate una sua vittoria. 
Ministero Combes Waldeck-Rousseau lasciò la carica di primo mi­nistro a un personaggio di levatura minore, il Combes, designato all’incarico proprio in forza del suo acceso anticlericalismo: ogni atto del suo governo finì per assumere un aspetto fazioso, privo di equità.  Nel giugno 1902 inviò una circolare ai prefetti ingiungendo loro di riservare i favori dello Stato solo ai soste­nitori del governo. Nei comuni in cui erano al potere sindaci clericali fece nominare “delegati amministrativi” che esautorava­no i sindaci. La legge contro le Congregazioni religiose fu ap­plicata con rigore e a nessuna fu concesso il riconoscimento le­gale: furono sciolte 135 Congregazioni religiose e confiscati 1500 edifici adibiti al culto. Nel 1903 furono chiuse 10.000 scuole dirette da religiosi ai quali fu proibito, l’anno seguente, l’insegnamento. Questi provvedimenti non suscita­rono resistenze degne di nota, tranne in Bretagna.
Pio X A Roma era morto nel 1903 l’anziano pontefice Leone XIII. La scelta del successore cadde sulla persona del Patriarca di Ve­nezia Giuseppe Sarto che assunse il nome di Pio X.  Il governo francese fece precipi­tare la situazione dando risalto alla visita del Presidente Lou­bet al re d’Italia, nonostante il fatto che i due paesi militas­sero in alleanze politiche opposte: in seguito alle proteste della Santa Sede, la Francia ritirò il proprio ambasciatore e ruppe le relazioni diplomatiche col papa. Nel novembre 1904 fu approvata la legge che decretava la separazione tra Chiesa e Sta­to. 
Caduta del governo Combes Il governo Combes cadde nel 1905 a causa del ministro della guerra che aveva espulso  dall’esercito con metodi discutibili gli ufficiali che mantenevano simpatie cattoliche. Il successore di Combes fu Aristide Briand, insignito nei trent’anni successivi delle più importanti cariche dello Sta­to francese. Briand attuò la legge di separazione tra Stato e Chiesa con moderazione, riconoscendo la libertà di culto, ma senza che alcuna Chiesa avesse diritto a speciali privilegi da parte dello Stato. I vescovi francesi erano inclini ad accettare le condizioni offerte dal Briand, creando le coperture legali da lui suggerite. Pio X, invece, oppose un netto rifiuto: la Chiesa di Francia si trovò a dipendere più strettamente dalla Santa Sede e l’episcopato francese perdette quell’indipendenza di valutazione e quel geloso senso di autonomia che nei decenni precedenti aveva fatto cadere i consigli di moderazione provenienti dal papa. Co­me accade in casi del genere, migliorò la vita religiosa di colo­ro che rimasero nella Chiesa, ora che non aveva potere o proprie­tà da amministrare.
Ministero Clemenceau Lo Stato era saldamente in mano ai repub­blicani che non poterono più rimandare le riforme sociali. Il Clemenceau, nel 1906, riuscì finalmente a guidare un governo dopo averne fatti cadere tanti presieduti da altri. Formò un mi­nistero di sinistra, annunciando un programma denso di riforme. In realtà poche furono attuate, dal governo di Cle­menceau, rimasto in carica fino al 1909. Un primo prov­vedimento fu l’aumento dello stipendio ai deputati; poi la nazio­nalizzazione delle ferrovie dell’ovest, che da anni vivevano di sovvenzioni statali; la legge delle pensioni fu approvata solo nel 1914. Fortissime opposizioni suscitò la legge sull’imposta del reddito che, infatti, dovette attendere il 1917 per tradursi in realtà.
Permangono le divisioni tra socialisti Il partito socialista nel corso di questi anni si era indebolito a causa di accanite lotte interne, nonostante fosse guidato da una grande personalità poli­tica, Jean Jaurès, uno dei maggiori storici della rivoluzione fran­cese. Il Jaurès non riuscì a conquistare alla causa del socia­lismo il ceto dei piccoli proprietari che preferirono riversare i loro voti sui candidati del partito radicale.  Il po­tere che poteva venire al Jaurès dall’unità dei socialisti gli fu negato dal Guesde, a capo del secondo partito socialista per im­portanza. Apparentemente i due partiti socialisti apparivano uniti nella Seconda Internazionale creando la Sezione Francese dell’Internazionale Operaia (S.F.I.O.). Jaurès aveva fede nella possibilità di collaborazione coi partiti borghesi e nella neces­sità di introdurre nel proprio partito una componente riformista che ricorresse solo a metodi costituzionali. 
Il sindacalismo rivoluzionario Il movimento socialista si spaccò tra il gruppo dei politici e il gruppo dei sindacalisti. Questi ultimi si unirono in una Confederazione Generale del Lavoro (C.G.T.) sotto l’influsso dell’ideologia anarchica e delle Ri­flessioni sulla violenza del Sorel (1908) un’opera che ebbe il potere di rendere sospettosi i lavoratori nei confronti dei poli­tici. La C.G.T. ritenne opportuno assumere i metodi del sindaca­lismo rivoluzionario e vagheggiava l’impiego dello sciopero gene­rale, ritenuto idoneo per far cadere i governi borghesi, aprendo la via a un governo dei lavoratori: in Italia quelle idee furono propugnate dal giovane socialista Benito Mussolini. Nel 1909 la C.G.T. raggiunse quasi un milione di iscritti e agiva in un clima spesso caratterizzato da violenza, anche se nel complesso la Francia rimaneva un paese di destra con profonde simpatie verso la sinistra, che rimaneva al potere a patto di non intaccare l’assetto sociale del paese.

23. 5 Una grande epoca culturale
     Per tutta la durata della Terza Repubblica la Francia non ebbe alcun primato né politico né economico, né industriale, ma sicuramente raggiunse un invidiato primato culturale e artistico.
Arte accademica Anche in Francia, come negli altri paesi euro­pei, la seconda metà del XIX secolo fu dominata in architettura e scultura dai prodotti di un’arte accademica povera di idee tanto da produrre quegli enormi edifici nei vari stili del passato, privi di verità interiore. In scultura solo Maillol e Rodin riu­scirono a sconfiggere il freddo accademismo lasciando opere po­tenti che resistono al tempo. 
La pittura impressionista È alla pittura che si deve rivolgere la nostra attenzione. La pittura è un’arte più povera rispetto alle precedenti e per venir realizzata non ha bisogno di ricchi committenti. Manet, Monet, Pissarro, Sisley, Gaugin, Seurat, Toulouse-Lautrec, Degas e il doganiere Rousseau formano una schiera di splendidi innovatori, culminanti nel­le opere di Cézanne, Renoir, van Gogh. A loro volta costoro pro­piziarono le opere di Matisse, di Bracque, di Picasso che hanno dominato da protagonisti la pittura del Novecento. Dal rinasci­mento in poi in pittura non si era assistito alla formazione di una così fitta schiera di grandi maestri. Il trionfo dei pittori impressionisti non fu né facile né immediato: a lungo le loro te­le furono rifiutate alle esposizioni ufficiali, trovando posto solo in mostre allestite per gli esclusi dall’arte ufficiale.
La musica francese Anche la musica francese, pur senza riuscire a raggiungere la potenza della musica tedesca dominata da Wagner, Brahms, Bruckner, Mahler, riuscì a impostare con Bizet, l’autore di Carmen, con César Frank, Massnet e Saint-Saëns una scuola francese, dalla quale uscirono le opere di Debussy, Ravel, Dukas, Satie che formano l’equivalente mu­sicale dell’impressionismo in pittura, ossia il superamento di ogni accademismo per aprirsi alla contemplazione del reale en plein air, cercando di rendere le impressioni sog­gettive provate al contatto con la natura colta senza filtri de­formanti.
Flaubert Esauritasi la grande stagione romantica, durante il Se­condo Impero l’unica grande voce in letteratura era stata quella di Gustave Flaubert. Il realismo impietoso del Flaubert aveva scavato con Madame Bovary la vita interiore di una piccola bor­ghese di provincia dominata dal desiderio di cambiare di posizio­ne sociale. La grande lezione del Flaubert fu accolta dal gruppo di scrittori definiti naturalisti: il natura­lismo non è altro che il realismo portato alle estreme conseguen­ze del determinismo biologico e ambientale. Il più noto dei na­turalisti fu Émile Zola che nel suo ciclo di romanzi dei Rougon-Macquart volle offrire il quadro di una famiglia del Secondo Im­pero i cui membri non sono altro che il prodotto della classe so­ciale, dell’ambiente e della congiuntura, ossia del momento in cui le componenti interagiscono tra loro come quando si uniscono in un alambicco i vari reagenti chimici che danno un ben determi­nato composto: il destino di un uomo è segnato nell’embrione.
La filosofia positivista Il naturalismo letterario si può consi­derare il riflesso di ciò che fu il positivismo in filosofia. A sua volta il positivismo fu il corrispettivo laico della rinasci­ta della fede religiosa avvenuta in epoca romantica. Augusto Comte dopo aver scritto il suo massiccio Corso di filosofia posi­tiva approdò a una specie di religione positiva che non può venir liquidata come l’esito folle di una mente per altri versi genia­le. Nel positivismo c’è una vera religione della scienza, fonda­ta sul progresso sociale. Comte a giusto titolo può venir defi­nito uno dei maggiori sociologi: le conclusioni del suo pensiero, generalmente respinte, devono esser considerate la conclu­sione necessaria di quel tipo di speculazione. Il positivismo divenne fede ufficiale della massoneria francese la cui opposi­zione al cattolicesimo e, più tardi, alle dottrine marxiste, va considerata una specie di guerra di religione che non ammet­te compromessi.
La sociologia positivista Il pensiero sociale positivista appare essenzialmente conservatore: tutto ciò che accade è necessitato da certe leggi sociali analoghe a quelle della fisica. Nulla è più assurdo, per i positivisti, dello spirito democratico, del volontarismo, della pretesa di scavalcare le tappe della storia, così come sarebbe assurdo voler passare dall’infanzia alla matu­rità senza passare attraverso l’adolescenza e la giovinezza. La rivoluzione del 1789 appariva agli storici positivisti della Ter­za Repubblica come la classica operazione sbagliata, e il giaco­binismo finì per diventare la fonte di tutti i mali, l’oppio de­gli intellettuali che quando prendono per realtà viva i fantasmi della loro fantasia malata, in luogo di decifrare il reale come freddi scienziati, non producono altro che nuove sofferenze alle classi emarginate. Gli spunti offerti dalla sociologia positivi­sta furono condotti a grande coerenza interna da Émile Durkheim, che sviluppò l’analisi della  psicologia di massa e i meccanismi che guidano i gruppi sociali, da sfruttare per impedire operazio­ni politiche giudicate pericolose.
Le scienze naturali L’esigenza di approfondire lo studio delle scienze naturali è implicito nel positivismo. Il matemati­co Henri Poincaré studiò i fondamenti della sua disciplina in mo­do esemplare; i coniugi Curie scoprirono gli effetti del radium e Marie Curie fu insignita due volte del premio Nobel; Louis Pa­steur dispiegò grande genio in batteriologia e nella messa a pun­to di vaccini per combattere le malattie infettive; il chimico Barthelot guidò una grande scuola scientifica.
La poesia La poesia francese verso la fine del secolo XIX rag­giunse vertici rimasti esemplari. Dopo il tramonto della poesia romantica si ebbe con Théophile Gautier un riflusso di classici­smo levigato, un disimpegno che va sotto il nome di “parnassiani­smo”. I principali esponenti di questa scuola sono Leconte de Lysle, Sully-Prudhomme e José-Maria de Heredia. Ancora più in­fluente di Gautier risultò Charles Baudelaire i cui Fleurs du mal, pubblicati nel 1857 produssero uno scandalo sensazionale. Le sue poesie e i saggi di critica letteraria furono apprezzati solo più tardi, al tempo della Terza Repubblica quando il simbo­lismo di Baudelaire fu ripreso da Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Stephane Mallarmé. Quasi tutti gli autori citati morirono nell’ultimo decennio del secolo XIX. In seguito si affermarono scrittori politicamente più impegnati il più noto dei quali fu Anatole France, troppo raffinato per divenire popolare. Il filo­sofo Henri Bergson dominò gli anni di fine secolo mediante un in­segnamento che produsse sviluppi autonomi rispetto al maestro. 
Proust Si deve concludere questa breve rassegna con un accenno a Marcel Proust la cui opera letteraria è di una grandezza che ol­trepassa il suo tempo. La Recherche è un grandio­so affresco che ha finito per dilatare il romanzo fino a fargli perdere ogni connotazione posseduta nel passato. Pubblicata a partire dal 1913 e conclusa nel 1922 con la morte del suo autore, la Recherche compendia la cultura, le passioni politiche, la raf­finatezza, l’eleganza, la decadenza di una società distrutta in quella grande macchina tritacarne che fu la prima guerra mondia­le.

23. 6 Cronologia essenziale
1870 Sconfitta francese a Sédan. Alsazia e Lorena passano alla Germania.
1871 Da marzo a maggio si sviluppa la breve esperienza della Co­mune di Parigi, primo tentativo di rivoluzione proletaria.
1881 La Francia occupa la Tunisia precedendo l’Italia.
1891 Il papa Leone XIII pubblica l’enciclica Rerum novarum.
1892 Leone XIII invita i cattolici francesi ad accettare la re­pubblica.
1893 Fa progressi il movimento anarchico: la vittima più illustre è il presidente della repubblica Sadi Carnot.
1894 A partire da quest’anno e per la durata di una dozzina d’an­ni l’affare Dreyfus catalizza l’attenzione dei francesi.
1898 Il Clemenceau interviene in modo clamoroso a favore di Drey­fus, rientrando in politica dopo lo scandalo del ca­nale di Panama.
1898 Si forma per impulso di Charles Maurras il movimento nazio­nalista di estrema destra Action française.
1904 Il governo Combes decreta la separazione tra Chiesa e Stato in Francia.

23. 7 Il documento storico
     La lettera di Zola al Presidente della repubblica francese, pubblicata sull'”Aurore”, rappresentò la svolta dell’affare Drey­fus, sollevando immenso scalpore. La lettera fu tradotta in molte lingue e un poco alla volta condusse alla revisione del processo Dreyfus. Il documento che segue riporta l’ultima parte della let­tera: dopo aver ricostruito tutta la storia, Zola passa all’accu­sa di tutti coloro che si sono prestati a sostenere la necessità di condannare un innocente.

     “Accuso il tenente colonnello Du Paty de Clam d’essere stato il diabolico artefice dell’errore giudiziario, per incoscienza, voglio crederlo; e di avere, poi, difesa l’opera sua nefasta, per tre anni, con le più assurde e colpevoli trame.
     Accuso il generale Mercier d’essersi reso complice, non foss’altro che per debolezza di mente, di una delle più grandi iniquità del secolo.
     Accuso il generale Billot d’aver avuto tra le mani le prove sicure dell’innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, rendendo­si colpevole del delitto di lesa umanità e di lesa giustizia, a scopo politico e per salvare lo Stato Maggiore compromesso.
     Accuso il generale Boisdeffre e il generale  Gonse di esser­si fatti complici dello stesso delitto, l’uno certamente per pas­sione clericale, l’altro, forse, per quello spirito di corpo che fa del ministero della guerra l’arca santa, inattaccabile.
     Accuso il generale Pellieux e il maggiore Ravary d’aver fat­to un’inchiesta scellerata, voglio dire un’inchiesta mostruosa­mente parziale, di cui abbiamo nel rapporto del secondo un impe­rituro monumento di ingenua audacia.
     Accuso i tre periti calligrafi, i signori Belhomme, Varinard e Couard, di aver fatto rapporti menzogneri e fraudolenti, a meno che un esame medico non dichiari questi signori affetti da malat­tia agli occhi ed al cervello.
     Accuso gli uffici del ministero della guerra di aver condot­to nella stampa, specialmente nell’Éclair e nell’Echo de Paris, una campagna vergognosa per sviare l’opinione pubblica e nascon­dere la loro colpa.
     Accuso, finalmente, il primo Consiglio di guerra d’aver vio­lato il diritto, condannando un imputato su un documento restato segreto, e accuso il secondo Consiglio di guerra d’aver coperto questa illegalità dietro un ordine, commettendo anch’esso il cri­mine giuridico di assolvere scientemente un colpevole.
     Formulando queste accuse, non ignoro che incorro  negli ar­ticoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 27 luglio 1881, che punisce i reati di diffamazione, e lo faccio volontariamente.
     Non conosco coloro che accuso, non li ho mai visti, non nu­tro contro di essi né rancore, né odio. E il gesto che oggi com­pio non è che un mezzo rivoluzionario per affrettare il giorno della verità e della giustizia.
     Ho una sola giustizia, quella della luce, in nome dell’uma­nità che ha tanto sofferto e che ha diritto d’essere felice.
     Questa ardente protesta è il grido dell’anima mia. Osate dunque tradurmi in Corte d’Assise e che l’inchiesta si compia in piena luce.
     Aspetto.
     Gradite, signor Presidente, l’assicurazione del mio profondo rispetto. Emilio Zola”

Fonte: A. LOCATELLI, L’“affare” Dreyfus. La pià grande infamia del secolo scorso, Edizioni Corbaccio, Milano 1930, pp. 183-184.

23. 8 In biblioteca
      Molto ricco di informazioni il libro di W.L. SHIRER, La ca­duta della Francia. Da Sédan all’occupazione nazista, Einaudi, Torino 1971. 
Si consulti di A. GAROSCI, Storia della Francia mo­derna (1870-1946), Einaudi, Torino 1947. 
Per la storia della co­mune: P.O. LISSAGARAY, La Comune di Parigi. Le otto giornate di maggio dietro le barricate, Feltrinelli, Milano 1973. 
Per la sto­ria della destra francese si consulti di R. REMOND, La Destra in Francia. Dalla restaurazione alla Quinta repubblica, Mursia, Mi­lano 1970. 
Molto nota l’opera di A. COBBAN, Storia della Francia dal 1715 al 1965, Garzanti, Milano 1965. 
Si consulti anche di R. MAGRAW, Il “secolo borghese” in Francia 1815-1914, il Mulino, Bo­logna 1987. 
Importante di D. THOMPSON, Storia della Francia mo­derna, Garzanti, Milano 1963.