Tempo ed eternita’

…Un discorso di P. Marcial Maciel L.C., fondatore dei Legionari di Cristo, ai membri del movimento Regnum Christi per non sprecare il proprio tempo …  

TEMPO ED ETERNITA’


P. Marcial Maciel L.C.


 


Venga il tuo Regno!


10 marzo 1993


Miei amatissimi in Gesù Cristo,


in questo giorno a me così caro, nel quale Nostro Signore mi concede di celebrare nella gioia 73 anni di vita, mi rivolgo a tutti voi, membri dei Movimento Regnum Christi, per manifestare innanzi tutto la mia profonda e sincera gratitudine per le preghiere ed i numerosi auguri con i quali avete voluto accompagnarmi in questa festa.


Vi scrivo anche per fare assieme a voi alcune riflessioni su un tema che ha sempre rappresentato l’oggetto della meditazione di tutta la mia vita, specialmente in occasione di questa ricorrenza annuale che mi permette di ringraziare Nostro Signore per l’inestimabile dono dell’esistenza. Mi riferisco alla considerazione dei valore che il tempo riveste in rapporto con l’eternità. Sono spinto a scriverVi dal desiderio di farvi partecipi delle luci che mi sono state concesse dallo Spirito Santo a proposito di questa realtà immediatamente palpabile, vale a dire la condizione della temporalità dell’uomo. Mi hanno tanto illuminato che – posso dirvi – hanno costituito dei principi basilari di tutta la mia vita, e mi hanno spinto a “consumarmi senza misura in questa vita, tenendo sempre presente la prospettiva dell’eternità che mi aspetta.


Vi propongo queste riflessioni, con la speranza che possano aiutare anche voi a sfruttare meglio il tempo della vostra vita, per la vostra realizzazione e per una maggiore espansione dei Regno di Gesù Cristo. Ve le offro molto volentieri in questo mio compleanno, allorché la maggior parte dei mio tempo è ormai trascorso. Forse l’esperienza di cui ho potuto fare tesoro in 73 anni potrà esservi utile.


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Fin da adolescente, Dio Nostro Signore mi concesse la grazia di percepire con chiarezza e profondità questa realtà che riguarda da vicino l’esistenza di tutti gli esseri umani: la vita è un breve lasso di tempo, appena un batter d’occhio, confrontata con l’eternità che ci aspetta dopo questo fugace passaggio attraverso il tempo.


Ricordo che mi piaceva salire verso sera su uno de i colli fuori Cotija, il mio paese natale; di lì, conversando con Dio, contemplavo laggiù, ai piedi della collina, il cimitero con le sue tombe ornate di fiori; più in là, in pianura, i tetti rossi delle case e, quasi conficcato fra queste, il campanile e la cupola della chiesa parrocchiale. Mi domandavo, con le semplici parole proprie di un ragazzo di paese di 13 o 14 anni, che cos’è questo “vivere”, se in fin dei conti finiamo tutti in una tomba. In questo cimitero giacevano gli abitanti di Cotija delle precedenti generazioni. Solo alcuni strappavano ancora le lacrime alla vedova o a chi era rimasto prematuramente orfano. Gli altri, i più, abbandonati nell’oblio più completo. Alcuni erano vissuti nell’opulenza: grandi proprietari terrieri o abili commercianti. Altri, nelle angustie di una miseria mai vinta. E sia gli uni che gli altri avevano ormai terminato la loro esistenza. A cosa erano servite a quelli le loro ricchezze? E che senso aveva avuto la vita povera e afflitta di questi?


E poi pensavo agli altri, ai vivi, a quelli che si affaccendavano per le stradine e nella piazza principale, nelle fattorie e nei paesi vicini; a quelli che conoscevo e vedevo tutti i giorni. Pensavo anche alle migliaia e ai milioni di uomini che, in altri villaggi, in altre città, in altri continenti e tra i colli vicini trascorrevano la vita tra mille affanni, ciascuno preso nelle sue preoccupazioni, sbrogliando la matassa indecifrabile con la quale si tesse la trama quotidiana dell’esistenza umana. Pensavo che tutti costoro sarebbero rimasti su questa terra solo per un certo numero di anni, 20, 40, 80, forse più di un centinaio; ed in fine pensavo al mistero dei nulla che sembra inghiottire quelli che se ne vanno. Cosa resta, dunque, al termine della vita, se perfino il ricordo dei più anziani svanisce nella nebbia della memoria?


Anni dopo, al ricordo di quelle sere solitarie di preghiera in cima ad una collina, mi sorpresi che a quella giovane età avessi potuto propormi così seriamente gli interrogativi fondamentali della vita. E scoprii che senza alcun dubbio era Dio colui che ispirava e dirigeva le mie riflessioni, desiderando disporre il mio animo e la mia anima per il grande compito che mi avrebbe assegnato. Erano le riflessioni che percorrono da un estremo all’altro la storia dell’umanità; gli interrogativi che ogni generazione ha dovuto affrontare; gli enigmi che hanno dovuto risolvere tutti quegli uomini che non si rassegnano ad un puro vegetare per il mondo e aspirano a dare alla propria vita una certa trascendenza. “Vanità delle vanità! tutto è vanità e un inseguire il vento!”, predicava Qoèlet. “A che serve all’uomo guadagnare il mondo, se perde la sua anima?”, domandava Gesù a coloro che lo ascoltavano.


Mi accorgevo che potevo scegliere tra due strade. La prima, la via facile del “tirare avanti” per la vita, senza grandi preoccupazioni: procurarmi una buona fonte di guadagno per il mio sostentamento e per assicurare eventualmente il futuro di una famiglia; cercare di guadagnare un bel po’ di soldi; alleviare nel miglior modo possibile le difficoltà della vita e godermi il più possibile i pochi anni che avevo davanti a me.


La seconda si presentava molto più ardua e scabrosa. Si trattava di costruire la vita, minuto per minuto, con lo sguardo rivolto all’eternità; di cogliere ogni istante dei mio tempo come un’opportunità concessami da Dio per far qualcosa per Lui e per il bene dei miei fratelli; di “investire”, per così dire, ogni secondo, in qualcosa di costruttivo, in qualcosa di utile per gli altri, e che inoltre mi avrebbe assicurato la vita eterna.


La scelta era chiara. E così su quella collina, sotto il crepuscolo infuocato, maturavo dentro di me, sera dopo sera, l’idea ed il proposito che io avrei dovuto consumare la mia vita intera per qualcosa che valesse veramente la pena; per qualcosa che non dovesse finire con la sepoltura dei mio cadavere; per qualcosa che lasciasse una traccia profonda nella storia e nel mondo; in una parola, per qualcosa che avessi potuto portare con me nell’eternità.


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Fu in questo clima interiore dove germogliò, come in un terreno concimato, la chiamata di Dio alla vita sacerdotale – prima – e ad intraprendere la fondazione del Regnum Christi – poi. Quando mi fu rivelata questa chiamata, compresi con chiarezza quale doveva essere il cammino da percorrere per colmare in pienezza gli anni di vita che il Signore avesse voluto concedermi. Compresi che il tempo della mia vita in realtà non mi apparteneva; Dio mi chiamava a collaborare nel suo piano di salvezza; l’importante allora non era la “mia” vita, né la “mia” realizzazione, ma la realizzazione dei piano di Dio, dei quale io non ero che un anello di tutta una catena.


Potei comprendere allo stesso tempo che la quantità di tempo che avevo a disposizione non era poi la cosa più importante; del resto a nessuno è concesso saperlo in anticipo. Entriamo nella vita in un momento determinato, ma una volta che iniziamo il cammino ci accompagna sempre l’incognita dei punto finale, e si risolve solo quando questo arriva. Tuttavia, anche se non fosse importante la quantità, una cosa era certa: qualunque fosse la durata della mia vita, in ogni caso sarebbe stata breve, molto breve, appena un punto In mezzo all’eternità; per quanti anni io avessi potuto vivere, le necessità della Chiesa e degli uomini sarebbero continuate ad essere immense, direi inesauribili. Perciò la cosa importante ed urgente era approfittare con avarizia, nel modo più intelligente e produttivo, di ogni “adesso” dell’ “oggi”, di ogni minuto che passa e non torna più.


Quelle sere di meditazione durante la mia adolescenza, su una collina a sud della mia Cotija, mi insegnarono altresì che le creature sono mezzi che Dio mi aveva dato per unirmi a Lui e per lodarlo attraverso di esse durante il pellegrinaggio temporale. Ho potuto godere intensamente dell’armonia della creazione in tutte le manifestazioni della sua bellezza. Il sorgere di ogni nuova aurora, Il canto degli uccelli, il mormorio dei ruscello, la mole imponente delle montagne, il colore vivace dei prati i n primavera, la brezza serena e fresca delle notti autunnali, il cielo acceso dalle stelle nelle notti limpide, tutta la bellezza offertami dalla natura mi è servita come cammino per arrivare a Dio. E per quel che concerne le relazioni umane ho potuto apprezzare il valore dell’amicizia sincera, la bellezza delle persone riconoscenti ed anche l’affetto che molti mi hanno manifestato. Tuttavia al di là di tutto questo è prevalso in maniera assoluta e decisiva il mio radicamento totale ed esclusivo in Dio, la “roccia” inamovibile, eterna, che sostiene tutte le mie certezze, i miei aneliti, le mie sicurezze; in Dio, l’unico amore che ha preso il mio cuore; in Dio, origine e meta unica dei mio destino temporale ed eterno.


Mi risvegliai dunque alla vita quando uscivo dalla mia infanzia, e mi vidi su una strada ancora quasi tutta da percorrere. Laggiù, all’orizzonte, c’era la meta, chiarissima: donarmi all’amore di Gesù Cristo e predicare ed estendere il suo Regno fra gli uomini. Anche i mezzi erano chiari benché avessi dovuto lottare per conseguirli ed orientarli verso l’obiettivo. E infine l’ambito nel quale mi sarei mosso: un tempo determinato, di durata sconosciuta: il tempo di vita che Lui avesse stabilito di darmi.


Intrapresi il cammino ed affrettai il passo. Ogni secondo ben sfruttato mi avvicinava di più alla meta. Ogni secondo sprecato me ne allontanava. Con questa coscienza, fin dall’inizio desiderai caratterizzare la mia esistenza con il segno della lotta senza tregua né riposo. Avendo sperimentato la donazione dell’amore infinito e misericordioso di Dio nei miei confronti ho sempre considerato una grave ingiustizia ed una mancanza contro l’amore il perdere un solo istante dei tempo dei quale disponevo per fare qualcosa per Lui. La mia lotta per il Regno non eguaglierà mai nei risultati l’ampiezza dei miei aneliti; e questo mi ha obbligato, con le catene dell’amore, a darmi senza sosta né misura, senza tener conto di fatiche o di debolezza, cercando in tutte le mie imprese il massimo rendimento con il minimo impiego di tempo.


Naturalmente sarebbe una vanità imperdonabile se pretendessi di attribuirmi il merito di ciò che è stato possibile fare finora. In ciascuna azione intrapresa risplendeva in maniera tangibile la mano provvidente di Nostro Signore. Basterebbe fare un breve ripasso della nostra storia semisecolare per constatare la presenza continua e puntellante di Colui che suscitò nella Chiesa la Legione di Cristo ed il Movimento Regnum Christi. Evidentemente né la Legione né il Movimento sono frutto dell’ingegno umano: chiunque può comprovare che non c’è proporzione tra lo strumento che Dio ha usato ed il risultato che ne sta ottenendo. Come contemplando un’opera d’arte a nessuno verrebbe in mente di lodare la qualità del pennello, ma l’artista che lo seppe utilizzare abilmente, così nel contemplare la Legione ed il Regnum Christi dobbiamo lodare e ringraziare Dio, il suo vero ed unico autore.


Quello che cerco di farvi comprendere è che, Dio – benché agisca come vuole, quando vuole e con gli strumenti che vuole – per realizzare i suoi disegni di solito si serve della collaborazione libera e responsabile degli uomini; e anche che l’uomo – nonostante sia un essere così limitato nelle sue possibilità – quando vive e lavora per Dio e unito a Dio, ottiene cose davvero inimmaginabili. Questa è stata la mia esperienza personale. Ve la comunico perché per qualcuno di voi potrebbe essere utile conoscerla, per rendersi conto che forse fino ad ora non ha sfruttato la propria vita al 100%, e allo stesso tempo per rendersi conto che nella propria vita, unito a Dio Nostro Signore, ha la possibilità di fare molto, ma molto di più di quanto supponga o possa immaginare.


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Cari membri dei Regnum Christi, vi invito a soffermarvi un istante a considerare cosa state facendo della vostra vita; ad analizzare se negli anni trascorsi avete corrisposto alle aspettative che Dio ha su di voi; e a domandarvi seriamente, guardando verso l’eternità che si avvicina, che cosa volete fare con la parte di vita che ancora vi rimane.


Pensate che voi, come uomini e donne dei Regno avete ricevuto da Dio don i grandissimi: l’esistenza, il battesimo, la fede, la conoscenza di Gesù Cristo, e moltissimi altri ancora; che Lui vi ha chiamati a realizzare una missione importantissima, all’interno del Regnum Christi, in questo brevissimo lasso di tempo tra la vostra nascita ed il momento in cui dovrete partire per l’eternità. La vostra vita è un pellegrinaggio, un passaggio fugace nel mondo. Durante e per mezzo delle vostre occupazioni quotidiane, durante e per mezzo della necessaria lotta quotidiana per costruire l’esistenza terrena, che cosa fate per edificare la vostra vita eterna? Tutti voi avete letto e conoscete molto bene la cosiddetta “parabola dei talenti”, che Matteo ci presenta nel capitolo 25 dei suo Vangelo. La parabola ci mostra come ogni uomo, al suo ingresso nella vita, riceve da Dio una certa quantità di “talenti”. Per gli antichi il talento era una moneta immaginarla che rappresentava una notevole somma di denaro.


Cristo usa questa immagine per spiegare che il compito primario nella vita è “investire” questo denaro, farlo produrre, e consegnare al Creatore i guadagni nel giorno della nostra entrata nell’eternità. L’atteggiamento di Dio nel giorno del giudizio, come risulta nella parabola, rivela con estrema chiarezza quali siano le aspettative che Lui ripone in noi. Il Signore premiò con larghezza quegli uomini che seppero raddoppiare il capitale. Ma ci fu uno che ebbe paura e che non volle correre rischi: invece di investire i suoi soldi, andò a nasconderli; il giorno della resa dei conti, restituì soltanto il denaro ricevuto. Questo fu castigato per la sua negligenza: non è che avesse perso il capitale; la sua colpa era stata di non averlo fatto fruttare.


Moltissimi commentatori dei Vangelo concordano nell’affermare che questi “talenti” sono tutti i doni che Dio ci dà in questa vita: le nostre proprie qualità e inclinazioni naturali, i beni materiali, i beni spirituali, ecc. La meditazione di questa parabola mi ha sempre suggerito che uno dei principali “talenti” che Dio ci affida è proprio il tempo. Mi chiama fortemente l’attenzione il fatto che in pochissimi si rendano conto che è proprio così. Si dà un’enorme importanza al fatto di saper sviluppare la propria intelligenza, le abilità artistiche o sportive, al saper mettere al servizio degli altri i beni posseduti, ecc., ecc. Non si considera però, ugualmente importante, o addirittura più importante, il saper impiegare avidamente il tempo che abbiamo a disposizione. Tuttavia resto convinto che quando ci presenteremo davanti al Signore, uno dei primi punti dei quali dovremo rendere conto dovrà essere questo: quale è stato l’uso che abbiamo fatto del tempo che abbiamo avuto a disposizione; quanto profitto ne abbiamo tratto, quali sono i guadagni, gli interessi che abbiamo ottenuto per Dio dall’investimento dei nostro tempo. Quel giorno non risulteremo colpevoli se avremo perduto forse un’opportunità di guadagnare un milione di dollari, ma se avremo perso un minuto.


Mi sembra una cosa terribile che un uomo possa presentarsi davanti a Dio ed offrirgli, come frutto di 80 anni di vita, ciò che forse avrebbe potuto realizzare in 20, o 40. Che spiegazione potrà dare? Che cosa fece con gli altri anni? Passare per la vita come passano le nuvole nel cielo in un giorno di bufera o, peggio ancora, vegetare e vagare, cercando solo di soddisfare i propri appetiti. Questo lo considero un peccato molto grave ‘ soprattutto per un cristiano il quale, in forza del battesimo, ha il seri o impegno di collaborare all’edificazione ed alla diffusione dei Regno di Cristo sulla terra. Per questa ragione vi raccomando di esaminare la vostra coscienza su questo punto ogni volta che vi accostate al sacramento della riconciliazione, e di chiedere perdono a Dio se troverete di aver sprecato dei tempo per pigrizia, negligenza o altra causa colpevole.


La parabola dei talenti ci rivela altresì che il nesso tra questa vita e quella futura non è solo quello che esiste tra il cammino e la vetta a cui conduce. Il fatto che la vita terrena sbocchi nell’eternità è qualcosa che si percepisce in modo immediato, quasi intuitivamente, almeno per coloro che non si lasciano offuscare da ideologie di tipo immanentista – materialista. Ma oltre a questo, esiste una proporzione tra il modo in cui amministriamo la vita presente e la felicità o infelicità della nostra vita futura. Anzi, il “grado” di felicità che uno raggiungerà nell’eternità, sarà proporzionato al modo in cui si sarà comportato in questo mondo. E ciò significa che dal modo in cui utilizzeremo il nostro tempo dipenderà il compenso che riceveremo nell’altra vita.


Indubbiamente questo è un mistero troppo grande per comprenderlo perfettamente con la nostra limitata mente umana. Ma questa è la rivelazione di Gesù Cristo, e sarebbe un’ingenuità ed una contraddizione comportarci come se Lui non ci avesse avvertito. Già San Paolo ebbe a che vedere con questa tentazione dei razionalismo umano, quando ammoniva I cristiani della Galazia: “Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella carne, dalla carne raccoglierei corruzione; chi semina nello Spirito dallo Spirito raccoglierà vita eterna. E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo a suo tempo mieteremo” (Gal 6, 79).


Ma non erano solo parole ammonitrici. Era soprattutto l’incitamento a condurre una vita degna, animandoli con la speranza del raccolto che avrebbero ricevuto. Questa vita, pertanto, è il tempo – l’unico tempo – per lottare e forgiare il proprio destino eterno. Secondo me trionfa nella vita colui che sa impiegare i pochi anni che gli sono stati dati per assimilare con la massima perfezione gli insegnamenti di Gesù Cristo nel Vangelo; colui che sa dedicarsi con ardore alla conoscenza e all’amore di Cristo, rinunciando ai suoi capricci ed alle sue passioni egoiste e sensuali; colui che scopre con chiarezza qual’è la missione che deve compiere in questo mondo e ad essa consacra le sue energie, le sue facoltà, la sua persona ed il suo intero essere, togliendo via da sé, con una responsabile e lucida scelta tutto ciò che ostacola o ritarda il conseguimento dei suo obiettivo fondamentale.


Una vita di questo genere è possibile solo quando è sostenuta da una fede profonda e da una speranza viva ed incrollabile in Dio. Questa fede e questa speranza vi faranno porre al vertice dei vostri aneliti, delle vostre aspettative e delle vostre certezze unicamente Dio, trascendendo la bellezza reale e gratificante, ma passeggera e caduca, delle cose che avete quaggiù. “Ora, cosa aspetto, Signore?” diceva il salmista, aggiungendo con intima gioia: “In te la mia speranza” (Sal 39, 8). Solo Dio, miei cari membri dei Regnum Christi, solo Dio è il fine della vostra vita. E’ Lui l’origine e la meta del vostro pellegrinaggio temporale. ‘”In Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28). Per Lui nasciamo. “Cì hai fatti per Te, o Signore, ed il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” (S. Agostino). Niente e nessuno, al di fuori di Dio, potrà soddisfare pienamente le vostre ansie di felicità. Per questo è maggiore tormento per l’uomo che vedersi allontanato dal suo Creatore, e testimone di ciò è la propria coscienza, quando accusa, perché si è infranta gravemente la legge di Dio.


San Paolo, che aveva i piedi ben piantati sulla terra, ma aveva il cuore ben ancorato nell’eternità, sentiva una divisione: desiderava vivere più a lungo per continuare a predicare il nome di Gesù Cristo ma allo stesso tempo era consumato dall’anelito di lasciare questo mondo. Esprimeva questo desiderio con un linguaggio proprio dei pazzi. E dei santi. “Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno ” (Fil 1, 2 1). E in un altro passo: “Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione stilla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna non costruita da mani d’uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: a condizione però di essere trovati già vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, poiché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita… Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore” (2 Cor 5,1-4).


Non c’è dubbio che tali frasi toccano la pazzia. Ma ci sarebbe da vedere chi sia veramente il folle: se Paolo, così limpidamente coerente con la verità, o coloro che lo giudicano in tal modo, poiché in fondo vivono attaccati – o meglio ancora attanagliati – ad un’esistenza piena di fatuità, di fumo e di inganno.


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Mi sembra incredibile come alcuni che si dicono credenti e che affermano di sperare nella vita eterna (o almeno lo ripetono nella professione di fede durante la Messa domenicale: “aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”), mantengano poi un tenore di vita come se in realtà la loro speranza si esaurisse nel tempo presente. E senza dubbio, se cercate tra tutte le cose che vi circondano, non incontrerete nulla di duraturo, nulla che possa darvi una sicurezza profonda ed inalterabile: il denaro, la fama, la scienza, il potere, i vostri svaghi e divertimenti, le vostre amicizie, gli studi, la posizione sociale, ed anche la vostra stessa famiglia. Tutte le realtà di questo mondo, sradicate dalla loro relazione con il Creatore, possono offrirvi soltanto soddisfazioni passeggere e superficiali. In fin dei conti son pur sempre creature, finite, limitate, temporali. Come mai vi sono persone che sprecano il proprio tempo preoccupati ciecamente solo di accumulare ricchezze, di cercare affannosamente il prestigio e il potere, e di dedicarsi a soddisfare qualsiasi piacere possibile?


Ciò mi pare per lo meno infantile e immaturo. E’ come se un alpinista desideroso di scalare la cima dell’Everest passasse tutta la vita a raccogliere attrezzi, utensili e viveri e si vantasse dì possedere la migliore piccozza, ma non intraprendesse mai l’ascesa verso la vetta.


Voi, che avete accettato di vivere e di far vivere un cristianesimo integrale, avete bisogno di porre il vostro cuore in Dio; dovete “aspirare alle cose di lassù”, sapendo riconoscere il valore relativo delle cose di quaggiù: “La dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6, 2 1), diceva il Signore, e poi invitava coloro che lo ascoltavano a preoccuparsi di accumulare tesori nel cielo e non sulla terra, confidando nella provvidenza amorosissima di Dio Padre, che nutre gli uccelli e veste i gigli dei campi.


Solo l’uomo di fede e dì speranza che vive intensamente la sua vita terrena cori l’anima profondamente rivolta al cielo, può comprendere quei paradossi del Vangelo: “Chi avrà trovato la sua vita la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Mt 10, 39) e “Qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa potrà dare l’uomo in cambio della propria anima?” (Mt 16, 26).


Occorrono intrepidezza e risolutezza particolari per prendere sul serio e radicalmente queste parole di Gesù Cristo. Ma nessuno di voi, uomo o donna, giovane o adulto dei Regnum Christi, dimentichi di essere stato chiamato da Dio per dare agli altri uomini una testimonianza vivente della verità di questo messaggio.


Non si tratta, peraltro, di alimentare un disprezzo irrazionale per le realtà di questo mondo. Le creature di Dio, infatti, racchiudono in se stesse la bontà. La Sacra Scrittura, nel racconto della Creazione, dice che quando Dio terminò di creare il mondo, “infine vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1, 3 1). E’ totalmente falsa l’accusa che si è soliti fare al cristiani, di essere persone disinteressate degli avvenimenti umani e di vivere alienati in vista di un mondo Ultraterreno.


Forse ci fu un tempo nel quale alcuni cristiani credettero in buona fede che questo dovesse essere l’atteggiamento autentico dei discepolo di Gesù. Già san Paolo dovette riprendere alcuni membri della comunità di Tessalonica perché, coi pretesto che il “tempo è breve”, si davano all’ozio, lasciando ai pagani l’incombenza di costruire la società civile. No. Il cristiano non disprezza le cose di questo mondo, né si disinteressa dell’azione temporale. Lo stesso san Paolo spiega molto bene ai cristiani di un’altra comunità, quella di Corinto, quale sia l’atteggiamento che devono prendere di fonte alla vita temporale presente e di fronte a tutte le cose che essa comprende, anche le più giuste e sante: “Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: poiché passa la scena di questo mondo!” (1 Cor 7, 29-3 1).


Non proibisce a nessuno dì avere moglie, né di piangere, né di ridere, né di comprare, né di usare il mondo. Ciò che pretende di insegnare loro è come devono comportarsi di fronte a queste realtà. Lì sta il segreto. Mentre trascorre la vostra vita in questo mondo, non potrete fare a meno di vivere il vostro matrimonio, rattristarvi delle cose tristi, rallegrarvi per quelle allegre, procurarvi i beni necessari per il sostentamento, acquisire un legittimo patrimonio familiare, sfruttare in modo sereno i doni del Creatore, collaborare nell’edificazione della società secondo le esigenze della giustizia e dell’amore cristiano. Ma facendo tutto questo come se non lo aveste, e come se non lo faceste. Cioè, senza fare di tutto ciò un fine, ma soltanto usando ciò come un mezzo per pervenire al fine, che è il possesso di Dio nell’eternità. L’alpinista raccolga pure l’attrezzatura necessaria, certo, ma scali la vetta; che non debba rinunciare alla soddisfazione puerile di inaugurare un nuovo equipaggiamento per la montagna. In verità alle volte ci sono alcuni che danno l’impressione di essere cattivi alpinisti e peggiori mercanti. Consumano tutti gli anni della loro vita a guadagnare sempre più soldi, solo per continuare a riempire le loro casseforti. Che enorme dissennatezza! Che cosa porteranno con sé nell’altra vita? E tutta l’abbondanza delle cose che lasciano, a chi o a che cosa servirà? Per dividere gli animi e distruggere le famiglie. “Come ombra l’uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga…” (Sal 38, 7).


Com’è diverso l’atteggiamento nobile e generoso di coloro che essendo stati favoriti da Dio con l’abbondanza dei beni materiali, mantengono il cuore distaccato e sanno colmarlo con un sano senso della giustizia e della carità cristiana! Possiedono un capitale, “come se non lo avessero”, vale a dire lo mettono al servizio degli altri. Lo investono intelligentemente, creano nuovi posti di lavoro, cercano di produrre per il bene comune. Insomma, per mezzo delle cose che hanno, aspirano ad “essere”, non a “possedere”. Per approfondire questo punto vi invito a rileggere quello che il Papa Giovanni Paolo II ha scritto nel quarto capitolo della sua Enciclica Centesimus Annus, nella quale svolge il tema della “proprietà privata e la destinazione universale dei beni”.


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Dicevo poco fa che il desiderio dell’eternità e la conseguente disaffezione nei confronti dei mondo, non conduce il cristiano ad una posizione di disinteresse nei confronti delle vicissitudini umane. Il Concilio Vaticano II lo ha chiarito molto bene nella costituzione pastorale Gaudium et Spes. Parlando proprio dell’attività umana nel mondo, spiega al n. 34 come l’uomo sia chiamato a prolungare, attraverso il suo lavoro e le sue occupazioni ordinarie, l’azione creatrice di Dio nel mondo (concetto che il papa Giovanni Paolo II sviluppa nell’enciclica Laborem Excercens). Ed il suddetto punto si conclude con queste parole: “il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lungi dall’incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più esigente “.


Vorrei che tutti i membri del Regnum Christi avessero molto chiara l’idea che la loro condizione di cristiani esige da un lato che essi pongano la loro fiducia e le loro certezze esclusivamente in Dio, ma dall’altro che si impegnino anima e corpo ad adoperare il proprio tempo e la propria attività professionale per la costruzione di un mondo edificato sui principi dei Vangelo di Cristo, non solo nel suo ordinamento religioso, ma anche in quello politico, culturale, economico e sociale. In altre parole, i membri dei Movimento devono sempre cercare, anche attraverso le proprie occupazioni, la costruzione della civiltà della giustizia e dell’amore. Il Vangelo deve assolutamente penetrare ed animare tutti gli ambiti della società e della cultura. Nella realizzazione di questo compito voi, uomini e donne del Regno, dovete essere protagonisti di primissimo ordine. Qui comincia il vostro impegno di lavorare per l’instaurazione dei Regno di Cristo, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, nella Costituzione Dogmatica Lumen Gentium: “Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali ed ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i singoli doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di citi la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’intento a modo di fermento, alla santificazione del mondo, mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico” (LG. 3 1).


E’ proprio questa l’idea che desideriamo esprimere quando parliamo dell’impegno che ha il membro del Regnum Christi di illuminare le cose di questo mondo alla luce dei Vangelo: “Il cristiano, in virtù della sua partecipazione alla regalità di Cristo, deve lavorare ardentemente e con impegno per il rinnovamento dell’ordine creato, indirizzando tutte le realtà temporali secondo il disegno di Dio, al vero fine dell’uomo, fino all’avvento, possibile sii questa terra, di quel Regno di santità e di vita, di verità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace”.


Ma il Regno di Cristo non si identifica semplicemente con l'”ordinamento degli affari temporali secondo Dio”. Il Regno di Cristo comporta l’accettazione della persona di Gesù Cristo e la libera sottomissione alla Sua signoria. Lottare per estendere questo Regno è annunciare Gesù Cristo agli uomini, perché sia conosciuto, amato e seguito da essi. E’ per questo che il membro dei Movimento concepisce la sua vita e il suo passaggio sulla terra come una missione: “Cercate prima il regno di Dio e la stia giustizia… “. Ed è significativo che noi incontriamo questa esortazione di Gesù nel contesto dell’insegnamento riguardante la necessità di avere fiducia nella Provvidenza di Dio, senza preoccuparci per quello che mangeremo o di come ci vestiremo domani. Perciò aggiunge e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta ” (Mt 6, 33).


In questo modo la vita, concepita come una missione, acquista per il membro del Regnum Christi un peculiare carattere apostolico all’insegna della lotta e della militanza, che nasce dall’urgenza di fare arrivare il regno di Dio a tutti gli uomini che ancora non lo conoscono o non lo accettano. Ciascuno di voi dovrebbe sentire nel cuore questo santo ardore che tanto spronava il cuore di San Paolo e lo spingeva a lanciarsi in tutte le avventure possibili e immaginabili allo scopo di annunciare Gesù Cristo: “Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo! ” (1 Cor 9, 12).


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Questa urgenza di annunciare ed estendere il Regno costituisce in ultima istanza il motivo che dà senso all’esistenza stessa dei Regnum Christi. In un certo senso possiamo dire che, dal momento in cui entra a far parte dei Movimento, ogni membro ri-incontra il senso della sua esistenza in questo anelito di spendersi senza misura per la più nobile causa per la quale valga la pena di impegnare tutta la vita. Voi siete dei Regno e per il Regno. Il vostro tempo porterà frutto davanti a Dio nella misura in cui lo investirete nel Regno e per il Regno.


Non che il Movimento pretenda di essere possessivo e invadente nei confronti della vostra vita; neppure può dirsi che il Movimento essenzialmente aggiunga nuovi impegni, giacché si presenta solo come una forma, tra le molte che vi sono nella Chiesa, per realizzare la vita cristiana. E’ la vita cristiana che comporta nella sua intima essenza il profondo impegno di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini. Per questo diciamo che “l’apostolato è il modo migliore per dare senso alla vita ed accumulare via via, nella banca dell’eternità, i fondi della vita con una misura di interessi che è infinita. Nessuno può sostenere con onestà di non avere tempo per essere apostolo, perché è come se dicesse di non aver tempo per essere cristiano. Nessuno può dire che non può dare nulla, perché sarebbe ingiusto verso Dio. Nessuno può dire che fa troppo apostolato, perché il suo essere apostolo è un atteggiamento vitale che deve affiorare in ogni momento, luogo e circostanza“.


Che cosa offre, allora, il Regnum Christi ai suoi membri affinché sviluppino la loro vocazione di apostoli cristiani? Una spiritualità, un’organizzazione, una metodologia e delle opere concrete di apostolato. Ma quello che interessa qui mettere in evidenza con vigore è questo tratto caratteristico che definisce il profilo dell’uomo dei Regno, maturo, pienamente cosciente della sua origine, della sua missione e del suo destino: la militanza.


Militanza che non ha niente a che fare con atteggiamenti fanatici di stampo politico, rivoluzionario e neanche religioso. Militanza che è piuttosto uno stile di adesione personale a Gesù Cristo e uno sforzo deciso a lavorare all’estensione del suo Regno: “I1 Movimento Regnum Christi definisce militanti i suoi membri, volendo significare con ciò dei cristiani convinti e coerenti che cercano l’identità tra ciò che credono e ciò che vivono: che si sentono impegnati a dare ragione della propria fede; che si servono efficacemente dei mezzi che il Movimento offre loro per fare fruttare i talenti concreti con i quali il Signore li ha arricchiti per il bene della Chiesa e del Movimento medesimo”.


L’apostolo militante che il Movimento desidera formare in ciascuno di voi è un uomo convinto dei fatto che il mondo ha bisogno di Cristo, e che Cristo ha bisogno di lui per arrivare al mondo. E’ quell’uomo che sa dare il meglio di se stesso e mette al servizio della Chiesa i suoi doni, il suo tempo e la sua persona. E’ un uomo penetrato profondamente dalla carità di Cristo verso l’umanità, e si sforza di stare sempre in atteggiamento di servizio, si dà senza calcoli al lavoro per Cristo e per il suo Regno. E’ un uomo che tutto trasforma in strumento e mezzo per dilatare il Regno, che cerca e sfrutta tutte le opportunità; che fa della sua vita quotidiana, in famiglia, all’università, nel lavoro, un esercizio continuo di apostolato; che non cessa di darsi da fare fino a che tutte le persone attorno a lui conoscano e vivano il Vangelo di Gesù Cristo. E’ l’uomo che ha fatto intimamente suo il denso significato del nome “Regnum Christi”: “la decisione di dedicarsi anima e corpo a far arrivare alle parti più remote del mondo la conoscenza e l’amore di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Via, Verità e Vita per l’uomo; lo sforzo di impregnare di spirito evangelico le realtà più diverse dell’esistenza umana, come la famiglia, il lavoro, la gioia, il dolore, la convivenza, l’uso dei beni materiali, il riposo … ; la sollecitudine di seminare dovunque i valori del nuovo Regno: la carità, la bontà del cuore, la giustizia, la verità, la pace con Dio e con gli uomini, il rispetto, il perdono; l’impegno a lavorare strenuamente perché il maggior numero di esseri umani diventino, già in questa terra, membri di questo Regno che non finirà mai; la ricerca della promozione, in tutte le sue opere e attività, della crescita dell’uomo interiore per la fede e l’unione con Dio “.


Sarà perciò apostolo militante colui che dà non una parte del suo tempo, ma tutta la sua vita alla causa del Regno. Questo non significa che apostolo può essere solo chi opta per una vita di consacrazione a Dio. Quello che desidero dire è che tutti voi, uomini e donne dei Movimento, siete chiamati ad imprimere a tutta la vostra esistenza, qualunque sia il vostro stato di vita, condizione od occupazione, una dimensione nettamente apostolica, respingendo con ogni energia qualsiasi forma di egoismo, pigrizia o pusillanimità. In tal modo il vostro tempo, il breve tempo che Dio vi ha concesso, produrrà frutti abbondanti per l’eternità che vi attende. Ed il piano di Dio, dei quale siamo solo anelli di una catena, continuerà ad attuarsi raggiungendo frontiere sempre più vaste.


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Quali sono, potreste a volte chiedervi, le occupazioni concrete nelle quali devono essere spesi i vostri giorni e le vostre ore? Mi sembra una domanda fondamentale, e mi auguro che tutti desideriate proporvela e risolverla in presenza di Dio, il padrone dei talenti che dovete amministrare.


Dovete innanzitutto dedicare il tempo necessario a realizzare i doveri del vostro stato, cercando di adempierli con la massima perfezione e per amore a Cristo. Qui cominciano la devozione e l’apostolato. Che il giovane si dedichi ai suoi studi con responsabilità. La madre di famiglia curi la casa con diligenza; se lavora lo faccia con serietà, e si assicuri che le sue assenze dal focolare domestico non comportino detrimento nella formazione dei figli. Il professionista, l’imprenditore, il politico e ognuno in qualunque attività svolgano le loro attività con un senso cristiano della propria responsabilità sociale. Ricordate che la vostra condizione di discepoli di Cristo vi coinvolge in una dedizione seria, professionale, alle vostre attività quotidiane. Cercate, come già sottolineavo prima, di impregnare dei valori evangelici i diversi ambienti nei quali vi dovete muovere.


Cercate anche di dare ogni giorno uno spazio a Dio. Egli merita la nostra lode. E noi abbiamo bisogno della sua grazia. Il Regnum Christi vuole aiutarvi in questo proponendovi alcuni “impegni”. Siate generosi con Dio e cercate di riservare a Lui i momenti più nobili della vostra giornata.


Devo dire una parola anche a proposito dei tempi di divertimento e di svago. Naturalmente sono necessari per mantenere un sano equilibrio interiore. Tuttavia molto spesso si cade in eccessi impropri e non necessari. Non mi riferisco al fatto che un cristiano deve scartare un certo tipo di spettacoli e di intrattenimenti che nel loro contenuto o nei loro eccessi offendono Dio. Mi riferisco al fatto che alcuni perdono ore e giorni nell’ozio, in chiacchiere, in conversazioni prive di sostanza, in mille frivolezze che fanno sprecare il tempo e rendono sterile la vita degli uomini.


Sarebbe interessante che ciascuno di voi facesse un bilancio quantitativo dei tempo che dedica ogni settimana o ogni mese al puro intrattenimento. Se poi confrontate il risultato con le ore che dedicate specificamente all’apostolato, probabilmente troverete una grande disparità, e non precisamente in favore dell’apostolato.


Arriviamo così all’ultimo elemento fondamentale che deve occupare il vostro tempo. Le attività formative ed apostoliche. Sono lì, a vostra disposizione, perché in esse e per mezzo di esse compiate la missione che Dio vi ha assegnato in questa vita. Prima di tutto le attività formative, per crescere spiritualmente e dottrinalmente. Sappiate sfruttarle intensamente. Non farlo per negligenza o mancanza di interesse sarebbe una triste omissione. Partecipate attivamente e puntualmente agli Incontri con Cristo al circoli di studio, al dialogo spirituale, ai ritiri, ai convegni che il Movimento vi offre. Tutto ciò riempirà il vostro spirito e la vostra mente per il vostro beneficio personale e per avere qualcosa da comunicare agli altri.


Le attività apostoliche che voi potete svolgere nel Movimento sono estremamente varie. La prima è cercare che altri traggano beneficio dai mezzi spirituali, formativi ed apostolici dei quali voi disponete per vivere e fare vivere con maggiore autenticità la vita cristiana in seno alla Chiesa. Se davvero è vivo il vostro desiderio di far crescere il Regno di Dio e di far giungere al mondo l’annuncio del Vangelo, offrite agli altri quello che voi avete, sfruttando con zelo tutti i vostri contatti. Qui si misura la vera militanza degli apostoli del Regno. Se vi dice qualcosa il bisogno di luce che hanno gli uomini, allora cercherete con ogni mezzo di guadagnare nuovi apostoli alla causa di Gesù Cristo.


Ma avete anche le diverse opere di apostolato che il Movimento mette in opera e che voi stessi, individualmente o in gruppi, potrete desiderare di proporre per il bene della Chiesa. Lavoro ce n’è in abbondanza, e per tutti. Occorrono solamente cuori capaci di vibrare di fronte alle necessità della Chiesa e dell’umanità, braccia generose e pronte a collaborare, persone combattive disposte a dare il proprio tempo.


Un modo molto fecondo di lavorare per l’estensione dei Regno di Cristo consiste nel porre il proprio lavoro professionale al servizio di qualche istituzione ecclesiale o privata che persegua in se stessa un obiettivo apostolico o di servizio. Prendiamo alcuni esempi che avete a portata fra le opere di apostolato del Regnum Christi: scuole, mezzi di comunicazione sociale, università, scuole della fede, ecc. In tal modo, quello che per la maggior parte delle persone è solo un semplice mezzo per il sostentamento della famiglia, può diventare per voi anche un lavoro apostolico specifico. Quale maniera migliore di investire i talenti che avete ricevuto da Dio?


Parlando della donazione dei vostro tempo al lavoro apostolico voglio lanciare ancora una volta l’invito a tutti i membri del Regnum Christi, specialmente delle sezioni giovanili, a dare due anni interi della propria vita a servizio dei Regno. Non potete immaginare il bene immenso che potremmo fare alla Chiesa e all’umanità se ogni anno potessimo disporre di 500 o 600 giovani – ed in futuro 2.000 o 3.000 – per portare avanti apostolati di vasta portata. Due anni dedicati a Cristo, confrontati con i 60, 70 o 80 che Dio vi darà, sono veramente pochi. Non sono neanche il 3% della vostra vita. Coloro che hanno desiderato essere generosi ed hanno dato a Cristo questa breve porzione dei proprio tempo, potranno dirvi quanto fecondi ed arricchenti sono stati per loro questi due anni di servizio dei Regno. Forse è più importante ottenere quanto prima un buon posto che fare qualcosa per Cristo… Lo sapremo nell’eternità.


Infine, e rivolgendomi ancora ai giovani, non abbiate paura di affrontare con onestà, se vi si presenta, il problema della donazione di tutto il vostro tempo per la predicazione e l’estensione dei Regno. E’ chiaro che Cristo chiama alcuni di voi a consacrare la propria vita all’interno dei Movimento. Siate generosi per ascoltare tale chiamata e seguirla con coraggio. Guardate l’esempio degli apostoli. di Pietro, di Giovanni, di Matteo: un bel giorno il Signore passò vicino a loro, li guardò, li amò, li chiamò. Ed essi, dice testualmente il Vangelo, “abbandonando tutto lo seguirono” (Lc 5, 11).


Non abbiate paura se Cristo vi manifesta un amore speciale. La chiamata alla vita consacrata è un dono che non ha prezzo. Ed il mondo e la Chiesa hanno bisogno della testimonianza e della oblazione generosa di coloro che sono chiamati dal Signore. li Papa, nel suo messaggio per la XXX giornata di preghiera per le vocazioni, dice: “Carissimi giovani: lasciatevi interpellare dall’amore di Cristo. Riconoscete la sua voce, che risuona nel tempio del vostro cuore. Accogliete il suo sguardo luminoso e penetrante, che apre le strade della vostra vita agli orizzonti della missione della Chiesa impegnata, oggi più che mai, ad insegnare all’uomo quale sia il suo vero essere, il suo fine, il suo destino, e nel rivelare alle anime fedeli le ineffabili ricchezze della carità di Cristo. [ … ] Giovani: aiutate la Chiesa a conservare giovane il mondo”. Se la vita è il tempo in cui l’uomo costruisce l’eternità, sarà possibile trovare un modo migliore di spendere la vita che aiutare gli altri uomini a guadagnare la vita eterna?


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Prima di terminare. vorrei aggiungere ancora una riflessione, che scaturisce in qualche modo da quanto abbiamo detto. La condizione di temporalità nella quale si sviluppa la vita umana ci colloca, quasi necessariamente. in continuo contatto col mistero dei dolore, della sofferenza e, in ultima analisi, con la morte. E’ qualcosa che constatiamo immediatamente. Non c’è bisogno di spiegarlo ulteriormente. La morte ci tiene d’occhio ad ogni passo. A dispetto della perpetua distrazione nella quale molti sembrano vivere, sappiamo che essa ci spia ad ogni svolta dei nostro cammino. Le sofferenze e le pene che a volte ci fanno piangere, altro non sono che richiami di questo termine che ci apre la porta sull’eternità.


Come affronta il cristiano il mistero dei dolore e della morte? Questa è stata la pietra di scandalo di tutte le filosofie ed ideologie che non riconoscono la rivelazione dei cristianesimo. Senza la luce della fede, la mente umana ha fallito tutte le volte che ha tentato di trovare una soluzione. Dall’aspra rassegnazione degli stoici fino all’angoscia vitale degli esistenzialisti, le risposte sono risultate insufficienti per il cuore dell’uomo, che anela ad una speranza che va molto al di là delle evidenze empiriche. Il credente sa anche che le sofferenze umane sono state riscattate dalla croce di Gesù Cristo. E sa che questa croce, senza eliminare il dolore, lo eleva, gli dà senso, gli conferisce un valore altissimo, niente meno che un valore di redenzione, poiché è partecipazione alla passione e morte dello stesso Gesù Cristo. “Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Certa è questa parola: Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo” (2 Tm 2,10-12).


Mentre molte credenze, ideologie, progetti politici, sociologici o psicologici o anche la stessa scienza medica promettono vanamente all’uomo la soppressione del dolore, la rivelazione cristiana mostra che il dolore, nonostante la sua paradossale consistenza, è anche via di umanizzazione e di elevazione della persona. Non lo inganna con false promesse. Essa invece offre all’uomo l’integrità e la fortezza necessarie per sopportare con gioia, non con rassegnazione, le fatiche dei cammino.


Proprio la speranza teologale e la certezza che questa breve vita ha il suo culmine nella felicità eterna sono per il cristiano fonte di consolazione e di fortezza: “Io ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rom 8,18). “Per questo non ci scoraggiamo, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gioia, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne.” (2 Cor 4, 16-18).


Desidererei che i membri dei Regnum Christi, animati da una gioiosa e profonda speranza teologale, fossero veramente nel mondo secolarizzato di oggi una testimonianza raggiante del fatto certissimo che al di là dei sipario della morte esiste una vita eterna, il cui possesso giustifica tutte le carenze ed i dispiaceri di questa vita. Che non vi siano mai tra di voi residui di amarezza o tristezza. Sappiate, al contrario, offrire a quanti vi circondano una parola convinta di conforto e di speranza nell’ora della tribolazione.


Ma ancora di più. Che il vostro amore per Gesù Cristo ed il desiderio di unirvi a Lui eternamente ed in modo definitivo siano così intensi che possiate sperimentare come San Paolo il desiderio di soffrire per Lui. E non solo questo: che sentiate quella divisione interiore di volere, da una parte lottare tutto il tempo possibile per annunciare ed estendere il Regno di Cristo, e dall’altra – somma pazzia dei santi – bruciare dall’ansia di essere già alla meta finale, lì dove la contemplazione dei volto di Dio, senza veli né misteri, genera felicità suprema ed eterna. Se questa è pazzia, dovremo dire che il cristianesimo non è per i savi. E di conseguenza neanche il Regnum Christi. D’altronde San Paolo non diceva che il Cristo nel quale crediamo, morto e crocifisso per noi, è “scandalo per i giudei stoltezza per i gentili”? (1 Cor 1, 23). Dio vi liberi dal “buon senso” di questo mondo…


Dio voglia, cari uomini e donne dei Regnum Christi, concedervi la sua luce per prolungare nei vostri cuori le riflessioni che ho cominciato con questa lettera. Che vi dia la sua grazia perché abbiate il coraggio di decidere coerentemente quale sarà la direzione e quale contenuto vorrete dare agli anni di vita che avete davanti. Dio voglia che le vostre vite non siano meteoriti fugaci che squarciano solo per un istante l’oscurità della notte. Possiate “brillare come torce in questo mondo, mostrando agli uomini la Parola della Vita ” e nel giungere alla gloria eterna, possiate ricevere l’eredità incorruttibile, immacolata ed immarcescibile riservata nel cielo a voi, a coloro che il potere di Dio, per mezzo della fede, protegge per la salvezza, preparata fin da ora per essere rivelata nell’ultimo giorno”.


Con la mia rinnovata gratitudine per il vostro ricordo e le vostre preghiere, mi confermo di voi tutti, affezionatissimo servitore in Gesù Cristo,


Padre Marcial Maciel, L.C.
(Fondatore dei Legionari di Cristo, N.d.R.)


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