San Luigi di Francia

Possiamo soffermarci un momento a considerare l’aspetto di questo re di Francia che già al suo tempo il popolo chiamò ” il re santo”: Luigi IX. Nella nostra epoca (ma a livello giornalistico, non storico) si è cercato di contestarlo, senza grande successo. Fino al XX secolo l’unanimità è stata completa. Gli si è inchinato persino Voltaire, che come è noto non è stato tenero ne con i re ne con i santi: “Non è stato dato all’uomo di realizzare meglio la virtù” scrive al suo riguardo.

Quando si esamina la sua vita, si impone un’analogia: san Luigi che, nel 1259, restituisce al re d’Inghilterra Enrico III terre che aveva conquistato combattendo lealmente contro di lui, fa pensare a Enrico II imperatore che fa il primo passo, perché è il più potente. Infatti il re d’Inghilterra era stato vinto, e in questo caso solo il vincitore ha la possibilità di fare il primo passo, di mostrarsi generoso. Questa concezione dei rapporti internazionali non è stata quasi capita; ma, a ben vedere, oggi un procedimento equivalente non potrebbe forse consistere nelle misure prese dopo la seconda guerra mondiale dagli Stati Uniti? Il piano Marshall infatti consisteva nell’aiutare l’ex nemico; si tratterebbe di un progresso rispetto alla zona dominata da Machiavelli? E nel 1959 è stato commemorato, in Francia, quel trattato di Parigi che aveva lasciato indifferenti gli studiosi dei tempi classici della storia francese. Nel suo settimo centenario si poteva considerare come tale atto emanasse non solo da un vero desiderio di pace, ma anche dalla saggezza umana; non possiamo dimenticare che il piano Marshall era dettato soprattutto da motivi economici di ordine mondiale, mentre il trattato di Parigi, restituendo al re d’Inghilterra una parte delle terre perdute con la disfatta subita alcuni anni prima, esprimeva una concezione più sottile e incontestabilmente più elevata: aveva lo scopo di “mettere amore tra i nostri figli e i suoi, che sono cugini in primo grado ” diceva il re. Creare amore là dove ci sarebbe stato odio è uno scopo consigliato sia dalla saggezza umana che dal Vangelo. Il risultato è stato mezzo secolo di pace, interrotta da Filippo il Bello che, con le sue mire ambiziose e non realistiche, ha provocato la ” guerra dei Cent’anni “.


E’ stata felicemente conservata una giusta immagine di san Luigi: quella del re attento a rendere giustizia, presso quella quercia di Vincennes a cui il re si accostava per ascoltare personalmente i ricorrenti, e tentare di riconciliare le parti avverse. Dopo la sua morte si diffuse un po’ ovunque un compianto popolare:


A chi mai si potrà rivolgere la povera gente,


quando è morto il buon re che li seppe tanto amare?


Il senso della giustizia, la sua ostinata ricerca hanno effettivamente orientato tutto il regno e gli sforzi di san Luigi, persuaso che la giustizia fosse il primo effetto di ogni forma di carità. Anche in lui, come nel salmo già citato, ” giustizia e verità si abbracciano “.


Luigi nasce il 25 aprile 1214, l’anno della battaglia di Bouvines, e cinque anni dopo l’inizio di quel dramma albigese a cui pone fine; è vero che la pace sopraggiunta nel 1219 nel Mezzogiorno straziato è opera soprattutto di sua madre, la regina Bianca. Resta il fatto che non erano più favorevoli per lui che per molti altri le circostanze che pure gli permisero di instaurare, in Francia, la pace che caratterizza il regno di Luigi IX, e che è interrotta solo da alcune rivolte nel Mezzogiorno (1242-1244) – le quali, a dire il vero, sono scatenate soprattutto dalle subdole ambizioni del re d’Inghilterra; è lui a provocare l’unico scontro militare autentico, segnato dalla vittoria di Luigi a Taillebourg e Saintes nel luglio del 1242.


Si potrebbe sognare a lungo, davanti alla figura di questo re – veramente un santo da vetrata, se si crede alle descrizioni che ne hanno fatto i suoi contemporanei: “Aveva il volto di un angelo… occhi di colomba… capelli biondi sempre pettinati molto bene… non vidi mai un cavaliere così bello, poiché sovrastava gli altri di tutta la testa… “.


Luigi e sua sorella Isabella, che fonda il convento delle clarisse di Longchamp dove termina i suoi giorni, hanno ereditato la bontà d’animo e la fragile grazia della nonna Isabella di Hainaut. La pietà di entrambi ha colpito i contemporanei. Luigi si alza di notte, tutte le volte che può, per recitare il mattutino coi suoi cappellani, e continua il rendimento di grazie dopo la messa quotidiana, al punto che i suoi compagni si spazientiscono. Sebbene di temperamento vivace e anche violento (ha sangue castigliano nelle vene!), saprà dominare a poco a poco la sua natura impetuosa e obbligarsi a una dolcezza nata dal rispetto degli altri: ” a ciascuno parlava sempre al plurale ” osserva uno dei suoi biografi che lo ha conosciuto bene, il confessore della regina Margherita, Guglielmo di Saint-Pathus. Tuttavia in quell’epoca è usato il “tu” nei confronti di tutti, e per un re dare del ” voi ” a tutti è molto significativo; come lo è il fatto che Luigi si astenga dal redarguire il valletto maldestro che ha lasciato cadere cera bollente sulla gamba malata, tumefatta, dolorante del re! O, ancor più, come ha un importante significato la pazienza che san Luigi dimostra ascoltando fino in fondo le ingiurie che gli rivolge sulla porta del palazzo reale la vecchia Sarretta, furiosa di avere perso il suo processo, che la scorta vuole far tacere e che il re proibisce esplicitamente di molestare. E questa dolcezza, questa estrema attenzione dimostrata per gli altri nella vita quotidiana, non gli impediscono di esercitare con fermezza la giustizia reale, foss’anche nei confronti del fratello Carlo d’Angiò, di cui fa cassare una sentenza pronunciata nei confronti di un cavaliere, dopo un’inchiesta accurata, e senza tenere conto della sua dignità di principe del sangue.


D’altronde proprio questo ci interessa soprattutto in questa sede: il modo in cui intendeva l’esercizio del potere.


Tutto sommato, il caso di san Luigi dovrebbe permettere di rispondere alla domanda: come può diventare santo chi è re e detiene il potere? È vero che fino agli ultimissimi anni gli storici trascuravano un poco san Luigi. L’esposizione di Joinville, suo compagno e pio memorialista, permetteva di seguire molto da vicino i principali fatti della sua esistenza. Ma intorno al suo regno, al suo governo, disponevano solo di una sintesi, quella di Le Nain de Tillemont, composta nel XVIII secolo e pubblicata nel XIX. Oggi le opere di due grandi storici – Jean Richard e Gerard Sivery – ci permettono un approccio più completo al personaggio di san Luigi, anche se ci manca ancora l’essenziale di ciò che vorremmo possedere, il catalogo completo dei suoi atti, dunque di tutti i documenti scritti emanati da lui.


Ciò premesso, non abbiamo difficoltà a riconoscere, nella persona del re, quello che è il fondamento di ogni santità: la sua fede, la sua speranza, il suo amore di Cristo, espressi nella vita pratica da quell’amore per le persone semplici che lo distingue fin dall’adolescenza; si alza all’alba, si veste come un domestico, e si reca a fare discretamente l’elemosina ai poveri che si sono potuti raccogliere davanti al palazzo reale, e tutta la sua vita è caratterizzata da una predilezione per i più derelitti: i ciechi, per i quali fonda l’ospedale dei Quinze-Vingts, i lebbrosi, davanti a cui si va a inginocchiare, implorando le loro preghiere, a Saint-Lazare, prima di partire per la Terrasanta. Ma possiamo andare più in là, e riconoscere, nelle decisioni che prende in quanto re, il riflesso e come il risultato di una santità che non cessa di svilupparsi.


Un esempio ci colpisce soprattutto: si tratta di quelle inchieste reali che sono un’innovazione del regno. Infatti nel gennaio 1247 (un anno prima di partire per la Terrasanta, per cui la decisione è legata ai suoi preparativi per la partenza) dispone, con una lettera reale, di inviare inquisitori, a coppie, in ogni parte del suo regno, per raccogliere tutte le lagnanze che le persone umili e povere potrebbero muovere nei confronti dei balivi e siniscalchi del re; in altri termini provoca egli stesso un esame critico dell’amministrazione regia, da parte del popolo. Lo storico Petit-Dutaillis fa notare che, di tutte le decisioni prese da san Luigi, era forse quella che aveva più contribuito alla sua popolarità. Non a caso. Infatti sotto il suo regno l’amministrazione progredisce incessantemente; si estende nello spazio, poiché il dominio personale del re si è ingrandito, specialmente a causa della troppo famosa ” crociata contro gli albigesi “, che ha fatto passare sotto l’amministrazione diretta del re più regioni che, come il siniscalcato di Carcassonne, in precedenza erano sue dipendenze feudali, e quindi facevano parte del regno, però non sottostavano alla sua autorità diretta; e, nello stesso tempo, per forza di cose, si è manifestata in occasioni che concernevano direttamente il popolo, poiché – in particolare a proposito di queste guerre meridionali – furono imposte tasse, fatte requisizioni a spese della popolazione, sotto forma di cavalli, foraggio, eccetera. In ogni modo, al di fuori delle regioni che sono state vittime di episodi bellici, la lontananza dei balivi e siniscalchi permette loro di comportarsi spesso come piccoli despoti locali, dotati di potere, poiché dispongono della forza coattiva: polizia, giustizia, eccetera. Luigi IX invia dunque, a coppie, frati mendicanti: godono della fiducia delle persone semplici, e non si lasciano intimidire dagli agenti del re; questi inquisitori registrano su pergamene che possediamo ancora quasi interamente, e così fanno pervenire al palazzo reale tutte le lagnanze – talvolta gravi, quando si tratta di una signora che, nel suo feudo, è stata privata del suo diritto di giustizia, talvolta infime, poiché s’incontrano proteste a proposito di una coperta rubata dai soldati del re, o di due vacche che non sono state rimborsate al contadino.


Era in verità una misura estremamente importante, che si sarebbe dovuta conservare nei secoli, poiché il solco fra il potere e il popolo non ha cessato di approfondirsi, e questo sia nel nostro XX secolo che nel XVII.


La santità di Luigi IX si è dunque fatta sentire sul piano del diritto pubblico, e se questa misura non ha avuto conseguenze, se non è neanche stata ripresa nei tempi immediatamente successivi, nel XX secolo può sollevare un problema, e, forse, suggerire qualche idea nei confronti di un’amministrazione che dispone ormai di un potere tentacolare e oppressivo, assolutamente sproporzionato alla sua efficacia.


Il re Luigi è chiamato per la prima volta “santo” in Terrasanta: mercanti armeni si presentano all’ingresso del suo accampamento e chiedono di vedere “il santo re”. La fama della sua pietà personale, il suo bisogno di giustizia e di verità (” per nulla al mondo avrebbe voluto mentire” scrive Guglielmo di Saint-Pathus), gli hanno già valso una venerazione popolare che lo circonda e che è unanime. ” Gli stessi saraceni lo consideravano molto santo, molto leale e molto saggio” testimonia il suo confessore, il domenicano Goffredo di Beaulieu; e non conosce né i suoi digiuni né le sue penitenze, che il re tiene gelosamente segrete: al punto da ritagliare l’interno delle suole delle sue calzature, per camminare a piedi nudi senza che nessuno se ne accorga! C’è dunque in lui la ferma volontà di non godere del benessere che gli assicura il suo stato di re, ma di sacrificarlo segretamente. La sua fama non cesserà di estendersi: gli chiedono di arbitrare fra il papa e l’imperatore, fra il re d’Inghilterra e i suoi propri baroni. E tutti i giudizi concordano, sono unanimi. Proprio Matteo di Parigi, cronista inglese poco incline all’indulgenza, lo chiama ” il re dei re terreni “; ma più ancora lo esalta quella “vox populi” che è quella del suo popolo, di cui ha sempre promosso la libertà e le risorse, che ha saputo far vivere nella pace e nella prosperità, senza per ciò trascurare un altro dovere del sovrano: donare al regno splendidi monumenti la cui gemma resta la Sainte-Chapelle; creare anche, in questa stessa cappella, una biblioteca reale (e successivamente nazionale), infine favorire quella che noi chiamiamo la vita culturale. Nulla potrebbe commuovere più della constatazione, nelle indagini fatte a Saint-Denis, dodici anni dopo la morte del re, che tutte queste persone umili lo chiamano già “il santo re”, quindici anni prima della canonizzazione ufficiale, che ha luogo nel 1297.


Nella stessa epoca Joinville, scrivendo le sue Memorie relative al re che era stato suo compagno, notava con energia quanto fosse decaduto il potere nelle mani di Filippo il Bello. Osava persino scrivere quello che nessuno oserebbe scrivere oggi, sotto un regime totalitario: ” Che stia in guardia, colui che regna attualmente, che espii i suoi misfatti in maniera che Dio non colpisca crudelmente lui e i suoi beni… “; e sappiamo che il cavaliere, nato dieci anni dopo il re suo amico, morì solo nel 1317, dunque quasi centenario, e quasi mezzo secolo dopo san Luigi. A distanza di tempo – come osserva un collega dell'” École des Charles ” (la scuola di paleografia di Parigi) che conosce bene quell’epoca -, san Luigi rappresenta in effetti un vertice della santità al potere tale che ci chiediamo come, umanamente parlando, i suoi successori avrebbero potuto sostenere il confronto con lui, o semplicemente lo sforzo di uguagliarlo: forse non potevano evitare di esser gli inferiori. Resta il fatto che la fine del XIII secolo non è che una successione continua di guerre, di angherie e di pretese intollerabili da parte del potere.


D’altronde si è potuto notare che san Luigi cerca meno di cambiare le strutture che di migliorare i costumi e facilitare l’esercizio di una giustizia rigorosa. Non ha legiferato, ciò che era del resto incompatibile con i poteri molto limitati del sovrano feudale; non ha aggiunto altre istituzioni a quelle esistenti, ma ha voluto vegliare al loro onesto funzionamento, e proprio questo desiderio che le condizioni di ognuno migliorino entro la cornice in cui vive lo ha indotto a innovazioni che segnano fortemente il suo regno.


Pur rinviando alle ultime opere relative a san Luigi, ne ricordiamo tre che sono essenziali: in primo luogo l’abolizione del ” duello giudiziario “. Era una maniera alquanto sommaria di risolvere le vertenze, quella di designare un campione e dichiarare giusta la causa di colui che aveva vinto; di fatto il duello giudiziario era caduto più o meno in desuetudine all’epoca di san Luigi, ma la nobiltà lo considerava ancora una tradizione o un privilegio. Abolendolo, il re si fa qualche nemico tra i suoi vassalli di più alto rango, ma afferma la sua opposizione alle tendenze reazionarie di questi ultimi. D’altronde abbiamo già menzionato le sue inchieste, destinate a verificare il buon funzionamento dell’amministrazione, ossia a vigilare sugli abusi di potere che essa avrebbe potuto commettere. Infine – ed è un’altra innovazione di san Luigi – egli ripristina la moneta aurea: in Europa non ne erano più state coniate dalla fine del VII secolo. Nel XIII, solo Federico II nell’impero e la città di Firenze hanno creato una moneta d’oro; nel 1266 san Luigi inaugura, in Francia, il conio di una moneta d’oro fino, lo scudo, che testimonia come questo re mistico avesse preoccupazioni molto concrete, quanto all’economia del regno.


Tuttavia questo stesso XIII secolo rappresenta una meravigliosa alleanza tra il potere e la santità in altri luoghi dell’Europa: nello stesso momento in cui san Luigi regna in Francia, suo cugino, san Ferdinando III di Castiglia, regna in Spagna (1198-1252). Ora anche lui è un re in tutta l’accezione del termine, e avrà un’influenza decisiva sul destino della Spagna, poiché con lui si realizza l’unione – definitiva – delle due corone di Castiglia e di Leon. Così la Reconquista, la liberazione del territorio spagnolo caduto in possesso degli arabi nelI’VIII secolo, fa un passo avanti che sarà definitivo. Nel 1233 comincia la riconquista dell’Andalusia. Il turista che oggi visita questa regione è colpito dal fatto che non ci sia neanche una chiesa del tempo del dominio arabo; ciò che testimonia abbastanza chiaramente l’imposizione del regime religioso musulmano alla popolazione durante questi quattro secoli e più. Ferdinando III non conosce sconfitte, nella successiva riconquista di piccole parti del territorio, come Ùbeda, Jaén, Martos e infine Cordova, che assedia nel 1236; poi assoggetta il regno di Murcia; il 22 dicembre 1248 entra a Siviglia. In possesso degli arabi restava solo il regno di Granada, e Ferdinando III unisce allo spirito di conquista uno spirito di conciliazione, poiché conclude una tregua che instaura la pace in Spagna. Quando muore, il 30 maggio 1252, gli è decretato il titolo a cui teneva, quello di “re delle tre religioni ” – cristiana, ebraica e musulmana; infatti, se ha vigorosamente combattuto per liberare il suo popolo da una dominazione straniera, ha saputo mostrarsi generoso, anche nei confronti dei suoi nemici, e non ha mai vietato ne ostacolato in alcun modo la stessa pratica dell’islamismo tra i propri sudditi. La sua tomba, a Siviglia, porta un’iscrizione in quattro lingue – ebraico, arabo, latino e castigliano -, simbolo perfetto di quella preoccupazione di essere il re di tutti, senza discriminazioni di razza o di religione, che san Ferdinando ha saputo associare a un desiderio non meno giustificato di liberazione. La sua riconquista è condotta con la preoccupazione poco abituale di risparmiare le risorse dei suoi sudditi. È diventata celebre una sua risposta: gli consigliavano di imporre nuovi tributi, per le guerre progettate. Rispose: ” Dio, per il quale soltanto combatto, non manca dei mezzi per farmi vincere, se lo vuole. Quanto a me, sono ben deciso a non impiegare quello che mi è proposto: temo la maledizione di qualche vecchia sdentata più di tutti gli eserciti dei mori “.


Aggiungiamo che, se san Ferdinando non fu un legislatore, poiché non promulgò nessun codice, tuttavia fece raccogliere le leggi consuetudinarie dei regni di Castiglia e di Leon in un insieme di facile consultazione e tale da poter fare fede. Analogamente suo cugino san Luigi faceva raccogliere le consuetudini dei mestieri parigini, perché non potessero essere violate impunemente.


Questo è lo spirito dei tempi. Circa nella stessa epoca, Filippo di Beaumanoir raccoglie le consuetudini della regione di Beauvais. Gli uni e gli altri, nella loro attività giuridica, non cercano di creare leggi che il potere imponga successivamente agli uomini, ma di costituire raccolte di usi locali esistenti, constatati e registrati, per impedire le infrazioni. Sono totalmente diversi – inutile dirlo – dai giuristi di Filippo il Bello (e molto più tardi di Napoleone), i quali creano un codice che legalizza i bisogni del potere attualmente esercitato, e vi imprigiona in certo qual modo i sudditi. Tale è del resto la differenza essenziale tra la consuetudine – l’uso vissuto, e constatato, che è nato spontaneamente in un territorio -, e la legge uscita tutta armata dal cervello dei teorici e di coloro che detengono il potere, i quali in seguito l’impongono a tutti i sudditi di una nazione.


 


Regine Pernoud,


I santi del medioevo, edizioni Rizzoli, Milano 1986, traduzione di Anna Marietti, pagg.219-227