S. ANDREA CORSINI (1302-1373)

Dopo la professione religiosa si diede con impegno allo studio delle scienze sacre, alla preghiera e alla penitenza. Nella chiesa del Carmine si conserva ancora, come preziosa reliquia, la cintura di lamine di ferro con cui tormentò i suoi fianchi finché visse. Tre giorni la settimana digiunava a pane e acqua. Quando fu ordinato sacerdote, la sua famiglia fece grandi preparativi per la prima messa. Andrea ottenne invece dai superiori la licenza di andarla a celebrare nel piccolo romitaggio chiamato i Boschi, a quindici chilometri da Firenze, dove godette di una visione della Vergine.

6 gennaio


Nel secolo XIV la famiglia Corsini occupava a Firenze le prime magistrature della Repubblica. Il padre del nostro santo, Nicolò, dalla prima moglie ebbe cinque figli. Sposò in seconde nozze Gemma, della nobile famiglia degli Stracciabendi, ma non avendo avuto figli dopo sette anni di matrimonio, essi fecero voto dinanzi alla Madonna del Carmine di consacrargli tra i Carmelitani il primogenito che avrebbero avuto, furono esauditi.


Prima della nascita del figlio, la madre ebbe uno straordinario sogno: le sembrò di essere madre di un lupo feroce che, entrato nella chiesa del Carmine, si trasformò in mansueto agnello. Il figlio sospirato nacque il 30 novembre 1302 e fu chiamato Andrea dal nome del santo del giorno. La nobildonna ne ebbe cura come la pupilla dei suoi occhi, ma nonostante ciò l’adolescente crebbe di temperamento ardente, scontroso, insofferente di ogni correzione, amante più dei cani e dei cavalli che dello studio e dei doveri del buon cristiano. Verso i quindici anni, dopo una scenata in famiglia, la madre gli disse, angosciata: “Vedo bene che tu sei quel lupo che mi è stato mostrato in sogno!”. Andrea, sorpreso, le chiese spiegazione di quelle parole e allora, la pia genitrice soggiunse: “Quando ti portavo in seno, ho sognato che avrei dato alla luce un lupo, ma essendo entrato in una chiesa, esso fu subito cambiato in agnello. Tuo padre e io ti abbiamo consacrato al Signore e noi attendiamo da te un ben altro tenore di vita”.


Quelle parole impressionarono vivamente Andrea. Tutta la notte fu tormentato da rimorsi. Il giorno dopo corse a gettarsi ai piedi della Madonna del Carmine e, come mite agnello, chiese con insistenza l’abito religioso al P. Girolamo Migliorati, provinciale dei Carmelitani toscani. Appena l’ebbe indossato (1317) si diede alla pratica dell’umiltà. La sua consolazione era di sfaccendare in cucina e di andare a questuare nei rioni in cui era vissuto scapestrato per essere deriso dai cattivi compagni d’un tempo. Dopo la professione religiosa si diede con impegno allo studio delle scienze sacre, alla preghiera e alla penitenza. Nella chiesa del Carmine si conserva ancora, come preziosa reliquia, la cintura di lamine di ferro con cui tormentò i suoi fianchi finché visse. Tre giorni la settimana digiunava a pane e acqua. Quando fu ordinato sacerdote la sua famiglia fece grandi preparativi per la prima messa. Andrea ottenne invece dai superiori la licenza di andarla a celebrare nel piccolo romitaggio chiamato i Boschi, a quindici chilometri da Firenze, dove godette di una visione della Vergine.


Il Corsini per un certo tempo predicò a Firenze, poi pare che il capitolo provinciale di Pisa lo abbia inviato all’università di Parigi perché si perfezionasse nello studio della teologia per tre anni. Al ritorno si fermò qualche giorno ad Avignone, presso suo cugino Pietro Corsini, uditore generale del Sacro Palazzo, più tardi vescovo di Firenze e Cardinale (1370). Visitando con lui la chiesa di Notre-Dame-des-Doms, restituì la vista ad un cieco che gli chiedeva l’elemosina.


Il capitolo provinciale, radunato a Firenze, nominò il Corsini priore del convento della suddetta città (1337). Tra i fiorentini i suoi sermoni, avvalorati dal dono della profezia e dei miracoli, produssero mirabili frutti di pietà. Operò pure molte conversioni. Degna di menzione è quella del cugino Giovanni Corsini che egli aveva guarito da un’ulcera al collo. Il capitolo generale di Milano (1345) lo incaricò di commentare la Bibbia a titolo di lettore nello studio generale di Parigi; quello di Metz (1348) lo elesse provinciale della Toscana. Durante tale carica indisse due capitoli, riordinò la provincia devastata dalla pestilenza, e promosse a Firenze la costruzione della chiesa del Carmine in cui sarebbe stato seppellito. In tutte queste mansioni dovette eccellere per intelligenza e capacità se, dopo la morte del vescovo di Fiesole, vittima delta peste nera (1348-49) che aveva spopolato l’Europa, il capitolo dei canonici desse a succedergli Andrea. È vero che, appena ne ebbe sentore, era corso a nascondersi in un sotterraneo della certosa di Erma, a tre miglia da Firenze, ma fu scoperto e promosso il 13-10-1349. È tradizione che un bambino gli sia apparso per dirgli: “Non temere, io sarò il tuo custode e Maria SS. sarà ovunque il tuo aiuto e la tua protezione”.


Durante i ventiquattro anni di episcopato il santo non addolcì per nulla le austerità. Oltre che portare il cilicio e una cintura di lamine di ferro, ogni giorno, dopo aver detto i sette salmi penitenziali, si disciplinava a sangue recitando le litanie. Dormiva sopra un letto fatto di sarmenti di viti. Per non detrarre tempo alla meditazione e allo studio delle Scritture non si concedeva ricreazioni. S’intratteneva il meno possibile con le donne, e rifuggiva dal prestare l’orecchio agli adulatori. Appena poté trasferire la residenza da Firenze a Fiesole, si sforzò di riparare le immense rovine materiali e spirituali che la peste e le frequenti guerre avevano accumulato nella diocesi.


Cominciò a riformare il clero imponendo ai parroci la residenza, dandone l’esempio e deponendo senza misericordia i contumaci. Sottoponeva a un serio esame, dal punto di vista della dottrina e dei costumi, i candidati che voleva promuovere; nelle visite pastorali costringeva i parroci a separarsi dalle persone sospette e puniva i renitenti con la privazione degli uffici e dei benefici; vietava infine ai chierici di occuparsi di affari temporali o di accettare funzioni civili o amministrative. Nel 1372 per il clero istituì una Confraternita intitolata alla SS. Trinità. Nei diocesani, che frequentemente visitava, combatté l’usura e i matrimoni clandestini e difese i diritti della Chiesa contro coloro che, approfittando della malvagità dei tempi, ne avevano usurpato i beni.


Il patrimonio ecclesiastico era da lui considerato proprietà dei poveri. Sin dai primi anni dell’episcopato si scelse un procuratore tra i Carmelitani perché facesse ricerche dei beni e dei legati in favore dei poveri, allo scopo di restituirli all’amministrazione ecclesiastica e ristabilirli nella loro primitiva destinazione. Egli si mostrò sempre preoccupato del sollievo degli indigenti, che la peste nera aveva spaventosamente moltiplicati. Le inesauribili risorse della sua carità non si spiegano senza la diretta assistenza del cielo. Egli fece compilare liste di poveri vergognosi per soccorrerli segretamente con soldi, viveri e vestiti. Più di una volta fece ricostruire a sua spese le case dei miseri, distrutte dalla guerra o dai fenomeni atmosferici. Tutti i giovedì lavava i piedi ai poveri che riceveva. Un giorno ne trovò uno che rifiutava quel servizio perché aveva le gambe coperte da ulceri. Il santo gli fece dolce violenza. Al termine dell’opera pietosa che gli prestò il povero si trovò interamente guarito.


Lo zelante pastore ebbe grande cura della conservazione delle chiese. Egli fece rifare a nuovo il coro della cattedrale, il tetto di S. Maria in Campo, il convento degli agostiniani e incoraggiò la fondazione di un monastero di Cistercensi. Fu esemplare pure nel filiale attaccamento alla Santa Sede, alla quale ogni due anni mandava una relazione esatta della diocesi. Più di una volta dovette recarsi a tale scopo fino ad Avignone dove risiedeva allora il Papa. Con tutte le forze cercò di comporre contese tra parrocchie e conventi, tra famiglie e privati cittadini. Anche le città di Firenze, Prato e Pistoia lo ebbero paciere. Urbano V nel 1368 lo nominò suo legato apostolico perché pacificasse Bologna. Il Corsini si applicò all’ingrato compito con grande energia e, malgrado l’età avanzata, riuscì a riconciliare le opposte fazioni dopo aver colpito i contumaci di anatemi e sofferto il carcere a causa dei maneggi di Filippo M. Visconti il quale incitava i cittadini a ribellarsi al Pontefice.


Andrea morì poco dopo aver felicemente condotto a termine la legazione. La notte di Natale 1373, durante la Messa, gli apparve la Vergine e gli annunciò che il giorno dell’Epifania sarebbe morto. Assalito dalla febbre, mise in ordine la sua amministrazione. Il giorno stabilito si fece portare il Salterio, recitò insieme agli astanti i simboli degli apostoli, di Nicea e di S. Atanasio, pronunciò il primo versetto del Nunc dimittis e spirò. Il suo corpo, poche settimane dopo il transito, fu portato privatamente a Firenze e sepolto, ancora incorrotto, nella chiesa del Carmine. L’artistica tomba, ornata di un’iscrizione riferente i miracoli compiuti dal Corsini, andò distrutta a causa di un incendio nel 1771.


I fiorentini invocarono il Santo Vescovo nei giorni della battaglia di Anghiari (1440) contro le truppe del Visconti, capitanate da Nicolò Piccinino. Il Corsini apparve loro e promise la vittoria. È considerato per questo il protettore della città. Urbano VIII lo canonizzò il 22-4-1629.


 


 Sac. Guido Pettinati SSP,


I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 98-101.


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