S. TEOFILO DA CORTE (1676-1740)

Nato a Corte, in Corsica, nel 1676 entrò dapprima tra i Cappuccini, poi passò ai Frati Minori Osservanti tra i quali rimase prendendo il nome di Teofilo. A Napoli, venne ordinato prete nel convento di Santa Maria la Nova nel 1700. Visse per dodici anni con san Tommaso di Cori – dal quale fu molto influenzato – nel convento laziale di Civitella San Sisto (oggi Bellegra) sui Monti Prenestini, dove era il padre guardiano. Percorse, predicando, tutta la Sabina e la zona di Subiaco. Poi, per ristabilire la presenza francescana in Corsica, l\’ordine pensò a lui. Quindi tornò sull\’isola natìa e divenne padre guardiano della nuova fondazione di Zúani. Morì a Fucecchio, in Toscana nel convento da lui fondato, nel 1740. È stato proclamato santo nel 1930.

Il santo missionario popolare e restauratore dei "Ritiri" o conventi dei Francescani riformati, di vita molto austera, nacque il 30-10-1676 a Corte (Corsica) dalla nobile famiglia dei Signori e fu battezzato da suo zio con il nome di Biagio. Fin dall\’infanzia il santo ebbe in orrore tutto quello che aveva l\’apparenza di male. Ancora giovane acquistò con la frequenza della chiesa e con lo studio il desiderio di consacrarsi a Dio nella vita religiosa, ma i genitori, che avevano soltanto quel figlio, gli si opposero. A sedici anni Biagio cercò di piegare la volontà del padre andando furtivamente a battere alla porta dei Cappuccini di Corte, Poiché i Signori erano benefattori dei Minori Osservanti, nella chiesa dei quali possedevano la propria sepoltura, supplicarono il figlio di abbracciare per lo meno questo altro genere di vita.
Alla vestizione del saio francescano (1693) Biagio cambiò il nome con quello di Teofilo, che significa amante di Dio. E tale egli mostrò di essere nell\’anno di noviziato con il suo spirito di orazione, di ubbidienza e di penitenza, nonostante la gracilità della sua costituzione fisica; e più ancora durante lo studio della filosofia a Roma, nel convento di Santa Maria d\’Ara Coeli; e della teologia a Napoli, nel convento di Santa Maria la Nova, dove ricevette pure il sacerdozio (1700). Avendo fatto dei buoni studi, grazie alla prodigiosa memoria di cui era dotato, gli fu conferita la patente di Lettore con l\’onere di concorso. Perché potesse più facilmente prepararvisi, fu mandato provvisoriamente nel Ritiro di Civitella San Sisto, oggi Bellegra (Roma).
A capo del convento che S. Francesco d\’Assisi aveva avuto in dono dai Benedettini di Subiaco, c\’era allora il B. Tommaso da Cori, il quale indovinò immediatamente il valore del nuovo arrivato, e lo volle tenere con sé come ausiliare, tanto si mostrava distaccato dalle cose di questo mondo, amante della solitudine, esatto nell\’osservanza della regola, spietato nel mortificare il proprio corpo che tormentava con cilici, cinture di ferro irte di punte, aspri flagelli e nutriva con cibi resi insipidi o amareggiati con l\’assenzio e altre erbe disgustose al palato. Teofilo, credendosi da Dio chiamato a erudirsi nelle scienze sacre, volle recarsi invece a Roma a piedi allo scopo di prendere parte ai concorsi (1703).
A Tivoli inciampò, cadde e si ruppe una gamba. Fu trasportato a Roma nell\’infermeria del convento di Ara Coeli e al dolce rimprovero del B. Tommaso, accorso al suo capezzale, capì che era volontà di Dio che rinunciasse al magistero per darsi alla propagazione dell\’Opera dei Ritiri, iniziata dal fratello laico il B. Bonaventura da Barcellona (+1684) a Santa Maria della Grazie di Ponticelli (Rieti). Verso quel tempo furono approvati i regolamenti che riguardavano i conventi dei Recolletti: levata di notte per il mattutino; due ore e mezzo di orazione per giorno; quattro Quaresime all\’anno, di cui la più singolare era quella della Benedicta, che iniziava quaranta giorni dopo l\’Epifania.
Il provinciale nel 1705 assegnò a Fra Teofilo l\’ufficio di predicatore. Ne approfittò il santo per diffondere tra il popolo la devozione a Gesù crocifisso, che costituiva il principale argomento delle sue meditazioni. Fu quindi eletto Guardiano del Ritiro di Palombara Sabina (Roma), al posto del B. Tommaso che lo aveva fondato, e nel 1715 di quello di Bellegra. Benché fosse sempre stato il modello dei superiori, compiuto il triennio di Guardianato, si portò in mezzo al refettorio e, tenendo sospeso al collo un pezzo di legno, chiese umilmente perdono a tutti dei dispiaceri e delle molestie che aveva dato loro. Per affinarlo di più nella virtù della pazienza, Iddio permise che il suo successore, il P. Benedetto da Cerchiara, lo prendesse in uggia e non lasciasse passare nessuna occasione per umiliarlo. Invano il santo chiese all\’indegno superiore le ragioni del suo modo di procedere! Le persecuzioni durarono due anni e giunsero a tale segno che lo stesso B. Tommaso ritenne necessario recarsi a Roma per fare destituire e rimuovere da superiore del Ritiro il P. Benedetto.
Fra Teofilo crebbe nella stima dei suoi superiori per le austerità alle quali si abbandonava e per l\’equilibrio che dimostrava di possedere in mezzo alle difficoltà che la vita religiosa presentava. Fin dall\’inizio del Ritiro di Bellegra si era introdotto Fuso tra i Frati di mangiare per terra tutti i venerdì dell\’anno. Il santo s\’interpose presso il Provinciale in visita perché, per la buona pace di tutti, quell\’uso fosse riservato solo ai venerdì di Marzo, alle vigilie della Madonna e di S. Francesco. Nel 1724 dovette accettare ancora una volta il Guardianato di Bellegra. Il vecchio B. Tommaso fu il suo suddito più ubbidiente e il più diligente osservante dell\’evangelica povertà.
Nel ritiro di Palombara Sabina la disciplina che vi aveva introdotto il B. Tommaso stava languendo. A ravvivarne la fiamma fu inviato Fra Teofilo (1727). Di quanta fermezza e dolcezza egli seppe fare uso nell\’esercizio della sua autorità appare dagli avvisi che più tardi scrisse per il suo successore. Secondo lui il superiore non deve "disprezzare alcuno dei propri subordinati, anche se pieno di difetti, ma averne pietà, aiutarlo a correggersi, non mormorare a suo riguardo e non permettere la mormorazione negli altri; non deve riprendere qualcuno senza prima essersi riconosciuto più colpevole di lui… Ma quando l\’onore di Dio è in causa, egli deve dare prova di zelo e di severità, benché con misura… Allorché si accorgerà di avere scoraggiato un soggetto, si sforzerà di rendergli la tranquillità dell\’anima".
I superiori dell\’Ordine sì studiarono di moltiplicare i Ritiri un po\’ in tutte le province. In Corsica inviarono a stabilirli Fra Teofilo (1730), erede dello spirito del B. Tommaso da Cori (+1729). La gioia che provò nel mettere piedi nell\’isola natale dopo ventiquattro anni di assenza fu offuscata presto dalle difficoltà di ogni sorta che ovunque dovette affrontare. Il convento di Campoloro non si prestava allo stabilimento del Ritiro perché alcuni frati, amanti del quieto vivere, minacciarono di sollevargli contro il popolo qualora avesse voluto introdurre tra loro le austerità della vita primitiva. Il santo si limitò a dire nel partire per Bastia allo scopo di riferire al P. Provinciale: "Lasciamo fare a Dio!".
Anche a Nonza e a Cassia alcuni frati incitarono il popolo ad opporsi con tumulti all\’introduzione nei loro conventi di una vita più austera. Il santo, senza scomporsi, per fare penetrare nei cuori l\’idea dei Ritiri, si ritirò a predicare la quaresima a Corte, dove visse di elemosine nonostante i frequenti inviti a pranzo da parte dei suoi ricchi parenti. Dopo tante fatiche a contraddizioni Fra Teofilo riuscì finalmente a instaurare un Ritiro a Zuani, presso la sua città natale, benché i frati, come al solito, cercassero di sollevargli contro l\’opinione pubblica. Dalle celle dei religiosi egli fece togliere gli oggetti superflui; abolì le questue; fece allontanare dal convento ventiquattro alveari di api; dispose che tutte le Messe fossero celebrate gratuitamente per i benefattori; e a coloro che, preoccupati, si chiedevano: "Come faremo a vivere?", il santo riformatore rispondeva: "Dio provvederà". Le elemosine crebbero difatti in tale quantità che Fra Teofilo dovette supplicare i benefattori ad essere meno generosi, e mentre prima sei religiosi stentavano a vivere, il nuovo guardiano fu costretto ad ampliare il convento per riceverne diciotto. Portata a termine la sua missione, il santo fu rimandato a fare il Guardiano a Bellegra (1735) e quando, a Palombara Sabina, fu istituito il processo canonico per la canonizzazione del B. Tommaso da Cori, egli andò a farvi la sua deposizione ampia e solenne.
In quel tempo ottenne dal papa Clemente XII il favore di guadagnare, con il crocifisso che portava sempre con sé, le indulgenze annesse alla Via Crucis. Quando i Francescani della Toscana manifestarono il desiderio di trasformare qualche loro convento in Ritiro, a Fra Teofilo fu imposto di recarsi a Fucecchio (Firenze) col titolo di presidente perché v\’introducesse la riforma ideata. Gli abitanti, sobillati dai soliti frati rilassati, lo insultarono, lo tacciarono d\’ipocrita e di ignorante, ma egli con la pazienza e l\’esortazione addolcì il cuore degli oppositori (1736) e si guadagnò il favore del vescovo e del granduca, Giovanni Castone de\’ Medici.
Fra Teofilo nutriva una sconfinata fiducia nella Provvidenza. Per questo era un acerrimo nemico del denaro. Nel giorno di Pasqua, le associazioni del paese solevano entrare nella chiesa dei frati e deporre le loro elemosine sull\’altare maggiore. Salendolo egli per cantare la Messa le vide, se ne indignò e, con una manata, le gettò per terra mormorando: "Che cos\’è questa porcheria?". Di tanto distacco dalle ricchezze. Dio lo ricompensò con i miracoli. Dopo una sua preghiera o una sua benedizione tanti malati ricuperarono la salute e tante partorienti, in pericolo di vita, diedero felicemente alla luce i loro figli. I familiari dei malati sapevano per esperienza che quando il santo diceva loro: "Fede, fede!" l\’infermo guariva; quando invece diceva loro: "Bisogna rassegnarsi alla volontà di Dio!" l\’infermo moriva.
Niente lo arrestava dal recarsi al capezzale dei morenti: non il cattivo tempo o l\’impraticabilità delle strade; non l\’asma o l\’ernia che da tempo lo tormentavano. Fu appunto in seguito ad una di quelle visite di carità che contrasse una pleurite. Il medico non gli nascose la gravita del male ed allora il santo lo ringraziò: "Iddio ve ne renda merito. Sono obbligato a pregarlo per voi. Egli è padrone di farmi morire dove vuole, come vuole e di che male vuole". Quando si accorse che i frati volevano trasportarlo all\’infermeria del convento di Lucca con un calesse vi si oppose dicendo: "Chi credete che io sia? Sono un povero Frate, non sono mica il re di Francia! ".
Chi lo assisteva sul letto di morte un giorno lo esortò a ripetere con S. Martino, vescovo di Tours: "O Signore, se io sono ancora necessario a questo popolo, non ricuso il lavoro; sia fatta la tua volontà". Il morente, invece, rispose: "Se io credessi di essere necessario a questo convento mi stimerei dannato". Dopo la raccomandazione dell\’anima si turbò, fisso lo sguardo in un angolo della stanza e per due ore borbottò concitato parole incomprensibili. Il demonio gli si era forse avvicinato per tentarlo contro la fede perché i presenti, costernati, lo udirono ripetere più volte: "Un Dio, uno, trino; un\’anima, un\’eternità!". La calma ritornò nel suo animo, alzò la mano destra, la sbatté sul letto e, sostenendo con la sinistra il crocifisso, spirò il 19-5-1740 mormorando: "Che temi, che temi?".
Colui che quando scriveva si firmava; "Teofilo da Corte, peccatore", fu beatificato da Leone XIII il 19-1-1896 e canonizzato da Pio XI il 29-6-1930. Le sue reliquie sono venerate a Fucecchio (Firenze).
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 240-244
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