S. IVO DI HELORI (1253-1303)

Figlio di un modesto gentiluomo bretone, fu allevato piamente da sua madre. A Parigi studiò teologia ed altro per dieci anni alla scuola di s. Bonaventura. Poi il suo vescovo lo richiamò come ufficiale di giustizia ecclesiastica consacrandolo sacerdote. Nel tribunale divenne l’avvocato di tutte le cause dei poveri ed infelici, istituendo per primo il patrocinio gratuito. Il grande fervore di santità che lo animava, lo spinse a predicare sempre più spesso. Ebbe l’incarico dal suo vescovo di curare la parrocchia di Tredez e poi quella di Louannec, che sollevò dalle miserevoli condizioni spirituali in cui si trovavano. Non tralasciò la predicazione nelle altre parrocchie, dove si recava portando con sé solo la Bibbia e il Breviario. Nel 1298 si ritirò nel suo castello di Kermartin dove morì il 19 maggio 1303.

Questo famoso avvocato dei poveri ed educatore degli orfani nacque a Kermartin, presso Tréguier, in Bretagna (Francia), da nobili genitori. Fin dall\’infanzia imparò dalla pia genitrice ad amare Dio e il prossimo, e apprese i primi rudimenti sotto la guida di un giovane compatriota, Giovanni de Kerhoz, il quale lo seguì a Parigi per lo studio della filosofìa e teologia quando raggiunse i quattordici anni. In mezzo ad una gioventù rumorosa e dissipata. Ivo si distinse per la precoce gravita di giudizio e l\’austerità della vita, nonché per l\’amore verso i poveri e i successi dialettici. In quel tempo S. Bonaventura di Bagnoregio insegnava teologia a Parigi. Non è improbabile quindi che il nostro santo sia stato un suo alunno.
Accompagnato dal suo fedele mèntore, a ventiquattro anni Ivo andò a studiare diritto civile ad Orléans con diversi compatrioti. Uno di essi testimonierà al processo di canonizzazione di lui che anche in quel tempo Ivo fu studioso, pio, casto e mortificato. A Parigi aveva smesso di mangiare carne; ad Orléans cessò di bere vino; in seguito digiunò a pane e acqua tutti i mercoledì, venerdì e sabati dell\’anno e le vigilie della Madonna e degli Apostoli. Talora gli servì di riposo e nutrimento la preghiera che faceva ininterrottamente fino a cinque, a sette giorni di seguito. La sua più ordinaria invocazione era: "Signore, crea in me un cuore puro!".
Il santo fu ricompensato del profitto ricavato dallo studio dall\’arcidiacono di Rennes, che gli affidò la carica di giudice ecclesiastico. Siccome quell\’ufficio non bastava ad occuparlo totalmente, Ivo si recava al convento dei Frati Minori della città per seguire la spiegazione della Bibbia e del libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, che trattava dei sacramenti. Ivo, che per umiltà rifuggiva dal sacerdozio, aveva acconsentito a ricevere dal vescovo di Rennes soltanto il diaconato.
La sua virtù non restò nascosta a lungo. Con le risorse aumentava pure la sua carità. Avendo riservato il letto a due orfani che manteneva a proprie spese, dormiva sopra dei trucioli e della paglia che ricopriva con una grossolana tela di canapa. Quando i suoi compatrioti ne vennero a conoscenza, parlarono con ammirazione di lui. Appena la fama delle sue virtù giunse alle orecchie del vescovo di Tréguier, Alano de Bruc, costui si affrettò a richiamarlo in diocesi. Allorché il santo partì da Rennes, l\’arcidiacono gli offerse un cavallo per il viaggio, in riconoscenza dei servizi che gli aveva resi, ma egli lo vendette e ne diede il ricavato ai poveri.
A Tréguier Ivo esercitò ancora il compito di giudice ecclesiastico, ma il vescovo vi aggiunse un beneficio che esigeva nel titolare il sacerdozio. Il servo di Dio s\’inchinò dinanzi alla volontà del pastore, e fu da quel giorno soprattutto il ministro del Dio della pace, sforzandosi di ricondurre la concordia tra i contendenti con la preghiera ardente, un\’inalterabile pazienza e le risorse di una eloquenza suasiva.
Compiendo con molta lealtà il suo ufficio, ripulì il paese dalla mala gente, soccorse gli oppressi, rese a ciascuno la giustizia senza preferenze di persone, e mise la pace tra le parti avverse abbreviando le liti in giudizio con grande tatto. Per difendere i poveri e gli oppressi gl\’importava soltanto il loro buon diritto, e lo sapeva fare valere anche contro influenti personaggi ecclesiastici e i suoi stessi amici. La posterità ha composto a suo riguardo una strofa che è rimasta celebre:

"Sanctus Yvo erat Brito,
advocatus et non latro,
res miranda populo",

Che significa: "S. Ivo era bretone; avvocato e non ladro; cosa ammirevole per il popolo". Nonostante tanto amore per la giustizia, la preghiera e la mortificazione, Ivo non aveva ancora raggiunto quel grado di perfezione al quale Iddio lo chiamava. Nel 1290 egli sentì più pressante l\’invito di Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va\’, vendi quello che hai e dallo ai poveri. Poi, vieni e seguimi!". (Mt. 19, 21). Fino allora si era accontentato di nascondere il cilicio sotto la divisa dell\’ufficiale di curia.
Un giorno del 1291 fu visto uscire dall\’ospedale di Tréguier semivestito, scalzo e con uno straccio in testa. Ad un malato aveva dato il cappuccio, ad un altro il mantello, ad un terzo gì stivali. Oramai, indossato un abito bigio sopra una grande camicia di stoppa, calzati un paio di sandali a cinghie, Ivo imiterà più da vicino i seguaci del Poverello d\’Assisi, suoi grandi amici, e come loro si aggirerà per le campagne e i paesi ad annunciare la parola di Dio più volte il giorno, fino all\’esaurimento delle forze.
Nel castello di Kermartin, ereditato dai genitori, aveva fatto collocare, oltre i due orfani di Rennes, un infermo e quattro altri orfani, figli di un giocoliere, con la loro madre. Formarono essi la sua famiglia. Altri ne aveva collocati presso dei padroni affinchè imparassero un mestiere. Ai bisognosi che a lui ricorrevano dava abbondanti elemosine o li faceva sedere alla sua frugale mensa. Dai parenti e dagli amici non gli mancarono consigli alla prudenza e alla moderazione, ma Ivo non sapeva rifiutare nulla a chi versava in necessità. In tempo di carestia più volte Il Signore gli moltiplicò il pane di cui aveva bisogno per dare da mangiare agli affamati. Un giorno trovò alla porta del castello un lebbroso. Lo fece salire nella sua stanza, lo aiutò a lavarsi e lo fece sedere a mensa accanto a sé. A metà pranzo il lebbroso assunse un aspetto così risplendente che tutta la sala ne fu illuminata. Guardò quindi fissamente Ivo e gli disse scomparendo; "Il Signore è con te".
Al cadere della sera il castello di Kermartin si trasformava in rifugio per i malati, i vecchi, i pellegrini. Il santo, aiutato da un ecclesiastico, li sistemava presso il fuoco, faceva loro il letto, glielo rimboccava e, all\’occorrenza, lucidava loro le calzature. Egli stesso dormiva nella camera del primo piano, sopra un saccone di paglia o per terra, in mezzo ai suoi libri, con un grosso Digesto per cuscino. La mattina dopo tutti i suoi ospiti assistevano alla Messa che celebrava nella vicina cappella. Durante il santo sacrificio Ivo riceveva d\’ordinario grandi consolazioni che gli facevano versare lacrime in quantità. Al momento della consacrazione una volta fu visto circondato da un globo di fuoco.
Il vescovo aveva affidato al santo la parrocchia di Trédrez (1285). Essendo troppo lontana da Tréguier, Ivo dovette farsi aiutare e più sovente sostituire da un vicario. Nel 1288 rinunciò al suo ufficio di giudice per darsi del tutto alla cura delle anime. Nel 1296 passò alla parrocchia di Lahonec che era stata lasciata nel più grande abbandono. Vi lavorò fino alla morte con grande zelo, inalterabile pazienza e spirito di sacrificio. Se nel corso della fatiche apostoliche qualcuno lo ingiuriava, egli si limitava a dire all\’insolente: "Prego Dio, o fratello, che ti perdoni". Il Signore premiò tanto eroismo concedendogli il dono dei miracoli. Un giorno estinse un incendio tracciando un segno di croce contro le fiamme.
Alla predicazione, ai catechismi, all\’amministrazione dei sacramenti Ivo univa un\’assidua preghiera. Non lasciava difatti quasi mai la chiesa se non per andare ad assistere i malati, portare il viatico ai morenti o condurre i fedeli in pellegrinaggio alla Madonna di Quintin. In quel tempo tra il re di Francia, Filippo IV il Bello, e Bonifacio VIII, le relazioni erano molto tese. II sovrano, sempre a corto di denari, nel 1295 aveva imposto dei contributi e messo la mano sul patrimonio ecclesiastico sia per fare fronte alle ingenti spese di amministrazione pubblica, sia per ribadire la sudditanza del clero.
I vescovi di Francia si erano rivolti al papa, ed egli era intervenuto con la bolla Clericis laicos (1296) per vietare ai laici d\’imporre e agli ecclesiastici di pagare tasse e balzelli senza l\’autorizzazione della Santa Sede. Ivo fu uno strenuo difensore dei diritti ecclesiastici. Temendo soprusi dagli agenti del fisco non esitò a stabilirsi nella sacrestia della cattedrale per vegliare giorno e notte sui vasi sacri e il tesoro della diocesi. Un giorno gli fu portato via un cavallo. Appena se ne avvide inseguì l\’agente, lo raggiunse vicino al cimitero, saltò alla briglia del cavallo e ingiunse allo zelante impiegato statale di restituirglielo. I confratelli restarono indignati di quel suo gesto perché temevano che fosse sufficiente a scatenare la collera del re. La lite non ebbe seguito. Ivo ne attribuì il merito alla protezione del santo titolare della chiesa di cui difendeva i diritti.
Nel 1297 fece testamento e lasciò i beni agli addetti alla sua cappella di Kermartin, dove si ritirò egli stesso l\’anno successivo. Tutto concentrato in Dio, egli stava chiuso nella propria camera giornate intere. Un giorno, suo cognato, inquieto, dovette passare attraverso la finestra per rendersi conto se era ancora vivo. Lo trovò inabissato nell\’orazione. La fiducia dei parrocchiani nel potere d\’intercessione di lui cresceva di giorno in giorno. Guarì difatti diversi loro malati e liberò degli ossessi dal demonio.
Nel 1302 Ivo volle fare un pellegrinaggio a St-Renan, nella diocesi di Quimper, con una famiglia di cui era ospite. Ne ritornò così affranto che dovete mettersi a letto.
Al capezzale di lui si succedettero il vescovo e i più alti dignitari della diocesi. Mossi a pietà al vederlo coricato vestito sopra una coperta imbottita, con alcuni libri per cuscino, cercarono di convincerlo a fare almeno uso di un po\’ di paglia, ma egli non volle addolcire le sue penitenze. Il 15-5-1303 celebrò a fatica l\’ultima messa tra un profluvio di lacrime, assolvette ancora una partoriente e poi ritornò a letto per non alzarsi più. Fece una confessione generale di tutta la vita, ricevette con devozione i sacramenti e a chi gli parlava del dottore, mostrando il suo crocifisso diceva: "Questo è il mio unico medico!.". Ivo de Hélori morì a Lahonec il 19-5-1303. Il suo corpo è venerato nella cattedrale di Tréguier. Clemente VI lo canonizzò nel 1347.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 236-240
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