Elías del Socorro Nieves, presbitero e martire dell’Ordine Agostiniano.

L’OSSERVATORE ROMANO Domenica 12 Ottobre 1997


Il martirio offerto come un dono


di FERNANDO ROJO MARTINEZ – Postulatore generale


Matteo Elías Nieves del Castillo nacque nell’Isola di S. Pedro, Yuriria (Guanajuato — Messico) il 21 settembre 1882. Era figlio di Ramón e Rita, un matrimonio di modesti agricoltori di profonda religiosità. Molto presto manifestò il desiderio di diventare sacerdote, ma le circostanze della vita glielo impedirono. All’età di 12 anni stava per morire a causa della tubercolosi e alcuni mesi più tardi il padre fu ucciso dai banditi. Fu costretto ad abbandonare gli studi per poter guadagnare un po’ di soldi per contribuire al mantenimento della famiglia.

Nel 1904, all’apertura del collegio agostiniano di Yuriria, nonostante la sua scarsa preparazione e la sua età adulta, ottenne il permesso di ammissione. Le comprensibili difficoltà derivanti dagli studi seminaristici iniziati all’età di 21 anni, quando abbandonò il lavoro nei campi, furono superate con incredibile sforzo e coraggio. A causa di problemi economici e per la sua debole costituzione fisica — era sul punto di perdere la vista — non mancò mai qualcuno pronto a dargli una mano. In riconoscenza dell’aiuto ricevuto in tanti momenti della sua vita, durante la sua professione nel 1911, cambiò il nome da Matteo Elías in Elías del Socorro.


Una volta ordinato sacerdote, nel 1916, praticò il ministero in diverse località del «Bajío», fino a quando, nel 1921, fu nominato vicario parrocchiale di La Cañada de Caracheo (Gto.), un paese di circa 3.000 abitanti, situato sui pendii del «Culiacán». In questo centro, mal collegato, di scarse risorse economiche, sprovvisto di servizi sanitari, scuola pubblica ed energia elettrica il lavoro del P. Nieves non si limitò all’assistenza spirituale del suo piccolo gregge. Avendo conosciuto da piccolo il lavoro manuale e l’indigenza, non gli pesarono né le privazioni né la povertà, condividendole con animo generoso, gioviale disponibilità e fiducia nella Provvidenza.


Fu proprio in questi anni che nacque il movimento popolare dei «cristeros». Il Servo di Dio si tenne lontano da questo fenomeno rivoluzionario, che peraltro non trovò sostenitori tra la popolazione locale, molto distante ideologicamente e geograficamente dalla problematica sociopolitica alla base della risposta armata. Quando alla fine del 1926 si arrivò all’effettiva persecuzione della Chiesa, nonostante il suo carattere timido, invece di obbedire all’ordine governativo di risiedere nei grandi nuclei urbani, si stabilì in una grotta del vicino colle di «La Gavia», assicurando così ai suoi fedeli l’assistenza religiosa, esercitata normalmente durante la notte. Nei 14 mesi in cui perdurò tale situazione, non mancò chi amministrasse i sacramenti o celebrasse la messa quotidiana.


Questa clandestinità forzata finì la mattina in cui si scontrò con un distaccamento di soldati, i quali, sotto il vestito bianco di contadino intravidero quello scuro, usato nel ministero pastorale.


Interrogato, dichiarò la sua condizione di sacerdote, e fu arrestato insieme ai fratelli Sierra, che si offrirono di accompagnare il Padre. Condotto a La Cañada si oppose alle trattative di riscatto da parte di qualche suo parrocchiano. Ebbe anche l’opportunità di parlare di religione con i due ufficiali che lo avevano in custodia, ma il suo destino era segnato. Uno di loro aveva manifestato in pubblico il desiderio di mangiare «cueritos de cura».


La mattina del 10 marzo 1928 militari e prigionieri si misero in cammino in direzione del piccolo centro urbano di Cortazar dal quale dipendeva La Cañada. Nella prima tappa il capitano di fronte al distaccamento diede l’ordine di passare alle armi i due accompagnatori del Padre, i quali, dopo essersi confessati con lui, morirono valorosamente acclamando Cristo Re.


Nella successiva ai piedi d’un frondoso albero, già vicini a Cortazar, il capitano si diresse verso il P. Nieves dicendogli: «Adesso tocca a Voi, vediamo se morire è come celebrare la Messa»; al che il Servo di Dio rispose: «Hai detto la verità, perché morire per la religione è sacrificio gradito a Dio». Chiese un momento di raccoglimento, poi consegnò il suo orologio al capitano, diede la benedizione ai soldati inginocchiati per riceverla, ed iniziò a recitare il credo mentre preparavano le armi per fucilarlo. Le sue ultime parole furono: «Viva Cristo Re».


 


 


Modelli di santità agostiniana


di MIGUEL ÀNGEL ORCASITAS – Priore generale


 


La beatificazione del 12 ottobre 1997 unisce, con una felice coincidenza, due figli dell’Ordine Agostiniano: Maria Teresa Fasce ed Elías del Socorro Nieves. Una monaca contemplativa ed un pastore di anime, un’italiana di origine borghese ed un messicano di umile origine contadina, due continenti lontani, una donna ed un uomo. Li unisce la vicinanza cronologica, la spiritualità agostiniana, la eroicità nell’esercizio della virtù. In pratica, sono coetanei. Marietta Fasce nacque il 27 dicembre 1881. Elías Nieves il 21 settembre 1882. Il P. Nieves fu assassinato il 10 marzo 1928, quando aveva 45 anni. La M. Fasce morì il 18 gennaio 1947, a 65 anni. La morte violenta del P. Nieves non fu ignorata dalla M. Fasce. Parlò del suo martirio nel bollettino del monastero di Cascia, che aveva fondato pochi anni prima. Diceva la M. Fasce: «Preghiamolo il Divino Maestro perché voglia glorificar il suo servo, che fu fedele fino alla morte, e ci conceda vederlo sugli altari della gloria, cinto della palma gloriosa dei martiri».


Questo desiderio si avvera proprio nello stesso momento per P. Nieves e M. Fasce! Entrambi provenivano da una solida esperienza di vita cristiana e parrocchiale, nata dal calore dell’azione pastorale dell’Ordine. Furono cristiani attivi, catechisti, responsabili della pastorale dei giovani in parrocchie agostiniane, prima d’entrare nella vita religiosa.


 


Due grandi figure


Queste due grandi figure ci parlano oggi con le loro vite vicine e con la testimonianza delle loro opere. Sono testimoni eloquenti della fede che professarono. Sono persone del nostro tempo, che ancora ricordano alcuni loro contemporanei. Entrambi contribuiscono a far attuale l’ideale della santità, che forse appare patrimonio di alcune grandi figure del passato. E ci lasciano un messaggio pienamente attuale.


Con la testimonianza della loro santità, parlano della radice della vita religiosa, seguire Cristo ed amare i fratelli. E mettono in rilievo che, nascendo dalla stessa ed unica fonte, la vita religiosa si concretizza in due modi che sembrano distinti e lontani, ma nel fondo sono vicini, poiché hanno la stessa radice. Il silenzio e la calma del chiostro, e l’attività del ministero parrocchiale.


Ma parlare di chiostro può portarci ad uno sbaglio, se lo intendiamo come inattività e passività, come disinteressarsi delle angosce o delle sofferenze degli uomini. La M. Fasce ci insegna che la contemplazione di un monastero di clausura porta in sé un dinamismo espansivo che può saltare le mura e le grate. Lei non uscì quasi mai dal suo monastero, se non scarse volte. Nonostante ciò, il suo nome ed il suo messaggio sono arrivati in tutti i paesi del mondo. Se c’è una santa la cui devozione è estesa dovunque è Rita da Cascia, e ciò si deve, in modo decisivo, alla M. Fasce.


Quante persone trovano conforto e speranza, quante riescono a risolvere i loro gravi problemi tramite la sua intercessione!


 


Da Cascia un messaggio di amore e di speranza


Da Cascia, piccolo paese fra le montagne dell’Umbria, arriva la parola del Vangelo con il suo messaggio di amore, di speranza, di giustizia, di ansia di liberazione, di salvezza e di vita. E arriva proprio tramite l’opera di una monaca di clausura! E neanche la calma ed il silenzio del suo monastero di clausura le hanno impedito di ascoltare la chiamata di Dio in quella povera donna che un giorno le affidò la sua piccola figliola, perché lei non poteva curarsene. Cosa si poteva fare in un monastero di clausura, povero e nascosto, con quella bambina? Chi si recherà a Cascia vedrà quello che la M. Fasce è riuscita a fare: l’istituzione di accoglienza per bambine orfane o con difficoltà familiari, che conosciamo come l’«Alveare di Santa Rita». La M. Fasce insegna che la vita della clausura non può in nessun modo significare allontanamento o disinteresse per i problemi del mondo.


 


Dal Messico una forte testimonianza di carità


Differente la figura del P. Nieves. Egli trascorse la sua vita in una regione piuttosto ridotta, nella regione centrale della repubblica messicana. Parroco di una zona rurale incarnò il servizio pastorale di Gesù nella semplicità, l’austerità, condividendo con i suoi parrocchiani la vita, le difficoltà e le privazioni, insegnando loro il cammino del vangelo. La sua vita si concluse dopo un lungo periodo di clandestinità, per mantenere il suo servizio pastorale.


Il P. Nieves non volle accettare l’ordine del governo di concentrarsi nella capitale, poiché questo significava abbandonare il suo gregge e non era disposto ad allontanarsi da loro in questi momenti di difficoltà. Voleva rimanere «malgrado tutto». Per questo rimase per più di un anno nascosto in una grotta, protetto dalla caritativa complicità dei suoi fedeli, che venivano alla grotta a pregare, assistere all’Eucarestia e ricevere i sacramenti. Il suo messaggio oggi è quello della generosità pastorale, della dedizione totale per la causa del ministero, del servizio ai fratelli, fino alla fine, fino alla morte. Se nella M. Fasce sorprende la sua capacità di iniziativa, la sua intuizione organizzativa e le sue qualità di esercitare l’autorità, nel P. Nieves sorprende la sua semplicità e bontà, la sua totale dedizione ai fedeli, la sua chiaroveggenza nell’accettare la radicalità del Vangelo fino alle ultime conseguenze. E le loro vite convergono nella fedeltà alla vocazione, al ministero ed al Signore.


 


Le sue ultime parole: «Morire è come una Messa»


di JOAQUÍN MARTÍN ABAD


 


Padre Elías del Socorro Nieves, il 9 marzo 1928, da quattordici mesi svolgeva clandestinamente il ministero nel territorio della sua Parrocchia, La Cañada de Caracheo, nascosto in una grotta per sfuggire alla persecuzione del Governo alla quale non reagì mai, e non permise che altri reagissero in modo violento. Due giorni prima era giunto al villaggio un capitano al comando di un gruppo di soldati che lo stavano cercando. Di fronte alla furia di quella brigata contro l’edificio della chiesa, alcuni abitanti del villaggio avevano reagito e ne era nato uno scontro, ma Padre Nieves non aveva nulla a che vedere con quella reazione. Il capitano, invece, diede prova di grande durezza, ordinando di uccidere due abitanti pacifici che lo avevano supplicato di rispettare il tempio e la casa parrocchiale.


 


Non nascose di essere sacerdote e per questo fu arrestato


Quel giorno Nieves si era rifugiato nella fattoria «San Pablo» dei fratelli Sierra. Agiva con prudenza, con una mescolanza di timore e di saggezza per proteggersi e per proteggere allo stesso tempo i suoi fedeli. Aveva però detto che, se fosse stato necessario, avrebbe reso testimonianza di Gesù Cristo dinanzi a tutti, anche con il dono della propria vita, fino al martirio.


A metà mattinata fu scoperto e non  nascose di essere un sacerdote. Fu arrestato proprio per questo motivo insieme ai due fratelli che gli avevano offerto ospitalità. Padre Nieves supplicò di liberare i fratelli Sierra, asserendo che avevano famiglia e che era in realtà a lui che stavano cercando. I due fratelli decisero però di rimanere con lui per condividerne la sorte.


La mattina del giorno 10 nella fattoria “Las Fuentes“ il capitano comunicò loro che sarebbero stati fucilati. Per primi i fratelli Sierra. Padre Nieves li confessò e diede loro l’assoluzione. Poi rivolse loro una parola d’incoraggiamento: «Ci vedremo presto in cielo!».


Il capitano disse al Padre: «Ora tocca a lei. Vediamo se morire è come dire la Messa». E Nieves rispose: «Hai detto la verità, perché morire per la religione è un sacrificio grato a Dio». Li pregò di non fucilarlo lì, e aggiunse che avrebbe indicato un luogo poco distante. In «El Llano», vicino a Cortazar, Nieves disse: «Qui. Concedetemi qualche momento per pregare».


 


«Sono pronto!»


Si avvicinò a un albero, un mezquite frondoso, e si inginocchiò per prepararsi a offrire la propria vita. Poi si mise di fronte all’albero, accanto a un palo della linea telefonica, aprì le braccia a formare una croce, per somigliare al suo Maestro e disse: «Sono pronto». Si formò il plotone e mentre stava per sparare, il capitano, visibilmente nervoso, ritardò per alcuni istanti l’esecuzione. Domandò a Padre Nieves l’ora e questi, tirando fuori il suo orologio, gli rispose che mancavano cinque minuti alle tre e glielo offrì, insieme al suo cappotto, in regalo. Voleva dare la sua benedizione in segno di perdono ai soldati, che si stavano mettendo in ginocchio, quando il capitano reagì dicendo: «Non ho bisogno di benedizioni di sacerdoti, mi basta la mia pistola» e mentre Padre Nieves benediceva con il segno della croce, gli sparò. Mentre cadeva, lo udirono dire: «Viva Cristo Re!». Quel giorno Padre Nieves non aveva potuto celebrare altra Messa di quella del suo sacrificio con il dono della propria vita. Alle tre del pomeriggio. Quelle della croce fino alla gloria.


 


 


Un sacerdozio «vissuto con generosità» tra le popolazioni rurali messicane


di MIGUEL A. MARTÍN JUÁREZ


Sin dai tempi dell’evangelizzazione delle terre messicane nel secolo XVI, la regione conosciuta come «El Bajío» aveva contemplato l’azione ministeriale degli agostiniani. In questa regione nascerà il P. Nieves e, già da bambino, la figura del sacerdote agostiniano rimase fermamente fissata in lui, facendo sorgere un’indelebile vocazione sacerdotale. Dovette affrontare numerose difficoltà familiari, economiche e personali, fino al punto che poté vedere culminata la sua aspirazione sacerdotale solo molto tardi. Novizio a 27 anni, professo a 28, non ricevette la sua ordinazione sacerdotale fino ai 33 anni, e da allora fino ai 45 nei quali morì, martire del suo sacerdozio, la sua dedizione al ministero parrocchiale fu esemplare. La sua prima destinazione lo portò nella sua parrocchia natale, Yuriria, per circa quattro mesi. Successivamente rimase un anno a San Nicolás de los Agustinos, due anni ad Aguascalientes, per un anno di nuovo a Yuriria ed un’altro a Santiago Maravatío. Nel 1921 ricevette la nomina di «vicario» de La Cañada de Caracheo. Benché dipendesse da una parrocchia centrale, aveva una demarcazione territoriale assegnata. Nella pratica era come se si trattasse di un Parroco. In ogni momento la sua attività si sviluppò in un ambiente rurale, con gente semplice, con una religiosità tradizionale e popolare. Forse non con molta formazione, ma con una fede profonda e radicata. Ed il P. Nieves si identificò perfettamente con questo popolo al quale era rivolto il suo servizio. Proveniva da questo stesso ambiente, aveva sofferto patimenti e privazioni sin da piccolo, conosceva il lavoro e le dure condizioni di vita dei suoi vicini. Per questo, e per la tenacia con la quale lottò fino a vedere realizzata la sua vocazione, seppe vivere il suo sacerdozio ed il suo ministero parrocchiale con un’allegria, con una semplicità e con una generosità encomiabili.


Spiccano nella sua vita la devozione all’Eucarestia ed alla Vergine Maria, che acquisì da bambino nel suo contatto con gli agostiniani. Testimoniò la sua devozione alla Madonna del Soccorso, invocazione specialmente venerata nella tradizione agostiniana, incorporando questo titolo al suo nome di battesimo: «Elías del Socorro». Il Rosario, pregato con il popolo, o anche a volte in casa o per le strade, era la devozione più popolare che gli serviva per tenere presente la Madonna del Soccorso in tutto il suo ministero. Ella fu il riferimento costante nella sua vita cristiana, religiosa e pastorale. È da notare la sua dedizione instancabile alla catechesi parrocchiale, poiché sapeva che la scarsa formazione religiosa della sua gente era la causa della mancanza di vita ed impegno cristiani. Per questo promuoveva la catechesi non solo dei bambini, ma anche dei giovani e degli adulti, e non unicamente con occasione della preparazione dei sacramenti, ma anche in occasione della Pasqua e nelle feste della Vergine. Possiamo dire che sviluppava i metodi propri di un missionario popolare. Ed aveva una coscienza molto profonda dei suoi obblighi pastorali, era molto zelante per la salvezza di tutti, e non gli importava di qualsiasi sforzo per recriminare i suoi peccati e farli arrivare all’amore di Dio. Questo zelo gli fece affrontare alcune situazioni difficili, ed a soffrire la calunnia frutto dell’invidia e del rancore.


Trattava tutti allo stesso modo. Se cadeva in qualche predilezione, era per i poveri e gli infermi, ai quali accudiva personalmente e soccorreva con le elemosine che riceveva da altre persone, e, in altre occasioni, dando anche del proprio, privandosi molte volte di quello che avrebbe potuto utilizzare per se stesso. Sono innumerevoli le testimonianze che parlano della sua vicinanza ai poveri ed afflitti, ai quali soccorreva in tutti i momenti, malgrado vivesse egli con le stesse ristrettezze dei suoi parrocchiani.


Alcune testimonianze di chi lo conobbe possono aiutare a comprendere meglio la sua figura:


«Si manifestava l’uomo di fede per la cura che aveva nel prepararsi alla celebrazione della Santa Messa con la confessione settimanale e la meditazione che precedeva, sempre che il suo ministero non glielo impediva; egli stesso mi raccontava che nelle sue prove si avvicinava al Santissimo Sacramento e si sentiva molto consolato».


«Amava Dio e cercava di fare in modo che non fosse offeso, dando consiglio a quelli che mancavano al compimento dei loro doveri, e lo si vedeva molto afflitto per le mancanze che commettevano i suoi parrocchiani».


«Lo vidi celebrare il Santo Sacrificio della Messa con molta devozione e fervore, principalmente quando era nella grotta a causa della persecuzione»


Benché il P. Elías del Socorro Nieves sia beatificato come martire, non dobbiamo trascurare la sua dimensione di sacerdote e pastore. Di fatto, fu la fedeltà al suo ministero pastorale ciò che lo portò al martirio. Quando il governo impedì il ministero sacerdotale nelle zone rurali, obbligando i sacerdoti a risiedere in grandi centri urbani, il P. Nieves non volle abbandonare il suo piccolo gregge. Essa fu l’unica ragione che lo obbligò a vivere in clandestinità e nascosto per quattordici mesi: rimanere insieme al suo popolo, vicino a coloro che avevano bisogno di lui, celebrare l’Eucarestia per rafforzare la sua fede, riconciliare i peccatori, dare un ultimo affettuoso saluto ai moribondi, confortare gli infermi e gli afflitti, avere una parola di conforto e di speranza per tutti. Racconta un testimone: «Nel tempo della persecuzione, fui l’incaricato di metterlo a conoscenza delle persone le quali desideravano fossero battezzati i loro bambini, quali infermi avevano bisogno del suo ultimo servizio… Mi incaricava di riunire alcuni fedeli nella casa annessa alla chiesa de La Cañada de Caracheo, nel cui luogo ci parlava e ci diceva che egli stava per essere consegnato nelle mani dei suoi nemici, e Voi non tentate di difendermi, Dio saprà».


Questa testimonianza massima ed estrema della sua dedizione pastorale lo portò alla morte. Meglio esprimerlo con le sue parole: «Ogni sacerdote che predica la Parola di Dio in tempo di persecuzione, non ha scappatoie, morirà come Gesù Cristo nella Croce, con le mani legate». Il P. Nieves fu martire per il suo amore verso Cristo, e per la sua fedeltà al ministero sacerdotale.