S. CHIARA DI MONTEFALCO (1268-1308)

Nacque a Montefalco (PG) intorno all’anno 1268. A sei anni entrò nell’eremo in cui viveva sua sorella Giovanna e dove, nel 1291, Chiara venne eletta superiora, ufficio che conservò fino alla morte. Nella sua vita si comportò sempre in modo esemplare. Raccomandava vivamente alle consorelle spirito di sacrificio e impegno personale nella realizzazione di una solida vita spirituale. Difese vivamente la fede e si distinse per l’amore alla passione di Cristo, e per avere molto a cuore la devozione alla Croce. Il suo corpo riposa nella chiesa delle monache agostiniane di Montefalco.

Questa mistica agostiniana nacque nel 1268 a Montefalco (Perugia) da benestanti genitori. Fin dai primi anni Chiara si sentì irresistibilmente attratta da Dio a vivere nella solitudine. Ogni giorno si ritirava al piano superiore della casa paterna per farvi lunghe orazioni inginocchiata per terra, e flagellarsi con funicelle. Certo Giacomo d'Ugolino attestò di averla vista più volte in aperta campagna percuotersi il petto con ricci di castagne mentre gridava: "Misericordia, Signore!".
A Montefalco erano sorti nel secolo XIII quattro reclusori in cui pie donne servivano Dio senza regole e abiti particolari, sotto la guida del confessore e la giurisdizione del vescovo. Il padre della santa, Dannano, ne aveva fatto costruire uno per la sua figlia maggiore, Giovanna. A 6 anni Chiara ottenne dal vescovo di Spoleto di aggregarsi ad essa. Fu tanta la gioia che ne provò che per una settimana non mangiò che un pezzo di pane e una mela al giorno. Propose di vivere costantemente alla presenza di Dio, di ubbidire in tutto alla sorella, di osservare un rigoroso silenzio da compieta all'ora di terza, di non guardare in faccia gli uomini, di evitare le colpe volontarie, in modo speciale le bugie, di non mangiare carne e di astenersi dai cibi che più avrebbe desiderato.
A 11 anni Chiara cominciò a portare il cilicio e a camminare a piedi nudi. D'inverno indossava sulla carne una veste tessuta di peli di cavallo e d'estate una veste formata con il cuoio di un porco mal rasato. Ogni notte si disciplinava fino al sangue con catenelle, fasci di spine o mazzi di ortiche. Dopo compieta molte volte restava a pregare nell'oratorio fino all'ora di terza per la conversione dei peccatori. Prendeva d'ordinario un po' di riposo stando seduta per terra oppure inginocchiata, con la testa appoggiata al muro o ad un piolo conficcato nella parete. Rare volte si coricava sul tettuccio formato da due assi. Solo quando era malata vi stendeva sopra un saccone di paglia e si copriva con una coltre. Raramente beveva vino. Mangiava il pane di segala o di orzo avvolto sovente nella cenere. Se il suo corpo insorgeva quando rendeva insipida la minestra con l'acqua o reclamava un cibo speciale, ella gli diceva: "Quando mai meritasti tale cibo? Giacché ti puoi sostentare con altro vitto, accontentati". Un giorno, essendo inferma, desiderò mangiare un po' di cacio. Per mortificare quella brama chiese al fratello presente un pezzo di pane raffermo. Il Signore la premiò di quell'atto generoso conferendo al pane il sapore del formaggio e a lei la grazia di non sentire più per tutta la vita desiderio di cibi particolari. Suo companatico furono difatti le punte delle spine, le fronde di prugne, di viti, di olmi, le erbe crude e i frutti selvatici. Considerava una ghiottoneria mangiare fave secche rammollite nell'acqua, ovvero prezzemolo o finocchi. Le consorelle, sbigottite, le consigliavano la moderazione, ma Chiara era soltanto spiacente di non poter nutrire il suo corpo di paglia. Nonostante tante mortificazioni di gola e i digiuni a pane e acqua tutti i venerdì e sabati dell'anno, la quaresima, l'avvento e tutte le vigilie e le feste della Madonna e degli Apostoli, si conservò sempre vigorosa e grassottella.
Se commetteva qualche mancanza, la santa si puniva immergendo, anche d'inverno, le gambe nell'acqua gelata, e recitando con le braccia distese cento Pater noster. Dopo le faccende quotidiane le rimaneva molto tempo da dedicare all'orazione. Chiara finché visse ne approfittò per onorare Dio con mille genuflessioni e altrettante invocazioni ogni giorno. Il Signore la premiò concedendole molto presto visioni e rivelazioni. Un giorno le apparve Maria SS. con il Bambino Gesù che le promise di farla sua sposa. Un'altra volta, mentre meditava la Passione di lui, lo supplicò di farle sentire i dolori che aveva patito dall'ultima cena fino alla morte in croce. Fu esaudita e allora il desiderio suo di soffrire per l'amato crebbe senza misura. Quando fu ammessa alla prima comunione, Chiara ne provò tanto giubilo che, nella fretta di unirsi al suo Dio, si portò all'altare senza mantello. In punizione di quella presunta mancanza di devozione e di modestia la sorella Giovanna gliela proibì. La santa si ritirò tutta confusa in un angolo dell'oratorio, ma mentre pregava apparve a consolarla il Bambino Gesù. In un'altra simile circostanza il Signore la comunicò in visione rivestito di paramenti sacerdotali.
Aumentando il numero delle recluse, Giovanna decise di fabbricare un altro romitorio con il permesso del governatore del ducato, il napoletano Filippo della Verna, conte della Cerra. Appena i primi locali furono pronti, vi si stabilì (1281). Principale suo sostegno era stato il padre, ma quando egli morì, non essendo sufficiente quanto donavano parenti e benefattori a sostenere venti recluse, le serventi dovettero uscire a questuare. Anche Chiara ottenne dal vescovo (1284) il permesso di essere aggregata ad esse, ma siccome per strada con troppa frequenza cadeva in estasi, Giovanna le ordinò di restare in casa. Finché visse, Chiara non uscì più dalla clausura, intenta solo alla preghiera e ai lavori più umili del reclusorio.
A vent'anni Chiara possedeva ancora la semplicità di una bambina. Ella credeva che tutte le religiose godessero come lei della visione della Passione del Signore. Quando venne a sapere che non tutte le anime sono ugualmente favorite da Dio, per un istante si considerò più privilegiata delle altre. Concepì subito, è vero, di quel piccolo atto di vanagloria un sincero pentimento, ma Dio, che è geloso dei suoi doni, per undici anni permise che fosse violentemente tentata contro tutte le virtù e immersa nelle più spaventose aridità di spirito. Pur nella privazione dell'ordinaria visione di quiete, Chiara continuò ad amare Dio e a stimare spazzatura le cose di questo mondo. Sempre intenta ad evitare qualsiasi volontaria imperfezione, fu udita ripetere sovente: "Preferirei qualsiasi tormento in questa vita e persino di essere tagliata a pezzi piuttosto che commettere volontariamente un peccato veniale".
Nel 1290, col permesso del vescovo Gerardo D'Arras, Giovanna trasformò il suo reclusorio nel monastero di Santa Croce, sotto la regola di S. Agostino. L'anno dopo ella morì e Chiara fu costretta dall'ubbidienza a succederle nella carica di badessa benché desiderasse restare umile conversa. Iddio l'aveva preparata a quella carica facendo scendere su di lei, pochi giorni dopo la morte della sorella, lo Spirito Santo sotto forma di lingue di fuoco e dandole il dono della scienza infusa. Non stupisce perciò che sapesse tutto il breviario a memoria e fosse in grado di insegnarlo alle monache quando cominciarono a recitarlo. La prima volta che parlò alle suddite radunate in capitolo raccomandò loro l'esercizio dell'umiltà. Il Signore le aveva fatto conoscere che voleva essere servito da lei con retta intenzione apparendole, nei primi anni della giovinezza, sotto l'aspetto di un agnello, appoggiato ai piedi di un albero molto diritto, che s'innalzava da una fossa molto profonda e in cima al quale stava egli stesso con la croce. Per dare loro subito un esempio di tale virtù, la santa volle che le passassero davanti e la percuotessero con una fune.
Il Signore manifestò con straordinari fenomeni quanto gradisse l'impegno che Chiara metteva nello spronare le suddite all'osservanza della regola, alla confessione e comunione mensile, alla pratica quotidiana di mille genuflessioni con altrettante Ave Maria. Nel 1295 mentre faceva un'esortazione alle monache, apparve agli occhi di tutte con la faccia circonfusa da uno splendore a forma di mezzaluna. Un'altra volta, mentre pregava dopo il capitolo delle colpe in un angolo del chiostro, fu vista posarsi su di lei una colonna di fuoco.
A trentun anni Chiara fu liberata per sempre dalle aridità e tentazioni alle quali era stata sottoposta. Ella aveva promesso al Signore con molte lacrime di essere disposta a perseverare in quello stato fino alla morte se così gli fosse piaciuto. A maggior perfezione della sua sposa, Dio permise che per sette anni continui rimanesse esposta al furore e alle percosse dei demoni. In compenso la favorì di estasi che duravano a volte giorni interi e rapimenti molto impetuosi che il più delle volte la buttavano a terra. Allora cantava inni mai uditi con una voce così sonora e gradevole che le religiose ne rimanevano stupite. Negli ultimi vent'anni di sua vita gli ordinari rapimenti l'assalivano ogni mattina dopo la Messa e duravano abitualmente due ore. Nell'orazione di unione di cui godeva in continuazione, fu favorita persino della visione della SS. Trinità. Era difficile che Chiara sentisse parlare di Dio, di Maria SS. o del paradiso senza andare in estasi. Circa quindici anni prima della morte Gesù Cristo le apparve nell'atto di portare sulle spalle la croce. "Cerco un luogo adatto – le disse – ove possa piantarla, e in tè sola questo luogo ho trovato. Se vuoi essere mia figlia anche tu devi morire su questa croce". Per molto tempo il Signore le fece assaporare l'assenzio e il fiele nei cibi, e dolori strazianti in tutte le parti del corpo. Al pensiero della Passione di Gesù Chiara non riusciva a trattenere le lacrime neppure mangiando, con sua grande confusione.
Nel 1303 la santa ottenne di fare costruire, accanto al monastero, una chiesa, che costituì la sua quasi continua dimora, giorno e notte. Con le sue preghiere ottenne la liberazione di tante anime dal purgatorio, la conversione di ostinati peccatori e la pace tra gli abitanti di Spoleto, Perugia, Arezzo e Rieti. "Spero tanto nella divina bontà – diceva – che non dubiterei di chiedere invano qualsiasi grazia, fosse pure la risurrezione di un morto". E per questo che nel governo del monastero non diede mai eccessiva importanza al lato economico. A nessuno chiese elemosine in denaro e se coloro che venivano a raccomandarsi alle sue orazioni le lasciavano delle offerte, ne tratteneva la minima parte per le necessità del monastero e il rimanente lo destinava a famiglie bisognose.
Ogni volta che la fornaia cuoceva il pane, voleva che dodici pagnotte fossero destinate ai poveri in onore di dodici apostoli. Un giorno mandò il suo mantello ad un uomo che, uscito di prigione, se ne stava seminudo in chiesa. Due donne erano sfuggite da tutti perché affette da lebbra. Chiara le esortò a recarsi da lei. Quando giungevano, le medicava, le imboccava con le proprie mani e le baciava in viso benché fosse coperto di piaghe.
Tutti tenevano Chiara in concetto di santa, specialmente la B. Angela da Foligno (+1309), i cardinali Napoleone Orsini, legato papale nell'Umbria, Giacomo e Pietro Colonna, in contrasto con Bonifacio VIII.
Pietro Colonna chiese a Chiara di essere accettato come oblato del monastero. Le s'inginocchiò davanti, le promise ubbidienza e non si alzò se non quando ella lo segnò con la croce. A nome di Clemente V le scrisse in seguito per raccomandarle di pregare per i bisogni della Chiesa. Un giorno le monache le riferirono che alla porta del monastero molte persone l'attendevano per ricevere la sua benedizione. Chiara esclamò prorompendo in lacrime: "È possibile che la gente abbia tale concetto di me, che sono indegna di vivere sopra la terra?".
Ai tempi di Chiara serpeggiava in Italia l'eresia degli "spiriti liberi", che ritenevano l'uomo un essere perfetto, superiore al peccato e alla legge e quindi non bisognoso della grazia. Bentivegna di Gubbio giunse a farne propaganda nel 1306 a Montefalco. Per due giorni tentò di guadagnare alle sue idee anche Chiara, ma essa, tramite suo fratello, divenuto Frate Minore, lo fece denunciare ai cardinali suoi protettori e mettere in carcere. Per la fede avrebbe dato la vita. Dio le aveva concesso il dono della scienza infusa e quindi fu in grado di rispondere a difficili questioni postele da vescovi, teologi e religiosi, non escluso il P. Ubertino da Casale, uno dei capi dello scisma francescano degli Spirituali. Suo fratello confessò di avere appreso più dai discorsi di lei che dai libri. La santa stessa confidò alle sue religiose: "II Signore mi ha dato tanta cognizione dei misteri della nostra religione, che se tutti i libri che ne parlano sparissero basterei da sola a insegnarli e a predicare alle genti la sicura strada del cielo". Nella sua umiltà rifuggiva dal discorrere con persone dotte di sublimi dottrine. Per resistere a certi impulsi inferiori a manifestare il dono di Dio, si faceva legare nella cella con una corda che portava sotto la tonaca. Si sarebbe comportata sempre così se il confessore non le avesse ordinato di seguire le mozioni dello Spirito Santo.
Dio concesse a Chiara di conoscere lo stato delle anime dei defunti nonché l'avvenire e i pensieri di tante persone. Alle singole sue monache manifestava le virtù, le distrazioni, le illusioni, gli sbagli, le ipocrisie e persino i peccati taciuti in confessione. Al capitolo, che teneva il venerdì, sovente diceva: "Tra voi c'è una che ha commesso tale errore, e perché è occulto non se ne accusa. Potrei metterle la mano sul capo se fosse conveniente". Il demonio giungeva talora a percuoterla così selvaggiamente da toglierle la parola. "Con questi tuoi capitoli – le diceva furente – tu rovini tutta l'opera mia".
Nel 1300 Chiara fu colpita da misteriosi mali allo stomaco e ai fianchi. Invece di pregare per la sua salute, diceva: "Mi glorio di essere inferma e i dolori più sono gravi, più mi sono cari. I miei peccati meriterebbero altre croci e il doppio d'infermità". Gli ultimi due anni di vita li passò a letto. I cardinali Orsini e Colonna le mandarono da Roma i migliori medici, ma essa protestava con le sue religiose: "Perché avete tanta cura di questo corpo? Non posso più stare con voi in questo mondo: tutto il paradiso mi aspetta". Nel 1308, la vigilia di S. Lorenzo, vide entrare nella sua cella una turba di demoni neri come africani. L'infermiera l'asperse con l'acqua benedetta. "Perché mi segni? – le chiese. – Io tengo Gesù crocifìsso dentro il mio cuore". Fino alla festa dell'Assunta Chiara contemplò in estasi la gloria del paradiso. Quando seppe che il Signore la voleva con sé intonò e cantò il Te Deum. Morì il 17-8-1308, dopo aver detto ai circostanti: "Rimanete voi tutti con Dio, al quale io me ne vado". Solo un'ora dopo il medico ne costatò il decesso. Gli altri la credettero in estasi perché videro un chiarore scendere sulla faccia di lei e spandersi per tutta la persona.
Il giorno dopo la morte Suor Francesca Armandi, ricordandosi che Chiara molte volte in vita aveva affermato di avere Cristo crocifisso nel proprio cuore, le aprì il petto e quindi il cuore. In esso, grosso come la testa di un bambino, trovò realmente effigiati con minutissimi nervi il Crocifisso e tutti gli strumenti della Passione. Alla presenza del Vicario generale della diocesi, chiamato a costatare il prodigio, fu aperta anche la vescica. In essa furono trovate tre palline della grandezza di una nocciuola. Si ritenne che raffigurassero la SS. Trinità perché una pesava quanto due, e tre insieme quanto una.
S. Chiara di Montefalco fu canonizzata F8-12-1881 da Leone XIII. Clemente XII il 13-4-1737 ne aveva riconosciuto il culto. Il corpo della santa è venerato mummificato nel monastero di Montefalco. Viene raffigurata nell'atto di mostrare il suo cuore fiammeggiante sopra il petto.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 171-177
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