S. CASIMIRO, PRINCIPE DELLA POLONIA (1458-1484)

Nell’età in cui la maggior parte dei giovani si abbandona ai piaceri del senso, Casimiro seppe conservare integro il candore del suo animo a costo di grandi rinunce e rudi penitenze. Indifferente agli onori e alle ricchezze della terra, egli volle assicurarsi un posto nel regno dei cieli non vestendo con sfarzo, ma portando sovente il cilicio; non indulgendo alle mollezze, ma dormendo talvolta per terra; non soddisfacendo la gola, ma digiunando sovente e astenendosi, nei giorni prescritti, anche dai cibi più sostanziosi ordinatigli dai medici a motivo della sua cagionevole salute.

Casimiro, protettore della Polonia e della Lituania, fu un
principe della dinastia reale dei Jagelloni, di origine lituana. Discendente di
Gedimino (+1341), esso trasse il suo nome dal nipote di lui, Ladislao II
Jagellone (+1434), granduca della Lituania e re della Polonia dal 1386, dopo
cioè che aveva ricevuto il battesimo per ottenere in sposa Jedwige d’Angiò,
principessa ereditiera del regno polacco. In quell’occasione il cristianesimo
fu dichiarato religione di stato. Il popolo fu convertito in massa alla fede
cattolica, ma essa rimase per molto tempo soltanto esteriore. Nel 1387 Vilna
diventò sede episcopale. Il principe Casimiro nacque il 3-9-1458 a Cracovia
(Polonia), terzogenito dei 13 figli del re Casimiro IV (11492), figlio di
Ladislao Jagellone e di Elisabetta d’Austria, figlia dell’imperatore Alberto
II, re d’Ungheria e Boemia. Fin dall’infanzia l’illustre rampollo fu educato
alla pietà dalla savia genitrice e dal precettore Giovanni Diugosz (+1471),
canonico, celebre storico e poi arcivescovo di Cracovia. Un altro suo maestro
fu l’umanista Filippo Bonaccorsi, socio dell’Accademia Romana, dal quale il
principino apprese la storia e il latino. Perciò fu in grado di imparare a
servire la Messa e a prepararsi, con grande devozione, ai sacramenti.
 A 12 anni, Casimiro, sotto la guida del precettore, poté
visitare la Lituania e ampliare, così, sia le sue nozioni geografiche che le
sue cognizioni religiose. Prevenuto dalla grazia di Dio, il principino seppe
trarre profitto da quelle lezioni. Infatti a 13 anni tenne un discorso in
latino davanti al Legato Pontificio, il cardinale Marco Contarini e, due anni
più tardi, salutò pure in latino l’ambasciatore veneto. Data la sua condizione
sociale, non trascurò l’equitazione e la scherma, ma pur vivendo tra i continui
pericoli della corte, seppe corrispondere sempre con generosità alla grazia che
lo chiamava a una grande perfezione. Nell’età in cui la maggior parte dei
giovani si abbandona ai piaceri del senso, Casimiro seppe conservare integro il
candore del suo animo a costo di grandi rinunce e rudi penitenze. Indifferente
agli onori e alle ricchezze della terra, egli volle assicurarsi un posto nel
regno dei cieli non vestendo con sfarzo, ma portando sovente il cilicio; non
indulgendo alle mollezze, ma dormendo talvolta per terra; non soddisfacendo la
gola, ma digiunando sovente e astenendosi, nei giorni prescritti, anche dai
cibi più sostanziosi ordinatigli dai medici a motivo della sua cagionevole
salute. I suoi fratelli vissero nelle medesime condizioni e non solo non
raggiunsero la sua santità, ma non furono neppure esemplari cristiani.
 I grandi mezzi di cui San Casimiro si servì per tendere
alla perfezione furono la continua meditazione della Passione di Gesù, che lo
commosse, sovente, fino al pianto, e una tenera devozione alla Vergine
Santissima, che lo aiutò a custodire intatta la sua verginità. Soleva venerare
la grande Madre di Dio con il rosario e con il seguente bellissimo inno che
volle, per disposizione testamentaria, portare con sé nella tomba. Costituì per
lui come un programma di vita spirituale. Di autore ignoto, esso dice:
“Ogni giorno, o anima mia, rendi omaggio a Maria; celebra le sue feste e
le sue splendide virtù! – Contempla e ammira la sua altezza, proclama la sua
bontà come Madre e quale Vergine. – Onorala affinchè ti liberi dal peso dei
tuoi peccati; invocala per non essere trascinato dal torrente delle tue
passioni. – Nessuno può degnamente onorare Maria, ma è insensato chi cessa di
cantare le lodi a Lei. – Tutti devono esaltarla e amarla, senza mai cessar di
venerarla e di pregarla. – O Maria, onore e gloria di tutte le donne, da Dio
elevata al di sopra di tutte le creature! – O Vergine misericordiosa, esaudisci
i voti di quanti non cessano di lodarti! – Purifica i peccatori e rendili degni
dei beni celesti! – Salve, o Vergine santa! Per mezzo tuo le porte del cielo
sono schiuse ai miseri, perché Tu non sei mai stata sedotta dalle insidie
dell’antico serpente. – Tu, riparatrice e consolazione delle anime esasperate,
preservaci dai mali, che incombono sui cattivi! – Domanda per me, che io
gioisca di una pace eterna e che non abbia mai la disgrazia di essere preda
delle fiamme infernali. – Domanda che io sia casto e modesto, dolce, buono,
pio, prudente e nemico della menzogna! – Ottienimi la mansuetudine, l’amore
della concordia e della purezza; rendimi fermo e costante sulla via del bene!”
 Casimiro aveva
appena 13 anni quando gli stati del reame d’Ungheria, scontenti del governo del
loro re, Mattia Corvino, inviarono una delegazione al sovrano di Polonia per
offrire il trono al giovane suo figlio. Per deferenza verso suo padre, Casimiro
accettò. Gli fu allora allestito un esercito che sostenesse i diritti di lui
nella elezione al trono d’Ungheria, ma quando giunse ai confini di quel regno
egli apprese che il Corvino, avendo riguadagnato la fiducia dei sudditi, gli
muoveva incontro con un potente esercito, e che il papa Sisto IV, essendosi
dichiarato favorevole al re detronizzato, aveva inviato una ambasciata al re di
Polonia per fargli abbandonare l’impresa.
 Nel ricevere tali notizie il principe si rallegrò alla
prospettiva del sangue umano non sparso e chiese al padre di tornare indietro.
La spedizione militare si trasformò in una precipitosa fuga, durante la quale
poco mancò che Casimiro cadesse prigioniero. Per 3 mesi egli si ritirò nel
castello di Cobzki, a una lega da Cracovia, per darsi ad un’aspra penitenza.
Era difatti persuaso che l’ingiustizia di quella spedizione doveva essere
espiata, benché gli fosse stata forzata la mano, quando l’aveva intrapresa.
 Poco tempo dopo Casimiro, per ubbidienza al padre, si
associò a lui nel governo della Polonia giacché Boleslao, suo fratello
maggiore, era salito al trono di Boemia. Più di una volta gli raccomandò di
trattare i sudditi con equità e giustizia, e quando venne meno ai suoi doveri
seppe redarguirlo con prudenza e fermezza. Da parte sua egli amministrò gli
stati con molta saggezza durante l’assenza del padre, il quale dal 1479 al 1483
fu costretto a trasferirsi in Lituania, per regolare gli affari di quella parte
del regno.
 Poté allora largheggiare maggiormente con i poveri, i
malati e i pellegrini, tanto che il popolo prese con ragione a chiamarlo
“il difensore degli indigenti”.
 In quel lasso di tempo il padre tentò di combinare il
matrimonio del principe Casimiro con una figlia di Federico III, imperatore di
Germania, ma il Santo, al quale premeva conservare inviolata la sua verginità,
oppose un netto rifiuto. Sua unica preoccupazione era quella di perfezionare
l’opera della propria santificazione. Anziché prendere parte alle feste e alle
frivolezze di corte, egli era assiduo alla preghiera, alla lettura dei Libri
Santi e alle funzioni sacre che si svolgevano nella cattedrale. Sovente usciva
di notte dalla reggia in compagnia di un fidato valletto, per andare a pregare
alla porta delle chiese, in attesa che fossero aperte, per assistere al
maggiore numero possibile di Messe e fare la Comunione. Verso la Santa Sede
egli fu sempre molto deferente.
 Sentì una grande avversione per i ruteni o piccoli russi,
che avevano seguito Costantinopoli nella separazione da Roma. Essi erano
numerosi in Lituania. Casimiro si adoperò presso suo padre affinchè decretasse
che le loro chiese non venissero restaurate a spese del pubblico erario.
 Nel 1483 Casimiro dovette trasferirsi per la sesta volta
in Lituania onde occuparsi dell’amministrazione del granducato. In quel tempo
fu colpito da una anemia che degenerò in tubercolosi, forse perché non
debitamente curata, e anche perché egli non desisteva dai digiuni e dalle
astinenze, nonostante le sue assillanti occupazioni. Per volere dei genitori,
da Vilna si trasferì nel castello di Gardinas, ma la tubercolosi, ribelle alle
cure, divenne cronica. I medici veramente ritenevano che la malattia fosse
causata dall’eccessiva austerità del paziente e dalla sua perfetta continenza.
Gli consigliarono perciò di sposarsi, o per lo meno di abbandonarsi ai piaceri
carnali, ma il principe, inorridito, dichiarò che preferiva morire anziché
compromettere la salvezza eterna della sua anima.
 Benché prostrato dalla malattia, egli non volle privarsi
del rude cilicio, perché ormai non poteva più sopportare i digiuni. Durante le
insonnie pregava, meditava o si faceva leggere le vite dei santi. Al suo
capezzale si alternarono continuamente dei sacerdoti a suggerirgli pie invocazioni
e ad amministrargli gli ultimi sacramenti, finché morì a Grodno il 4-3-1484. Il
suo corpo fu sepolto nella chiesa del castello di Vilna e la sua memoria fu in
grande venerazione. Nel 1989 le sue reliquie furono traslate nel duomo della
città. Gli furono eretti monumenti e alla di lui intercessione fu attribuita la
vittoria riportata nel 1518 da poche migliaia di Lituani contro 60.000 soldati
comandati dal ruteno Basilio.
 Sigismondo, fratello del taumaturgo, presentò istanza a
Roma perché fosse canonizzato. Il suo voto fu soddisfatto da Adriano VII nel
1522. Il 16-8-1604 la salma del santo, a cento e venti anni dall’inumazione, fu
trovata intatta.
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 Sac. Guido Pettinati
SSP,

I Santi canonizzati del
giorno
, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 60-65.

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