L’obiezione di coscienza (II)

Di Mons. José T. Martín de Agar, Professore ordinario nella Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università della Santa Croce (Roma). 5. Ammissibilità dell’obiezione di coscienza. Saggio tratto da: www.usc.urbe.it/html/php/martinagar/

    

5. Ammissibilità dell’obiezione di coscienza
Il problema di quello che Navarro-Valls chiama la “copertura giuridica” dell’obiezione di coscienza, è stato affrontato da alcuni autori cercando di costruire una teoria generale intorno a un certo diritto all’obiezione di coscienza
[26]. L’intento, meritorio, soffre però delle limitazioni proprie della sua stessa astrazione e corre il rischio di svincolare, forse eccessivamente, il fenomeno obiezione dalle libertà che lo originano, riducendone la portata a quelle sole ipotesi che siano accolte in una norma positiva[27].
A mio parere, le obiezioni di coscienza, in quanto fenomeni derivanti dalle libertà di coscienza e di religione, si pongono come problemi giuridici in ogni ordinamento che voglia rispettare questi ambiti di autonomia entro limiti ragionevoli e giusti; proprio di questo si tratta: delimitare la forza espansiva di questi diritti umani in modo flessibile e adeguato alle esigenze del sistema.
Ci sarà diritto all’obiezione laddove, come risposta al conflitto posto, il legislatore lo abbia riconosciuto e previsto nella legge
[28]; ma chi fa obiezione in uno Stato democratico, intende esercitare già un diritto; non si appella solamente alla sua coscienza, ma anche al diritto fondamentale che la tutela; oppone a una prescrizione che si presume legittima, ma che egli considera immorale obbedire, la sua parimenti legittima libertà di coscienza. Non sempre dovrà prevalere la sua libertà, ma nemmeno gli si potrà dire che la sua questione è irrilevante poiché non è prevista in una legge.
Nelle libertà di religione e di coscienza sono già potenzialmente incluse tutte le possibili obiezioni
[29], chiamate appunto a delineare lo spazio di autonomia personale (e di conseguente non-competenza dello Stato) in cui consistono prima di tutto tali libertà. Un confine sinuoso e cangiante, difficile da stabilire in modo definitivo a partire da postulati teorici (peraltro utili al loro livello), o sulla rigida base della legge, e che spetta piuttosto alla giurisprudenza.
La questione, come aggiunge Navarrol-Valls, richiede “non tanto di inquadrare l’obiezione di coscienza in principi astratti quanto di stabilirla nel suo habitat naturale, che è quello della prudenza giuridica. Perciò la questione non è tanto se ammettere o non ammettere un diritto generale teorico all’obiezione di coscienza, quanto precisarne i limiti. Compito questo che non sempre il legislatore sarà in grado di svolgere, proprio per quell’aspetto inedito e cangiante che si evidenzia nell’esercizio del diritto di libertà religiosa e ideologica. Al contrario di quanto capita con la giurisprudenza”
[30].
Avvicinandosi di più alla realtà dei fatti, alcuni autori hanno messo in rilievo che le obiezioni di coscienza sono generalmente di carattere negativo, nel senso che la disobbedienza che esse comportano consiste normalmente nell’omissione passiva di un dovere giuridico, astenzione che di solito è socialmente meno pericolosa dell’azione; possono perciò essere accolte con maggiore facilità. Di fatto, in alcuni degli intenti di definire l’obiezione di coscienza, questo carattere omissivo appare come tratto tipico
[31].
Infatti, sono gli imperativi legali che impongono un fare, quelli che con maggiore facilità possono urtare irriducibilmente con la coscienza di qualcuno; perché esiste una certa differenza tra il vedersi obbligato, anche se per una sola volta, a fare qualcosa che si reputa immorale, e il non poter fare sempre tutto quello che si considera un dovere. Di fatto, come abbiamo fatto notare, i diritti di libertà consistono prima di tutto in una immunità di coazione, in un qualcosa di negativo. Per il diritto non è la stessa cosa non forzare che non coartare o limitare; garantire che nessuno sarà obbligato ad agire contro la sua coscienza e assicurare che tutti e in ogni caso potranno operare secondo il dettame della loro coscienza
[32].
Tuttavia, a volte, può essere complicato distinguere quando la norma civile sta imponendo una condotta immorale e quando sta solo limitando la possibilità di compiere, hic et nunc, un dovere di coscienza; perché non sempre la formulazione delle norme che creano il contrasto sarà sufficiente ad indicare se ci troviamo di fronte a un caso o all’altro. Esistono, inoltre, doveri morali positivi, il più delle volte derivati da leggi rituali o di osservanza religiosa; basti pensare che il precetto del riposo domenicale o sabatico comporta anche il dovere di partecipare ad atti di culto; oppure ai precetti religiosi che esigono pellegrinaggi, determinati indumenti (turbanti, veste talare, chador), o certe prestazioni personali o economiche.
Ciononostante, è esperienza comune che le prescrizioni tassative dei codici morali religiosi sono soprattutto proibizioni: mantenersi entro la norma significa innanzitutto un non fare, sebbene il loro perfetto compimento implichi anche un fare qualcosa. I precetti positivi di solito esigono determinati atteggiamenti (adorare, amare, perdonare, pregare), la cui manifestazione esterna non è ordinariamente così determinata e tassativa da risultare incompatibile, almeno in molti casi, con l’osservanza delle norme civili
[33].
D’altra parte, in non poche occasioni, l’obbligo a cui si fa obiezione non si presenta con carattere assolutamente ineludibile (obiezione di coscienza assoluta), ma piuttosto come requisito per poter usufruire di determinati benefici (obiezione relativa); di modo che all’obiettore si presenta l’alternativa di adempierla o di subire le conseguenze del suo rifiuto a farlo, cosa che implica solo un onere indiretto o relativo all’esercizio della libertà
[34].
Alla base di queste distinzioni delle obiezioni in omissive e attive, assolute o relative, per quanto concerne la loro ammissibilità, troviamo di nuovo l’idea di equilibrio, che esige di valutare le conseguenze personali e sociali di ciò che, ad ogni modo, costituisce una disobbedienza. In questo contesto, bisogna distinguere anche tra quelle obiezioni che sconfinano nel diritto penale (attive oppure omissive): consumo di droghe, omissioni di assistenza medica a minori, ecc., e quelle che contravvengono precetti di altro ordine.
In definitiva, al momento di affrontare una determinata obiezione di coscienza, bisogna valutare da una parte il peso che comporta per l’obiettore il vedersi forzato o coartato nella sua libertà, e, dall’altra, le ripercussioni che per altri o per l’insieme può avere l’esenzione di cui vuole godere
[35].
In tal senso ci sono obiezioni che possono essere accolte più facilmente di altre per le loro scarse ripercussioni sugli altri. Per esempio, l’obiezione al giuramento è stata risolta – si può dire definitivamente – in molti paesi, offrendo formule alternative per assumere un impegno solenne che non contengono riferimenti religiosi, anche se vincolano a mantenere la promessa con la stessa forza e sotto le stesse sanzioni del giuramento
[36]. L’obiezione di coscienza è stata così trasformata in quella che è chiamata un’opzione di coscienza[37].
Un’altra obiezione che viene generalmente ammessa, almeno di fatto, è quella alla pratica abortiva, non già per la sua scarsa ripercussione sociale, bensì soprattutto per le profonde e chiare ragioni etiche che accompagnano l’obiettore; questi invero, più che contravvenire una prescrizione o ledere un diritto altrui, agisce in modo conforme alla legge che vieta l’omicidio e nel rispetto del diritto alla vita, considerando che la depenalizzazione legale di alcune ipotesi di aborto non può cancellare, sospendere o derogare il principio ‘non uccidere’, o giustificarne la trasgressione. Senza dubbio, chiunque comprende che nessuno può essere obbligato ad uccidere un altro, neppure a eseguire l’esecuzione di un delinquente incallito, tanto meno se si tratta di un innocente; per questo l’aborto è un tipico esempio di obiezione di coscienza dovuta: le leggi che intendono legittimare l’uccisione diretta di un essere umano “non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza”
[38].
Il problema in questo caso sta nel delimitare l’estensione delle obiezioni di coscienza indirette o di cooperazione, più o meno remota, a delle pratiche abortive e simili, che può implicare attività molto varie: autorizzazione legale (emblematico è il rifiuto del Re Baldovino di sancire la legge sull’aborto)
[39], pulizia o preparazione delle sale operatorie, prescrizione e vendita di sostanze abortive[40].
Purtroppo non sempre queste obiezioni sono riconosciute e si può dire che ci sono tentativi di limitarle se non di escluderle, come accade spesso in campo farmaceutico. D’altra parte esiste il rischio che gli obiettori si vedano di fatto discriminati professionalmente a causa della loro coerenza morale.
6.Il fondamento dell’obiezione e la sincerità dell’obiettore
In linea di principio l’obiezione deve essere fondata su motivi sinceri di coscienza. Però il diritto non sempre possiede gli strumenti tecnici necessari per appurare sia il carattere etico del conflitto, sia la sincerità di chi dice di trovarvisi. Di fatto l’obiezione si ammette in un primo momento come obiezione religiosa, anche perché è relativamente semplice stabilire l’incompatibilità oggettiva tra le norme di una confessione e una prescrizione civile, così come l’appartenenza del soggetto a tale confessione
[41]. Ci sono peraltro delle obiezioni che permangono legate a una concreta religione, come quella dei giorni di riposo, quella di usare determinati vestiti o quella di non mangiare certi alimenti.
In altri casi, come quello dell’obiezione militare, l’attenzione alla coscienza individuale e il rispetto dell’uguaglianza hanno invece portato ad ammettere obiezioni soggettive molto diverse tra loro (pacifiste, antinucleari, antimilitari), che molte volte, più che un vero conflitto di coscienza, riflettono semplicemente un rifiuto ideologico del servizio armato o semplicemente della disciplina militare.
Nel Nord America questa estensione è stata realizzata mediante un’interpretazione ampia di quello che si può intendere per convinzioni religiose; mentre le leggi di alcuni paesi europei hanno risolto questa obiezione in quella che viene chiamata una “opzione di convenienza” tra il servizio militare e il servizio civile sostitutivo
[42]. Più di recente la pratica abolizione del servizio di leva, per la professionalizzazione delle forze armate, sta faccendo sparire il problema in un crescente numero di Stati.
Per non pochi autori l’obiettore dimostra la sincerità del suo conflitto nella misura in cui è disposto a sopportare le conseguenze negative che comporta: le sanzioni a cui dà luogo la sua mancanza di sottomissione o il compimento di una obbligazione sostitutiva almeno equivalente a quella rifiutata. Questa ‘pazienza’ dell’obiettore sarebbe, da un lato, un elemento costitutivo della nozione stessa di obiezione di coscienza
[43]; dall’altro, offre la possibilità tecnica di risolvere nella pratica il problema della prova di sincerità, evitando vie inquisitive di dubbiosa legittimità ed efficacia in quanto riguardano l’intimità della persona[44].
Se confrontiamo l’obiezione di coscienza negli Stati Uniti e nei Paesi europei, notiamo come negli USA sia più rilevante il suo carattere religioso; nelle controversie di solito è decisivo il fatto che sia noto che un gruppo religioso rifiuti determinate prescrizioni e che l’obiettore appartenga a tale gruppo
[45]. Su queste basi i tribunali hanno ammesso svariate obiezioni, alcune delle quali conosciute a malapena nel nostro continente: per esempio quelle a fotografie o codici numerici nei documenti di identificazione (patente o carta di identità, libretto di Sicurezza sociale); oppure alla scolarizzazione obbligatoria o al pagamento di certi contributi sociali o sindacali.

Note:
[1] Versione italiana di Problemas jurídicos de la objeción de conciencia, in «Scripta Theologica» 27 (1995/2) 519-543.
[26] Cfr. J. de Lucas – E. Vidal – M. J. Añón, La objeción de conciencia, según el Tribunal Constitucional: Algunas dudas razonables, in “Revista General de Derecho”, 81 (1988), p. 81- 93. Bertolino pensa che si possa parlare di un diritto di obiezione di coscienza: L’obiezione di coscienza…, cit., passim.
[27] È questo il caso, per esempio, dell’obiezione di coscienza all’aborto riconosciuta in Italia solamente al personale sanitario. I giudici dei minori si vedono costretti ad autorizzare la decisione di abortire di una minore, supplendo all’autorizzazione paterna prevista dalla legge. I ricorsi che sono stati effettuati invocando motivi di coscienza, sono stati respinti dalla Corte Costituzionale con l’argomentazione (sottile ma evasiva) che la partecipazione che si richiede al giudice non interessa la sua coscienza, perché è un atto “non decisorio bensì meramente attributivo della facoltà di decidere” a una minore, “unicamente di integrazione, cioè, della volontà della minorenne” (Sentenza n. 186 del 21.V.1987, in “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”, 1ª Serie speciale (17.VI.1987), p. 26-29; vd. Ibid. Ordinanza n. 445 del 12.XI.1987: loc. cit. (16.XII.1987), p. 19-20.
[28] Sono quelle che si chiamano obiezioni di coscienza secundum legem; alcune di esse sono antiche e vengono anche previste negli accordi tra lo Stato e le confessioni religiose, come quelle che proteggono il segreto dei ministri di culto o prevedono la loro esenzione da determinati incarichi incompatibili con il loro ministero.
[29] Il Tribunale Costituzionale spagnolo ha affermato nella sua Sentenza dell’11.IV.1985 che “l’obiezione di coscienza fa parte del contenuto del diritto fondamentale alla libertà ideologica e religiosa riconosciuto nell’art. 16.1 della Costituzione”; anche se questa posizione non è mantenuta in altre decisioni dello stesso tribunale. Cfr. per l’Italia, G. Dalla Torre, Il primato…, cit., p. 105-127.
[30] R. Navarro-Valls, Las objeciones de conciencia, in AA. VV., “Derecho Eclesiástico del Estado español”, 3ª ed., Pamplona 1993, p. 486.
[31] F. Onida, Contributo a un inquadramento…, cit., p. 225; J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en el derecho internacional, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” (1989/2), p. 150.
[32] Cfr. V. Possenti, Sull’obiezione di coscienza, cit., p. 666.
[33] F. Onida, Uguaglianza e libertà religiosa nel separatismo statunitense, Milano 1970, p. 160-161.
[34] Sulla differenza di opposizione, assoluta o relativa, tra coscienza e prescrizione civile, Martínez-Torrón suggerisce soluzioni pratiche molto interessanti (La objeción de conciencia en la jurisprudencia del Tribunal Supremo norteamericano, in “Anuario de Derecho Eclesiástico del Estado”, 1 (1985), p. 456-458).
[35] Prieto Sanchís propone due condizioni generali di ammissibilità dell’obiezione di coscienza: che il diritto esiga un comportamento personale e attivo dell’obiettore; e che il rifiuto di questo non metta in pericolo la vita o la libertà altrui (La objeción de conciencia como forma…, cit., p. 22). Cfr. G. Dalla Torre, Il primato…, cit., p. 137-138.
[36] Tra coloro che si rifiutano di giurare si trovano non solo agnostici, ma anche chi, come i quacqueri e i menoniti, interpreta che il Signore proibì ogni giuramento quando disse “Però io vi dico: non giurate nemmeno per il Cielo…” (Mt 5, 33-37). Diverso è il caso di chi si rifiuta non di giurare, ma di giurare qualcosa, per il fatto di non voler compromettersi in qualcosa che considera contrario alle sue convinzioni. É il caso di chi richiede la nazionalità nordamericana, che deve dichiararsi disposto, sotto giuramento, a difendere anche con le armi le istituzioni costituzionali. Alcuni dei richiedenti si sono rifiutati di giurare, essendo contrari alla guerra. Le controversie hanno avuto diverse soluzioni; oggi però si ammette che la lealtà allo Stato si può dimostrare in molti modi e che chi ricusa di prendere le armi può ottenere la nazionalità (cfr. R. Palomino, Las objeciones de conciencia, Madrid 1994, p. 402-403 e 116-119).
[37] R. Navarro-Valls, Las objeciones de conciencia, in AA. VV., “Derecho Eclesiástico del Estado español”, 3ª ed., Pamplona 1993, p. 481-482; V. Possenti, Sull’obiezione…, cit., p. 670.
[38] Evangelium vitae, n. 73; Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori sanitari, Carta degli operatori sanitari, Città del Vaticano 1994, p. 107, n. 143.
[39] Vd. supra nota 12. Anche in Polonia il Presidente Walesa pose il suo veto a una nuova legge sull’aborto.
[40] La Carta degli operatori sanitari citata nella nota 38 considera illegittima “qualunque azione chirurgica o farmaceutica diretta a interrompere la gestazione in qualunque stadio della stessa” (n. 140); pertanto è direttamente abortivo anche “l’uso di farmaci o mezzi che impediscano l’impiantazione dell’embrione fecondato o che provochino il suo distacco precoce” (n. 142). Si veda la Sent. del Trib. Costituzionale argentino del 5 marzo 2002 Portal de Belén – Asociación Civil sin Fines de Lucro c/Ministerio de Salud y Acción Social de la Nación, che proibisce la cosidetta pillola del giorno dopo o contraccezione di emergenza.
[41] Su queste basi in Olanda è stata concessa ai testimoni di Geova la possibilità di dilazionare illimitatamente la loro entrata in armi, il che equivale di fatto all’esenzione (cfr. B. P. Vermeulen, Finalità e limiti delle obiezioni di coscienza nel diritto olandese ed europeo, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” (1993/1), p. 49-51).
[42] In realtà qui gioca un ruolo anche la costatazione che il servizio militare non compie più il compito di unificazione della popolazione che aveva prima, e che a un esercito moderno interessa più la professionalità che il non albergare tra le sue file tensioni e conflitti. Questo almeno in tempi di pace, e proprio qui sta il problema: l’obiezione militare non ha passato ancora in molti paesi la prova decisiva della guerra; oggi come oggi funziona come criterio di ascrizione a due servizi differenti (armato o non armato); cfr. F. D’Agostino, Obiezione di coscienza e verità…, cit., p. 7-8.
[43] Cfr. F. D’Agostino, Obiezione di coscienza e verità del diritto tra moderno e postmoderno, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, (1989/2), p. 3-5.
[44] Cfr. B. P. Vermeulen, Finalità e limiti…, cit., p. 49.
[45] R. Navarro-Valls, Las objeciones de conciencia, in AA. VV., “Derecho Eclesiástico del Estado español”, 3ª ed., Pamplona 1993, p. 489; J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en la jurisprudencia…, cit., p. 451.