La beatificazione di Federico Ozanam

Un padre di famiglia dalla fede ardente e dalla carità inventiva


ROBERTO D’AMICO

Nel 1983 in un’udienza concessa alle Conferenze, in occasione del 150° di fondazione il Santo Padre Giovanni Paolo II presentò la figura del Venerabile con queste significative parole: «Bisogna prima di tutto ringraziare Dio per il dono che Egli ha fatto alla Chiesa nella persona dell’Ozanam. Si rimane meravigliati per tutto quello che ha potuto intraprendere per la Chiesa, per la società, per i poveri, questo studioso, questo professore, questo padre di famiglia, dalla fede ardente e dalla carità inventiva, nel corso della sua vita troppo presto finita…».
Le parole del Santo Padre ci delineano la grandezza spirituale di quest’uomo che nella sua breve vita terrena: dal 1813 al 1853, in un solo quarantennio, «explevit tempora multa» (Sap 4, 13).

La santità è più un processo evolutivo che un fatto statico; e non sempre agl’inizi i santi lasciano prevedere quale sarà la loro futura maturazione e quale il suo epilogo. Non così per Federico Ozanam. Senza voler per forza mettergli l’aureola fin dalla nascita, i sintomi d’una santità in atto, che avrebbe poi avuto la sua più compiuta fioritura, son chiaramente rilevabili già nel suo sereno e caldo ambiente familiare, negli anni trascorsi a Lione fino al 1822.

Si, è vero, egli s’accuserà più tardi d’essere stato, verso gli otto anni, irascibile, cocciuto, pigro e goloso. E tuttavia, nel riassumere in quel giudizio la valutazione complessiva della sua infanzia, riconoscerà che, tutto sommato «era allora molto buono». In verità, le testimonianze ne documentano non solo l’angelica innocenza e la delicatezza del sentire, ma anche un bel corredo di tante altre virtù all’interno d’un equilibrio psichicomorale di proporzioni indubbiamente superiori rispetto alla media. Il futuro «santo», però, ebbe modo di delinearsi e rivelarsi negli otto anni del Collège Royal. Federico vi trascorse un’adolescenza limpida e seria, fortemente impegnata sul piano degli studi non meno che su quello morale. D’ingegno precoce, si dedicò con generosità e fedeltà al dovere, coltivò una pietà genuina e convinta, una grande onestà di costumi, una laboriosità alacre ed infaticabile. Nemmeno a lui fu risparmiata la crisi dei 1416 anni: crisi intellettuale, ma vera tortura di dubbi e tentazioni contro al fede. La crisi non lo prostrò, ma contribuì a fortificarne lo spirito, ne uscì grazie alla costanza del suo studio, della sua preghiera, della sua frequenza ai sacramenti.

A 18 anni Federico aveva già la stoffa e lo stile di vita dell’uomo padrone di sé, capace d’imprimere alla sua esistenza i ritmi che ne fecero, l’apostolo della carità ed il testimone della fede. Non gli fu difficile affrontare la prova universitaria (Parigi 18311836). Chi lo conobbe negli anni dell’università, lo descrive come un modello nello studio e nella pietà. Si noti: il riconoscimento è corale. I settori nei quali e dai quali esprime la sua esemplarità sono sempre gli stessi: un impegno, motivato soprannaturalmente, nello studio senza soste ed aperto su vastissimi orizzonti; ed un’attività apostolica che, sorretta dalla sua interiorità ricca e gioiosa, non si limita ad alleviare l’altrui indigenza, ma procura con ogni diligenza di elevare la mente e il cuore degli stessi indigenti. Ed intanto il suo temperamento pronto, la sua chiarezza di idee, la generosità del suo zelo ne fan già un valido apologeta della fede secondo una caratteristica inconfondibile che segnerà la sua personalità tra i grandi del suo tempo e l’accompagnerà sino alla morte. Al quinquennio parigino succede un quadriennio lionese (18361840). Brillantemente laureatosi, esercita l’avvocatura ed insegna il diritto, ma in cuor suo è alla ricerca spasmodica della sua strada; si interroga sulla sua vocazione. Alla fine del 1839 la scelta è definitiva: la cattedra di lettere alla Sorbona e la decisione di mettere su famiglia. Si sposerà infatti il 21 giugno 1841. Ma la sua tensione ascetica gli aveva fatto balenare l’idea del convento, lusingato dall’appoggio del suo grande amico Lacordaire. Solo la consapevolezza di dover dare una testimonianza cristiana nel mondo lo spinse al matrimonio.


Altissime qualità

Federico Ozanam, fu professore universitario di altissime qualità intellettuali e morali oltre di grande preparazione scientifica, così pure fu sposo e padre dal tratto e dal comportamento ispirato a tenerezza e a grandi ideali spirituali. Fede e carità furono il suo distintivo sia nell’esercizio della sua professione accademica, sia nell’impegno di apologeta, sia soprattutto nella vasta azione caritativa che con la sua persona e le Conferenze seppe sviluppare. La ricchezza interiore del nostro Servo di Dio si può e si deve commisurare dalla sua Carità eroica verso Dio, già assai chiaramente preconizzata dalla sua fede. Egli era convinto che la santità consiste nella carità, poiché era convinto della santità di Dio. Significative alcune delle sue ultime parole, rivolte ai fratelli ed alla moglie che lo esortavano alla confidenza in Dio, da lui costantemente servito: «Enfants, vous ne savez pas ce que c’est que la sainteté de Dieu!» (Summ.s. Virt., p. 244). Il Servo di Dio aveva orrore del peccato come offesa di Dio, perciò in tutta la sua vita cercò di evitare anche le minime mancanze, rasentando qualche volta lo scrupolo. Le testimonianze sono assai chiare: «Il Servo di Dio aveva un orrore profondo delle minime mancanze. Sono più che persuaso che egli non ha mai commesso una colpa mortale, se si giudica dall’energia con la quale lottava contro le tendenze del suo carattere ad alterarsi e dalla dolcezza a cui era arrivato alla fine della sua vita. Se egli parla di numerosi peccati, egli lo fa alla maniera dei santi, che si rimproverano amaramente le loro minime mancanze, ed anche per il grande concetto che egli aveva della santità di Dio» (Summ. s. Intr., p. 358, § 15).

«Amava Dio sopra ogni cosa e tutta la sua vita lo testimonia. Io non conosco niente di lui, né in ciò che ho letto dalle sue lettere, né dalle testimonianze dei contemporanei, che autorizzi a pensare che egli abbia peccato. La sua carità [per Dio] si rivela nella completa sottomissione alla volontà di Dio, anche nelle ore di tristezza causate dalla malattia e dalle previste separazioni; si rivela nella sua profonda devozione alla persona di Nostro Signore, il cui nome torna costantemente sulle sue labbra e sotto la sua penna. Si rivela nel suo culto alla s. Eucaristia» (ibid, pp. 360 s., § 22); «Considerava il peccato come “il più grande dei mali nell’ordine delle cose spirituali”. Sua preoccupazione costante era di compiere la volontà di Dio, che si manifestava attraverso i doveri del suo stato… Si rallegrava di tutto ciò che ridondasse a gloria della religione: “Da tutti gli angoli della Francia, quando le nostre Conferenze si saranno sparse, si eleverà un armonioso concerto di fede e d’amore a lode di Dio”. Al contrario esprimeva il suo dolore quando la religione era attaccata o provata… S’abbandonò pienamente alla Provvidenza […] Frédéric Ozanam ha praticato in modo mirabile la carità in tutte le sue forme» (Disq., pp. 45 ss., nn. 28 s.). Si potrebbe quindi con verità affermare che il Servo di Dio viveva come immerso in Dio, come il pesce nell’acqua, poiché non Lo poteva dimenticare, né mai si sarebbe staccato da Lui, anche a costo della vita. Per questo provava grandissima ammirazione per i santi e per i martiri, poiché vedeva in essi gli autentici campioni dell’amore vero e disinteressato per Iddio. Anche lui fece di tutto per agire unicamente per amor di Dio. Un teste afferma ancora in proposito: «L’amor di Dio in Ozanam si manifesta nella sua purità d’intenzione, che egli porta nelle sue azioni. Tutto unicamente per Dio! All’inizio della sua carriera (19 aprile 1831) scrive all’amico Materne: “Amico mio, filosoficamente e religiosamente parlando, l’unica regola da dare a ciascuno dei nostri atti, è la legge dell’amore. Amore di Dio, amor del prossimo. Oh, amico mio, che questa legge d’amore sia la nostra, e, togliendo di mezzo la vana gloria, il nostro cuore non brucerà più che per Dio, per gli uomini e per il vero bene”. […] L’amore di Ozanam per Dio si manifestava nei suoi sentimenti di pietà… Il 21 agosto 1852 a JJ. Ampère: “La filosofia ha conosciuto Dio, ma non lo ama, essa non ha mai fatto scorrere una di quelle lacrime d’amore che un cattolico trova nella comunione, e la cui incomparabile dolcezza varrebbe da sola il sacrificio di tutta la vita”» (Summ. s. Introd., pp. 366 s., §§ 43 ss.).

 

Carità teologale

Il Servo di Dio era quasi giunto al termine della sua breve esistenza e manifestava chiaramente che Iddio era stato e rimaneva veramente al centro delle sue attenzioni, era il vero amore di lui cattolico laico, marito e padre, soprattutto attraverso il mistero d’amore dell’Eucaristia. Per la devozione del Servo di Dio alla Beata Vergine Maria è sufficiente leggere ed analizzare la Prière a Notre Dame de Burgos (cfr Disq., pp. 941 s., n. 2): si potrà comprendere come egli vedesse la presenza materna di Maria come incarnata nella storia dell’Europa e di ogni uomo, per cui non si può non rivolgersi a Colei, che egli invoca: O Notre Dame! que Dieu a bien récompensé l’hurnilité de sa servante! Et, en retour de cette pauvre maison de Nazareth, où vous aviez logé son Fils, que de riches demeures il vous a données! (ibid., pp. 942).

La carità teologale del Servo di Dio attinge l’eroismo soprattutto tenendo conto dell’ambiente in cui il Servo di Dio visse ed operò, procedendo continuamente contro corrente, con una linearità e coerenza che solo un ardente amore per Iddio poteva sostenere, senza mai venir meno, ma con un «crescendo» che solo la morte doveva arrestare… La figura del Servo di Dio certamente spicca di fronte alla «opinione pubblica» cattolica mondiale, per la sua Carità eroica verso il prossimo, facendo subito riferimento alla fondazione delle Conferenze di s. Vincenzo de’ Paoli. Conoscendo l’autentica posizione storica del SdD a questo riguardo tenendo ferma l’opzione per «i sette fondatori», non v’è dubbio che Ozanam spicca per la sua personale santità e per essere un po’ «l’anima» degli inizi, divenendo poi come una bandiera del movimento laico vincenziano, come certamente lo ritenne il B. Pier Giorgio Frassati, o il Ven. Alberto Marvelli (19181946), riguardandolo anche come modello di perfezione. Il clima di eroismo, già affermato in precedenza, non manca davvero per la carità verso il prossimo, come risulta da tutta la documentazione. Spigoliamo dalle testimonianze: «So, a testimonianza di sua moglie, che egli ha sempre consacrato un decimo delle sue spese per i poveri, arrivando anche fino ad un sesto. “L’elemosina non era per lui un dovere, ma una gioia. Mi ha frequentemente detto che si sentiva più contento in una soffitta, circondato da una famiglia di mendicanti, che non in un salone dorato in mezzo a grandi signori”. Una povera donna, di cui Ozanam aveva assistito il marito negli ultimi istanti, diceva di lui: “Era così buono, così amabile, il signor Ozanam; per lui tutti erano uguali, i poveri come i ricchi”» (Summ. s. Introd., p. 377, § 2); «La carità verso i poveri riempiva tutta la sua vita. Li visitava di persona e particolarmente la domenica all’uscita dalla s. Messa, pensando che egli andava a ringraziare nella loro persona Colui che aveva appena ricevuto nella s. Comunione. Nelle sue visite s’intratteneva amichevolmente con loro delle cose che li potevano interessare. Li riceveva anche in casa, senza farli mai attendere: Per lui eravamo tutti uguali — osservava una povera donna —. Ci faceva accomodare sulle sue poltrone… Spingeva la sua mansuetudine fino a dimenticare i loro torti. […] Praticava tale carità verso tutti, senza distinzione di religione» (ibid., p. 379, §§ 9 ss.).

Una gravissima malattia, ne affidò il suo animo e aumentò sempre più il suo abbandono alla Divina Provvidenza. E di quel periodo questa commovente preghiera che ci sia permesso citare un passo nella lingua originale: «Si je repasse devant vous mes années avec amertume, c’est à cause des péchés dont je les ai souillées; mais quand je considère les gràces dont vous les avez enrichies, je repasse mes années devant vous, Seigneur, avec reconnais-sance. Quand vous m’enchaineriez sur un lit pour les jours qui me restent a vivre, ils ne suffraient pas à vous remercier des jours que j’ai vécus: Ah! si ces pages sont les dernières que j’ècris, qu’elles soient un hymne à votre bonté!» (Disq., pp. 995 s.).

Quando l’8 settembre 1853, si spense, nel nome del Signore Gesù, lasciò dietro di sé il ricordo di una sintesi perfetta di doti umane perfezionate dalla grazia: Era il ricordo di un santo.

ROBERTO D’AMICO

 

 

Quel bambino brasiliano guarito per intercessione del Servo di Dio Ozanam


ROBERTO D’AMICO

Il venerabile Federico Ozanam visse nella prima metà del secolo IX, per lo spazio di appena 40 anni, quando le vicende politiche della Francia e dell’Europa, come pure la storia della Chiesa, subirono delle svolte che sembravano, fino ad allora impensate. Federico sentì e visse intensamente gli anni della sua breve maturità, recando un contributo notevolissimo alla cultura, alla società, ma soprattutto all’apostolato dei laici nella Chiesa, con ripercussioni che felicemente perdurano anche oggi. Egli venne a morire nel 1853 circondato da venerazione e rispetto da parte di quanti lo amavano ed anche da alcuni che lo avversavano, con manifestazioni chiaramente indicative di fama di santità. La bibliografia celebrativa e rievocativa della sua persona iniziò ancor prima della sua morte, ma naturalmente ebbe un andamento sempre più nutrito dopo il suo transito. Appena due anni dopo nel 1855 si pubblicarono l’Oeuvres complétes in vista della continuazione dell’influenza edificante che gli scritti e l’insegnamento avevano esercitato durante la sua breve vita.

Nel 1879, il fratello di Federico Mons. Alfonso Ozanam pubblica una vita più completa, dopo una breve, scritta dal grande oratore domenicano il Padre Lacordaire. È nel 1913, in occasione del centenario della nascita dell’Ozanam, che la Società di S. Vincenzo de Paoli attraverso il contributo di storici e di uomini di cultura sottolinea nel «Livre du Centenaire» che il nostro venerabile non era solo un uomo di studi, ma una persona ricca delle più grandi virtù al punto da meritare di essere chiamato «santo». Il bisogno allora di intraprendere un Processo Ordinario di beatificazione si fece sentire. Il ritardo era dovuto sia al bisogno constatato di uno studio approfondito di una figura molto impegnata nel mondo laico e in maniera così varia, sia ancora alle vicissitudini sfavorevoli della politica interna della Francia, e alla guerra mondiale. Si doveva così giungere al 10 giugno 1925 (a 72 anni dalla morte del Venera-bile) per dare inizio al Processo Ordinario di Parigi, che doveva indagare sulla fama di Santità, sulle virtù e sugli eventuali miracoli. Nessuna meraviglia se solo un teste (il 14°) poteva asserire di averlo conosciuto da piccolo, mentre tutti gli altri trenta testimoniarono ciò che avevano udito da coloro che erano vissuti con lui. Con le testimonianze furono raccolti anche importanti documenti, specialmente dagli scritti della vedova del Venerabile. Nel settembre 1932 era pronta la «Informatio super Introductione Causae», ma si dovette aspettare sino al 1952 per avere le allora richieste «Animadversiones» del Promotore generale della fede.

Negli anni 1955-56 si tenne il Processo Apostolico presso la Curia Arcidiocesana di Parigi, a più di cento anni di distanza dalla morte del venerabile. Così la causa ebbe un carattere storico e dobbiamo molto all’opera indefessa del Padre vincenziano Etienne Diebold che ha scritto un’opera storica di grande valore, in quanto a documentazione e a vastità, circa 1.300 pagine, «Disquisitio de vita et actuositate Servi Dei» con il sottotitolo «Etude critique et Documents».

Grazie a questo lavoro e alla «Positio super virtutibus — Informatio et Summarium», Roma 1990, i Consultori Storici il 3 marzo 1992 e Il Congresso Speciale della Congregazione dei Santi il 18 dicembre 1992 hanno dato risposta affermativa sui quesiti riguardanti la consistenza storica della causa e l’eroicità delle virtù del Servo di Dio. In seguito i Padri Cardinali e Vescovi nella sessione Ordinaria del 4 maggio 1993 all’unanimità si sono espressi favorevolmente sulla santità del Servo di Dio. Infine il Santo Padre accogliendo e ratificando i voti della Congregazione dei Santi ordinò che si componesse il Decreto sulla eroicità delle virtù il 6 luglio 1993.

Dopo la pubblicazione del decreto la Postulazione ha presentato alla Congregazione delle Cause dei Santi un caso di guarigione attribuita all’intercessione del medesimo venerabile per farne riconoscere la miracolosità ai fini della beatificazione. Il caso riguarda un bambino brasiliano, Fernando Benedetto Ottoni, di diciotto mesi, malato di «grave forma di difterite con compromissione dello stato generale» e guarito i primi di febbraio del lontano 1926 a Nova Friburgo, Brasile. Il miracolato è ancora vivente. Nella Consulta Medica del 22 giugno 1995 si ebbe una conclusione unanime sull’inspiegabilità naturale e scientifica della guarigione del piccolo sanato. I Consultori Teologi, nel Congresso Ordinario del 24 novembre 1995, conclusero unanimamente sulla miracolosità della guarigione e sull’attribuzione della stessa all’intercessione del venerabile Servo di Dio Federico Ozanam. Il 21 maggio 1996 nella Congregazione Ordinaria i Vescovi e i Cardinali si sono pronunciati all’unanimità sulla affidabilità e solidità delle prove, e sul miracolo attribuito al Venerabile Ozanam. Il 25 giugno dello stesso anno il Santo Padre, con il Decreto «super miro», ha ratificato il giudizio della Congregazione dei Santi.

Il 22 agosto 1997 Giovanni Paolo II, a Parigi, nell’ambito della Celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù dichiarerà Beato Frederic Ozanam.

 

 

 

La Società di San Vincenzo de’ Paoli: natura e origine


La Società di San Vincenzo de’ Paoli è una organizzazione cattolica internazionale laica, fondata a Parigi nel 1833 da Antonio Federico Ozanam e posta sotto il patrocinio di San Vincenzo de’ Paoli, il Santo dei poveri, vissuto in Francia nel 1600. Il fine della Società è la promozione della dignità della persona umana mediante l’impegno concreto, attuato nelle forme e nei modi necessari, per la rimozione delle situazioni di bisogno e di emarginazione, individuali e collettive, in un cammino di sempre maggiore giustizia. Fedele ai suoi fondatori, essa opera nel mondo, nel desiderio costante di rinnovarsi e di andare incontro alle condizioni mutevoli della società degli uomini. A carattere cattolico, la Società è aperta a tutti coloro che vogliono vivere la fede nell’amore e nel servizio ai fratelli. Dove le circostanze lo suggeriscono, essa accoglie cristiani di altre confessioni o credenti di altre fedi, che aderiscono ai suoi principi. I membri della Società sono uniti tra loro da un comune spirito di povertà e di comunione, e formano, assieme a coloro che cercano di aiutare, una sola famiglia.

Per mezzo della preghiera, la meditazione delle Scritture e la fedeltà agli insegnamenti della Chiesa, i vincenziani si sforzano di essere in ogni momento testimoni dell’amore di Cristo, nelle diverse circostanze della vita quotidiana, impegnandosi anche come cittadini a promuovere la giustizia ed a migliorare la società civile in cui sono inseriti. La Società di San Vincenzo de’ Paoli è diffusa nei cinque continenti, opera in 130 Paesi (22 in Asia, 39 in Africa, 33 in America, 27 in Europa, 9 in Oceania), con 46.650 Conferenze, comprendenti circa 856.000 membri. La sede generale è a Parigi, 5 rue du Pré-aux-Clercs.

 

Una giovane vita quotidianamente spesa al servizio degli ultimi


«È troppo poco soccorrere l’indigente di giorno in giorno; bisogna mettere mano alla radice del male e, per mezzo di sagge riforme, diminuire le cause della miseria pubblica». «La carità non deve mai guardare dietro di sé, ma avanti, perché il numero delle sue buone opere passate è sempre troppo piccolo e perché infinite sono le miserie presenti e future che deve alleviare».

Federico Ozanam nasce a Milano il 23 aprile 1813. A vent’anni ottiene il bacca-laureato, a ventisei consegue a Parigi il dottorato in lettere con una tesi sulla filosofia di Dante Alighieri.

Nell’ottobre del 1840, ventisettenne, vince il concorso per la cattedra di letteratura straniera alla Sorbona. Viaggia a lungo per l’Europa, in particolare in Italia, e scrive opere sulle origini della cultura europea tuttora importanti. A 28 anni sposa Amélie Soulacroix, dalla quale avrà una figlia. A 35 anni è anche giornalista e pubblica su «L’Ere Nouvell numerosi articoli in favore delle classi lavoratrici. Si occupa a fondo dei problemi sociali e provoca riflessioni fino allora sconosciute nell’ambiente cristiano; in una sua lezione prevede e propone le associazioni dei lavoratori! È riconosciuto come un precursore della dottrina sociale della Chiesa Cattolica, di cui voleva conoscere le origini culturali e religiose e sulla quale scrisse libri ancora ricercati.

Muore a Marsiglia il 15 settembre 1853 all’età di quarant’anni per grave malattia, vissuta nell’accettazione cristiana. Aveva scritto: «I grandi uomini sono quelli che non possiedono mai in anticipo il piano del loro destino, ma si sono lasciati condurre per mano da Dio».

Ciò che diede un’impronta particolare alla sua vita, ciò che lo farà ricordare alle nuove generazioni, inizia esattamente il giorno in cui compie vent’anni, il 23 aprile 1833: la nascita della Conferenza di Carità da lui promossa, che diverrà la Società di San Vincenzo de’ Paoli.

Daniel Rops nella «Storia della Chiesa» scriverà nel 1968: «Tra tutti coloro che vedremo rappresentare una parte cospicua del cattolicesimo sociale, non ce n’è uno forse che non sia passato per le Conferenze di San Vincenzo» per andare incontro alle innumerevoli necessità dei poveri. Ozanam definì le San Vincenzo cosi: «Una società cattolica ma laica, umile ma numerosa, povera ma carica di poveri da sollevare; soprattutto in un“epoca in cui le associazioni di carità hanno una così grande missione da compiere per il risveglio della fede, per il sostegno della Chiesa, per la tregua degli odi che dividono gli uomini».

Ozanam fu un testimone laico della fede, anticipatore di quel profilo del laico cristiano che il Concilio Vaticano II delineerà nella Lumen gentium.

La Società di San Vincenzo de’ Paoli è presente in Italia con oltre 20.000 membri, organizzati in 2.153 Conferenze di San Vincenzo ed è, per costituzione, un’associazione nata da giovani per i giovani, disposti, attraverso il rapporto personale diretto nella visita a domicilio del povero, alla condivisione di ogni forma di povertà e di emarginazione nella ricerca della giustizia sociale. Essa si propone di mantenere vivo lo spirito del Fondatore, adeguandolo alle molteplici esigenze delle nuove povertà, in piena comunione con la Comunità ecclesiale.

 

 

Un impegnativo cammino di santità laicale 


JEANNE CARON

La vita attiva di Frédéric Ozanam coincide con i diciotto anni della Monarchia di Luglio (1830-1848); essa ci permette di inquadrare i problemi che si trovava ad affrontare in quell’epoca un cattolico in Francia. Invita inoltre ad una forma di santità che il Concilio Vaticano II ha presentato in maniera esplicita nella sua riflessione sulla missione dei laici nella Chiesa. Nel 1830, all’età di diciassette anni, Frédéric Ozanam, dopo aver terminato il suo anno di studi di filosofia, scrive: «Il mio partito è preso, il mio compito tracciato per il resto della vita». Pur senza conoscerne ancora le modalità, egli aveva intuito che l’impegno che avrebbe caratterizzato la sua esistenza sarebbe stato essenzialmente universitario e sociale. Lo studio delle società arcaiche, avviato in particolare da un gruppo di ricercatori tedeschi sin dalla fine del XVIII secolo, gli dà la certezza che Dio ha fatto a tutti gli uomini, nel crearli, una prima rivelazione di se stesso di cui le diverse religioni portano una traccia. Questa scoperta fortifica la fede. «Nell’urgenza di ricercare» questa eredità senza prezzo e «pieno di gioia», si mette all’opera. Aiutato dalla sua ottima padronanza della lingua tedesca, compila delle bibliografie che lo conducono dai Celti ai Lapponi. Contemporaneamente, apprende i primi rudimenti di sanscrito. È qualcosa di più dell’entusiasmo di un giovane studente: «Se voglio scrivere un libro a trentacinque anni, a diciotto devo cominciare i lavori preliminari». Con realismo, eccolo impegnato nella battaglia che condurrà lungo il corso della sua carriera di storico per riconciliare la fede e la scienza. Il frutto di questo lavoro sarà quella professione di fede che equivale ad un manifesto: egli dichiara di non aver mai evitato le questioni religiose nella storia, «il che sarebbe risultato poco scientific, e aggiunge: «pensavo di rendere onore all’Università, di servirla, di difenderla, nel mostrare quanto spazio di libertà essa concedeva ai credenti sinceri». L’impresa non era esente da rischi in un’Università nella quale Auguste Comte era per molti il maestro di pensiero. Ozanam è l’uomo delle lente maturazioni. In quegli inizi del capitalismo liberale che nessuna legislazione sociale poteva frenare, egli risente dei danni del pauperismo come di una ferita. «Siamo troppo giovani — scriveva nel 1833 — per intervenire nella lotta sociale; resteremo inermi in mezzo al mondo che soffre e geme? No, ci è stata aperta una strada preparatori. È così che nasce la Società di San Vincenzo de’ Paoli. Ozanam era lungi dal pensare che questa «strada preparatoria» si sarebbe trasformata nell’opera di tutta la sua vita e che avrebbe conosciuto impensabili sviluppi. Con la rivoluzione del febbraio 1848, Ozanam pensa che sia venuto il momento di impegnarsi direttamente per favorire audaci cambiamenti sociali. Nel giornale «Correspondant» pubblica un articolo intitolato «Passiamo ai barbari» di cui presentiamo questo vigoroso estratto: «Chiedo che ci occupiamo del popolo, che ha troppi bisogni e troppo pochi diritti, che reclama a ragione una parte più completa negli affari pubblici, garanzie per il lavoro e contro la miseria, che ha cattivi capi, essendo difficile trovarne di buoni. Non riusciremo forse a convertire Attila e Genserico, ma noi insieme a Dio forse avremo la meglio sugli Unni e sui Vandali». A quell’epoca ad Ozanam non rimanevano più di cinque anni di vita. Egli ha abbondantemente onorato il contratto della sua giovinezza. Nella sua vita familiare, come in quella professionale, egli ha aperto la strada al ruolo dei laici nella Chiesa. Altri, dopo di lui, riprenderanno i suoi impegni universitari e sociali per portarli avanti con altrettanto coraggio e intelligenza. Ma resta da cogliere la forza interiore che lega tra loro tutte le attività di Frédéric Ozanam; a questo fine, paradossalmente, occorre tenere conto della sua vulnerabilità rispetto all’inquietudine. Questa lo faceva soffrire.

Paragonandosi agli uomini della sua generazione diceva: «Di tutti i doni dello Spirito Santo, quello che mi manca di più è la fortezza». Cionondimeno, per quanto gli sia costato, non si è mai tirato indietro davanti ad un compito da adempiere. La sua liberazione infatti è cominciata il giorno in cui ha capito che esisteva un collegamento tra la sua ansietà e il suo attaccamento a se stesso. Da allora, come si ricava dalla sua corrispondenza, nonostante, ovviamente, dei momenti di debolezza, assistiamo alla crescita di una vita profonda il cui libero svolgersi è sempre meno turbato da un’agitazione superficiale; una vita che scorre senza scossoni né crisi e tende ad ordinarsi in un insieme armonioso: la fede, l’amore, le amicizie, il lavoro, la stessa sofferenza.

 

 

«Ho collocato Ozanam nel mio oratorio segreto dei santi sconosciuti» 


JEAN GUITTON dell’Académie Française

Gli eroi sono facili da individuare. Non altrettanto i saggi. Particolarmente difficile individuare i santi. Si pone un problema preliminare: cosa si intende per santità? Qual è questa qualità misteriosa, umana e divina al tempo stesso, che va ad aggiungersi al valore morale, al fare del bene, alla reputazione, alla semplice celebrità in modo che la Chiesa cattolica, attraverso un atto giuridico ed in seguito ad un severo e dettagliato processo, osi elevare uno dei suoi membri «agli onori degli altari», associandolo al sacrificio di Cristo e invitando non solo a imitarlo come modello, ma anche a pregarlo come intercessore? Neanch’io so bene quale definizione scegliere della parola «santità». Quello che so è che, grazie ad una sorta di fiuto spirituale che ho avuto nel corso della mia esistenza, ho respirato questo profumo particolarmente dolce e confortante in alcuni esseri che ho conosciuto: il fatto è che, avendo letto alcune Vite, ho respirato in queste quello stesso profumo. E, nonostante esista un numero sterminato di santi sconosciuti, nonostante li incrociamo tutti i giorni (sconosciuti a loro stessi), sono riconoscente alla Chiesa cattolica, mia madre, per offrirmi l’assicurazione che quel tale è «santo».

 

Profumo di santità


Quello che ora vorrei dire sono le ragioni personali che mi fanno respirare in Federico Ozanam questo profumo di santità. Naturalmente, mi rendo conto, quanto chiunque altro, del tributo che Ozanam doveva pagare all’infermità: vedo chiaramente che è stato segnato dalla mentalità di un’epoca trascorsa, benché vicina, che occorrerà uno sforzo per ringiovanirlo, secondo la moda di questo tempo. Per esempio, egli accettava l’idea che continueranno a esistere per molto tempo ancora «ricchi» e «poveri»; che occorre rendere il ricco caritatevole e il povero riconoscente; differenze che sono in forte contrasto con il nostro concetto di uguaglianza. E in un altro campo, il suo stile romantico, la sua «eloquenza», i suoi corsi alla Sorbona non sono più di moda oggi. Nella sua tenerezza, troviamo troppe lacrime; nel suo pensiero, troppo ardore; nella sua erudizione, troppa precipitazione. Non ha la statura dei giganti; sto pensando a Lamennais, che all’inizio gli fu così vicino, a Lacordaire, il suo fratello maggiore bianco, o a Michelet, che è forse l’appartenente all’altro campo che avrebbe potuto essere suo amico.

Quel «non so che», tuttavia, è di tutt’altra essenza e di tutt’altro ordine. E qui mi sembra che Ozanam superasse i suoi pari, persino Lacordaire, e che occorra collocarlo nel campo di ciò che chiamiamo «santità». Perché? Ancora una volta, mi è difficile dirlo. Non è solo a motivo delle sue virtù, che sono eccezionali, che tutti conosciamo attraverso i libri che hanno raccontato la sua vita. Non è neanche grazie alla sua azione così profetica nel periodo della Monarchia di Luglio, in cui riviveva lo spirito borghese volteriano, con il suo egoismo di classe e la sua non-credenza, apparentemente scientifica. Ozanam, sin da quando era molto giovane, aveva intuito che occorre combattere su due fronti: quello della scienza, dimostrando che, se un poco di scienza allontana dalla fede, una scienza approfondita ci riavvicina ad essa. E aveva cercato di dimostrarlo in una disciplina indubbiamente alquanto secondaria, la Storia delle idee in Europa, che l’aveva fatto diventare uno dei docenti più giovani dell’antica Sorbona. L’altro fronte sul quale combatteva il nostro giovane profeta era quello dell’assistenza sociale, della «carità» nella misura in cui annuncia, precede e fa da sfondo ad ogni giustizia, nella misura in cui questa è quotidiana, efficace, concreta: fondò le famose «Conferenze», ma, ancora una volta, né la riflessione sulla scienza né il lavoro di assistenza sociale permettono di accedere a quel «non so che». E’ necessario andare ancora oltre.

 

Dare tutto ai giovani


Di questa misteriosa sublimazione delle nostre più alte energie nessuno ha  avuto una consapevolezza maggiore di S. Paolo, dotato di tanti doni carismatici. Rileggevo il celebre brano della Prima Lettera ai Corinzi, che mi catturava per il suo paradosso inaudito, quasi insopportabile: dare tutto ai poveri, trasportare le montagne con la propria fede, godere dei più rari favori mistici, o ancora di più, subire il martirio a nulla vale, equivale a zero, se non si possiede quella che Paolo chiama l’agape. Traduzione: «carità»; la parola risulta vaga, inesatta, poiché ciò che Paolo descrive (più di quanto non definisca) non è né la filantropia, né la generosità, né la fede-amore, né lo zelo, né l’eroismo che giunge fino alla morte.

Vi esorto a rileggere questa descrizione dell’agape in un clima di silenzio… Poi, tornando ad Ozanam, mi chiedevo se questi diversi atteggiamenti della coscienza definiti con tanta precisione dall’Apostolo, sovrapposti e al tempo stesso fusi insieme come avviene ai colori dello spettro nella luce tenue, non si trovino anche in Ozanam, non solo nella sua vita e nella sua condotta, ma anche nello spirito delle Conferenze, dove ciò che veniva richiesto era il dialogo, la «visita» particolare, frequente, sempre reiterata…

 

Un segno venuto da Dio


Per chiarire una volta per tutte questo punto della santità, in ultima istanza occorre andare al di là di queste osservazioni. È la Chiesa che giudica, che implora dei segni che vengano da Dio. Allora entriamo nel mistero. È tuttavia necessario sottolineare che la Chiesa, prima che sui segni divini, si fonda sugli appelli umani, sulla voce del «popolo», sull’opportunità, sul bene comune nel momento presente della Storia. La Chiesa «canonizza» solo coloro che sono stati virtualmente riconosciuti come dei «santi» attraverso l’esperienza del popolo e, in generale, per un periodo lungo. Non posso, in questo breve articolo, dilungarmi su questo punto. Lascio al lettore la conclusione. La mia decisione è presa. Ho collocato Ozanam nel mio oratorio (segreto) dei «santi» sconosciuti, dove ha raggiunto Pascal e Newman, per non parlare che di coloro che, dal passato, mi parlano di più. Ed auspico vivamente che questo rappresentante dell’area laica, così riabilitato dal Concilio, si avvicini alla gloria.

 

Estensione e campi di attività 


In Italia la Società di San Vincenzo de’ Paoli è rappresentata dal Consiglio Nazionale, con sede a Roma, via della Pigna 131a, ed opera attraverso 18 Consigli Regionali, 106 Consigli Centrali (diocesani), che animano e coordinano 2.153 Conferenze, comprendenti oltre 20.000 membri, che svolgono attività caritative e socio-assistenziali soprattutto in ambito parrocchiale, presso aziende o con opere speciali. Le Conferenze furono così chiamate, perché i giovani universitari del gruppo fondatore, tra cui Ozanam, partecipavano alle Conferenze di storia, letteratura e filosofia in voga nella Parigi dell’epoca, e quando decisero di dare vita ad incontri in cui affrontare i problemi della povertà e della giustizia sociale, chiamarono gli incontri «Conferenze di carità». Era il 23 aprile del 1833. Tali gruppi si diffusero rapidamente in Francia ed in altri Paesi del mondo e successivamente, con la scelta di San Vincenzo de’ Paoli come patrono, si chiamarono «Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli». Con il moltiplicarsi delle Conferenze, nacque la Società di San Vincenzo de’ Paoli. In Italia la prima Conferenza nacque a Roma nel 1836 e successivamente si diffusero in quasi tutte le città italiane. Nessuna opera di carità è estranea alla Società. La sua azione comprende ogni forma di aiuto, volto ad alleviare le sofferenze, a promuovere la dignità e l’integrità della persona umana e si sviluppa prevalentemente nel rapporto interpersonale diretto nelle visite a domicilio. Le Conferenze ed i Consigli della Società di San Vincenzo de’ Paoli, fin dal loro sorgere, attivarono anche biblioteche, servizi di collocamento al lavoro, case operaie, colonie, scuole di alfabetizzazione per militari ed operai, scuole di catechismo, magazzini di vestiario, di mobili, distributori di farmaci, assistenza ai malati, ai carcerati, ecc.. Col passare del tempo e con la nascita di servizi sociali e di gruppi specifici in favore delle esigenze dei cittadini meno protetti, le Conferenze  mutarono in parte i campi di attività.

 

Assistenza e attività speciali


La Società di San Vincenzo de’ Paoli cerca non soltanto di alleviare i mali di chi soffre, ma di scoprire, sanare e rimuoverne le cause. Dà il suo aiuto a chiunque ne abbia bisogno, senza distinzione di religione, ideologia, razza, origine e classe. Più in dettaglio, le categorie delle persone aiutate sono: famiglie in ristrettezze economiche, madri abbandonate, anziani in solitudine, malati organici e psichici, nomadi, extracomunitari, carcerati ed ex carcerati, tossicodipendenti, portatori di handicaps, emarginati, alcoolisti, senza fissa dimora. La Società di San Vincenzo de’ Paoli ha promosso e sostiene molte opere speciali, che svolgono attività socio-assistenziale per anziani, emarginati e senza fissa dimora, immigrati, donne in difficoltà, ragazzi. Tra le opere sociali maggiori, si ricordano: l’assistenza notturna e diurna; l’assistenza a studenti e lavoratori; l’assistenza ad anziani; la promozione sociale; le mense; i centri polivalenti; l’assistenzi agli ex carcerati; l’attività internazionale e la formazione. Per quanto riguarda l’attività internazionale, i giovani vincenziani partecipano alla solidarietà internazionale con un progetto annuale (nel ’94 ambulanza per la Croazia, nel ’95 autocisterna per il Sudan, nel ’96 pullmino per il Bangladesh ed ambulanza per il Ghana, nel ’97 automezzo per i lebbrosi del Madagascar). Sul tema della formazione opera la Fondazione Castelli, di via s. Maddalena 8, Monza, che ha per scopo il sostegno di giovani studenti in difficoltà economica, attraverso l’elargizione di borse di studio. La San Vincenzo torinese (Corso Matteotti 11, Torino), invece, fornisce borse di formazione lavoro.

 

 

L’OSSERVATORE ROMANO Sabato 23 Agosto 1997


Giovanni Paolo II ha presieduto, venerdì mattina 22 agosto, nella Cattedrale di Notre Dame di Parigi, la Concelebrazione Eucaristica, durante la quale ha elevato agli onori degli altari Frédéric Ozanam, il grande apostolo della carità nella Francia della prima metà dell’Ottocento, fondatore della Società di san Vincenzo de’ Paoli. Questa l’omelia pronunciata dal Santo Padre, che di seguito pubblichiamo in una nostra traduzione italiana:

1. «L’amore è da Dio» (1 Gv4, 7). Il Vangelo di oggi ci presenta la figura del buon Samaritano. Con questa parabola, Cristo vuole mostrare ai suoi ascoltatori chi è il prossimo citato nel più grande comandamento della Legge divina: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 29). Un dottore della Legge domandava che cosa fare per avere la vita eterna: trovò in queste parole la risposta decisiva. Sapeva che l’amore di Dio e del prossimo è il primo e il più grande dei comandamenti. Malgrado ciò, chiede: «E chi è il mio prossimo?» (Lc 10, 29).

Il fatto che Gesù proponga un Samaritano quale esempio per rispondere a tale domanda è significativo. In effetti, i Samaritani non erano particolarmente stimati dagli Ebrei. Di più: Cristo paragona il comportamento di quest’uomo a quella di un sacerdote e di un levita che avevano visto l’uomo ferito dai briganti ed era sulla strada quasi morto, ed avevano proseguito il loro cammino senza prestargli soccorso. Al contrario, il Samaritano che vide l’uomo sofferente, «ne ebbe compassione» (Lc 10, 33). La sua pietà lo portò ad una serie di azioni. Anzitutto medicò le piaghe, poi condusse il ferito in un albergo perché ne avessero cura; e prima di partire, diede all’albergatore il denaro necessario perché ci si occupasse di lui (cfr Lc 10, 34-35). L’esempio è eloquente. Il dottore della Legge riceve una risposta chiara alla sua domanda: chi è il mio prossimo? Il prossimo è ogni essere umano, senza eccezioni. È inutile chiedere la sua nazionalità, la sua appartenenza sociale o religiosa. Se è nel bisogno, occorre venire in suo aiuto.

Questo è quanto chiede la prima e la più grande Legge divina, la legge dell’amore di Dio e del prossimo. Fedele a tale comandamento del Signore, Federico Ozanam ha creduto all’amore, l’amore che Dio ha per ogni uomo. Si è sentito lui stesso chiamato ad amare, dando l’esempio di un amore grande di Dio e degli altri. Andava verso tutti coloro che avevano più bisogno di essere amati, quelli cui Dio Amore non poteva essere concretamente rivelato se non attraverso l’amore di un’altra persona. Ozanam ha scoperto in questo la sua vocazione, vi ha visto la strada sulla quale Cristo lo chiamava. Ha trovato il suo cammino verso la santità. E l’ha percorso con determinazione.

2. «L’amore è da Dio». L’amore dell’uomo ha la sua sorgente nella Legge di Dio. La prima lettura tratta dall’Antico Testamento lo mostra. Vi troviamo una descrizione dettagliata degli atti d’amore del prossimo. È quasi una preparazione biblica alla parabola del buon Samaritano.

La seconda lettura, tratta dalla Prima Lettera di san Giovanni, sviluppa il significato della parola «l’amore è da Dio». L’Apostolo scrive ai suoi discepoli: «Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1 Gv 4, 78). Questa parola dell’Apostolo è veramente al centro della Nuova Alleanza, il vertice verso il quale ci conduce tutto quello che è stato scritto nei Vangeli e nelle Lettere apostoliche. Prosegue san Giovanni: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (ibid., 4, 10). La remissione dei peccati manifesta l’amore che il Figlio di Dio fatto uomo ha nei nostri confronti. Allora, l’amore del prossimo, l’amore dell’uomo non è più soltanto un comandamento. È un’esigenza che discende dall’esperienza vissuta dell’amore di Dio. Ecco perché Giovanni può scrivere: «Se Dio ci ha tanto amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1 Gv4, 11). L’insegnamento della Lettera di Giovanni si prolunga; scrive l’Apostolo: «Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi; egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (1 Gv 4, 12-13). L’amore è dunque la fonte della conoscenza. Se, da una parte, la conoscenza è una condizione dell’amore, dall’altra, l’amore fa crescere la conoscenza. Se rimaniamo nell’amore, facciamo esperienza intima dell’azione dello Spirito Santo che ci fa partecipare all’amore redentivo del Figlio che il Padre ha inviato per la salvezza del mondo. Riconoscendo Cristo come Figlio di Dio, noi rimaniamo in lui e, attraverso di lui, rimaniamo in Dio. Per i meriti di Cristo, abbiamo creduto nell’amore, conosciamo l’amore che Dio ha per noi, sappiamo che Dio è amore (cfr. 1 Gv4, 16). Tale conoscenza attraverso l’amore è in un certo senso la chiave di volta dell’intera vita spirituale del cristiano. «Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (ibid.).

3. Nell’ambito della Giornata Mondiale della Gioventù, che ha luogo quest’anno a Parigi, procedo oggi alla beatificazione di Federico Ozanam. Saluto cordialmente il Signor Cardinale Jean-Marie Lustiger, Arcivescovo di Parigi, città dove si trova la tomba del nuovo Beato. Mi rallegro pure della presenza a tale evento dei Cardinali e di Vescovi di numerosi Paesi. Saluto con affetto i membri della Società di san Vincenzo de’ Paoli venuti dal mondo intero per la beatificazione del loro fondatore principale, così come i rappresentanti della grande famiglia spirituale erede dello spirito di san Vincenzo. I legami tra vincenziani furono privilegiati sin dalle origini della Società, poiché è una Figlia della Carità, suor Rosalia Rendu, che ha guidato il giovane Federico Ozanam e i suoi compagni verso i poveri del quartiere Mouffetard di Parigi.

Cari discepoli di san Vincenzo de’ Paoli, vi incoraggio a mettere in comune le vostre forze, affinché, come auspicava il vostro ispiratore, i poveri siano sempre meglio amati e serviti, e Gesù Cristo sia onorato nelle loro persone!

4. Federico Ozanam amava tutti i bisognosi. Fin dalla giovinezza, ha preso coscienza che non era sufficiente parlare della carità e della missione della Chiesa nel mondo: questo doveva tradursi in un impegno effettivo dei cristiani al servizio dei poveri. Era così in sintonia con l’intuizione di S. Vincenzo: «Amiamo Dio, fratelli, amiamo Dio, ma che ciò avvenga con le nostre braccia, e con il sudore della nostra fronte» (S. Vincenzo de’ Paoli, XI, 40). Per manifestarlo concretamente, all’età di venticinque anni, con un gruppo di amici, creò le Conferenze di san Vincenzo de’ Paoli, lo scopo delle quali era l’aiuto ai più poveri, in uno spirito di servizio e di condivisione. Ben presto, tali Conferenze si diffusero fuori della Francia, in tutti i Paesi d’Europa e del mondo. Io stesso, da studente, prima della seconda guerra mondiale, facevo parte di una di esse. Ormai l’amore verso i più miserabili, di quelli di cui nessuno si occupa, è al centro della vita e delle preoccupazioni di Federico Ozanam. Parlando di questi uomini e di queste donne, egli scrisse: «Dovremmo cadere ai loro piedi e dir loro con l’Apostolo: «Tu es Dominus meus». Voi siete i nostri maestri e noi saremo i vostri servitori; voi siete per noi le immagini sacre di Dio che non vediamo e, non sapendolo amare altrimenti, l’amiamo nelle vostre persone» (A Louis Janmot).

5. Egli osserva la situazione reale dei poveri e cerca un impegno sempre più efficace per aiutarli a crescere in umanità. Comprende che la carità deve condurre ad operare per correggere le ingiustizie. Carità e giustizia vanno di pari passo. Egli ha il lucido coraggio di un impegno sociale e politico di primo piano in un’epoca agitata della vita del suo Paese, poiché nessuna società può accettare la miseria come una fatalità senza che il suo onore non ne sia colpito. È così che si può vedere in lui un precursore della dottrina sociale della Chiesa, che Papa Leone XIII svilupperà qualche anno più tardi nell’enciclica Rerum novarum. Di fronte alle povertà che opprimono molti uomini e donne, la carità è un segno profetico dell’impegno del cristiano alla sequela di Cristo. Invito pertanto i laici e particolarmente i giovani a dare prova di coraggio e di immaginazione per lavorare all’edificazione di società più fraterne dove i più bisognosi saranno riconosciuti nella loro dignità e troveranno i mezzi per una esistenza dignitosa. Con l’umiltà e la fiducia senza limiti nella Provvidenza, che hanno caratterizzato Federico Ozanam, abbiate l’audacia di condividere i beni materiali e spirituali con quanti sono nella miseria!

6. Il beato Federico Ozanam, apostolo della carità, sposo e padre di famiglia esemplare, grande figura del laicato cattolico del XIX secolo, è stato un universitario che ha avuto una parte importante nel movimento delle idee del suo tempo. Studente, professore eminente prima a Lione e poi alla Sorbona di Parigi, mira anzitutto alla ricerca e alla comunicazione della verità, nella serenità e nel rispetto delle convinzioni di coloro che non condividono le sue. «Impariamo a difendere le nostre convinzioni senza odiare i nostri avversari, scriveva, ad amare quanti pensano diversamente da noi, […] lamentiamoci meno dei nostri tempi e più di noi stessi» (Lettere, 9 aprile 1851). Con il coraggio del credente, denunciando ogni egoismo, partecipa attivamente al rinnovamento della presenza e dell’azione della Chiesa nella società della sua epoca. Si conosce pure il suo ruolo nella istituzione delle Conferenze di Quaresima in questa cattedrale Notre Dame di Parigi, con lo scopo di permettere ai giovani di ricevere un insegnamento religioso rinnovato di fronte alle grandi questioni che interrogano la fede.

Uomo di pensiero e di azione, Federico Ozanam è per gli universitari del nostro tempo, professori e studenti, un modello di impegno coraggioso capace di far udire una parola libera ed esigente nella ricerca della verità e nella difesa della dignità di ogni persona umana. Sia per loro anche un appello alla santità!

7. La Chiesa conferma oggi la scelta di vita cristiana fatta da Ozanam, come pure il cammino che egli ha preso. Essa gli dice: Federico, la tua strada è stata veramente la strada della santità. Sono passati più di cent’anni, ed ecco il momento opportuno per riscoprire questo cammino. Bisogna che tutti questi giovani, più o meno della tua età, radunatisi così numerosi a Parigi, provenienti da tutti i Paesi d’Europa e del mondo, riconoscano che questa è anche la loro strada.

Occorre che comprendano che, se vogliono essere cristiani autentici, devono intraprendere lo stesso cammino. Aprano meglio gli occhi dell’anima ai bisogni così numerosi degli uomini d’oggi. Comprendano questi bisogni come sfide. Cristo li chiama ciascuno per nome, affinché ciascuno possa dire: ecco la mia strada! Nelle scelte che faranno, la tua santità, Federico, sarà confermata in modo particolare. E la tua gioia sarà grande. Tu che già vedi con i tuoi occhi Colui che è amore, sii anche guida su ogni cammino che questi giovani sceglieranno, seguendo oggi il tuo esempio!