Beato DIEGO di SAN VITORES (1627-1672)

Questo beato, sacerdote gesuita, missionario e martire nelle Isole Marianne (Micronesia), nacque il 12-11-1627 a Burgos (Spagna), terzo dei quattro figli che il nobile Girolamo de San Vitores (11675), ebbe da Donna Francesca Alonso de Maluenda (+1657). Al fonte battesimale della parrocchia di S. Egidio gli fu imposto il nome di Diego al quale, in seguito, il beato aggiunse anche quello di S. Luigi Gonzaga per devozione. Quando nacque, il padre scrisse accanto al suo nome in un diario personale: “Che Dio lo faccia santo”.

A quattro anni Diego dovette trasferirsi con la famiglia prima a Madrid, dove suo padre era stato nominato deputato alle Cortes, poi a Guadix presso Granada, dove suo padre era stato eletto alcade, e quindi di nuovo a Madrid. Nella capitale della Spagna a undici anni cominciò a frequentare il “Colegio Imperiai” diretto dai Padri Gesuiti, fece parte della Congregazione Mariana e tra gli associati si distinse talmente per pietà e virtù che ne fu eletto prefetto quasi all’unanimità. Dopo due anni, benché giovanissimo, chiese e ottenne di farsi gesuita. Il padre, che sul figlio molto dotato aveva altri disegni, in principio si oppose alla di lui vocazione, poi, da buon cristiano, lasciò che il Signore ne disponesse secondo il suo beneplacito.


Diego indossò l’abito religioso nel mese di luglio 1640. Al padre confidò che se gli avessero offerto invece dell’abito l’arcivescovado di Burgos o di Siviglia, ne avrebbe concepito minor stima. Trascorse i prescritti due anni di noviziato a Villarejo de Fuentes presso Cuenca. In quel periodo cominciò a pensare molto seriamente alla vita missionaria nelle Indie e a desiderare persino il martirio, ma i superiori, dopo la professione religiosa e gli studi filosofici e teologici da lui fatti nel collegio di Alcalà de Henares (1644-1650), invece di inviarlo in terre lontane lo destinarono successivamente all’insegnamento della grammatica nel collegio di Oropesa (Toledo), della teologia nel collegio imperiale di Madrid e finalmente, nel 1655, della filosofìa ad Alcalà. Qui divenne l’anima della Congregazione Mariana e quando, specialmente d’estate, poteva disporre di più del suo tempo, si prendeva cura dei poveri, dei carcerati e dei malati, predicava missioni popolari e dava esercizi spirituali nei sobborghi della città. Fino da quando era diventato sacerdote (1651) e aveva fatto la terza probazione (1652) si era sempre amorosamente conformato a quello che Dio disponeva di lui tramite i superiori, pur senza cessare di sognare le missioni.


Più di una volta P. Diego si offerse e chiese di essere destinato all’evangelizzazione della Cina o del Giappone. Il 12-11-1657, all’età di 30 anni, coronò questi ardenti desideri con uno speciale voto di impiegare il resto dei suoi giorni nelle missioni. Il 2-7-1659 scrisse infine una lunga e fervorosa lettera al P. Gosvino Nickel, Proposito Generale dei Gesuiti, per manifestargli le grazie che Dio gli aveva concesso fino allora, e alle quali voleva corrispondere sacrificandosi per i popoli ancora immersi nelle tenebre dell’errore e dei vizi. I superiori si ritennero in dovere di accoglierne la richiesta, ma invece di inviarlo nelle sospirate Indie, lo destinarono alle missioni delle Filippine.


Il beato giungerà sul campo di lavoro con due anni di ritardo. Partito da Cadice nel maggio del 1660, dovette attendere in Messico, passaggio obbligato per l’oriente, fino all’aprile del 1662 prima di trovare nel porto di Acapulco un galeone in partenza. Nei venti mesi di attesa non se ne stette inoperoso, ma si prodigò con tanto ardore nelle missioni popolari della capitale e dei dintorni e nella promozione della Congregazione di S. Francesco Saverio che i confratelli nutrirono per lui la stessa stima che i gesuiti di Goa avevano nutrito per l’apostolo del Giappone.


Nel tragitto dal Messico alle Filippine la nave fece scalo alle Isole Marianne, nell’Oceania, per i necessari rifornimenti. Il beato ebbe così modo di avvicinare gli indigeni dell’arcipelago, e rendersi conto che nessuno aveva ancora predicato loro il Vangelo. Ripensò allora alle parole di Isaia: “Mi ha mandato a portare ai poveri la buona novella”, fatte proprie da Gesù nella sinagoga di Nazareth (Le. IV, 18), e ne rimase profondamente colpito come quando, nell’ultima malattia di Madrid, le aveva udite risuonare misteriosamente per la prima volta in fondo al proprio cuore. Non prevedeva però quello che Dio nei suoi eterni disegni teneva in serbo per lui.


Altre peregrinazioni doveva compiere P. Diego prima che il suo tanto sospirato ideale si realizzasse. Sbarcato il 10-7-1662 a Lampóng, nelle Filippine, raggiunse Manila, la capitale, dopo un lungo e faticoso viaggio a piedi. Al termine di un corso di spirituali esercizi i superiori, per quasi due anni, lo destinarono a esercitare il ministero nella missione rurale di Taytày, e dal 30-7-1664 fino al giorno della sua partenza per le Isole Marianne, lo nominarono prefetto degli studi e confessore del collegio di Manila, casa centrale della provincia. Nella residenza di Taytày si era subito dato allo studio della lingua Tagala e in poco tempo l’aveva imparata talmente bene che fu in grado di predicare missioni popolari in Manila e nei dintorni, e in modo particolare nell’isola di Mindoro.


In mezzo a tante svariate occupazioni P. Diego non riuscì a dimenticare le necessità spirituali degli indigeni delle Isole Marianne. Si sentì perciò spinto ad agire e a compiere presso le competenti autorità quei passi che gli avrebbero in seguito permesso di andarli a evangelizzare. Il 22-7-1663 scrisse al Proposito della Compagnia, in risposta a una consultazione che gli aveva rivolto: “E come sono stati questi i primi pagani che ho visto, mi si è impressa nel cuore la loro sorte che è tanto miserevole nonostante la così grande opportunità di accudire ad esse dato il passaggio delle navi che vanno e vengono alla Nuova Spagna… Perciò scrivo a Madrid a persona che possa sollecitare affinchè il Re ordini con urgenza che si mandi in esecuzione una Cedola Reale… in virtù della quale si provveda alla conversione di questa povera gente. Se si offrisse l’opportunità per questa missione prima ancora che quella di andare in Giappone, e io potessi essere adatto, non vorrei perdere da parte mia l’occasione di compiere il voto che ho fatto di spendere tutta la mia vita e le mie forze per la conversione degli infedeli, sempre che ciò mi venga concesso”.


Quattro giorni prima il beato aveva scritto a suo padre una lettera per supplicarlo di chiedere a Filippo IV (11665), re di Spagna, dal cui dominio dipendevano le Isole Marianne, scoperte da Magellano nel 1521, il permesso di darvi inizio la missione. Per rafforzare la sua richiesta accluse alla missiva anche una lettera per il monarca, contenente il memoriale che, a suo tempo, S. Francesco Saverio (11552) aveva fatto pervenire a Giovanni, re del Portogallo, per esortarlo ad essere un saggio amministratore delle sue terre. A distanza di due anni P. Diego ebbe la gioia di apprendere la notizia che il re, il 24-6-1665, aveva firmato la Cedola Reale che lo autorizzava a dare inizio alle missioni nell’arcipelago delle Marianne. Vedeva così premiata la sua tenacia e coronato il suo coraggio. Don Diego Salcedo, governatore delle Filippine, fece allestire per lui e i suoi compagni un galeone, ma poiché non disponeva di denaro per il finanziamento della missione, P. Diego il 7-8-1667 dovette ritornare con la sua nave ad Acapulco per chiedere al viceré della Nuova Spagna, il marchese di Mancera, residente nella città di Messico, i mezzi indispensabili all’impresa. Appena li ebbe, si rimise in mare, e il 16-6-1668 potè finalmente sbarcare con quattro confratelli e uno studente di teologia nell’arcipelago delle Marianne, formato da tredici isole.


Il giorno dopo, domenica, sulla spiaggia di Guam, la maggiore delle isole, il beato celebrò la Messa e predicò agli indigeni nella loro lingua che aveva già appreso con l’aiuto di Stefano, un cristiano filippino, il quale nel 1638 aveva fatto naufragio nell’arcipelago. I missionari furono ricevuti dagli indigeni con tanta cordialità che in un anno riuscirono a battezzarne oltre 13.000 e a fare 20.000 catecumeni. Fin dall’inizio però essi si erano suddiviso il campo di lavoro. L’isola di Guam, con i suoi 50.000 abitanti, rimase il centro dell’azione missionaria del P. Diego il quale, di frequente, si recava nelle isole vicine per animare i confratelli e aiutarli nelle loro fatiche. Maggiore fu quindi il frutto da loro ottenuto all’inizio del terzo anno di missione. Difatti erano già riusciti a battezzare 30.000 persone, a pacificare tribù in lotta tra loro, a costruire cinque chiese e ad avviare un collegio o seminario per fanciulli. Coloro che ne facevano parte attendevano alla chiesa principale di S. Ignazio di Agadna nella quale il beato celebrava la Messa, predicava, faceva il catechismo e recitava con i fedeli il rosario. Cantavano tutti i giorni a due cori la dottrina cristiana, andavano per le vie a suonare il campanello per chiamare gli altri fanciulli al catechismo e facevano da interpreti.


P. Diego riuscì a ottenere tanti frutti a prezzo di molti sacrifici, di viaggi pericolosi fatti in canoa per mari infidi o a piedi per montagne scoscese portando al collo un grande rosario e in mano un crocifisso. Ebbe pure da sostenere opposizioni da parte di terribili e ostinati avversari. Il peggiore di tutti fu un cinese chiamato Sangley Choco che, stabilitesi nell’isola di Guam da vent’anni, era riuscito a instillare negli indigeni analfabeti e ingenui pratiche idolatriche giovandosi del prestigio di cui godeva. I missionari con la loro catechesi erano riusciti a indurre molti indigeni ad abbandonare lui e le sue false credenze. Il perfido concepì allora tale odio contro i missionari che più volte attentò alla loro vita. P. Diego, sempre molto umile e remissivo con tutti, cercò di ricondurlo a più miti sentimenti, ma non vi riuscì. Difatti continuò a spargere tra gli aborigeni la calunnia che i Padri uccidevano i bambini con l’acqua del battesimo e gli infermi con le unzioni.


I missionari, oltre le contrarietà del cinese, dovettero affrontare pure gli imbrogli dei Macanas, una specie di stregoni che promettevano ai seguaci salute, acqua, abbondanti raccolti mediante l’invocazione di alcuni defunti di cui conservavano i teschi nelle proprie case. Nell’isola di Guam non sempre le piogge erano regolari. Nei momenti di siccità i Macanas esortavano i cristiani a rigettare la propria fede e a ritornare ai loro antichi costumi se la volevano ottenere. P. Diego, al vedere i neofiti allontanarsi sempre più numerosi dagli impegni assunti nel battesimo, un giorno, messo alla prova, chiese a Dio una pioggia torrenziale a conferma della sua Provvidenza. La sua preghiera fu esaudita mentre stava predicando. La fallacia delle argomentazioni degli stregoni era stata così messa a nudo, ma il fatto li spinse a una più accanita opposizione ai missionari. Spalleggiati dal cinese Choco e da circa 2000 loro seguaci, l’11-9-1671 per otto giorni assediarono la chiesa e la residenza dei missionari di Agadna. Furono però sconfitti dal piccolo presidio militare dotato di tre moschetti e due pezzi di artiglieria, e costretti a lasciare liberi i missionari di svolgere il loro apostolato. Il P. Diego ne approfittò per fare ritorno nel villaggio di Nisihan, dove aveva stabilito la sua residenza, e visitare i vari centri cristiani per esortare tutti a restare saldi nella fede. Alcuni indigeni, però, resi audaci dal mite trattamento loro riservato dagli europei, macchinarono un’altra sollevazione. Il beato ordinò allora ai confratelli e ai soldati di concentrarsi di nuovo ad Agadna. Anch’egli vi si avviò il 1-4-1672 in compagnia di un ausiliare, dopo che i ribelli avevano già ucciso quattro cristiani.


Il beato trascorse la notte a Fafac, in casa di un amico, celebrò la Messa sull’altare portatile e poi si avviò a Tumon, villaggio a due km da Agadna, dove si era rifugiato il filippino Stefano dopo che aveva abbandonato il retto sentiero. Voleva incontrario per indurlo al pentimento. Appena vi giunse fu informato che la moglie di un certo Matapang, aveva dato alla luce una bambina e che desiderava fosse battezzata subito perché versava in pericolo di morte. Il babbo, che era diventato apostata, vi si oppose. Alle insistenze del missionario cominciò a bestemmiare e a minacciarlo di morte. Per ammansirlo il beato molto umilmente gli suggerì di unirsi al gruppo di bambini a cui stava per fare un po’ di catechismo. Gli rispose sdegnato: “Smettila, ne abbiamo abbastanza del tuo insegnamento”. Accanto a lui c’era un certo indigeno di nome Hirao. Gli disse: “Uccidiamolo”. Gli rispose: “Non fargli tale affronto. Se vuoi ammazzarlo, sia più in là”. Matapang lo accusò di codardia, e mormorò: “Lasciami, lo ucciderò”. Punto sul vivo, al sentirsi dare del codardo, Hirao cambiò idea. A colpi di lancia uccisero entrambi prima il compagno del missionario, poi si avventarono anche contro di lui che, sollevando in alto il suo crocifìsso, li redarguiva perle bestemmie che proferivano. Matapang furente lo trafisse con una lancia, e Hirao gli spaccò la testa con una scimitarra. P. Diego non morì subito. Fece ancora in tempo ad ammonirli del peccato che avevano commesso, e a dire più volte ad alta voce: “Matapang, Dio abbia misericordia di te”. L’apostata, per tutta risposta, prese dalle sue mani il crocifisso, lo percosse con una pietra, lo calpestò e lo strascicò per terra ingiuriandolo.


Alla notizia della morte di P. Diego, comunicata al Proposito Generale della Compagnia, Giovanni Paolo Oliva, dal provinciale delle Filippine, a Manila, a Città del Messico e a Madrid furono celebrate Messe e cantato il Te Deum. Giovanni Paolo II ne riconobbe il martirio il 9-11-1984 e lo beatificò il 6-10-1985.