LA CONVERSIONE DI S. PAOLO (33-34 d.C.)

Saulo si rivolse alla suprema autorità per avere facoltà di perseguitare quelli che risiedevano nelle città straniere. Messi gli occhi sulla comunità di Damasco, con un discreto numero di subalterni armati, si mise in viaggio per quella città distante circa 240 chilometri. A dorso di mulo, unica cavalcatura del tempo, occorreva una settimana per raggiungerla. L’ostinato fariseo, assetato del sangue dei cristiani, non si lasciò vincere dai disagi di quel viaggio. Tutto pareva svolgersi per il meglio, quando al termine della sua corsa, avvenne l’imprevedibile. …

Ha scritto l’abate G.
Picciotti che "la conversione di Paolo e nella storia delle origini
cristiane l’avvenimento di maggiore importanza e di conseguenze più decisive,
dopo la risurrezione di Gesù". (Cf. Paolo Apostolo, 3.a ediz., p. 343).
Difatti, una figura gigantesca e poliedrica come quella del nostro apostolo non
è più apparsa nella Chiesa. La catechesi orale e scritta di Paolo fu determinante
per il superamento della gretta mentalità dei convertiti dal giudaismo,
convinti di dover continuare a osservare la legge di Mosè anche dopo la
recezione del Battesimo.
Pochi anni dopo la morte di
nostro Signore il piccolo gregge che Egli aveva lasciato in terra si era
moltiplicato. I sinedriti se n’erano preoccupati e avevano già fatto
imprigionare due volte gli apostoli, perché predicavano e facevano prodigi nel
nome di Gesù, il crocifisso, ma non insistettero nella loro opposizione. Gamaliele
il Vecchio, il maestro di Saulo, li aveva ammoniti: "Smettetela dal
vessare questi individui e lasciateli fare, perché se si tratta di una
concezione o di un’opera umana si dissolverà; ma se proviene da Dio non la
potrete annientare, a meno che non vogliate, per caso, venirvi a trovare in
lotta anche contro Dio!". (Atti 5, 38 s.).
Nessuno più di Saulo
sperimenterà il valore dell’asserzione del suo maestro, onorato per la
rettitudine da tutto il popolo. Da Tarso, in Cilicia, egli era stato inviato
dai genitori farisei a Gerusalemme affinchè si perfezionasse nella legge
mosaica. Ben presto se n’era innamorato così da diventare irreprensibile nella
sua osservanza (Fil. 3,6). Affermerà egli stesso: "Facevo progressi nel
giudaismo superando i coetanei della mia nazione con l’essere molto più zelante
per le mie tradizioni patrie" (Gal. 1, 14). Non stupisce, perciò, che
considerasse coloro che abbracciavano la nuova fede come dei rinnegati. Quando
il diacono S. Stefano fu condannato dal sinedrio alla lapidazione per aver
secondo loro bestemmiato: "Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio
dell’uomo che sta ritto alla destra di Dio" (Atti 7,56), anche Saulo fu
presente alla macabra scena e approvò, anzi, stette a guardia dei mantelli di
coloro che opprimevano Stefano (Ivi 22,20).
La persecuzione contro i
discepoli del Nazzareno divampò talmente, che tutti si dispersero per le
contrade della Giudea e della Samaria. Anima di tante stragi fu di certo
l’irruente fariseo. Scriverà infatti ai primi cristiani da lui convertiti dal
paganesimo: "Perseguitavo fuor di misura la Chiesa di Dio e la
danneggiavo" (Gal. 1,13). In che modo? "Penetrando di casa in casa e
portando via uomini e donne che destinavo al carcere" (Atti 8,3), o
bastonando a sangue i credenti nelle sinagoghe (Ivi 22,19) o sottoponendoli a
tormenti per costringerli a bestemmiare e, quando dovevano esser soppressi,
dando con gli altri parere favorevole (Ivi 26,10).
Dopo aver sistemato i
credenti di Gerusalemme, Saulo si rivolse alla suprema autorità per avere facoltà
di perseguitare quelli che risiedevano nelle città straniere. Messi gli occhi
sulla comunità di Damasco, con un discreto numero di subalterni armati, si mise
in viaggio per quella città distante circa 240 chilometri. A dorso di mulo,
unica cavalcatura del tempo, occorreva una settimana per raggiungerla.
L’ostinato fariseo, assetato del sangue dei cristiani, non si lasciò vincere
dai disagi di quel viaggio. Tutto pareva svolgersi per il meglio, quando al
termine della sua corsa avvenne l’imprevedibile. Sul mezzogiorno, mentre
galoppava con la sua scorta nei pressi della città, improvvisamente fu
circonfuso da una luce abbagliante e sbalzato a terra. Allora percepì in
aramaico una voce che suonava a rampogna: – Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?
La coscienza
dell’intransigente fariseo non gli rimordeva di nulla. Anzi, non stava forse
compiendo un’opera buona perseguitando i nemici d’Israele? Domandò allora
incuriosito e ansioso: – Chi sei Signore?
– Io sono Gesù il Nazzareno,
che tu perseguiti. Fatica sprecata è il tuo menar calci contro lo stimolo!
Saulo rimase folgorato da
quella risposta. I suoi ragionamenti umani furono repentinamente sconvolti.
Capì che Stefano aveva ragione. Colui che lo aveva atterrato era dunque il
Figlio di Dio, il crocifisso risorto, ed egli lo stava perseguitando
incatenando i suoi fedeli! L’adesione del "ghermito da Cristo Gesù"
(Fil. 3,12) a quella rivelazione fu istantanea, incoercibile, motivo per cui il
lupo tramutato in agnello balbettò:
– Che farò, Signore?
– Levati su, entra in città e
ti sarà detto cosa tu devi fare.
Anche gli uomini della
comitiva, all’improvviso bagliore, erano stramazzati a terra. Anch’essi avevano
udito la voce misteriosa, ma in confuso e senza vedere nessuno. Quando anche il
loro capo si rialzò, lo videro brancolare con le braccia nel vuoto. Era
diventato cieco. Lo presero allora per mano e lo accompagnarono nella Via
Diritta, in casa di Guida, dove rimase tre giorni senza mangiare e bere.
C’era a Damasco un seguace
della nuova dottrina, Anania, stimato come uomo pio secondo la legge. Forse
egli era il capo della chiesa locale, che Saulo avrebbe dovuto imprigionare tra
i primi. A lui il Signore Gesù comandò di recarsi in casa dell’albergatore
Guida per visitarvi Saulo che stava in quel momento pregando. Ma Anania
obiettò:
– Signore, di quell’uomo ho
appreso da molli quanto male ha fatto ai tuoi santi in Gerusalemme. E dai sommi
sacerdoti ha avuto pieni poteri di arrestare anche qui tutti quelli che
invocano il tuo nome,
– Vai – gli replicò il
Signore – perché costui è uno strumento scelto da me, per portare ai pagani, ai
regnanti e ai figli d’Israele il nome mio. Ed io gli mostrerò quante pene dovrà
soffrire per il mio nome.
Anania ubbidì. Entrato nella
stanza di Paolo, gl’impose le mani, perché forse possedeva il carisma delle
"guarigioni", e disse:
– Fratello Saulo, il Signore
Gesù, che ti comparve sulla strada per la quale venivi, mi ha inviato perché tu
riacquisti la vista e perché sia pieno di Spirito Santo.
Subito caddero dagli occhi di
lui come delle scaglie, ed egli recuperò la vista; poi si alzò e fu battezzato.
Quando alfine ebbe preso cibo, si sentì ritornare le forze. Per un certo tempo
rimase con i discepoli che erano a Damasco, e subito cominciò a predicare Gesù
nelle sinagoghe, proclamando: "Questi è il figlio di Dio!". Tutti
quelli che l’ascoltavano erano meravigliati e si chiedevano: "Ma costui
non è quello che a Gerusalemme andava sterminando coloro che invocavano questo
nome, e che è venuto qui per tradurli incatenati dinanzi ai sommi sacerdoti?".
Ma Saulo andava sempre più acquistando energia e confondeva i giudei residenti
a Damasco, sostenendo: "Costui è il Messia!" (Atti c. 9).
La conversione di S. Paolo ha
un carattere veramente miracoloso. Proprio nel momento in cui le disposizioni del
persecutore dovevano condurre ad un risultato opposto, in un batter d’occhio
egli passò dallo stato di riprovazione allo stato di grazia, dall’odio mortale
contro i cristiani alla carità ardente per la loro salvezza, dall’orgoglio del
settario alla docilità di un fanciullo. L’apostolo renderà grazie a Cristo Gesù
perché lo aveva stimato degno di fiducia cosi da confidargli il ministero,
nonostante fosse stato bestemmiatore, persecutore e oltraggiatore della sua
Chiesa. Era convinto di aver ottenuto misericordia perché, per ignoranza, aveva
agito fuori della fede (1 Tim. 1,12 s.).
Non dobbiamo pensare,
tuttavia, che S. Paolo sulla via di Damasco sia stato arricchito da Gesù
risorto di ogni perfezione morale istantaneamente. Il suo temperamento troppo
vivo e tenace si addolcirà un po’ per volta sotto il progressivo influsso della
grazia. Frattanto, per meditare e approfondire il mistero del Cristo, senti il
bisogno di ritirarsi nella solitudine. Scriverà più tardi ai Galati:
"Quando piacque a Colui, che mi destinò fin dal seno di mia madre e mi
chiamò per mezzo della sua grazia, di rivelare in me il suo Figlio perché lo
predicassi ai Gentili, senza indugio, non consultai carne e sangue, né salii a
Gerusalemme da quelli che erano apostoli prima di me, ma mi ritirai in
Arabia… In seguito, dopo tre anni, salii a Gerusalemme per far visita a Cefa
e rimasi presso di lui quindici giorni (Gal. 1,15-18).
Nella città santa S. Paolo
incontrò in principio molte difficoltà a suo riguardo. Tentò, è vero, di unirsi
ai discepoli del Signore, ma tutti lo temevano non credendo alla sincerità
della sua conversione. Un bel giorno fu garantito ufficialmente davanti ai
diffidenti da un autorevole cristiano, Barnaba, il quale "lo prese con sé
e lo condusse dagli Apostoli, narrando loro come questi lungo il suo viaggio
avesse visto il Signore che gli aveva parlato, e come a Damasco aveva predicato
apertamente nel nome di Gesù" (Atti 9, 27). Quella presentazione alla
chiesa madre fu decisiva. Al momento opportuno Barnaba, giudeo-ellenista di
Cipro, forse condiscepolo di Saulo alla scuola di Gamaliele, lo andrà a cercare
a Tarso per darsi con lui alla evangelizzazione del mondo.
___________________
 Sac. Guido Pettinati
SSP,

I Santi canonizzati del
giorno
, vol. 1, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 310-314.

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