Il trionfo della Chiesa nei suoi disastri

P. L. Taparelli d\’A. S.J., Risorgimento – Il trionfo della Chiesa nei suoi disastri. Minacciato nei suoi Stati, nella sua popolarità, nella sua libertà, nella sua vita, sorge fra tanta codardia l\’augusto Pontefice e tutto espone per difendere i diritti della Chiesa, l’inviolabilità dei Principi, le basi della società: e serba nella verità dei principii il germe di men tristo avvenire. Che ve ne pare? Non è questo per la Chiesa un portentoso trionfo?

IL TRIONFO DELLA CHIESA NEI SUOI DISASTRI
«La Civiltà Cattolica», Serie IV, Vol. VIII, 20 ottobre 1860, pag. 129 e segg.

All\’empio che mena oggi trionfo gavazzando fra le stragi e gli incendi, più d\’uno forse fra i nostri lettori avrà talora risposto fra mesto ed animoso: «tripudia, tripudia, ma il tuo giorno, la tua sconfitta non è lontana; portae inferi non praeralebunt». Egregia risposta e degnissima di un Cattolico! Ma che a parer nostro mentre saluta un\’aurora di gloria lontana, sembra non darsi pensiero e quasi essere men grato a Dio del trionfo presente; e ciò forse per quel vezzo a cui e sì proclive la natura nostra, di guardare con occhio materiale anche ciò che ha di più spirituale, quella esistenza cristiana che tutta vive di fede. Che certamente gravi sono ora le pressure della Chiesa se si mirino coll\’occhio solo della carne; ma se alla fede si chiedesse in prestito quel suo prisma meraviglioso, con cui divide e distingue i colori, noi non avremmo bisogno di affrettare coi voti le speranze avvenire, contemplando estatici le meraviglie del trionfo presente. Conciossiachè i trionfi della Chiesa considerati coll\’occhio della fede non minino già come quelli degli eserciti a nemici sconfitti, a province conquistate, a trofei di bandiere e d\’armi accumulati, a fortezze demolite, a bottini raccolti: misere grandezze germoglianti dalla materia e con lei periture! Maestra suprema del vero, del giusto, dell\’onesto, la Chiesa allora ha trionfato quando ha potuto alzarne il vessillo sfolgorante di luce fra le nazioni, e vederle attonite a quegli splendori, innamorate della bellezza sua e prostrate a venerarne la santità. Un solo principio che ella renda più fulgido, una sola aspirazione che ella renda più santa, val meglio per lei che conquidere eserciti e conquistare province: giacchè un principio vero, un\’aspirazione santa sono germi d\’immensi progredimenti nell\’ordine morale.
Or questo trionfo del Vero potrà crescere senza dubbio; ma è tale sin da ora, e sì solennemente ammirato e riconosciuto fra i popoli, che, qualunque sia per essere la catastrofe onde si conchiuderà l\’intreccio della tragedia che si rappresenta in Europa, la Chiesa può fin d\’ora e per lei il regnante Pontefice scrivere al Senato dell\’Empireo, in mezzo a cui si asside l\’eterno suo Condottiero, ciò che al Senato romano scriveva quel vanitoso conquistatore: «Veni, vidi, vici». Consideriamolo, lettore, questo splendore di gloria che fra le traversie ci conforti, come si conforta il guerriero che sull\’ala sinistra combatte, quando già sa che il centro o l\’ala destra hanno vinto.
Oh sì davvero, la Chiesa nelle regioni del mondo morale fin d\’ora trionfa, perché la verità s\’innoltra a gran passi e ottiene dal mondo ornassi inusitati. E il primo fra i suoi trionfi è la confessione che da ogni parte risuona, dal Vaticano essere partito l\’oracolo di verità. L\’Europa atterrita credé per un momento averne perduto il linguaggio: il fatto compiuto, i principi del 1789, la sovranità popolare, il non intervento, il diritto dei popoli a darsi un governo, la libertà del pensiero ed altre simili formolette di menzogna si pronunziarono audacemente da chi non le credeva, e senza crederle si accettarono per istupidezza, si ripeterono per codardia, si propagarono per interesse: e già quasi pareano introdotte come dommi nell\’opinione pubblica e nelle pergamene diplomatiche, o s\’incominciava a dubitare se fosse estinta la verità sulla terra. Quand\’ecco alzarsi una voce nelle aule del Vaticano e disdire ai popoli il diritto d\’insorgere, al pensiero la libertà del mentire, allo Stato la legittimità della prepotenza, all\’usurpazione l\’inviolabilità del fatto, al secolo la potenza di rifabbricare le verità, alla forza l\’imporre silenzio alle coscienze. Così parlava dalla tomba di Pietro il suo Successore inerme fra turbe di demagogia fremente, mal sicuro fra protettori rivali, screditato da che ne temea gli oracoli. Eppure a quella voce un subito cangiamento si forma nelle opinioni: si aprono gli occhi, suona l\’eco dell\’Episcopato; e i protestanti medesimi mandano un tributo d\’ammirazione al Vicario di Cristo, propugnatore fortissimo della verità e del diritto. Non basterebbe questo solo riconoscimento dell\’oracolo per assicurare alla verità mille trionfi avvenire? Riconoscere che quella voce è veridica non è quasi un accettare anticipatamente tutte le sue dichiarazioni future?
Ma senza aspettare il futuro, fin d\’ora parlando ella ha dichiarato molte verità che pareano vacillare nella mente dei Cattolici e che hanno presa oggi una saldezza incrollabile dall\’autorità che le dichiara. La riverenza dovuta ai Principi legittimi, l\’ingiustizia dell’esautorarli a voce di popolo furente, il dovere di mutuo soccorso fra i popoli e i potentati, l\’insufficienza del solo fatto a stabilire il diritto sono ormai verità che niun cattolico oserebbe richiamare in dubbio. (1).
Ma quella sopra tutte splende di nuova luce, per cui la Chiesa comparisce posseditrice legittima, in Roma dei diritti sovrani e per tutta la terra, delle proprietà ecclesiastiche. L’audacia degli empi nel negarle ogni dominio, obbligando da un canto il Pontefice a bandire ad alta voce la verità contraria, ha invitato i dotti a studiarla, i Vescovi ad insegnarla, i fedeli a professarla. E poiché a tal professione mai non condiscenderanno i nemici della Chiesa, oggi specialmente che stanno movendo ogni pietra per ispogliarla, la verità novellamente inculcata diviene quasi una divisa, per cui si contraddistinguano, senza che ormai si possano confondere, i seguaci dai nemici di Cristo. Rapiscano pur questi cotesta veste materiale, cotesti pani di proposizione destinati a sostentamento dei ministri dell\’altare: questi potranno patirne in fame et siti, in frigore et nuditate (e già sanno tale essere la loro missione sulla terra): ma la verità e posta in sodo ed è ripetuta ogni dì da mille voci maestre, accettata ogni dì da milioni di coscienze fedeli: e quando la verità si accetta, la Chiesa anche fra i travagli trionfa.
Ma qui si tratta, notatelo bene, di verità sociali, le quali sono essenzialmente pratiche, per modo che il trionfo della verità e in questi casi trionfo della giustizia. E qual trionfo, lettor mio! trionfo propriissimo dello spirito cristiano, il quale allora è giunto all\’apice della felicità quando giunse a patire per la giustizia. Or qui il trionfo è veramente stupendo; e siamo persuasi essere qui riposta principalmente la magia di quell\’aureola che cinge la fronte al regnante Pontefice. Perciocché, sebbene non possa negarsi essere caduto terribilmente nel fango il sentimento morale della generazione presente, pure non sappiamo persuaderci che ella non senta un cotal ribrezzo alle iniquità che tollera e in parte codardamente applaudisce. Il gran male del mondo presente non è tanto l\’ignorare il diritto, quanto il vile timore di riverirlo allorché è perseguitato. Agli uni la smania di grandeggiare e potere, agli altri la cupidigia dell\’arricchire, di sorbire fumo d\’incensi, d\’accattare aura di popolarità, di non compromettere la quiete del vivere inerte, insomma mille ragioni di turpe interesse consigliano di tollerare l\’oppressione dell\’innocente, di applaudire alla scelleraggine fortunata. Né questo avvilimento si contiene ad infettare soltanto anime volgari. Salite pur su per la scala sociale di gradino in gradino fino anche ai supremi, e ad ogni altezza troverete, smantellati sì di belle parole, ma negozianti di coscienza e d\’onore, col bilancino alla mano, che stanno calcolando quanto vi sia da perdere nel difendere un innocente, quanto da guadagnare condiscendendo al delitto. In basso la coscienza si vende per pochi scudi, in alto per annettere or Regni, ora Province. Ma la viltà è sempre quella; o diciamo piuttosto è tanto maggiore, quanto all\’altezza del grado dovrebbe corrispondere maggiore l\’altezza dei sentimenti, e corrisponde realmente maggiore l\’indipendenza dell\’esistenza e dell\’opera. Così soltanto può spiegarsi lo spettacolo orrendo di cui siamo testimonii, di pubbliche ingiustizie, di chiese spogliate, di popoli assassinati, di Principi esautorati al cospetto di tutti i potentati europei; i quali, stipati da immensi eserciti collo schioppo in ispalla e col diaccio nel cuore, stanno contemplando la caduta dei loro fratelli, senza avere il coraggio di tendere una mano a soccorrerli.
Or fra tanta inerzia, fra tanto abbassamento, chi rimane a difendere gli oppressi e a ricordare le voci della giustizia? Minacciato nei suoi Stati, nella sua popolarità, nella sua libertà, nella sua vita sorge fra tanta codardia l\’augusto Pontefice e tutto espone per difendere i diritti della Chiesa, l’inviolabilità dei Principi, le basi della società: e serba nella verità dei principii il germe di men tristo avvenire.
Che ve ne pare? Non è questo per la Chiesa un portentoso trionfo? Qual meraviglia che i Nobili del Meclemburgo, seguendo piuttosto la loro grandezza d\’animo, che la logica del loro errore, e dimentichi d\’ogni gelosia luterana abbiano offerto alla magnanimità del Pontefice quell\’omaggio d\’ammirazione che tutti sappiamo?
La Chiesa serba i principii, abbiamo detto, e in essi il germe di men tristo avvenire: essendo appunto l\’alterazione dei principii quella che ha prodotto tanti dolori e vituperii, onde è travagliata l\’età presente. Ripetasi pure da certe teste senza cervello o senza discorso non dover la Chiesa entrare in materie politiche; mai ella non cesserà di predicare ai Re come ai popoli: Reges ìntellegite… Qui placetis vobis in turbis nationum. Se dai detti scritturali trasse quell\’eloquentissimo tra i Vescovi di Francia un intero trattato di scienza politica; come si può senza solteaza pretendere che non entri in politica la Chiesa, custoditrice, maestra, applicatrice in tutto il mondo cattolico di quel tesoro amplissimo di verità?
I principii dunque custoditi dalla Chiesa conducono naturalmente il Pontefice ad una politica veramente cristiana; e reciprocamente la condotta politica del Pontefice risale ai principii della morale evangelica e ne spiega il senso e le applicazioni a quei politici che vogliono rispettare e praticare il Vangelo. Ed anche sotto tale rispetto le vicende presenti sono state feconde di nuovi trionfi, per la verità e per la Chiesa. Saggiamone alcuni tratti.
I predicatori di riforme hanno preteso, fra le altre, imporre al Pontefice il debito di una assoluta, perpetua, plenaria indulgenza verso tutti i delitti commessi e da commettersi. Dopo aver fatto un tentativo di perdono fin dove lo credé legittimo, s\’arrestò repente il Pontefice; e a chi chiedeva, amnistie, rinunzia di diritti, abbandono di province e di popoli, rispose con meravigliosa fermezza: Non posso. Ostinazione, caparbieria! gridarono la maldicenza e l\’empietà. Ma ai costoro schiamazzi si opponeva nell\’intimo della coscienza la voce di quello Spirito che guida indefettibilmente il Pontefice: e «No, gl\’intimava; tu non devi cedere, perché sei non solamente Pontefice, ma Principe: il Principe deve rinunciare al potere temporale che lo costituisce giudice dei popoli suoi, se non ha coraggio di irrompere contro l\’iniquità della piazza, se paventa la faccia dei potenti, ed è pronto, o per popolarità o per timore, a violare le leggi della giustizia. Ma tu che sei Principe perché sei Pontefice e che non puoi quindi rinunziare al trono, non cedere e sta forte. Noli quaerere fieri iudex nisi valeas virtute, irrumpere iniquitates: ne forte extimescas faciem potentis, et ponax scandalum i aequitate tua (2). Non senza perché, ripigliava poi colle voci dell\’Apostolo, non senza perché negli Stati della Chiesa tu brandisci ambe le spade: ministro di Dio anche nel potere temporale tu sei vindice culla pena contro ogni malfattore: Non enim sine causa gladium portat …Minister Dei, …vindex in ira ei qui malum agit (3).
Queste voci dello Spirito Santo obbliate purtroppo da quei potentissimi armati che fanno tremare la terra, prendono oggi dal coraggio e dall\’autorità dell\’inerme Pontefice luce e potenza novella. Perocché come rispondeva egli, invitato ad abbandonare il «vero» popolo delle Romagne, quel popolo degli onesti che, gementi sotto il giogo, mostrano al padre le loro catene, le gravezze enormi di che vengono oppressi, il servigio militare a cui vengono condannati, e soprattutto il clero perseguitato di cui rimangono orfani, e il supplizio di quella fetente oscenità che ogni strada ha cambiato in uno scandalo, ogni vetrina di librai un laccio teso all\’innocenza? Lo sapete: egli ha protestato in prima di non poter cedere ciò che è di tutta la Chiesa cattolica. Ma potesse pur cedere il patrimonio comune di tutti i fedeli, come potrebbe egli, padre vero di veri e sinceri Cattolici, abbandonare a tanto eccidio le anime di quei sudditi, dei quali dal popolo stesso e dalla Provvidenza, da dodici secoli, fu eletto Sovrano, appunto perché custodisse loro la libertà, il sacro diritto di vivere tranquilli nell\’ordine e nell\’onestà? (4). Questa verità sì obliata oggidì da tanti Principi dabbenuomini, che ad ogni branco di faziosi concedono nome di popolo e balìa di tormentare i sudditi docili ed obbedienti; questa verità venne solennemente inculcata colla voce e coll\’esempio dal generoso Pontefice, quando ricusando ogni concessione voleva essere o con tutti i sudditi libero, o cogli oppressi oppresso e calpestato. Grande e chiara lezione del Maestro dei Principi, alla cui voce sarebbe tempo ormai che finisse quella rimesta condiscendenza, iniziata da Luigi XVI nella torre del Tempio e miseramente espiata sul patibolo.
Né fu pago il Pontefice, in questi giorni medesimi, d\’insegnare in tal guisa a resistere colla costanza dell\’animo: volle insegnare inoltre ad opporre eserciti ad eserciti. E la lezione fu tanto più necessaria ed è tanto più calzante, quanto più astuta era l\’ipocrisia di chi dall\’unità personale del Re Pontefice traeva argomento a confondere le due distinte funzioni. Oh no, dicevasi. non si addice al Vicario dell\’Agnello muovere armi e comandare stragi: quasi l\’Agnello non fosse nelle scritture mostrato terribile nell\’ira e trasformato in leone (5). Ma quelle volpi aveano ragione di cosi parlare. Mercecché interdetta al Pontefice ogni giurisdizione sulla spada militare, veniva per questo stesso dimostrata assurda in lui ogni autorità temporale. E come rivendicargliene il diritto se una delle funzioni più proprie del Sovrano, rintuzzare la prepotenza esterna colla forza delle armi, si dimostrasse a lui disdicevole? I nemici del Papato otteneano così con un colpo due trofei: infamavano da un canto tutti i Pontefici passati che, fino al santo Pio V, combatterono con armi loro proprie; ed obbligavano frattanto il Pontefice regnante a professarsi incapace di temporale Sovranità. Ma appunto per questo l\’Oracolo di verità fu ridotto, non solo a parlare colla voce, ma a mostrare coll\’esempio che anche il mitissimo fra i Pontefici, se la difesa de\’ suoi sudditi lo domandi, ha non puro diritto ma dovere di compiere questo, come qualunque altro degli ufficii di civile imperante. Or se questo fa un Principe mite per natura, sacro per dignità a dispetto dell\’opinione che lo condannava all’inerzia, quale scusa avranno quei Principi che, per una codarda bramosia di popolarità, dimenticano il sacro debito della difesa dei deboli, piagando codardamente i faziosi? Essi credono rinunziare generosamente ai proprii diritti, mentre in verità trasgrediscono vilmente con immensa rovina degli innocenti, il proprio dovere. Di che se avranno ampio tributo d\’incensi dai vili traditori, aspettino però dall\’Eterno, che al varco gli attende, il minacciato iudicium durissimum his qui praesunt. Ed ecco una grande verità, un nuovo suo trionfo nella nuova luce di che risplende il principio di giustizia sociale. Se i Principi lo comprendono, fatti conscii della loro grandezza e della loro responsabilità, diverranno più animosi nel difendere gli onesti e intenderanno quanta sia l\’iniquità, la codardia, la spietatezza, di chi per ottenere gl\’incensi della piazza abbandona i deboli ed innocenti in balìa dei faziosi. E se la verità, medesima venga intesa dai popoli, essi comprenderanno essere loro vero interesse, non già una stupida indulgenza, ma una ferma e risoluta giustizia per parte del Principe. Or sembra a voi che la sola conquista di queste verità, l\’averle fatte entrare nelle teste e nei cuori e l\’averne preparata la via nell\’ordine pratico, non sia per la Chiesa maestra di verità un vero e nobilissimo trionfo?
Dal trionfo della giustizia passiamo a considerare il trionfo della libertà: di quella vera libertà che assicura a ciascuno, non già come chiedesi dalla tiranna libertà eterodossa il soddisfacimento d\’ogni rea passione; ma come la ragione comanda, il libero uso d\’ogni proprio diritto, fondato nell\’ordine e non colliso da verun altro diritto.
Questa vera libertà ha fatto, mercé degli assalti onde è straziato il Pontefice, mirabili progressi nei convincimenti, nelle coscienze, negli amori del popolo credente.
I convincimenti hanno acquistato una chiarezza di concetto che senza tal mezzo mai non avrebbe potuto splendere di tanta luce. Giacché da un canto i pretesi liberali, i grandi promotori e vantatori di libertà per tutti, non solo hanno mostrato col fatto che la loro libertà è uno stupido e rabbioso accanimento nel perseguitare il Cattolicismo; ma hanno pronunziato arditamente e ricisamente, tutte le domande di riforme altro non essere che assalti di una svergognata ipocrisia, diretti ad escludere il principio cristiano dal governo dei popoli: ed appunto per questo, unicamente per questo, guerreggiarsi e calunniarsi da ogni parte il Governo clericale. Ecco ciò che essi intendono per libertà! E una tal confessione quanta luce può spargere a ben comprendere la libertà vera, separandone interamente la causa da cotesta scellerata indipendenza!
Mentre poi i ribelli di Bologna diceano in tal guisa apertamente all\’universo qual sia la falsa libertà ch\’essi vagheggiano, gli occhi di tutti i fedeli, mirando vacillare nei principii della rivoluzione romagnola le basì stesse d\’ogni dominio temporale, e nel dominio temporale la libertà delle coscienze cattoliche, metteano un grido di spavento vedendo accoppiate in quelle incertezze colla libertà del Papa ogni libertà sociale. E tutto l\’Episcopato cattolico e tutti i più sublimi intelletti e gli animi più generosi del laicato, compresi repente dal sentimento del proprio pericolo, sclamavano atterriti prima ancora di ben misurato col guardo: «se il Papa è schiavo, ogni libertà è morta»! E questo grido repentino e quasi istintivo dando luogo a serie e profonde meditazioni diveniva ben presto un convincimento evidente ed universale, manifestato e ingagliardito in quell\’immensa mole di documenti che empirebbero a centinaia i volumi, chi volesse tutti raccoglierli. Allo splendore di tanta luce, al suono di tante voci ognuno e rimasto convinto che la sicurezza di tutti i diritti non dipende tanto dall\’essere protetti colla forza, quanto dall\’essere fermamente sostenuti da una voce autorevole, e inviolabilmente riveriti dalle coscienze: che l\’universale adesione delle coscienze dipende dall\’impossibilità di universalmente ingannarle: che non sarà possibile l\’inganno universale, finché una voce universalmente riverita ed autorevole insegni in ogni angolo delta terra la verità una ed immutabile: che voce universalmente riverita sulla terra è quella soltanto dell\’Episcopato Cattolico, del quale uno ed immutabile sarà l\’insegnamento, finché sarà fermo e libero nel ricevere le comunicazioni del Vicario di Cristo: che a tale comunicazione, secondo l\’andamento delle cose presenti (checché possa fare prodigiosamente la Provvidenza), mezzo naturale e la civile Sovranità del Pontefice. Queste verità, sì evidenti in sè e sì concatenate fra loro già stavano nella tradizione e nel cuore di tutte le Chiese: ma chi non vede quanto abbiano acquietato, pel fatto politico e per le meditazioni dei dotti, chiarezza ed evidenza?
Ricorderanno forse parecchi dei nostri lettori che quando al principio della seconda Serie (6) mostrammo la gran forza che esercitar potrebbe l\’Episcopato cattolico in difesa della vera libertà, anche colà dove mancano le forme rappresentative; si trovò cui parve esagerata la nostra fiducia in una tale salvaguardia, la quale a cannoni o baionette altro non può opporre che i canoni e il pastorale. Or credete voi che oggidì l’obbiezione comparirebbe così ardila e gagliarda? Ohimè, qual terribile lezione abbiamo ricevuto dalla maestra Esperienza! Che valsero in mano ai Cattolici le armi parlamentari spezzate nel Belgio a colpi di sassate, in Francia a colpi di Stato, in Piemonte a colpi di pallottole nelle elezioni e nelle inchieste? E che valsero i Parlamenti di Parma, di Modena, di Firenze, di Bologna per la libertà di quei miseri popoli vittime dell\’Annessione? E la cattolica Irlanda, mentre sta morendo di fame, non ha il diritto di eleggere deputati al Parlamento britannico, ricevendone s\’intende, dai Landlords l\’imbecherata? (7). E pei cattolici del Canada possiamo noi sperare durevole il diritto di governare da sé, campando dalla oppressione dei protestanti?
Lungi da noi il riprovare per questo (qualora sia rettamente ordinato) l’uso di coteste guarentigie naturali. Ma chi può non rimanersi attonito e pieno di riconoscenza verso L’Uomo – Dio, quando rifletta alle prove di costanza e di potere date, fra le burrasche che mugghiano, da quella Voce di Dio che spezza i cedri e comanda alle tempeste? Mentre sotto il pugnale dei settarii e sotto i colpi delle artiglierie piemontesi ammutoliscono i Principi esautorati, i loro ministri fuggitivi, i loro fedeli impauriti; guardate quelle schiere del Clero capitanate ciascuna del proprio Vescovo che, sulla soglia delle catterali abbarrate, affrontano ardite non solo un Teodosio imperante, ma uno spietato tiranno per vietargli, un funerale, un Te Deum! All\’aspetto di tanta costanza chi può negate la sua fiducia a tal guarentigia di libertà?
Intendiamo quel che si obbietterà: «bella guarentigia in vero per cotesti Vescovi sbanditi, per cotesti preti incarcerati»! L\’obiezione è antica, ma antica è pure la risposta, ed oh come guagliarda! Se la proponeva un Vescovo per nome Paolo Apostolo; e «mi hanno imprigionato, diceva, come un malfattore: ma che perciò? riusciranno eglino a imprigionare il Verbo di verità? No, viva Dio! che io son pronto a tutto soffrire anziché tacere e abbandonare gli eletti». Laboro usque ad vincula quasi male operans: sed verbum Dei non est alligatum: ideo omnia substineo propter electos.
Or finché la verità non è legata e i Vescovi sanno parlare e morire, la sua forza si esercita sugli intelletti, ed ogni diritto trova il punctum, a cui appoggiare la leva per muovere le volontà. Se ne pavoneggiano falsamente i propagatori della menzogna; e mille volte gli udimmo ripetere quando i Governi ne frenavano le congiure: «la forza è vana, i principii camminano a dispetto vostro e la nostra opinione dominerà a suo tempo». A dir vero la fiducia nei principii non gli ha impedito dal farsi precedere dai tradimenti e seguire da carnefici e fucilazioni, da stati d\’assedio e catene per l\’insegnamento. Ma infine non può negarsi che l\’errore quando è libero a parlare ha forza a sedurre. Or se tanto può il tiranno degli intelletti, quanto avrà maggior forza la sovrana legittima, la verità? L\’errore è timido, interessato, codardo, e tutta la sua forza nasce dalla tolleranza di chi governa. La verità cattolica all\’opposto dispregia gli interessi, affronta la tirannia e non accetta la cuffia del silenzio: l\’Episcopato affronta la potenza dei suoi nemici, Pio IX espone gli Stati e la vita; ma la loro parola non soffre catene, non conosce timore. Ecco a quali difensori è raccomandata la libertà delle coscienze cattoliche e la difesa dei principii di verità sociale. L\’apparire sì gagliarda nel difenderla non vi sembra un gran trionfo per la Chiesa cattolica?
Ma qui badate, lettore, a non prendere equivoco, immaginandovi forse che cotesta libertà, chiusa nel santuario dell\’uomo interiore, sia. come verginella imbelle chiusa nella casa paterna, incapace di maneggiare né affari, né armi. La coscienza del diritto e quella ancor più del dovere è (vel dice il fatto presente) un tremendo campione, Ve lo dice colla confessione degli avversarii, i quali hanno avuto ricorso a tutti i mezzi immaginabili per alterare, screditare o trafugare le Encicliche del Papa. per istupidire col timore, esautorare colla derisione, incatenare colla forza le labbra dei Vescovi. E che vittoria credettero aver riportata quando poterono almeno chiudere loro gli accessi del giornalismo a furia di riverenze e di sequestri! Tanta possa adopratasi sì ostinatamente dice abbastanza qual forza attribuiscano costoro, quale efficacia nel mondo reale alla parola di un Vescovo.
Hanno ragione o torto? Anche qui risponde il fatto: mentre i popoli sono oppressi da carestie, da gravezze, da cerne forzose, da vessazioni di polizia, il Pontefice fa udire non una chiamata, ma un sospiro; un sospiro ripetono i Vescovi: e in un attimo si commuove il mondo cattolico, piovono a milioni di donativi, corrono a migliaia i guerrieri. E quel Pontefice, cui si rimproverava di non sapere raccogliere pochi battaglioni per difesa dell\’ordine interno, raccoglie sotto uno dei primi capitani del nostro tempo un esercito da mettere in palpiti tutta la parte guerriera d\’Italia o per dir meglio quel partito che tutti ha scossi ed atterrati i troni d\’Italia coi soli tradimenti e colle bande; fino a vedersi obbligata di mettere qui in campo quanto ha di forze per assicurarsi una vittoria più vergognosa di qualunque sconfitta.
Ci direte che tutto cotesto esercito sta per andarsene, in fumo: e noi, che non siamo profeti e che abbiamo promesso fin dal principio di non parlare del futuro. Ma mentre rinunziamo alla funzione di profeta, non intendiamo cavarci gli occhi di fronte per non vedere il presente, né il cervello di capo per non volerlo comprendere. Ora il presente ci dà meravigliosi documenti, rispetto alla potenza del diritto. E in primo luogo ci mostra qual sia per ogni dove la riverenza dei Cattolici ai diritti della Chiesa e ai desiderii del Pontefice. Giacché se tanti corsero da tutta la terra ad offerirgli l\’aiuto delle armi prima ancora ch\’ei lo chiedesse, che potrebbe aspettare se implorasse aiuto e in angustie più urgenti?
Direte che si opporrebbero forse certi Governi, e noi non vogliamo disdirvelo. Ma avete voi notato il curioso giuoco che sta facendo la Previdenza? Quei Principii che vorranno vietare ai sudditi di soccorrere il padre comune, sono quei medesimi che vantano il diritto dei sudditi sopra dei loro Sovrani. Con quale apparenza dunque di ragione potranno incatenarli e impedire loro la difesa della istituzione che hanno più cara e riverita sulla terra? Lo stesso principio di indipendenza eterodossa, per cui lo Stato si emancipò dalla Chiesa, ha emancipato i popoli dall\’autorità del Sovrano trasportando la Sovranità nel popolo stesso: il popolo è quello che comanda e il Governo deve obbedire, sotto pena di essere licenziato dal suo mandatario.
Con tal dottrina alla mano capirete che un Governo di gente cattolica si mette in contraddizione col principio, quando vieta alla pluralità dei sudditi un atto per sé così santo e dai sudditi sì fervidamente bramato. Quel divieto apparisce tirannico, perché opposto alla volontà popolare; oppressivo delle coscienze e dei diritti, perché si oppone alla rivendicazione di quel potere che da rincalzo alla libertà delle coscienze e alla dignitosa esistenza del centro cattolico. Se dunque il popolo adoprasse mozzi anche i più efficaci per liberarsi dalla soverchieria, potrebbe citare in favor suo il principio stesso degli avversari ed usare dì fatto quella libertà che per principio, vero o falso che sia, della Sovranità del popolo gli venne conceduta in diritto. Non è questo un bel giuoco della Provvidenza, un bel trionfo della Verità e della Chiesa?
Vero è che i Cattolici non ammetteranno mai cotesta sovranità in quanto deriva dal reo principio di assoluta indipendenza. Ma forse che la democrazia non può avere altra base che l\’empietà? O mancano nella storia del Cattolicismo mirabili modelli di democrazie cristiane? O non ne abbiamo proprio sulle porte, sulla soglia dell\’Italia nostra esempi ammirabili in quelle patriarcali democrazie elvetiche non meno ferme nella civile; uguaglianza, che generose e forti nella difesa della loro religione?
Supponete che quello spirito di democrazia che oggi nel regno delle Due Sicilie delira e gavazza nel sangue, si rabbonisca come negli Stati Uniti e divenga legge ricevuta per tutti i cittadini, e vedete ciò che sapranno fare armali di tal diritto i Cattolici in favore della loro libertà religiosa e del Vicario di Cristo, se tanto fecero privi di tale arme e vessati dalle insidie dei settari, dalle polizie dei Governi.
Questo avvenire sarà remoto se volete, ma è chiuso come in suo germe nei fatti che si vanno compiendo per trionfo della verità. Questi fatti, additando ai Principi l\’esempio del Re Pontefice, fanno loro comprendere che quella spada affidata loro dalla giustizia eterna non è un ornamento che possano deporre, non un diritto cui possano rinunziare: essa è lo stromento, con cui il Principe dee difendere i sudditi onesti dalla prepotenza dei malvagi, dai soprusi dello straniero; sotto pena di rendere a Dio un conto terribile della dimenticanza di tal dovere.
Questi fatti parlano ai popoli; e mostrando loro che la libertà ridata dagli empi altro non è che tirannia delle coscienze e schiavitù degli onesti, invitano ogni intelletto alla sequela di quella libertà che non può vivere, se non nell\’ordine fondato sulla verità, della quale è oracolo il Sommo Pontefice: e mostra come l\’inviolata autonomia del Pontefice sia la radicale e vera guarentigia dell\’universale libertà; facendo sì che quella voce augusta e parli solennemente e sia ascoltata liberamente.
Finalmente questi fatti iniziando un principio di esercito cattolico, raccolto dalla fede, animato dall\’ardore del Cattolicismo, disinteressato nei suoi intendimenti, incorrotto nella sua lealtà, pronto per generosità ad ogni sacrifizio, danno una gran lezione e a Principi e a popoli. A questi insegnando con quale spirito debba combattere per la patria una milizia cristiana: ai Principi, che non sanno ormai a quali capitani possano affidare gli eserciti, senza tema di tradimento, mostrando qual sia la potenza del sentimento cristiano in un guerriero, allorché egli è certo della santità della causa e della giustizia della guerra; a tutti poi i Cattolici fanno comprendere l\’immensa forza che aver potrebbe contro la congiura universale degli empi la società cristiana, se, non contenta di pregare e piangere, si risolvesse ad entrare nelle vie dell\’azione, pronta a combattere e sacrificarsi. Che ne dite, lettore? Tutto questo complesso di verità sì sublimi a comprendersi, sì nobili ad abbracciarsi, sì promettenti a praticarsi, non sembra a voi un nobilissimo trionfo per la Chiesa maestra del vero e del giusto? – Nobilissimo, direte; ma frattanto il dominio temporale si scioglie come cera al fuoco! – Adagio; lettore, le vie della Provvidenza sono tutt\’altre che quelle della politica. Udite un tratto, ed abbiam finito.
Il 18 Giugno 1053 un Santo Pontefice, Nono del suo nome, assistito da pochi Alemanni, Longobardi ed Italiani, ebbe a sostenere presso a Dragonara in Capitanata un terribile scontro dai fieri Normanni che aveano invaso il Regno e minacciavano i possedimenti di S. Chiesa. Per quanto fossero forti le milizie pontificie e facessero miracoli di valore, intanto che degli Alemanni non restò in piedi pure uno, furono nondimeno sopraffatte e sgominate dal numero; e S. Leone IX, che avea assistito personalmente alla battaglia non finiva di piangere sopra tanti suoi prodi caduti in quella, e l\’avvenire della Chiesa gli dovea apparire condotto agli estremi per la prevalenza di quei mezzo barbari venturieri. E nondimeno segni portentosi gli rivelarono la eterna salute assicurata a quanti in quello scontro erano stati spenti in servigio della Chiesa, e quanto all\’avvenire di questa, la sconfitta di Dragonara riuscì a lei, alla Italia e possiamo aggiungere a tutta l\’umana famiglia più salutare di qualunque vittoria. I quali insigni vantaggi avendo noverati uno storico protestate, conchiude in questi precisi termini: E’ così una disfatta diede alla Santa Sede ciò che non avrebbe giammai potuto ottenere da un trionfo; e la debolezza di un Pontefice pio e straniero all’umana politica effettuò una conquista che i più arditi precessori di Leone IX non avrebbero osato di tentare (8).
Questo esempio recammo non perché sia solo nella storia, ma per la grande analogia che esso ha coi casi presenti, la quale ci darà forse più innanzi l\’occasione di tornarvi sopra. Nel resto la Chiesa, che ha di tali ricordi nei suoi annali, ha bene il diritto di promettersi nei suoi medesimi disastri un trionfo.

NOTE
(1) Allocuzioni concistoriali del 13 Luglio e del 28 Settembre1860.
(2) Prov. VII, 6
(3) Rom. XIII, 4.
(4) Vedasi la lettera del S. Padre al Re di Sardegna del 2 Aprile 1860(«Civ. Catt.» Ser. IV, Vol. VI, pag. 370).
(5) Vicit Leo de tribu Juda, Apoc. V, 5. Abscondite nos… ab ira agni. Ivi VI. 16
(6) Serie II. Tom. I, pag. 263 e segg.
(7) Vedi nel “Monde” del 4 Settembre 1860.
(8) SISMONDI: «Repubbliche Italiane», Tom. I, pag. 267