Chi è malato chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel nome del Signore; e la preghiera fatta con fede salverà il malato; il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati
COSTITUZIONE APOSTOLICA
SUL SACRAMENTO DELL’UNZIONE DEGLI INFERMI
PAOLO VESCOVO
servo dei servi di DIO – a perpetua memoria
La sacra Unzione degli infermi, come professa e insegna la Chiesa cattolica, è uno dei sette sacramenti del Nuovo Testamento, istituito da Cristo nostro Signore, «adombrato come tale nel Vangelo di Marco (Mc 6, 13) e raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore. Chi è malato, egli dice, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e freghino su di lui dopo averlo unto con olio nel nome del Signore; e la preghiera fatta con fede salverà il malato; il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati (Gc 5, 14-15)»1. Testimonianze relative all’Unzione degli infermi si trovano fin dai tempi antichi nella tradizione della Chiesa, segnatamente in quella liturgica, sia in Oriente che in Occidente. Sono da ricordare in proposito, a titolo speciale, la lettera scritta dal pontefice Innocenze I, nostro predecessore, a Decenzio, vescovo di Gubbio2, e il testo della veneranda preghiera usata per benedire l’Olio degli infermi: «Effondi, o Signore, il tuo spirito Santo Paraclito», la quale fu inserita nella Prece eucaristica3 ed è tuttora conservata nel Pontificale Romano4.
Con il passare dei secoli, nella tradizione liturgica furono più esattamente precisate, anche se in vario modo, le parti del corpo dell’infermo che dovevano essere unte con l’Olio santo, e furono aggiunte più formule per accompagnare con la preghiera le unzioni: queste formule sono appunto contenute nei libri rituali delle varie Chiese. Durante il Medioevo, nella Chiesa Romana invalse la consuetudine di ungere gli infermi nelle sedi degli organi di senso, con l’uso di questa formula: «Per istam sanctam Unctionem, et suam piissimam misericordiam, indulgeat tibi Dominus quidquìd deliquisti», formula che veniva adattata a ciascuno dei sensi5. La dottrina circa la sacra Unzione è, inoltre, esposta nei documenti dei Concili Ecumenici, cioè del Concilio Fiorentino, e soprattutto del Tridentino e del Vaticano II. Dopo che il Concilio Fiorentino ebbe descritto gli elementi essenziali dell’Unzione degli infermi6, il Concilio di Trento ne proclamò la divina istituzione, indicando tutto ciò che intorno alla sacra Unzione è tramandato dall’epistola di san Giacomo, per quanto riguarda soprattutto la realtà e l’effetto del sacramento: «Questa realtà è, infatti, la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione lava i delitti, che siano ancora da espiare, toglie i residui del peccato e reca sollievo e conforto all’anima del malato, suscitando in lui una grande fiducia nella misericordia del Signore, per cui l’infermo, così risollevato, sopporta meglio i fastidi e i travagli della malattia e più facilmente resiste alle tentazioni del demonio e riacquista talvolta la stessa salute del corpo, quando ciò convenga alla salute dell’anima»7. Il medesimo Concilio proclamò, altresì, che con quelle parole dell’apostolo è chiaramente indicato «che questa unzione deve esser fatta agli infermi, e soprattutto a coloro i quali si trovano in una condizione di tale pericolo, che sembrano essere in fin di vita, per cui essa è chiamata anche sacramento dei moribondi»8. Da ultimo, per quanto riguarda il ministro competente, dichiarò che ne è ministro il presbitero9. Da parte sua, il Concilio Vaticano II contiene queste ulteriori affermazioni: «L’Estrema Unzione, la quale può esser chiamata anche, e meglio, “Unzione degli infermi”, non è il sacramento soltanto di coloro che si trovano in estremo pericolo di vita. Perciò, il tempo opportuno per riceverlo ha certamente già inizio quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, comincia a essere in pericolo di morte»10. E che l’uso di questo sacramento rientri nelle sollecitudini di tutta la Chiesa, è dimostrato da queste parole: «Con la sacra Unzione degli infermi e con la preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché rechi loro sollievo e li salvi (cf Gc 5, 14-16), anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo (cf Rm 8, 17; Col 1, 24; 2Tm 2, 11-12; 1Pt style=’mso-spacerun:yes’> 4, 13), per contribuire così al bene del Popolo di Dio»11.
Tutti questi elementi dovevano esser tenuti ben presenti nella revisione del rito della sacra Unzione, al fine di adattar meglio alle odierne circostanze quelli che erano soggetti a mutamento12.
Abbiamo anzitutto ritenuto di modificare la formula sacramentale in maniera tale che, tenendo presenti le parole di san Giacomo, fossero più chiaramente espressi gli effetti del sacramento.
Dato, poi, che l’olio d’oliva, quale fino ad ora era prescritto per la validità del sacramento, in alcune regioni manca del tutto o può essere difficile procurarlo, abbiamo stabilito, su richiesta di numerosi vescovi, che possa essere usato in futuro, secondo le circostanze, anche un olio di altro tipo, che tuttavia sia stato ricavato da piante, in quanto più somigliante all’olio d’oliva.
Per ciò che riguarda il numero delle unzioni e le membra da ungere, ci è sembrato opportuno procedere a una semplificazione del rito. Pertanto, poiché questa revisione tocca in alcune parti anche lo stesso rito sacramentale, con la nostra autorità apostolica decretiamo che, per l’avvenire, sia osservato nel rito latino quanto segue:
Il sacramento dell’Unzione degli infermi si conferisce a quelli che sono ammalati con serio pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio d’oliva o, secondo l’opportunità, con altro olio vegetale, debitamente benedetto, e pronunciando, per una volta soltanto, queste parole: «Per istam sanctam Unctionem et suam piissimam misericordiam adiuvet te Dominus gratia Spiritus Sancti, ut a peccatis liberatum te salvet atque propitius allevet».
Tuttavia, in caso di necessità, è sufficiente compiere un’unica unzione sulla fronte oppure, in particolari condizioni dell’infermo, in un’altra parte più adatta del corpo, pronunciando integralmente la formula anzidetta.
Questo sacramento può essere ripetuto, qualora l’infermo, dopo aver ricevuto l’Unzione, si sia ristabilito e sia poi ricaduto nella malattia, oppure se, perdurando la medesima infermità, il pericolo diviene più grave.
Stabiliti e dichiarati questi elementi relativi al rito essenziale del sacramento dell’Unzione degli infermi, noi approviamo con la nostra autorità apostolica anche L’Ordo concernente l’Unzione degli infermi e la cura pastorale di essi, quale è stato rivisto dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, derogando, nello stesso tempo, se sarà necessario, alle prescrizioni del Codice di Diritto Canonico o alle altre leggi finora vigenti, o anche abrogandole, mentre conservano stabile valore le prescrizioni e le leggi, che non sono abrogate o mutate dal medesimo Ordo. L’edizione latina di tale Orda, contenente il nuovo rito, andrà in vigore non appena sarà pubblicata, mentre le edizioni in lingua volgare, preparate dalle Conferenze Episcopali e approvate dalla Sede Apostolica, andranno m vigore dal giorno che sarà deciso dalle medesime singole Conferenze; il vecchio Ordo potrà essere usato fino al 31 dicembre dell’anno 1973. Tuttavia, dal 1° gennaio 1974, tutti gli interessati dovranno fare uso soltanto del nuovo Ordo.
Vogliamo che tutto quanto noi abbiamo deciso e prescritto abbia, ora e in avvenire, piena efficacia nel rito latino, nonostante – per quanto è necessario – le Costituzioni e gli Ordinamenti Apostolici, emanati dai nostri predecessori, e le altre disposizioni, anche se degne di speciale menzione.
Dato a Roma, presso San Pietro,
il 30 novembre dell’anno 1972,
decimo del nostro Pontificato.
Paolo PP. VI
NOTE
1) Conc. trid., sess. XIV, Doctrina de sacramento extremae Unctionis, cap. 1 (cf Canones de sacramento extremae Unctionis, c. 1): DS 1695 (cf 1716). style=’font-size:12.0pt’>
2) Lett. Si instituta ecclesiastica, cap. 8: PL 20, 559-561; DS 216. style=’font-size:12.0pt’>
3) Liber Sacramentorum Romanae Ecclesiae Ordinis Anni Circuli, ed. L.C. mohlberg (Rerum Ecclesiasticarum Documenta, Fontes, IV), Roma 1960, p. 61; Le Sacramentaire Grégorien, ed. lang=FR style=’font-size:12.0pt;color:black;mso-ansi-language:FR’>J. DESHUSSES (Spicilegium Friburgense, 16), Fribourg 1971, p. 172; cf La Tradition Apostolique de saint Hippolyte, ed. lang=DE style=’font-size:12.0pt; color:black;mso-ansi-language:DE’>B. botte (Liturgiewissenschaftliche. Quellen und Forschungen, 39), Münster in W. 1963, pp. 18-19; Le Grand Euchologe du Monastère Blanc, ed. E. LANNE (Patrologia Orientali, XXVIII, 2), Paris 1958, pp. 392-395.
4) Cf Pontificale Romano. Rito della benedizione degli oli e della consacrazione del crisma, ed. tip. 1971, pp. 11-12. style=’font-size:12.0pt’>
lang=FR style=’font-size:12.0pt;color:black;mso-ansi-language:FR’>5) Cf M. Andrieu, Le Pontifical Romain au Moyen-Age, t. I, Le Pontificai Romain du XII siècle (ST 86), Città del Vaticano 1938, pp. 267-268, t. II, LePontifical de la Curie Romaine au XIII siècle (ST 87), Città del Vaticano 1940, pp. 491-492. lang=FR style=’font-size:12.0pt;mso-ansi-language:FR’>
lang=EN-GB style=’font-size:12.0pt;color:black;mso-ansi-language:6) Decr. pro Armeniis: G. HOFMANN, Concilium Florentinum, I-II, p. 130: DS 1324 s. lang=EN-GB style=’font-size:12.0pt;mso-ansi-language:
lang=EN-GB style=’font-size:12.0pt;color:black;mso-ansi-language:7) CONC. trid., sess. XIV, Doctr. de sacramento extremae Unctionis, cap. 2: DS 1696. lang=EN-GB style=’font-size:12.0pt;mso-ansi-language:
lang=EN-GB style=’font-size:12.0pt;color:black;mso-ansi-language:8) Ibid. cap. 3: DS 1698. lang=EN-GB style=’font-size:12.0pt; mso-ansi-language:
lang=EN-GB style=’font-size:12.0pt;color:black;mso-ansi-language:9) Ibid. cap. 3: DS 1697; Canones de sacramento extremae Unctionis, c. 4: DS 1719. lang=EN-GB style=’font-size:12.0pt;mso-ansi-language:
10) SC 73.
11) LG 11.
12) SC 1.
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SACRAMENTO DELL’UNZIONE E CURA PASTORALE DEGLI INFERMI
Introduzione
I. LA MALATTIA E IL SUO SIGNIFICATO NEL MISTERO DELLA SALVEZZA
1. Il problema del dolore e della malattia è sempre stato uno dei più angosciosi per la coscienza umana. Anche i cristiani ne conoscono la portata e ne avvertono la complessità, ma illuminati e sorretti dalla fede, hanno modo di penetrare più a fondo il mistero del dolore e sopportarlo con più virile fortezza. Sanno infatti dalle parole di Cristo quale sia il significato e quale il valore della sofferenza per la salvezza propria e del mondo, e come nella malattia Cristo stesso sia loro accanto e li ami, lui che nella sua vita mortale tante volte si recò a visitare i malati e li guarì.
2. Non si può negare che ci sia uno stretto rapporto tra la malattia e la condizione di peccato in cui si trova l’uomo; ma sarebbe un errore il considerare la malattia stessa, almeno in linea generale, come un castigo di peccati personali (cf Gv 9, 3). Cristo stesso, che pure è senza peccato, soffrì nella sua Passione pene e tormenti di ogni genere, e fece suoi i dolori di tutti gli uomini: portava così a compimento quanto aveva scritto di lui il profeta Isaia (cf Is 53, 4-5); anzi, è ancora lui, il Cristo, che soffre in noi, sue membra, allorché siamo colpiti e oppressi da dolori e da prove: prove e dolori di breve durata e di lieve entità, se si confrontano con la quantità eterna di gloria che ci procurano (cf 2 Cor 4, 17).
3. Rientra nel piano stesso di Dio e della sua provvidenza che uomo lotti con tutte le sue forze contro la malattia in tutte le sue forme, e si adoperi in ogni modo per conservarsi in salute: la salute infatti, questo grande bene, consente a chi la possiede di svolgere il suo compito nella società e nella Chiesa.
Ma si deve anche essere pronti a completare nella nostra carne quello che ancora manca ai patimenti di Cristo per la salvezza del mondo, nell’attesa che tutta la creazione, finalmente liberata, partecipi alla gloria dei figli di Dio (cf Col 1, 24; Rm 8, 19-21). Non solo, ma i malati hanno nella Chiesa una missione particolare da compiere e una testimonianza da offrire: quella di rammentare a chi è in salute che ci sono beni essenziali e duraturi da tener presenti, e che solo il mistero della morte e risurrezione di Cristo può redimere e salvare questa nostra vita mortale.
4. Il malato deve lottare contro la malattia: ma non lui soltanto. Anche i medici, anche tutti coloro che sono addetti al servizio degli infermi, non devono tralasciare nulla di quanto può essere fatto, tentato, sperimentato per recar sollievo al corpo e allo spirito di chi soffre; così facendo, mettono in pratica quelle parole del Vangelo in cui Cristo raccomanda di visitare i malati; ma riferendosi al malato, Cristo intende l’uomo nell’integralità del suo essere umano: chi quindi visita il malato, deve recargli sollievo nel fisico e conforto nello spirito.
II. I SACRAMENTI DEI MALATI
a) L’Unzione degli infermi
5. Sono molti i passi dei Vangeli da cui traspare la premura di Cristo Signore per i malati: egli li cura nel corpo e nello spirito, e raccomanda ai suoi fedeli di fare altrettanto. Ma il segno principale di questa premura è il sacramento dell’Unzione: istituito da Cristo e fatto conoscere nell’epistola di san Giacomo, questo sacramento è stato poi sempre celebrato dalla Chiesa per i suoi membri malati; in esso, per mezzo di una unzione, accompagnata dalla preghiera dei sacerdoti, la Chiesa raccomanda i malati al Signore sofferente e glorificato perché dia loro sollievo e salvezza (cf Gc 5, 14-16) ed esorta i malati stessi ad associarsi spontaneamente alla passione e morte di Cristo (cf Rm 8, 17; Cf anche Col 1,24; 2Tm 2, 11-12; 1Pt style=’mso-spacerun:yes’> 4, 13.) per contribuire al bene del popolo di Dio [Cf Conc. trid., sess. XIV, Doctr. de sacramento extremae Unctionis, cap. 1: DS1695; LG 11] . L’uomo gravemente infermo ha infatti bisogno, nello stato di ansia e di pena in cui si trova, di una grazia speciale di Dio per non lasciarsi abbattere, con il pericolo che la tentazione faccia vacillare la sua fede.
Proprio per questo, Cristo ha voluto dare ai suoi fedeli malati la forza e il sostegno validissimo del sacramento dell’Unzione [Cf Conc. trid., sess. XIV, Doctr. de sacramento extremae Unctionis, cap. 1: DS 1694].
La celebrazione del sacramento consiste sostanzialmente in questo: previa l’imposizione delle mani fatta dai presbiteri della Chiesa, si dice la preghiera della fede e si ungono i malati con Olio santificato dalla benedizione di Dio; con questo rito viene significata e conferita la grazia del sacramento.
6. Questo sacramento conferisce al malato la grazia dello Spirito Santo; tutto l’uomo ne riceve aiuto per la sua salvezza, si sente rinfrancato dalla fiducia in Dio e ottiene forze nuove contro le tentazioni del maligno e l’ansietà della morte; egli può così non solo sopportare validamente il male, ma combatterlo, e conseguire anche la salute, qualora ne derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale; il sacramento dona inoltre, se necessario, il perdono dei peccati e porta a termine il cammino penitenziale del cristiano [Cf ibid., Proemium e cap. 2: DS 1694, 1696].
7. Nel sacramento dell’Unzione, esplicitamente legato alla preghiera della fede (cf Gc 5, 15), la fede stessa si esprime e si manifesta; devono prima di ogni altro ravvivarla e manifestarla sia il ministro che conferisce il sacramento, sia soprattutto il malato che lo riceve; sarà proprio la sua fede e la fede della Chiesa che salverà l’infermo, quella fede che mentre si riporta alla morte e alla risurrezione di Cristo, da cui il sacramento deriva la sua efficacia (cf Gc 5, 15; Cf S. TOMMASO, In IV sentent., d. 1, q. 1, a. 4, qc. 3) si protende anche verso il regno futuro, di cui il sacramento è pegno e promessa.
a) A chi si deve dare l’Unzione degli infermi style=’font-size: 14.0pt’>
8. L’Unzione si deve dare agli infermi, dice l’epistola di san Giacomo, perché ne abbiano sollievo e salvezza [Cf conc. trid., sess. XIV, Doctr. de sacramento extremae Unctionis, cap. 2: DS 1698]. Con ogni premura quindi e con ogni diligenza si deve provvedere al conferimento dell’Unzione a quei fedeli, il cui stato di salute risulta seriamente compromesso per malattia o vecchiaia [SC 73]. Per valutare la gravita del male, è sufficiente un giudizio prudente o probabile [Cf Pio XI, Lett. Explorata res, 2.2.1923], senza inutili ansietà; si può eventualmente interpellare un medico.
9. Il sacramento si può ripetere qualora il malato guarisca dalla malattia nella quale ha ricevuto l’Unzione, o se nel corso della medesima malattia subisce un aggravamento.
10. Prima di un’operazione chirurgica, si può dare all’infermo la sacra Unzione, quando motivo dell’operazione è un male pericoloso.
11. Ai vecchi, per l’indebolimento accentuato delle loro forze, si può dare la sacra Unzione, anche se non risultano affetti da alcuna grave malattia.
12. Anche ai bambini si conferisca la sacra Unzione, purché abbiano raggiunto un uso di ragione sufficiente a far loro sentire il conforto di questo sacramento. Nel dubbio se abbiano raggiunto l’uso della ragione, si conferisca ugualmente il sacramento (cf CIC, c. 1005).
13. Nella catechesi sia pubblica che familiare si abbia cura di educare i fedeli a chiedere essi stessi l’Unzione e, appena ne verrà il momento, a riceverla con fede e devozione grande, senza indulgere alla pessima abitudine di rinviare la ricezione di questo sacramento. Anche a tutti coloro che prestano servizio ai malati si spieghi la natura e l’efficacia del sacramento dell’Unzione.
14. Quanto ai malati che abbiano eventualmente perduto l’uso di ragione o si trovino in stato di incoscienza, se c’è motivo di ritenere che nel possesso delle loro facoltà essi stessi, come credenti, avrebbero almeno implicitamente chiesto l’Unzione, si conferisca loro il sacramento [Cf CIC, c. 1006].
15. Se il sacerdote viene chiamato quando l’infermo è già morto, raccomandi il defunto al Signore, perché gli conceda il perdono dei peccati e lo accolga nel suo regno; ma non gli dia l’Unzione. Solo nel dubbio che il malato sia veramente morto, gli amministri il sacramento secondo il rito più oltre descritto (n. 135) [Cf CIC, c. 1005].
Non si conferisca l’Unzione degli infermi a coloro che perseverano ostinatamente in un peccato grave manifesto.
b) Il ministro dell’Unzione degli infermi
16. Ministro proprio dell’Unzione degli infermi è il sacerdote soltanto [Cf Conc. lang=EN-GB uppercase;mso-ansi-language:Trid., lang=EN-GB style=’color:black;mso-ansi-language:sess. XIV, Doctr. de sacramento extremae Unctionis, cap. 3: DS 1697; Canones de sacramento extremae Unctionis, c. 4: DS 1719; CIC, c. 1003 § 1 ]. I vescovi, i parroci e i vicari parrocchiali, i cappellani degli ospedali e i superiori delle comunità religiose clericali, esercitano in via ordinaria questo ministero [Cf CIC, c. 1003 §2.].
17. E loro compito e loro dovere, con la cooperazione di religiosi e di laici, preparare al sacramento i malati e coloro che li assistono, e conferire poi ai malati stessi l’Unzione. Spetta al vescovo diocesano regolare eventuali celebrazioni comunitarie nelle quali si riuniscono più malati per ricevere insieme l’Unzione degli infermi.
18. Per un motivo ragionevole, qualsiasi altro sacerdote può amministrare questo sacramento, col consenso almeno presunto del ministro di cui sopra al n. 16, che egli poi informerà dell’Unzione conferita.
19. Quando al capezzale di un malato ci sono due o più sacerdoti, nulla vieta che uno di essi pronunzi le preghiere e faccia l’Unzione con la formula sacramentale prescritta, e gli altri si spartiscano fra di loro le varie parti della celebrazione: riti iniziali, lettura della parola di Dio, invocazioni, monizioni. Ognuno di essi può imporre le mani sul malato.
c) Ciò che si richiede per celebrare l’Unzione style=’font-size: 14.0pt’>
20. Materia adatta per la celebrazione del sacramento è l’olio di oliva, o, secondo l’opportunità, un altro olio vegetale [Cf Pontificale Romano. Rito della benedizione degli oli e della consacrazione del crisma, ed. tip. 1970, «Premesse», n. 3 (cf p. 716)].
21. L’olio per l’Unzione degli infermi deve essere appositamente benedetto dal vescovo o da un sacerdote che a norma di diritto o per concessione particolare della Sede Apostolica ne abbia la debita facoltà.
Oltre al vescovo, può ipso iure benedire l’olio per l’Unzione degli infermi:
a) coloro che a norma di diritto sono equiparati al vescovo diocesano;
b) in caso di necessità, qualsiasi sacerdote, ma solo nella stessa celebrazione del sacramento [Cf CIC, e. 999].
La benedizione dell’olio degli infermi vien fatta normalmente dal vescovo al Giovedì della Settimana santa [Cf Pontificale Romano. Rito della benedizione degli oli e della consacrazione del crisma, «Premesse», n. 9 (cf p. 717)].
22. Qualora il sacerdote, in base al n. 21b, dovesse benedire l’Olio durante il rito, può recarlo lui stesso o farlo preparare dai familiari dell’infermo in un piccolo recipiente adatto. L’Olio benedetto, eventualmente avanzato dopo la celebrazione, dev’essere bruciato aggiungendovi cotone idrofilo. Quando invece il sacerdote si serve dell’Olio già benedetto dal vescovo o da un altro sacerdote, deve portarlo con sé in un’ampolla apposita: un’ampolla di materia adatta a conservarlo, ben pulita e con una quantità sufficiente di olio;
Per comodità, si può impregnare di Olio benedetto un batuffolo di cotone. Fatta l’Unzione, il sacerdote riporta l’ampolla al suo luogo, perché vi sia conservata con il dovuto rispetto. Si badi sempre che l’Olio non si alteri e rimanga quindi adatto all’Unzione; lo si rinnovi quindi a suo tempo, o annualmente dopo la benedizione fatta dal vescovo nel Giovedì della Settimana santa, o anche più spesso, secondo la necessità.
23. L’Unzione si fa spalmando un po’ di Olio sulla fronte e sulle mani dell’infermo; quanto alla formula, è bene dividerla in modo da pronunziare la prima parte mentre si fa l’unzione sulla fronte, e la seconda mentre si fa l’unzione sulle mani. In caso di necessità, basta fare un’unica unzione sulla fronte, pronunziando integralmente la formula sacramentale. Se poi la particolare situazione del malato rendesse impossibile l’unzione sulla fronte, la si faccia su di un’altra parte del corpo, pronunziando sempre integralmente la formula sacramentale.
24. Nulla impedisce che, tenuto conto delle tradizioni o del carattere particolare di una data popolazione, il numero delle unzioni venga aumentato o che se ne cambi il luogo: questi eventuali cambiamenti dovranno però esser previsti e predisposti nei Rituali particolari.
25. La formula per il conferimento dell’Unzione degli infermi è la seguente:
Per questa santa Unzione
e la sua piissima misericordia
ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo.
Amen.
E, liberandoti dai peccati, ti salvi
e nella sua bontà ti sollevi.
Amen.
b) Il Viatico
26. Nel passaggio da questa all’altra vita, il Viatico del Corpo e Sangue di Cristo fortifica il fedele e lo munisce del pegno della risurrezione, secondo le parole del Signore: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6, 54). Il Viatico si riceva, se possibile, durante la Messa, in modo che l’infermo possa far la comunione sotto le due specie: la comunione in forma di Viatico è infatti un segno speciale della partecipazione al mistero celebrato nel sacrificio della Messa, il mistero della morte del Signore e del suo passaggio al Padre [Cf EM 36, 39, 41].
27. Tutti i battezzati che possono ricevere la comunione sono obbligati a ricevere il Viatico. Infatti tutti i fedeli che per qualsiasi causa si trovano in pericolo di morte, sono tenuti per precetto a ricevere la santa comunione, e i pastori devono vigilare perché non venga differita l’amministrazione di questo sacramento, in modo che i fedeli ne ricevano il conforto quando sono ancora nel pieno possesso delle loro facoltà [Cf EM 39].
28. È bene che nella celebrazione del Viatico il fedele rinnovi la fede del suo Battesimo, in cui ha ricevuto l’adozione a figlio di Dio ed è divenuto coerede della vita eterna promessa.
29. Ministri ordinari del Viatico sono il parroco e i vicari parrocchiali, i cappellani e il superiore della comunità negli istituti religiosi clericali e nelle società di vita apostolica, per tutti coloro che vivono nella casa.
In caso di necessità o col permesso almeno presunto del ministro competente, qualsiasi sacerdote o diacono amministri il Viatico; in mancanza di un ministro sacro, qualunque fedele regolarmente autorizzato.
Il diacono usi il medesimo rito indicato nel Rituale per il sacerdote (nn. 101-114); gli altri seguano il rito descritto per il ministro straordinario nel rituale «Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico» (nn. 68-78).
c) Il rito continuo
30. Per i casi particolari, nei quali o per un male repentino o per altri motivi un fedele venisse a trovarsi d’improvviso in pericolo prossimo di morte, è predisposto un rito continuo per conferire all’infermo i sacramenti della Penitenza, dell’Unzione e dell’Eucaristia in forma di Viatico. Se poi, per il pericolo imminente di morte, non ci fosse tempo per conferire tutti i sacramenti nel modo sopra indicato, si dia anzitutto la possibilità all’infermo di fare la confessione sacramentale, anche in forma generica, data l’urgenza; quindi gli si amministri il Viatico, al quale è tenuto ogni fedele in pericolo di morte; poi, se c’è tempo ancora, gli si conferisca la sacra Unzione.
Se però l’infermo non potesse per il suo stato ricevere la comunione, gli si deve dare la sacra Unzione.
31. Se l’infermo deve ricevere il sacramento della Confermazione, si tenga presente quanto viene più sotto indicato, ai nn. 167, 177, 205-206.
In caso di pericolo di morte ha ipso iure facoltà di confermare il parroco, anzi qualsiasi sacerdote [Cf Rituale Romano. Rito della Confermazione, ed. tip. 1971, «Premesse», n. 7c (cf p. 93)].
III. UFFICI E MINISTERI VERSO GLI INFERMI
32. Nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, se un membro soffre, soffrono con lui tutti gli altri membri (1 Cor 12, 26; Cf LG 7). Perciò la misericordia verso gli infermi e le cosiddette opere caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare ogni umano bisogno, sono tenute dalla Chiesa in grande onore [Cf AA 8]; e tutti i tentativi della scienza per prolungare la longevità biologica [Cf GS l8] e tutte le premure verso gli infermi, chiunque le abbia o le usi, si possono considerare come preparazione ad accogliere il Vangelo e partecipazione al ministero di Cristo che conforta i malati [Cf LG 28].
33. E quindi ottima cosa che tutti i battezzati partecipino a questo mutuo servizio di carità tra le membra del Corpo di Cristo, sia nella lotta contro la malattia e nell’amore premuroso verso i malati, sia nella celebrazione dei sacramenti degli infermi. Anche questi sacramenti infatti hanno, come tutti gli altri, un carattere comunitario, e tale carattere deve risultare, per quanto è possibile, nella loro celebrazione.
34. In questo servizio di carità, prestato a sollievo dei malati, hanno un compito tutto particolare i familiari dei malati stessi e coloro che in qualsiasi modo sono addetti alla loro cura; tocca a loro soprattutto confortare i malati con parole di fede e con la preghiera comune, raccomandarli al Signore sofferente e glorificato, esortarli anzi a unirsi spontaneamente alla passione e morte di Cristo, per contribuire al bene del popolo di Dio [Cf LG 21]; se poi il male si aggrava, tocca ancora a loro avvertire il parroco, e con delicatezza e prudenza preparare il malato a ricevere tempestivamente i sacramenti.
35. Si ricordino i sacerdoti, e soprattutto i parroci e gli altri elencati al n. 16, che è loro dovere visitare personalmente e con premurosa frequenza i malati, e aiutarli con senso profondo di carità [Cf CIC, c. 529 § 1]. Soprattutto poi quando amministrano i sacramenti, cerchino di rendere più salda la speranza e più viva la fede di tutti i presenti nel Cristo sofferente e glorificato; con questo richiamo alla premura materna della Chiesa e al conforto che proviene dalla fede, recheranno sollievo ai credenti, e ridesteranno negli altri il senso delle realtà ultraterrene.
36. Perché quanto si è detto sui sacramenti dell’Unzione e del Viatico possa essere sempre meglio compreso, e perché la loro celebrazione nutra davvero, irrobustisca ed esprima la fede, importanza grandissima si deve dare alla catechesi: una catechesi adatta, fatta ai fedeli in genere e ai malati in specie, che li conduca quasi per mano a preparare la celebrazione di questi sacramenti e a parteciparvi attivamente, soprattutto se essa avviene in forma comunitaria; così la fede professata nel rito ravviva la preghiera della fede che accompagna la celebrazione del sacramento.
37. Nel preparare il rito e nel predisporre lo svolgimento, il sacerdote s’informi sulle condizioni dell’infermo, per poterne tener conto nel modo di ordinare l’insieme, nella scelta della lettura biblica e delle orazioni, nella celebrazione o meno della Messa, per l’eventuale conferimento del Viatico ecc. Tutte queste cose il sacerdote dovrà, per quanto possibile, concordarle in precedenza con il malato o con la famiglia, approfittando dell’occasione per spiegare il significato dei sacramenti.
IV. ADATTAMENTI CHE SPETTANO ALLE CONFERENZE EPISCOPALI
38. Spetta alle Conferenze Episcopali, in virtù della Costituzione sulla sacra Liturgia (art. 63b), preparare nei Rituali particolari un «Titolo» che corrisponda a questo «Titolo» del Rituale Romano, con gli opportuni adattamenti, secondo le necessità delle singole regioni, in modo che, dopo la revisione della Sede Apostolica, se ne possa far uso nelle regioni interessate.
Ecco, a questo riguardo, i diritti e i compiti delle Conferenze Episcopali:
a) Determinare gli adattamenti previsti dall’art. 39 della Costituzione sulla sacra Liturgia.
b) Ponderare con illuminata prudenza l’eventuale opportunità di accogliere qualche elemento proprio della tradizione e del carattere dei singoli popoli, e proporre quindi alla Sede Apostolica altri adattamenti ritenuti utili o necessari, da introdursi con il suo consenso.
c) Conservare eventuali elementi propri già inclusi nei Rituali particolari per gli infermi, purché si possano armonizzare con la Costituzione sulla sacra Liturgia e con le necessità attuali; oppure predisporre un adattamento di questi elementi propri.
d) Preparare la traduzione dei testi, in modo che essa corrisponda davvero all’indole delle varie lingue e alle diverse culture, aggiungendovi, secondo l’opportunità, le melodie per il canto.
e) Adattare e completare, se ne è il caso, le premesse introduttive del Rituale Romano, per facilitare la partecipazione consapevole e attiva dei fedeli.
f) Distribuire la materia in modo che le edizioni dei libri liturgici curate dalle singole Conferenze Episcopali risultino davvero comode e pratiche per l’uso pastorale.
39. Quando il Rituale Romano presenta più formule a scelta, i Rituali particolari possono aggiungere altre formule simili.
La Conferenza Episcopale Italiana ha ritenuto opportuno inserire nel testo alcuni minimi adattamenti e aggiunte, per rendere più intelligibile e idoneo alle diverse circostanze lo svolgimento della celebrazione.
I testi aggiunti sono segnati con asterisco.
L’Ordinario della Messa, con la Prece eucaristica II, vi è stato inserito per l’utilità del sacerdote che celebra nella casa dell’infermo o in altre circostanze particolari.
V. ADATTAMENTI CHE SPETTANO AL MINISTRO
40. Il ministro, tenute presenti le circostanze concrete e altre necessità, come pure le eventuali richieste dei malati e degli altri fedeli, si serva volentieri delle varie possibilità proposte dal rito.
a) Tenga conto anzitutto dello stato di prostrazione degli infermi e degli alti e bassi del loro fisico nel corso della medesima giornata o di una stessa ora. Proprio per questo, potrà, secondo i casi, abbreviare la celebrazione.
b) Anche se la celebrazione si svolge senza la partecipazione di fedeli, ricordi il sacerdote che in lui e nell’infermo già è presente la Chiesa. Procuri quindi che prima della celebrazione del sacramento o anche dopo di essa, venga data all’infermo una dimostrazione concreta dell’amore fattivo della comunità locale; potrà farsene interprete lui stesso o affidarne il compito a un altro membro della comunità, purché non ci siano difficoltà da parte dell’infermo.
c) Se dopo l’Unzione l’infermo si ristabilisce, lo si esorti a render grazie a Dio per il beneficio ricevuto, partecipando per esempio a una Messa di ringraziamento, o in altra maniera.
41. Pur conservando nella celebrazione la struttura del rito, il ministro sappia adattarla alle circostanze di luogo e di persone. Potrà, per esempio, secondo l’opportunità, far l’atto penitenziale o all’inizio del rito o dopo la lettura della sacra Scrittura Potrà sostituire con una monizione la preghiera di rendimento di grazie sull’Olio. Sappia tener presente questa possibilità di adattamento soprattutto quando il malato è degente in un ospedale, e gli altri infermi della sala o della corsia rimangono del tutto estranei alla celebrazione.
SCHEDA DI LETTURA
La pubblicazione della seconda edizione tipica del rito dell’ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi è stata corredata da premesse teologico-pastorali che erano assenti nella prima edizione.
I nuovi Praenotanda sottolineano alcuni aspetti del ministero ordinato per renderne più percepibile la figura; in questo senso si rivelano di grande aiuto per la coscienza della comunità cristiana che viene convocata per celebrare l’effusione del dono dello Spirito di cui vengono resi partecipi i candidati ai diversi gradi del sacramento dell’Ordine.
1. La dimensione di comunione e di continuità della tradizione apostolica fa da sfondo al rito delle ordinazioni. Il segno dell’imposizione delle mani nel contesto della comunità riunita nello Spirito, celebra il cammino della Chiesa che conserva la tradizione trasmessa dagli apostoli e il processo di comunione che caratterizza il rapporto tra i diversi gradi del sacramento dell’Ordine nell’ampio e universale orizzonte ecclesiale. La dimensione della fraternità sacerdotale è inoltre chiaramente posta in luce in ordine all’evangelizzazione, alla celebrazione dei sacramenti, alla preghiera a vantaggio del popolo di Dio. L’assemblea liturgica convocata in occasione delle ordinazioni mette in evidenza tale dimensione comunitaria.
2. La centralità del vescovo attorno al quale la comunità cristiana si sente convocata è particolarmente sottolineata. L’aspetto della comunione con il vescovo da parte del prete e la presentazione della sua figura nel contesto del presbiterio diocesano sono ben affermati.
Inoltre la cooperazione con l’ordine episcopale è posta in luce sia che si tratti di sacerdoti diocesani che di sacerdoti religiosi. Infatti entrambe le espressioni della vita presbiterale sono chiamate a operare in stretta obbedienza pastorale a colui che è segno apostolico dell’unità nella Chiesa particolare. Questo elemento emerge chiaramente nel caso che gli ordinandi siano religiosi: essi nella promessa di obbedienza prestano obbedienza non solo all’ordinante o al proprio superiore, ma anche al vescovo del luogo in cui verranno mandati dai superiori. In tal modo affiora la limpida visione che l’obbedienza al vescovo diocesano è da leggersi nella prospettiva del favorire l’unità di tutti gli ordinati in ogni chiesa.
3. L’attuale teologia della carità pastorale che anima chiunque viene chiamato al ministero si ritraduce nella sottolineatura dei luoghi in cui i ministri ordinati si pongono al servizio del popolo di Dio. Nell’ampio orizzonte che anima l’ufficio presbiterale si mette in evidenza l’importanza dell’esercizio del ministero della riconciliazione e della celebrazione eucaristica (che hanno una menzione particolare rispetto alle premesse del rito di ordinazione), come pure l’aspetto dell’evangelizzazione, della vita sacramentale della Chiesa, della vocazione orante per il popolo di Dio.
4. Un aspetto interessante è costituito dalla lettura del significato delle promesse di celibato. Tale scelta nel contesto dell’ordinazione diaconale è formulata anche da quelli che hanno già emesso i voti religiosi in modo che venga evidenziato come il celibato, oltre a essere segno escatologico, è anche segno ecclesiologico. Il presbitero si configura a un amore e a una dedizione totale di tutta la sua persona nei confronti di Cristo, di cui è ministro e pastore in comunione e a imitazione dell’amore sponsale di Cristo.
5. Le Premesse generali nella presentazione del triplice grado dell’Ordine ci offrono alcuni tratti che caratterizzano le tre figure dei ministri ordinati.
Il vescovo, attraverso la pienezza del sacramento dell’Ordine, e vero e autentico maestro di fede, pastore e sacerdote e come tale presiede, nella persona di Cristo, il gregge del Signore. Al presbitero esercita il ministero in comunione con il vescovo; a imitazione di Cristo predica il Vangelo, guida i fedeli e celebra il culto divino.
Il diacono si pone, a sua volta, al servizio della Parola e della catechesi a vantaggio del popolo di Dio e in comunione con il vescovo e i presbiteri.
La presentazione dei diversi gradi del sacramento dell’Ordine pongono in luce la fonte di ogni dono ministeriale: il Cristo Signore che rende partecipi il vescovo, i presbiteri e i diaconi del suo sacerdozio, in forza dello Spirito Santo, per il servizio del popolo di Dio.
6. La seconda edizione dei Praenotanda presenta il seguente ordine: dopo i Praenotanda generalia seguono i diversi riti di ordinazione: vescovo, presbiteri, diaconi; compaiono poi il rito dell’ordinazione dei presbiteri e dei diaconi celebrati nella stessa azione liturgica, e infine il rito dell’ammissione tra i candidati all’Ordine sacro.