I comuni italiani e il conflitto con l’impero


Prof. A. Torresani. 14. 1 La formazione dei comuni italiani; 14. 2 Le conseguenze delle crociate; 14. 3 Dal Trattato di Worms alla dieta di Roncaglia; 14. 4 Federico Barbarossa e la Lega lombarda; 14. 5 Federico Barbarossa e la Germania; 14. 6 Cronologia essenziale; 14. 7 Il documento storico; 14. 8 In biblioteca


Cap. 14 – I comuni italiani e il conflitto con l’impero



Il fenomeno più caratteristico del basso medioevo fu la ricostruzione e la tendenza all’autonomia delle città in tutto l’occidente in seguito al grande sviluppo economico avvenuto dopo la cessazione delle scorrerie dei popoli semibarbari del nord e dell’est e dopo la ripresa della libera navigazione nel Mediterraneo.


Il regime feudale entrò in crisi quando fu sopraffatto dalla vitalità economica delle città. In Germania le città della Renania ebbero statuti comportanti notevoli autonomie; in Italia le città si impadronirono del territorio circostante divenendo piccoli Stati semindipendenti perché il potere imperiale era lontano; in Francia il vivace risveglio delle città di nord-est fu concomitante con la ripresa della monarchia di Francia e perciò le città non poterono aspirare all’autonomia completa; in Inghilterra e nel sud d’Italia lo sviluppo autonomo delle città fu arrestato dalla creazione di due monarchie che bloccarono l’emancipazione dal potere regio.


Il caso dei comuni italiani per certi aspetti è il più significativo: le città della pianura padana e della Toscana si appoggiarono alla Chiesa che nello stesso periodo conduceva la sua battaglia per la libertas dall’impero; ma in seguito, con la caduta del potere imperiale, Germania e Italia perdettero la possibilità di sviluppare lo Stato nazionale accentrato come avvenne in Francia nel secolo XIV.


Il conflitto tra impero e comuni ebbe due momenti salienti: al tempo di Federico Barbarossa i comuni italiani risultarono vittoriosi sul piano militare, ma dovettero riconoscere i diritti dell’impero; al tempo di Federico II i comuni italiani furono sconfitti sul piano militare, ma trionfarono su quello politico, distruggendo la possibilità che l’impero divenisse un organismo moderno: la conseguenza fu che in Germania e in Italia l’unificazione politica avvenne solo in epoca recente.


La figura chiave di questo periodo è l’imperatore Enrico VI il cui matrimonio con Costanza d’Altavilla operò l’unificazione del regno normanno di Sicilia con l’impero: la morte prematura e la minore età di Federico II permisero a Innocenzo III di sognare un’Europa cristiana, guidata dal papa che doveva far cessare le guerre tra cristiani, riproponendo l’ideale della crociata in Oriente.



14. 1 La formazione dei comuni italiani



La città può vivere solo se esiste un mercato regolarmente rifornito, ossia se i trasporti sono sicuri: in questo caso si possono sviluppare attività artigianali e commerciali remunerative. Per la sicurezza dei cittadini avvenne la loro unione in corporazioni di arti e mestieri che sostituivano la relativa sicurezza offerta dai rapporti feudali.


L’Italia al centro del Mediterraneo L’Italia nel suo insieme ricavava vantaggi dal fatto di trovarsi in mezzo al Mediterraneo, tappa obbligata dei commerci europei tra Oriente e Occidente. Occorre precisare che, data la piccolezza delle navi di allora, il commercio riguardava quasi esclusivamente i prodotti di lusso: spezie, tessuti pregiati, oro e pietre preziose che l’Oriente forniva a un Occidente avido di benessere materiale.


L’ordinamento ecclesiastico I primi germi dei futuri comuni dell’Italia settentrionale vanno cercati nell’ordinamento ecclesiastico che, a sua volta, si costituì sul modello romano. Le diocesi di solito corrispondevano alle antiche civitates, le unità amministrative locali, a loro volta suddivise in plebes, o pievi, presiedute da un arciprete e facenti capo a una chiesa con battistero (ecclesia), l’unico edificio di culto abilitato ai principali riti religiosi. In campagna, una plebs poteva risultare formata da numerosi villaggi ciascuno provvisto di un oratorio proprio (capella): ogni villaggio veniva chiamato vicinantia. La città sede del vescovo, con i suoi sobborghi che arrivavano fino a un miglio dalle mura, formava una plebs a sé stante e tutti i fedeli erano battezzati nell’unico battistero della cattedrale. Col passare del tempo le vicinantiae formarono ciascuna una parrocchia. Di solito ogni vicinantia possedeva in usufrutto, per le necessità più elementari, terre, pascoli, boschi di uso comune, che i vicini (parrocchiani) amministravano mediante riunioni periodiche per risolvere i problema emergenti.


Assemblee cittadine Anche nelle città avveniva qualcosa del genere ma in scala più grande: le assemblee cittadine avevano sempre una quantità di problemi da risolvere per mantenere la concordia. L’assemblea cittadina era composta solo dagli abitanti entro le mura: questa circostanza spiega perché i sobborghi agricoli posti fuori delle mura non abbiano partecipato al governo della città, bensì siano stati assoggettati dai comuni. In secondo luogo, tra vescovo e cittadini si stabilì uno stretto rapporto, perché il vescovo al tempo dei Longobardi era stato il difensore dei cattolici nei confronti del potere laico che era ariano, e poi perché i vescovi, al tempo dei carolingi, avevano assunto vasti poteri e, di fatto, amministravano i complessi problemi del regime feudale. Infine, il vescovo era l’amministratore delle proprietà della diocesi, aveva vassalli in città e in campagna, col compito di far prevalere le ragioni del diritto in un’età che sembrava riconoscere solo la forza.


Attività legislativa del vescovo Durante il periodo carolingio l’attività legislativa dei vescovi divenne più abbondante perché erano fiduciari di un potere centrale sempre più debole, e quindi incapace di intervenire nelle questioni locali. Dopo la deposizione di Carlo il Grosso (887) l’anarchia dette impulso all’autogoverno perché le scorrerie di Magiari e Normanni imposero ai cittadini di provvedere da sé alla difesa delle mura e dei castelli, costruiti per la difesa collettiva dei contadini dispersi nei loro casolari (incastellamento). I quartieri (portae) e le vicinantiae assunsero grande importanza nelle città, dandosi un’organizzazione che prevedeva anche milizie volontarie di pronto intervento nei casi di pericolo.


Il sistema dei vescovi-conti Al tempo degli Ottoni, i vescovi spesso ricevettero poteri comitali, ossia l’investitura di beni imperiali da proteggere con la loro autorità, fornendo al sovrano aiuto militare. Di fatto, tali funzioni erano esercitate anche prima dell’investitura, e i decreti imperiali spesso sancivano l’esistente. Anche se i tempi erano difficili, l’esercizio dell’autorità del vescovo servì a promuovere la prosperità delle città. Il rinnovato fervore edilizio per la chiesa cattedrale e per le mura cittadine certamente indusse sul territorio un certo movimento che servì da volano per altre attività economiche. Con l’autorità del vescovo, che non poteva esercitare direttamente tante funzioni, crebbe l’autorità di consiglieri e aiutanti, che dovevano a lui la loro importanza, non al potere imperiale in grande misura incapace di intervenire nei momenti di pericolo.


Formazione delle classi sociali Un poco alla volta le città, pur avendo un’organizzazione ancora rudimentale, dimostrarono notevole coesione, e i notabili si aggregarono a loro volta mediante un patto per difendere i loro diritti. Già si andavano delineando alcune categorie sociali come i grandi nobili (capitanei), i piccoli nobili (valvassores) e il popolo minuto. Il vescovo, nel disbrigo degli affari, era fiancheggiato da laici come il visconte (vicedominus) che aveva l’incarico di amministrare le terre vescovili.


Venezia Questo schema di massima non vale per alcune città come Venezia, la quale aveva conservato stretti rapporti con l’impero bizantino, e aveva assistito al formarsi di un governo repubblicano in stretta connessione con un’amministrazione monarchica. A Venezia il potere era in mano all’assemblea dei cittadini o “arengo”, che eleggeva il doge e sanciva i trattati di pace o le dichiarazioni di guerra. Abbiamo visto che il doge era l’erede del governatore bizantino, aiutato da funzionari di sua nomina in possesso del potere esecutivo. Ma accanto al doge sedevano i nobili, laici ed ecclesiastici, e rappresentanti dei boni homines, divisi in maggiori, medi e minori, in pratica gli armatori della flotta, la cui presenza era richiesta per ogni atto pubblico.


I notabili cittadini I boni homines erano presenti in ogni città d’Italia con le funzioni di giudice, notaio, proprietario terriero ecc.: costoro costituiscono il nucleo del futuro comune. Il movimento per l’autonomia del comune iniziò nell’Italia meridionale, dove il governo bizantino appariva più fiacco; in alcune città i boni homines “fecero comune” come a Gaeta verso il 1000, ad Amalfi, a Bari, a Troia: in quest’ultima città, i boni homines riuniti nella curia vescovile elessero il proprio judex e il proprio comandante per amministrare gli affari pubblici. Ben presto, però, le città pugliesi caddero sotto il dominio normanno prima che le loro istituzioni si fossero sviluppate.


Sviluppo dei comuni dell’area padana Nell’Italia del nord, invece, il potere centrale divenne sempre più debole, e inoltre non c’era differenza tra città e campagna perché i nobili trascorrevano una parte dell’anno in città, dove si formarono le ricordate categorie sociali dei capitanei, dei valvassores e del popolo minuto. I capitanei, ovvero i nobili in possesso di grandi feudi, avevano ai loro ordini una forza militare arruolata nei loro possedimenti; i valvassores, invece, si erano moltiplicati suddividendo all’interno delle loro famiglie le piccole possessioni, e perciò si erano impoveriti fino al punto di divenire una categoria socialmente inquieta, perché priva di risorse economiche. Intorno al 1035 tra le varie categorie sociali della Lombardia compaiono le prime leghe giurate, le famose coniurationes, a difesa degli interessi di categoria: in quegli anni i capitanei della diocesi di Milano si allearono con l’arcivescovo Ariberto d’Intimiano, combattendo contro i valvassores: costoro, con l’aiuto dell’imperatore Corrado II, risultarono vincitori, ricevendo l’importante Constitutum de feudis, il diritto di ereditare i feudi ricevuti dai capitanei. Tra le due categorie dei nobili si accese perciò una grave competizione.


Iniziano i conflitti all’interno del comune Punto di riferimento delle città italiane rimaneva il vescovo, specialmente durante la lotta per le investiture: non è facile in questa età dividere gli aspetti religiosi da quelli economici e sociali. A Milano quando Ariberto fu fatto prigioniero da Corrado II durante la guerra contro i valvassores, tra i cittadini si accese un vivace movimento patriottico e insieme religioso: i valvassores dovettero ritirarsi nei loro castelli di campagna, mentre Ariberto fuggiva da Pavia accolto in Milano dalla popolazione in armi: in questa occasione i capitanei e il popolo minuto si trovarono dalla stessa parte.


Il popolo minuto Più tardi, Ariberto si riconciliò con l’imperatore: il fatto produsse una situazione nuova, perché capitanei e valvassores si coalizzarono contro il popolo minuto. Nel 1042 un plebeo fu ucciso per motivi personali da un cavaliere: ne seguirono saccheggi culminati con la cacciata dalla città di tutti i nobili, compreso l’arcivescovo che non era più l’idolo dei milanesi.


Lanzone Capo effettivo della città divenne il giurista Lanzone, gradito al popolo minuto nonostante fosse un nobile: la città sostenne un assedio di tre anni, fino al 1044, quando Enrico III minacciò l’intervento imperiale. Lanzone riuscì a stabilire un accordo in forza del quale i nobili potevano rientrare in città a patto di riconoscere la nuova situazione. I plebei costituirono la loro associazione giurata e da quel momento cominciò la costituzione a tre corpi del comune milanese.


Il potere del vescovo si indebolisce Guido da Velate, un valvassore, fu eletto arcivescovo da Enrico III, ma Guido non aveva prestigio e non riuscì a divenire mediatore tra le tre componenti del comune di Milano. Il nuovo arcivescovo doveva la sua carica all’imperatore, avversario del papa nella questione delle investiture, e fu ben presto avversato dal partito della riforma della Chiesa, la pataria, guidata da Arialdo e dai fratelli Cotta: nel 1056 iniziò un conflitto durato circa vent’anni, fin oltre la morte di Guido da Velate, nel corso del quale l’arcivescovo perdette gran parte del suo potere, favorendo la nascita del comune vero e proprio. Le diverse categorie sociali si divisero secondo il rapporto assunto nei confronti del problema religioso: i nobili si schierarono con i conservatori, difendendo l’autonomia della diocesi milanese nei confronti di Roma, contro il popolo minuto guidato da Erlembaldo Cotta, favorevole alla lotta contro gli abusi ecclesiastici e alla riforma della Chiesa. Erlembaldo era circondato da una trentina di consiglieri, che forse si devono considerare una giunta esecutiva dell’arengo che in quegli anni ebbe un potere enorme.


Peculiarità della storia di ogni comune La storia degli altri comuni dell’Italia settentrionale è peculiare a ciascuno d’essi. A Milano si mantenne la rigida distinzione tra le tre categorie fondatrici del comune. I consoli erano scelti con molta cura ed equilibrio tra le tre componenti del comune: nel 1130 troviamo sette capitanei, sette valvassori e sei popolani, tutti col titolo di consoli. Il contado rimaneva tranquillo perché controllato dai capitanei, mentre aspri contrasti sorsero nei confronti delle città vicine come Lodi, Como e Pavia.


Contrasti di classe I contrasti interni tra le componenti sociali dei comuni furono acuti. Nati nel secolo XI, i comuni ebbero il loro maggiore sviluppo nel XII secolo dove si generalizza il sistema dei consoli. Con tutta probabilità furono i boni homines al servizio del vescovo a prendere la guida del commune colloquium, l’assemblea di tutti i cittadini che, non potendosi riunire in permanenza, nominò commissioni di boni homines esperti di leggi e procedure. Tali commissioni divennero in seguito permanenti, e i suoi membri assunsero il nome di consoli.


La coniuratio è il fondamento giuridico del comune Riassumendo, il comune nasce da associazioni private e giurate (coniurationes) formate da cittadini che cercavano di mantenere la pace per fruire dei vantaggi della concordia. Col passare del tempo fu chiesto a tutta l’assemblea dei cittadini di giurare l’accettazione del patto, che perciò divenne pubblico e obbligatorio per tutti. L’assemblea esigeva dai consoli il giuramento di adempiere gli impegni assunti davanti ai cittadini, e con quel giuramento ha inizio il comune vero e proprio, ossia un regime repubblicano con un governo espresso dalla base e operante nel rispetto di un mandato avente una scadenza ben definita.


I comuni e l’impero La nascita dei comuni rende manifesto il forte indebolimento del potere imperiale, ma anche quello dei grandi vassalli, laici ed ecclesiastici. Talvolta i comuni ricevettero importanti privilegi dall’imperatore, ma più spesso usurparono alcuni diritti (regalie) del sovrano come amministrare la giustizia, battere moneta, arruolare soldati e dichiarare guerra. Le città comunali divennero una calamita per i nobili delle campagne, perché la vita cittadina risultava più brillante rispetto a quella di campagna.


Espansione dei comuni nel contado C’erano molti motivi per cercare di espandere l’autorità del comune sulle campagne circostanti: per ragioni di sicurezza; per assicurarsi il rifornimento di viveri; per controllare il commercio di transito; per difendere la città dalle incursioni di masnadieri. Firenze per molti anni combatté contro i conti Guidi, eredi di Matilde di Canossa, e contro gli Alberti di Prato, riuscendo a conquistare un castello dopo l’altro nel corso del XII secolo. Per i servi della gleba il comune non comportò alcun vantaggio. Peraltro anche nelle campagne si formarono comuni rustici che imitavano i comuni urbani per qualche aspetto. Verso la fine del XII secolo tutta l’Italia del nord risultò divisa in molte città-stato, dove si realizzava un vertiginoso aumento di ricchezza e di popolazione, quest’ultima testimoniata dalla costruzione di nuove cinte murarie, assai più estese di quelle dell’alto medioevo.


Particolarismo comunale I comuni ebbero tanta vitalità da riuscire ad autogovernarsi, ad accrescere la produzione interna, ad annettersi il contado e a promuovere guerre contro i comuni limitrofi, fino a formare Stati regionali. In Toscana le guerre tra comuni rivali durarono fino al 1557 quando Firenze riuscì ad annettere Siena: il rammarico di Dante che scorge la guerra nel cuore dei tiranni di Romagna e odio inestinguibile tra coloro che abitano la stessa città non è lo sfogo di un conservatore che loda il bel tempo antico, bensì una realtà documentata.



14. 2 Le conseguenze delle crociate



Tra gli storici rimane aperto il dibattito circa l’importanza delle crociate: alcuni le considerano un episodio marginale della storia europea tra l’XI e il XIII secolo, frutto di un certo numero di fanatici e di avventurieri; altri le giudicano un’esperienza cruciale dalla quale sarebbero derivate l’ascesa della monarchia francese, lo sviluppo impetuoso delle città europee, il consolidamento del commercio internazionale, il declino del regime feudale, e la spinta alla crescita delle università, seguita da una cultura nuova che si espresse nelle letterature romanze: insomma le crociate avrebbero risvegliato a nuova vita l’Europa. Entrambe queste posizioni sono eccessive.


Le crociate espressione del prestigio della Chiesa Certamente le crociate rappresentarono un’occasione unica per il papato che nel corso del secolo intercorso tra Urbano II e Innocenzo III divenne il punto di riferimento della cristianità, tanto da far apparire la Chiesa come societas perfecta, autosufficiente: quando i sovrani dell’Occidente si facevano crociati apparivano quasi come soldati del papa, sottoposti alle sue direttive.


Effetti delle crociate Dalle crociate discesero altre importanti conseguenze materiali. Per organizzare quei complessi trasferimenti di uomini e materiali da un continente all’altro occorrevano ingenti mezzi finanziari. Per farvi fronte, la curia di Roma non trovò altra soluzione che spingere a fondo il concetto di indulgenza, la remissione della pena temporale dovuta per i peccati commessi mediante il compimento di un’opera buona – per esempio farsi crociato -, fino a comprendere il caso di un cristiano che versasse una certa somma di denaro permettendo a un altro soldato di partire al suo posto.


Inizio della tassazione ordinaria Il papa inoltre dovette ricorrere sempre più spesso all’esazione di decime straordinarie sui beni ecclesiastici presenti in Europa per finanziare la crociata. Questo sistema apparve più efficace del laborioso sistema di tassazione feudale e fu imitato dagli Stati europei: ma in questo modo i beni ecclesiastici erano tassati due volte, dal papa e dai sovrani nazionali. I papi dovettero correre ai ripari: nel corso del Concilio lateranense III del 1179 fu stabilito che i beni ecclesiastici erano destinati ai poveri e che i prìncipi potevano tassarli solo col consenso dei vescovi.


I missionari sostituiscono i crociati Un’altra conseguenza delle crociate fu lo sviluppo dell’attività missionaria. Gli spiriti autenticamente religiosi si resero conto che la guerra era un pessimo sistema per convertire anime a Cristo: le conversioni di musulmani al cristianesimo furono minime, mentre gli abusi morali dovuti al lungo contatto dei crociati con i costumi dell’Oriente apparivano preoccupanti. Come vedremo più avanti, l’impulso maggiore per la fondazione degli ordini mendicanti – Francescani e Domenicani – scaturì dal fallimento della crociata come operazione religiosa, da sostituire con l’invio di frati disarmati presso gli infedeli. A loro volta le crociate e le missioni inviate in Asia accrebbero le conoscenze geografiche sull’Oriente: i piloti delle repubbliche marinare italiane ottennero una perfetta conoscenza del Mediterraneo orientale, e i viaggi dei Polo fin nella Cina sono rimasti nell’immaginario collettivo degli europei il punto più alto raggiunto dalle conoscenze geografiche prima delle esplorazioni del XV secolo.


Sviluppo del commercio marittimo Anche per quanto riguarda il commercio europeo non si può stabilire una relazione causale tra crociate e traffici, quasi che i secondi non si sarebbero sviluppati senza le prime, ma certamente si può affermare che i numerosi crociati e pellegrini giunti in Oriente resero più popolari le rotte marittime, e che gran parte del commercio europeo, in precedenza sviluppato per terra attraverso la Russia e l’Europa orientale, prese la via del Mediterraneo e dell’Italia, offrendo alle città marinare italiane il virtuale monopolio della distribuzione di spezie, zucchero, seta ecc. importati dall’Oriente, con grande sviluppo dell’artigianato occidentale che produceva le merci da vendere in Oriente. Per l’economia medievale è difficile fare statistiche, ma è chiaro che al tempo della Prima crociata Venezia non poteva mettere a disposizione dei soldati occidentali una flotta di 700 navi, come invece avvenne al tempo della Quarta crociata iniziata nel 1202.



14. 3 Dal trattato di Worms alla dieta di Roncaglia



Il trattato di Worms del 1122 segnò la fine della prima fase del grande conflitto tra papato e impero con un accordo di compromesso circa il diritto di investitura. Il papato aveva acquistato un grande prestigio rispetto al secolo precedente, e aveva potuto operare una profonda riforma interna, togliendo molti abusi. Tuttavia, l’impero era riuscito a contrastare il progetto di completa indipendenza della Chiesa, la quale aveva bisogno di beni materiali per esercitare la sua missione, dipendendo dall’impero che aveva giurisdizione su quei beni. La predicazione della crociata permise al papa di assumere la funzione di guida dell’Occidente.


Dinamismo del XII secolo Nel secolo XII in Italia si erano sviluppati i germi di un grande mutamento culturale: la cultura classica, che mai si era smarrita del tutto, riprese nuovo vigore; nelle città dell’Italia settentrionale i comuni sperimentarono nuove forme di autogoverno; l’agricoltura, l’artigianato, il commercio furono sviluppati in modo mirabile; Pisa, Genova, Venezia irraggiarono nel bacino del Mediterraneo e nel nord europeo le merci di lusso dell’Oriente che era possibile procurarsi a causa dell’aumento di ricchezza. Infine nel sud d’Italia e in Sicilia i Normanni erano riusciti a unificare un’importante area geografica.


Conflitto tra guelfi e ghibellini Pochi anni dopo il trattato di Worms, nel 1125 l’imperatore Enrico V morì e la dinastia di Franconia si estinse. Alla dieta di Magonza i prìncipi elettori di Germania assegnarono il titolo di re dei romani al duca di Sassonia Lotario di Suplimburgo, ma contro costui si oppose la candidatura di Federico di Hohenstaufen, duca di Svevia: a favore di quest’ultimo c’era la parentela con Enrico V e il fatto che Federico si proclamava erede della politica antipapale degli imperatori salii (politica ghibellina). Il partito della riforma ecclesiastica in Germania e il papa Onorio II favorirono l’elezione di Lotario di Suplimburgo (politica guelfa). Il risultato della doppia elezione fu la guerra civile accompagnata dalla rivolta della Boemia. Il papa Onorio II era impaziente di incoronare Lotario imperatore perché si trovava in grave difficoltà a causa dei Normanni.


Il regno di Sicilia si espande Nel 1127 Guglielmo duca di Puglia morì senza lasciare eredi diretti: Ruggero II di Sicilia si precipitò sul continente per rivendicare la successione anche in Puglia, che in teoria sarebbe dovuta ritornare al papa, l’alto signore feudale. Il papa Onorio II scomunicò Ruggero, ma senza riuscire a fermarlo, e nel 1128 fu costretto a concedergli l’investitura dei ducati di Puglia e di Calabria, rendendolo il più forte sovrano presente in Italia.


La situazione di Roma La situazione politica era difficile anche in Roma e nel Lazio. Infatti il fervore politico che aveva favorito la formazione dei comuni, aveva raggiunto anche Roma: il rinato interesse per la cultura classica suggeriva di ripristinare la passata grandezza di Roma fondando un nuovo regime laico in Campidoglio.


Crisi dell’impero In Germania il partito ostile a Lotario aveva eletto re anche il fratello di Federico di Hohenstaufen, Corrado (1127). I due fratelli si divisero i compiti: Federico rimaneva in Germania per contrastare Lotario, mentre Corrado III sarebbe disceso in Italia per riaffermarvi l’autorità imperiale, cingere la corona ferrea e rivendicare i beni appartenuti a Matilde di Canossa. A Milano l’arcivescovo Anselmo della Pusterla incoronò Corrado III re d’Italia, e perciò il papa Onorio II scomunicò sia Anselmo sia Corrado come ribelli.


Crisi del papato Nel 1130, nel pieno della crisi, morì Onorio II e subito scoppiò uno scisma pericoloso per la Chiesa, perché le principali famiglie di Roma, i Papareschi e i Pierleoni fecero eleggere un proprio papa: i primi nominarono Innocenzo II, i secondi, più potenti in città, Anacleto II. Roma fu preda della discordia, ed entrambe le elezioni erano poco rispettose delle norme canoniche. Tra i due papi, tuttavia, Innocenzo II sembrò dimostrare maggiore fiducia nei suoi titoli, anche se la famiglia del rivale lo costrinse alla fuga. Si recò in Francia incontrando il potente aiuto di san Bernardo. Infatti l’influenza dell’abate di Chiaravalle fu della massima importanza per concludere lo scisma: Francia e Inghilterra si schierarono a favore di Innocenzo II. Nel 1131 il papa si incontrò a Liegi con Lotario: in quella città si celebrò un sinodo che inflisse la scomunica all’antipapa Anacleto II e ai due fratelli Federico e Corrado III di Hohenstaufen. Infine Innocenzo II incoronò col titolo di re dei romani Lotario e la moglie, stabilendo di raggiungere Roma per l’incoronazione imperiale che, secondo l’usanza, doveva celebrarsi in San Pietro.


Difficoltà in Italia Lo scisma sembrava risolto, ma l’antipapa Anacleto II aveva forze sufficienti per opporsi al papa riconosciuto da tutti, tranne Milano e i Normanni del sud. Ruggero II comprese i vantaggi che poteva ricavare dall’alleanza con l’antipapa: si incontrò con Anacleto II ad Avellino ottenendo il titolo di “re di Sicilia e dei ducati di Puglia e di Calabria”, in cambio di un tenue tributo annuo.


Incoronazione a Roma di Lotario L’imperatore Lotario dovette tornare a occuparsi dell’Italia, nonostante i problemi ancora aperti in Germania: nell’estate del 1132 scese in Italia con un piccolo esercito, evitò Verona e Milano per l’insufficienza delle sue forze e si incontrò con Innocenzo II a Roncaglia. Tenne una dieta e poi proseguì col papa in direzione di Roma. Nel 1133 Lotario e la moglie furono incoronati imperatori, ma non in San Pietro, ancora in mano di Anacleto II, bensì in San Giovanni in Laterano. Gli accordi di Worms furono confermati, e i beni di Matilde di Toscana furono concessi in feudo vitalizio a Lotario e al genero, Enrico duca di Baviera, con la clausola che alla loro morte, quelle terre sarebbero ritornate alla Santa Sede.


Riconoscimento di Innocenzo II Dopo il ritorno in Germania dell’imperatore Lotario, il papa si trovò in una situazione ancor più difficile perché rimase confinato in una piccola parte di Roma. Perciò Innocenzo II fu costretto ancora una volta a fuggire a Pisa nonostante il riconoscimento dei suoi diritti anche da parte dei milanesi: Anselmo della Pusterla, l’arcivescovo scismatico di Milano, era stato deposto nel 1135 e lo scisma si era chiuso.


Conflitto tra impero e Normanni In Germania Lotario aveva ottenuto completo successo, e i due Hohenstaufen si erano piegati alla volontà dell’imperatore, accolti tra i consiglieri. Insieme con loro l’imperatore Lotario discese in Italia, e questa volta le città lombarde non opposero resistenza, ma l’obiettivo principale non era la lotta contro i comuni bensì la riduzione della potenza dei Normanni. L’esercito imperiale giunse a Bari che finì in mano all’imperatore. Ruggero II si rifugiò in Sicilia e l’Italia del sud fu concessa in feudo a Rainolfo duca di Alife.


Corrado III Nel 1137 l’imperatore Lotario tornò in Germania e poco dopo morì. La dieta imperiale nominò Corrado di Hohenstaufen re dei romani, iniziando una nuova dinastia.


Difficoltà di Innocenzo II A Roma i Frangipane sconfissero i Pierleoni e perciò l’antipapa Anacleto II dovette ritirarsi dalla città morendo l’anno dopo. Morì anche Rainolfo di Alife liberando Ruggero II del suo oppositore più fiero. Ruggero II combatté contro il papa Innocenzo II, e lo fece prigioniero. Per recuperare la libertà Innocenzo II fu costretto a confermare a favore del re normanno le concessioni ottenute dall’antipapa Anacleto II.


Tentativo di governo repubblicano a Roma Il ritorno di Innocenzo II a Roma fu inglorioso. Infatti tra la piccola nobiltà si era formato un partito simile a quello dei valvassori di Milano, alleato con il popolo minuto per escludere sia il papa sia l’imperatore dal governo della città: i Romani avrebbero desiderato sconfessare le concessioni fatte a Ruggero II, giudicandole pericolose per la loro indipendenza. Nel 1143 i Romani proclamarono la repubblica insediando in Campidoglio il senato dal quale furono escluse le famiglie della nobiltà e il prefetto nominato dal papa, riconoscendo invece l’autorità dell’imperatore.


Eugenio III Nel momento del maggior pericolo Innocenzo II morì. Dopo due brevi pontificati, nel 1145 i cardinali elessero il pisano Bernardo che assunse il nome di Eugenio III, incoronato nell’abbazia di Farfa, e impedito di entrare in Roma. La repubblica romana non aveva vitalità e perciò Eugenio III, con l’aiuto della nobiltà, poté entrare in città nel dicembre 1145, ma ancora una volta senza la forza necessaria per potervi rimanere.


Arnaldo da Brescia Eugenio III comprese che senza l’aiuto dell’imperatore Corrado III non poteva rimanere in Roma, e perciò lo invitò a farsi incoronare nella città eterna. L’imperatore aveva altri problemi. A Roma si era messo in luce un personaggio inquietante, Arnaldo da Brescia, allievo di Abelardo a Parigi, pio e austero, come ammettevano anche gli avversari. Come altri riformatori, bersaglio e punto di forza della critica di Arnaldo fu la denuncia del lusso e della mondanità dell’alto clero: egli voleva che la Chiesa vivesse solo di elemosine. Le eloquenti invettive di Arnaldo da Brescia commossero ed esaltarono i Romani che stabilirono di fortificare il Campidoglio formando una milizia cittadina. L’esempio di Roma fu seguito da altre città dello Stato della Chiesa, ma proprio in questi frangenti giunse in Italia la notizia della caduta di Edessa nelle mani dei musulmani e il pericolo che correva Gerusalemme. Eugenio III lanciò il suo appello alla crociata.


La Seconda crociata Luigi VII di Francia accettò di farsi crociato, ma per rassicurarlo politicamente occorreva conquistare alla causa della crociata anche l’imperatore Corrado III che da principio oppose resistenza, ma infine accettò, seguito da numerosi nobili tedeschi, fra cui il nipote Federico Barbarossa. Il papa Eugenio III valutò il pericolo che l’assenza di Luigi VII poteva rappresentare per la sua causa a Roma, in balia della repubblica e di Ruggero II, che non pensava di partire per l’Oriente. L’imperatore d’Oriente Manuele Comneno temeva i Normanni a causa delle loro pretese su Antiochia e sulla penisola balcanica: la politica dei Comneni mirava a stabilire un accordo con l’impero d’Occidente per scacciare i Normanni dal sud d’Italia. Ruggero II attaccò per primo: occupò l’isola di Corfù dove pose una guarnigione e poi attaccò Tebe e Corinto. Nel 1148 Ruggero II tornò da trionfatore a Palermo. Manuele Comneno, scosso da questi avvenimenti, si alleò con Venezia che seguiva con crescente apprensione la politica economica siciliana. In alleanza con la flotta veneziana, Manuele Comneno riconquistò Corfù e poi cercò l’alleanza con Corrado III ancora in Oriente, deluso dal corso preso dagli eventi della Seconda crociata. Ruggero II, per rompere la pericolosa alleanza dei due imperi, seguì un cammino tortuoso: aiutò la ribellione di alcuni feudatari tedeschi e cercò il riavvicinamento al papa Eugenio III perché rompesse l’alleanza con Corrado III.


Conseguenze della Seconda crociata L’insuccesso della Seconda crociata si ritorceva contro chi l’aveva proclamata, Eugenio III e Bernardo di Chiaravalle. Eugenio III decise di tornare in Italia, affrontando la reazione di Arnaldo da Brescia. Ruggero II offrì soldati per rioccupare Roma, e col loro aiuto Eugenio III poté rientrare nel Laterano, ma non poté riprendere il Campidoglio o cacciare dalla città Arnaldo da Brescia. Corrado III dovette rientrare in Germania per affrontare la ribellione dei nobili (1150), poi riprese il progetto di fiaccare la potenza normanna. Ci furono maneggi tortuosi che fecero maturare il progetto di distruggere l’indipendenza dei comuni italiani e la potenza del regno normanno di Ruggero II. Dopo accurati preparativi fu fissata la calata in Italia di Corrado, ma l’imperatore morì.


Il regno di Federico Barbarossa L’elezione di Federico Barbarossa fu tra le più rapide della storia tedesca, perché era accetto a entrambi i partiti: infatti era figlio di Federico di Svevia e di Giuditta di Baviera, e perciò imparentato con le due famiglie rivali, gli Hohenstaufen (ghibellini) e i Welf (guelfi).


La situazione in Germania Quando nel 1152 Federico I salì sul trono di Germania la situazione era grave perché la nazione era dilaniata dalla guerra civile con triste corollario di carestie, guerre private, incendi e devastazioni. Corrado III non aveva avuto l’energia necessaria per tenere a freno l’anarchia dei nobili. In soli quattro anni Federico I trasformò la Germania: compose le principali contese, vietò guerre private mediante pacificazioni del territorio, punì i trasgressori con estremo rigore.


Riforme legislative Il primo compito di governo fu l’attuazione di un’opera legislativa più sistematica di quella attuata dai predecessori: le pene inflitte a chi violava la legge furono severissime. Il prezzo del grano era fissato subito dopo il raccolto e rimaneva inalterato fino al successivo raccolto: chi vendeva a un prezzo superiore era punito.


Abolizione delle guerre private Nel 1158 alla dieta di Roncaglia fu stabilito che tutti gli abitanti dell’impero, dai diciotto ai settant’anni, giurassero ogni cinque anni di mantenere la pace, ossia di non iniziare guerre private. Con tutta probabilità l’esser riuscito a sradicare il flagello delle guerre private rimane il maggior merito del Barbarossa nei confronti della Germania. Il successo non fu completo, perché nel 1186 le contese private ripresero, sia pure a determinate condizioni.


Il problema della Baviera Un altro problema di politica interna fu la soluzione del problema rappresentato dalla lite tra i Welf di Baviera. Corrado III aveva assegnato il ducato di Baviera a Enrico Jasomirgott, ma su quei territori vantava diritti anche Enrico il Leone, cugino dell’imperatore, e suo sostenitore alla dieta elettorale. Nel 1154 Enrico Jasomirgott fu privato dei suoi privilegi per essersi rifiutato di comparire davanti all’imperatore. A Enrico il Leone, che già possedeva il ducato di Sassonia, fu assegnato il ducato di Baviera, al tempo del ritorno dall’Italia dopo la prima calata imperiale dove si era distinto (1154-1155). Enrico Jasomirgott non si piegò e solo nel 1156 fu raggiunto un compromesso alla dieta di Ratisbona, nel corso della quale l’ex duca dovette consegnare sette contee a Enrico il Leone, il quale a sua volta ne restituì due all’imperatore, rinunciando così ad ogni rivendicazione sulla marca d’Austria.


La nascita del ducato d’Austria Enrico Jasomirgott fu investito del nuovo ducato d’Austria dotato di ampi privilegi: il ducato fu conferito in feudo a lui e alla moglie, ai loro figli maschi e femmine; in caso di mancanza di figli il ducato poteva venir trasmesso per eredità. Gli obblighi del nuovo duca d’Austria si limitavano al dovere di partecipare alle diete che si sarebbero celebrate in Baviera e alle operazioni militari che si rendessero necessarie in Austria. Enrico il Leone non solo acquistò la Baviera, ma avanzò pretese sul ducato d’Este e su gran parte dei beni di Matilde di Canossa. I suoi rapporti con l’imperatore per qualche anno furono cordiali anche perché Enrico il Leone si dedicava a rafforzare le frontiere del nord verso la Danimarca e dell’est fino al fiume Oder.


Federico I nomina i vescovi tedeschi Per quanto riguarda la politica religiosa, per i primi trent’anni seguiti al trattato di Worms l’elezione dei vescovi tedeschi non fu effettuata dagli imperatori, ma appena arrivò al potere Federico I le cose cambiarono perché l’imperatore decise da solo la nomina episcopale di numerosi funzionari provenienti dalla sua cancelleria. Dopo aver ordinato le questioni tedesche, Federico Barbarossa ritenne di poter intervenire con successo in Italia per piegare al suo volere i comuni lombardi, il papa e i Normanni del sud.



14. 4 Federico Barbarossa e la lega lombarda



L’interesse dell’imperatore Federico Barbarossa per l’Italia fu vivo fin dall’inizio del suo regno. La sua elezione fu ben accolta dal papa Eugenio III che pregò il giovane imperatore di recarsi a Roma per l’incoronazione, e per risolvere il caso di Arnaldo da Brescia.


Prima calata in Italia del Barbarossa Nel 1154 Federico I discese per la prima volta in Italia e a novembre tenne a Roncaglia la dieta per affrontare i problemi italiani. A dicembre morì il papa Anastasio IV: fu nominato l’inglese Nicola Breakspear che assunse il nome di Adriano IV. Il nuovo papa era giunto a Roma dopo un serie di vicissitudini che avevano messo in luce la sua dirittura morale e le notevoli doti intellettuali.


Adriano IV e Arnaldo da Brescia Adriano IV riuscì a rientrare in possesso del Vaticano, ma a Roma c’era ancora Arnaldo da Brescia che manteneva vivi i sentimenti repubblicani, ostili sia al papa sia all’imperatore tedesco. Quando un cardinale fu aggredito da alcuni seguaci di Arnaldo, Adriano IV reagì proclamando l’interdetto (la sospensione di ogni celebrazione liturgica) in Roma finché Arnaldo e i suoi partigiani fossero rimasti in città. Quel provvedimento non era mai stato preso nella sede del papa. I senatori, spinti dal risentimento popolare, decisero di mettere al bando Arnaldo che fuggì nella campagna romana. Adriano IV ottenne così di liberarsi dal maggiore ostacolo per l’esercizio della sua autorità in Roma.


Adriano IV e i Normanni Nel frattempo si era accesa la disputa tra la Santa Sede e i Normanni governati dal nuovo re Guglielmo I, contro il quale si erano ribellati i baroni. Il papa Adriano IV fu molto allarmato dall’arrivo a Salerno di Guglielmo I e perciò gli mandò incontro il cardinale Enrico. Guglielmo I non ricevette il cardinale e spedì un esercito per assediare Benevento. Adriano IV scomunicò Guglielmo I, in attesa dell’arrivo di Federico Barbarossa.


Federico I in Lombardia Cominciarono negoziati che prevedevano la rottura completa del papa con i Normanni; il sequestro dei beni bizantini in Italia e la sottomissione della Repubblica romana al papa. Tuttavia Federico I si scontrò con la difficile situazione italiana: a Roncaglia alcune città come Pavia e Lodi si schierarono con l’imperatore, ma solo in odio a Milano che dominava in Lombardia.


Distruzione di Tortona Su consiglio dei pavesi Federico I attaccò la città di Tortona: i suoi abitanti furono dispersi e la città fu rasa al suolo per dare un esempio alle città che resistessero all’imperatore. Ma così facendo Federico Barbarossa aveva speso molto tempo e perciò dovette rinunciare al progetto di occupare il resto della Lombardia.


Condanna di Arnaldo da Brescia Dopo essersi assicurato l’appoggio delle repubbliche marinare – Venezia, Genova, Pisa – ben liete di fornirgli aiuti contro Guglielmo I di Sicilia, l’imperatore partì per Roma con tanta fretta da allarmare il papa e i cardinali, i quali gli inviarono la richiesta di consegnare loro Arnaldo da Brescia. Il ribelle fu catturato e condannato a morte dal prefetto di Roma.


Schermaglie protocollari Le delegazioni dei due protagonisti impegnati nella partita furono sospettose l’una verso l’altra. L’incontro avvenne a Nepi, dove Federico Barbarossa accolse il papa, ma senza reggere le redini e la staffa del cavallo del papa, come avevano fatto i predecessori fin dal tempo di Carlo Magno. Il papa negò il bacio della pace finché non avesse ricevuto soddisfazione: non si trattava di minuterie di protocollo, perché il gesto voleva significare che Federico Barbarossa negava fin la parvenza di un omaggio feudale al papa. La cerimonia dell’incontro fu perciò ripetuta, e questa volta l’imperatore resse la staffa e afferrò le briglie del cavallo del papa, poi proseguirono il viaggio verso Roma, discutendo i modi per garantire la sicurezza del papa nei confronti dei Normanni. Nei pressi di Roma si presentarono i rappresentanti della Repubblica romana che non impiegarono un linguaggio da sudditi: l’imperatore rifiutò di garantire la sicurezza e la libertà dei Romani. I senatori tornarono in città e animarono la popolazione a opporsi al papa e all’imperatore. Adriano IV suggerì all’imperatore di fare in fretta. Fu occupato il Vaticano e si procedette all’incoronazione di Federico I con acclamazioni tanto forti da raggiungere i Romani riuniti in Campidoglio. I Romani furenti uscirono dalle mura e attaccarono il Vaticano ferendo e uccidendo alcuni cardinali e alcuni soldati tedeschi. La notizia dei disordini raggiunse Enrico il Leone che tornò indietro, seguito dall’imperatore: la lotta contro i Romani fu tremenda e alla fine della giornata i morti e i prigionieri si contavano a centinaia. Il papa avrebbe voluto, nell’impossibilità di occupare Roma, attaccare almeno i Normanni, ma nell’esercito tedesco infieriva la febbre e i tedeschi premevano per il ritorno in Germania. Federico I promise soccorso al papa con maggiori forze: come frutto della prima calata in Italia l’imperatore aveva guadagnato solo la corona imperiale.


Bilancio politico Il bilancio politico appariva magro: infatti, le forze feudali apparivano deboli e periferiche; i comuni si erano dimostrati animosi e vitali; la questione dei rapporti col papato più complessa del previsto; la potenza dei Normanni intatta. Appena Federico I ebbe varcato le Alpi, Tortona fu ricostruita in odio a Pavia, e Milano ristabilì la sua egemonia sulle città lombarde.


La Borgogna In Germania Federico I cercò di rafforzare il suo prestigio: nel 1156 ripudiò la prima moglie e sposò Beatrice di Borgogna che portò in dote la Provenza: in questo modo anche i passi delle Alpi occidentali erano in mano all’imperatore. A Besançon egli ricevette l’omaggio della Borgogna e quando all’inizio del 1158 tornò in Germania i suoi sudditi pensarono che la potenza e la gloria dell’impero erano giunti all’apice.


Nuove complicazioni in Italia L’Italia tuttavia rimaneva un problema aperto: i comuni lombardi erano lontani dall’accettare la subordinazione effettiva all’impero; il papa Adriano IV era rimasto deluso dalla debolezza della protezione imperiale: perciò i cardinali si divisero in due partiti, uno filoimperiale guidato da Ottaviano, il futuro antipapa Vittore IV, e l’altro filonormanno guidato dal cardinale Rolando Bandinelli.


Fallimento della rivolta dei baroni Nel novembre 1155 Adriano IV favorì la rivolta dei baroni contro Guglielmo I: questi offrì vantaggiose condizioni di pace perché era minacciato anche dall’imperatore d’Oriente Manuele Comneno. I cardinali consigliarono di respingere quelle condizioni di pace, ma fecero male perché Guglielmo I riportò una schiacciante vittoria sui baroni ribelli, e ad Adriano IV non rimase altro che inviare il cardinale Rolando a implorare una pace ottenuta a dure condizioni. Federico I giudicò il trattato tra Normanni e papato in contrasto con gli accordi stipulati in precedenza tra impero e papato.


Seconda calata in Italia di Federico I Adriano IV comprese che era necessaria maggiore prudenza perché l’imperatore stava preparando la seconda calata in Italia, preceduta da una missione esplorativa da parte di Rainaldo di Dassel e di Ottone di Wittelsbach. Gli inviati imperiali intanto avevano occupato le chiuse di Verona, giungendo fino a Piacenza che fu staccata dalla Lega lombarda. Nel luglio 1158 Federico I varcò le Alpi col più grande esercito tedesco visto in Italia, diretto in Lombardia con la ferma decisione di sottometterla. Alcune città aprirono le porte all’imperatore, altre come Milano si disposero a difesa. La guerra iniziò a Brescia che fu presa d’assalto; subito iniziarono i lavori di ricostruzione di Lodi. L’importante castello di Trezzo, posto a difesa sui guadi dell’Adda, fu catturato dagli imperiali, permettendo il successivo assedio di Milano durato un mese, in capo al quale la città cadde per fame. Le condizioni di pace furono relativamente miti: Lodi e Como dovevano esser ricostruite, mentre Milano dovette accettare restrizioni alle sue libertà comunali. Dopo aver ricevuto l’omaggio dei milanesi, Federico I congedò l’esercito e si diresse a Roncaglia per una dieta che doveva regolare le questioni pendenti nei rapporti tra impero e comuni.


Seconda dieta di Roncaglia I giuristi dell’università di Bologna posero a base dei lavori il noto principio del diritto giustinianeo secondo cui quod principi placuit legis habet vigorem, giudicato da Federico soddisfacente perché in linea con le sue vedute. A Roncaglia furono ribadite anche altre costituzioni proprie del diritto germanico: tutte le regalie appartenevano all’imperatore (diritto di investitura, di battere moneta, di istituire dazi e tasse sui mulini, di nominare consoli e giudici nelle città ecc.) configurando il potere dell’imperatore come l’unico legittimo. Inoltre, Federico I decise di ridurre il potere di Milano sottraendole Monza. Abbattuta la potenza di Milano, rimaneva da saldare i conti col papa.


Nuove difficoltà sollevate dai comuni Il successo della dieta di Roncaglia sembrava rendere il potere di Federico Barbarossa simile a quello di Carlo Magno e di Ottone I, ma la realtà era diversa perché anche le città che si erano piegate alla volontà imperiale giudicavano eccessive le pretese del Barbarossa, dando segni di malcontento. Per prima si mosse Genova che rafforzò le difese verso terra. Poi Crema rifiutò di distruggere le mura. Infine Milano costrinse alla fuga Rainaldo di Dassel e Ottone di Wittelsbach venuti in città per insediare gli amministratori scelti dall’imperatore, ma rifiutati dal comune.


Distruzione di Crema Federico I chiese l’invio di truppe dalla Germania per assediare Crema, riuscendo dopo sette mesi a distruggerla con l’aiuto di Cremona. Nel frattempo anche i rapporti tra impero e papato tornarono burrascosi: il papa sosteneva che i vescovi italiani non dovevano alcun omaggio feudale all’imperatore; l’imperatore sosteneva che ciò poteva essere vero se i vescovi avessero restituito le regalie di origine imperiale. Il Barbarossa propose al papa Adriano l’arbitrato di una commissione di sei vescovi imperiali e di sei cardinali di curia, ma il papa preferì allearsi con Milano, Brescia e Piacenza, e respingere ogni pretesa imperiale: tuttavia, nel settembre 1159 il papa Adriano IV morì.


Alessandro III Il papa eletto fu Alessandro III: i cardinali di parte imperiale non si rassegnarono alla sconfitta ed elessero il cardinale Ottaviano, antipapa col nome di Vittore IV. Alessandro III dovette lasciare Roma dirigendosi ad Anagni. Anche Vittore IV fu costretto a lasciare Roma, ponendo la residenza a Segni: in seguito entrambi scrissero lettere ai vescovi cercando sostegno alla propria causa. Mentre accadevano questi fatti arrivarono a Roma i messi imperiali Rainaldo di Dassel e Ottone di Wittelsbach per difendere la causa di Vittore IV, mentre Alessandro III lanciava la scomunica contro l’imperatore.


Distruzione di Milano La caduta di Crema non aveva piegato le città lombarde che tornarono a sollevarsi: l’imperatore decise di infliggere un colpo mortale a Milano. Per un anno, il 1160, si svilupparono le operazioni di raduno delle forze imperiali, poi iniziò l’assedio durato un intero anno: quando il numero dei difensori diminuì a causa dei decessi, e la fame mise in ginocchio i sopravvissuti, la città dovette capitolare. Nel marzo 1162 Milano si arrese al vincitore senza condizioni, e la punizione fu terribile. I milanesi furono dispersi in quattro località non molto distanti dalla città le cui mura furono abbattute. Anche Brescia e Piacenza subirono un trattamento analogo, dovendo piegarsi a riconoscere l’antipapa e i funzionari imperiali.


Alessandro III in Francia Dopo aver domato la Lombardia, Federico I riteneva di piegare anche l’Italia meridionale e il papa Alessandro III. Dopo la caduta di Milano Alessandro III cercò più sicuro rifugio accettando l’ospitalità del regno di Francia dove fu trionfalmente accolto. A Montpellier confermò la scomunica del Barbarossa e dell’antipapa Vittore IV la cui autorità diminuiva perché non fu riconosciuto delle principali monarchie d’Europa. Federico I tentò di staccare Luigi VII di Francia dall’alleanza col papa, proponendo un incontro diretto che non ebbe luogo, mentre ci fu l’incontro tra i re di Francia e d’Inghilterra in funzione antimperiale terminato col riconoscimento del papa Alessandro III.


Coalizione antimperiale In Italia l’imperatore aveva distrutto Milano ma non aveva la simpatia della gente: quasi da sola si formò una vasta coalizione comprendente il papa, Venezia, Francia, Inghilterra, l’impero d’Oriente e le città lombarde. Nel 1163 anche Verona, Padova e Vicenza si sollevarono contro l’imperatore; nel 1164 a Lucca morì l’antipapa Vittore IV e subito fu nominato un altro antipapa, non riconosciuto né dai vescovi italiani né da quelli tedeschi.


L’imperatore cercò di staccare dalla lega dei suoi nemici Enrico II d’Inghilterra, in conflitto con Alessandro III per la questione di Thomas Becket, e in rapporti tesi anche con Luigi VII di Francia: da questo lato, tuttavia, non fece grandi progressi. Nel 1165 Alessandro III si sentì tanto forte da tornare a Roma accolto con festeggiamenti: il Barbarossa fece canonizzare Carlo Magno dall’antipapa Pasquale III, esaltando così la propria concezione dell’impero.


Nuova calata in Italia del Barbarossa Nel 1166 morì il re di Sicilia Guglielmo I e poco dopo Federico I iniziò un’altra calata in Italia: a novembre tenne una dieta a Lodi, ma poiché alcune città filoimperiali si erano ribellate, non poté proseguire alla volta di Roma. La lega lombarda si unì con la lega di Verona (Giuramento di Pontida), e nel 1167 iniziò la ricostruzione di Milano con l’aiuto di Alessandro III le cui forze, tuttavia, furono sconfitte dalle milizie imperiali. Perciò la situazione di Alessandro III tornava insostenibile costringendolo a cercare rifugio a Benevento. Ancora una volta il Barbarossa sembrava trionfare, ma il suo esercito fu colpito, nell’estate di quell’anno, da un’epidemia che decimò i soldati.


Fondazione di Alessandria La lega lombarda fu accresciuta di nuovi membri: alla confluenza del Tanaro con la Bormida fu costruita Alessandria per controllare le vie di comunicazione; Genova e Pisa intrattenevano cordiali rapporti con la Sicilia, pronte ad abbandonare la causa imperiale. L’anno 1168 fu impiegato da Federico I per ristabilire l’ordine in Germania turbato dalla lite tra Enrico il Leone e Alberto l’Orso, divenuti nemici implacabili. Per ragioni dinastiche Federico Barbarossa nominò re dei Romani il figlio Enrico e acquistò l’eredità di Baviera, togliendola a Enrico il Leone che si raffreddò con l’imperatore.


Quinta spedizione in Italia Nel settembre 1174 Federico I iniziò una nuova calata in Italia: distrusse Susa, che lo aveva avversato nella precedente ritirata, e attraversò il Piemonte. Asti si arrese, Pavia e Como abbandonarono la lega lombarda e si accostarono all’imperatore che iniziò l’assedio di Alessandria, ritenuta anche nel nome simbolo della resistenza antimperiale. La città resistette logorando l’esercito imperiale. Dopo sei mesi di inutile assedio, nel 1175, l’imperatore cercò di far scavare gallerie sotto le mura, ma i suoi genieri furono scoperti; una successiva sortita degli assediati distrusse le macchine d’assedio. Per il resto del 1175 non avvennero fatti significativi perché ciascuno dei contendenti cercava di rafforzarsi in vista del confronto supremo.


Battaglia di Legnano Nel 1176 arrivarono rinforzi dalla Germania, ma non giunse Enrico il Leone ormai avviato sulla via della ribellione. Da Como il Barbarossa si diresse alla volta di Pavia per realizzare il congiungimento delle sue forze, ma la manovra fu impedita dalle truppe della lega lombarda: il 29 maggio i due eserciti si scontrarono a Legnano in una battaglia condotta allo stremo delle forze. Il primo assalto della cavalleria pesante tedesca scompigliò le file dei lombardi, ma la successiva zuffa intorno al carroccio risultò favorevole ai lombardi: la sconfitta tedesca fu totale.


Cambia la politica imperiale A stento Federico I riuscì a raggiungere Pavia, e con la sua caratteristica capacità di cogliere il significato politico delle vicende militari, cambiò i suoi piani: iniziò trattative di pace rendendosi conto che dopo quattro campagne militari le forze della lega lombarda apparivano intatte; la Sicilia continuava a sfuggirgli e il conflitto col papa, unito alla scomunica, logorava l’alone di sacralità dell’impero.


Conciliazione con Alessandro III La prima mossa dell’imperatore fu la riconciliazione col papa, inviando ad Anagni, nell’ottobre 1176, una delegazione di vescovi che riuscirono a intavolare trattative dirette con Alessandro III senza attendere l’arrivo dei delegati dei comuni e del regno di Sicilia. Le clausole principali del trattato di Anagni prevedevano la fine dello scisma e il riconoscimento di Alessandro III come unico papa legittimo, che a sua volta riconosceva i vescovi tedeschi nominati dall’imperatore durante lo scisma; Beatrice di Borgogna fu riconosciuta imperatrice e il figlio Enrico VI re dei Romani con promessa di incoronazione papale. Nel 1177 l’imperatore, il papa e i cardinali si incontrarono a Venezia. Alessandro III dovette affrontare il risentimento degli ambasciatori dei comuni lombardi, irritati dalla firma del trattato di Anagni avvenuto senza di loro; poi arrivò l’imperatore che fece approvare un progetto di tregua di quindici anni col regno di Sicilia e uno di sei anni con i comuni. Infine, nel corso di una solenne cerimonia in San Marco, Federico I fu assolto dalla scomunica.


Concilio lateranense III Nel marzo 1179 Alessandro III inaugurò il Concilio lateranense III nel corso del quale furono annullati i decreti degli antipapi e condannati numerosi abusi incompatibili con la dignità del clero. Inoltre fu stabilito che per il futuro si doveva considerare eletto papa quel candidato che avesse ricevuto i due terzi dei voti validi. Alessandro III morì a Civita Castellana nel 1181 al termine di un lungo e importante pontificato, sostenuto con prudenza e fermezza facendo rientrare uno scisma che poteva avere gravi conseguenze. Il successore Lucio III affrontò il difficile nodo dell’eredità di Matilde di Canossa: la situazione a Roma tornò tanto grave da indurre Lucio III a fissare la residenza a Verona, per riconquistare la fiducia dei lombardi divenuti freddi.


Pace di Costanza Finalmente i comuni firmarono nel 1183 a Costanza la pace con l’impero: riconoscevano l’alta sovranità dell’imperatore ma a patto di eleggere i propri consoli e podestà, e di amministrare la giustizia secondo proprie leggi. Inoltre i comuni potevano levare imposte, fortificare città e castelli, stringere patti tra loro.


Nel 1184 a Magonza furono indetti festeggiamenti culminati con un importante accordo di matrimonio tra Enrico, figlio del Barbarossa e Costanza d’Altavilla, erede del trono di Sicilia. Nel settembre dello stesso anno Federico I scese in Italia con seguito di nobili ma senza esercito e, questa volta, fu ben accolto. Il papa Lucio III e l’imperatore si incontrarono a Verona dove sorsero nuove difficoltà, perché il Barbarossa chiedeva l’incoronazione imperiale per il figlio, e il papa era riluttante a concederla. Nel 1185 Lucio III morì e il successore, il milanese Urbano III, non era incline a fare concessioni all’imperatore che sembrava aver riguadagnato sul piano politico ciò che aveva perduto su quello militare.



14. 5 Federico Barbarossa e la Germania



Negli intervalli tra le campagne militari in Italia Federico I affrontò i non meno impegnativi problemi presenti in Germania.


Enrico il Leone La crisi più acuta fu determinata da Enrico il Leone che progettava un forte nucleo statale nella Germania settentrionale. Costui intraprese la colonizzazione sistematica del territorio abitato dai Vendi, posto tra i fiumi Elba e Oder. Verso il 1160 Enrico il Leone iniziò la sua marcia verso est conquistando il Meclemburgo e il Brandeburgo dove insediò conti a lui fedeli. Furono organizzate nuove diocesi affidate a prelati tedeschi con l’aiuto degli ordini religiosi cistercense e premonstratense. I nuovi territori furono aperti al commercio e la città di Lubecca finì per accentrare in sé il commercio del Baltico.


Ribellione di Alberto l’Orso Enrico il Leone entrò in conflitto con i nobili i cui poteri erano stati ridotti. A capo dei nobili si pose Alberto l’Orso che ricevette aiuto dagli arcivescovi di Colonia e di Magdeburgo: la morte di Rainaldo di Dassel, avvenuta in Italia nel 1167, favorì le mire di Enrico il Leone, ma presto sorsero contrasti anche con l’imperatore. Nel 1170 morì Alberto l’Orso, e Federico I regolò le questioni pendenti in senso favorevole al cugino Enrico il Leone ma subito dopo sorsero tra i due i contrasti più fieri.


La questione bavarese Nel 1167 in Italia era morto anche Guelfo VII, e il padre Guelfo VI, non avendo altri eredi diretti, mise in vendita il suo patrimonio, offrendo il ducato di Baviera a Enrico il Leone, che accettò, ma senza avere il denaro necessario. Guelfo VI si rivolse all’imperatore che accettò l’offerta pagando il dovuto. Enrico il Leone, giudicandosi l’erede legittimo, si ritenne offeso. Nel 1174 Enrico il Leone rifiutò di prendere parte alla campagna militare dell’imperatore in Italia.


Bando contro Enrico il Leone Nel 1179 Enrico il Leone fu convocato alla dieta di Worms per rispondere delle sue azioni, ma rifiutò di comparire; alla successiva udienza fissata a Magdeburgo, dopo aver costatato di nuovo l’assenza di Enrico, il tribunale imperiale decretò il bando contro di lui. Perciò il ducato di Sassonia fu diviso tra l’arcivescovo di Colonia e Bernardo di Anhalt, figlio di Alberto l’Orso. Anche la Baviera fu sottratta a Enrico il Leone: la Stiria fu assegnata al margravio Ottocaro e il resto del ducato a Ottone di Wittelsbach. Le conseguenze politiche di questo processo furono importanti perché al sistema di pochi grandi ducati succedette in Germania la divisione in numerosi principati sparsi in tutto il paese, e la Sassonia perdette la preminenza. Enrico il Leone, tuttavia, non si piegò: i suoi partigiani iniziarono la guerra civile. Intervenne anche l’imperatore: uno dopo l’altro i partigiani di Enrico il Leone lo abbandonarono, e alla fine anche Lubecca cadde. Enrico si arrese, accettando la pena del bando per tre anni, trascorsi alla corte del suocero, il re d’Inghilterra Enrico II.


Federico I alla Terza crociata Gli ultimi anni di Federico Barbarossa furono dedicati al tentativo di trasformare i suoi territori in una solida unità da trasmettere al figlio Enrico VI. La pace in Germania, tuttavia, risultò sempre difficile, ma come era già avvenuto in altre occasioni, la caduta di Gerusalemme, avvenuta nel 1187 per opera di Saladino, fece passare in secondo piano gli altri problemi: si imponeva una nuova crociata, e Federico I fu conquistato dal fascino di un’impresa cavalleresca da compiere in Oriente. Il Barbarossa volle prendere con sé solo i nobili in grado di mantenersi a loro spese per due anni. Enrico VI, re dei Romani e imperatore eletto doveva reggere l’impero in assenza del padre; per evitargli pericoli, il Barbarossa impose a Enrico il Leone di tornare in esilio per altri tre anni, trascorsi anch’essi alla corte d’Inghilterra. Dopo aver elevato al grado di margravio Baldovino di Fiandra, l’imperatore lasciò la Germania a capo di un esercito di circa 20.000 uomini. Poiché Federico I si era alleato col re di Sicilia, l’imperatore d’Oriente Isacco Angelo sollevò sul cammino del Barbarossa ogni genere di difficoltà, arrivando ad allearsi con Saladino. Tuttavia il timore dell’esercito tedesco fu più grande dell’odio che ispirava, e Isacco Angelo accettò di rifornirlo di viveri e di traghettarlo in Asia Minore.


Morte di Federico Barbarossa Mediante l’aiuto di guide armene i crociati riuscirono a oltrepassare la catena del Tauro giungendo fino al fiume Salef in Cilicia. Non si sa che cosa sia avvenuto di preciso: forse il vecchio imperatore, accaldato, volle rinfrescarsi nelle acque impetuose del fiume, venendone travolto: quando venne ripescato, era senza vita.


Enrico VI La grande eredità del Barbarossa cadde sulle spalle di Enrico VI il quale doveva mantenere un forte ascendente sulla nobiltà tedesca; riunire all’impero il regno di Sicilia; sconfiggere la lega dei comuni lombardi e, infine, piegare il papa ai voleri dell’imperatore: come vedremo, quei progetti risultarono troppo ambiziosi e furono rimandati a causa della prematura morte di Enrico VI.



14. 6 Cronologia essenziale



1122 Trattato di Worms.


1152 Muore l’imperatore Corrado III e viene eletto Federico I.


1154 Prima dieta di Roncaglia.


1156 In seguito al matrimonio con Beatrice di Borgogna Federico I acquista il ducato di Borgogna.


1158 Seconda dieta di Roncaglia che sancisce il divieto delle guerre private.


1162 Il Barbarossa ordina la distruzione di Milano.