I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Il Prete (I)

 1. Che cosa significa la parola prete.
 2. Dignità del prete.
 3. potenza del sacerdote.
 4. Servizi innumerevoli che presta il sacerdote.
 5. Zelo che deve avere il prete.

1. CHE COSA SIGNIFICA LA PAROLA PRETE. – La parola prete, presbyter, non è che la riproduzione di un vocabolo greco, che tradotto letteralmente direbbe in latino senior, in italiano seniore o magnate. Voce equivalente a quella di prete è il vocabolo sacerdote, sacerdos, che S. Tommaso (III, q. XXII, a.), ricava da sacrum dos, perché uffizio dei preti, o sacerdoti, è amministrare le cose sacre ai fedeli; altri lo fanno derivare da sacra dos, perché il sacerdote è cosa tutta consacrata a Dio. Onorio d\’Autun (In Iosue, lib. III; c. 4) vuol ricavarne l\’etimologia da praebens iter, come se volesse dire colui che indica al popolo la strada dall\’esilio della terra alla patria del cielo. – Pastore, pastor, viene dal verbo pascere. – Il vescovo – Episcopus (sorvegliante) – così viene chiamato, al dire del Crisostomo, perché la sua missione è di sopraintendere a tutti e osservare tutto (Homil. XL).

2. DIGNITÀ DEL PRETE. – I preti sono chiamati nell\’Esodo col nome di Dei: «Tu non sparlerai de\’ Dii» (Exod. XXII, 28); e ai sacerdoti sicuramente accenna il Salmista dove dice: «Iddio si assise in mezzo all\’assemblea degli Dèi» (Psalm. LXXXI, 1). E come Dèi li tenne il popolo di Listri, città della Licaonia, quando a proposito di S. Paolo esclamava: «Dèi fatti simili a uomini, discesero in mezzo a noi» (Act. XIV, 10). Ed a ragione, perché, come predicava il medesimo S. Paolo, i sacerdoti sono i cooperatori di Dio (I Cor. III, 9). Che sublime dignità è mai questa! e degna perciò che Cassiano esclamasse: «O sacerdote di Dio, se contempli l\’altezza dei cieli, tu sei più alto; se consideri la grandezza dei re, tu sei più grande; a nessun altro tu sei inferiore fuorché a Dio tuo creatore (Catal. Glor.)».
«Chi dice prete dice, a giudizio di S. Dionigi, uomo affatto divino, perché vestito di autorità più che angelica, divina (De coelest, hierarch. c. III)»; la cui professione essendo, al dire di S. Ambrogio, cosa divina, gli conferisce tale dignità di cui non vi è la più sublime in terra (De dignit. sacerd. c. III)»; così che a buon diritto Sant\’Ignazio martire chiama il sacerdozio, «l’apice, il colmo di tutte le cose» (Epl. ad Smirn.).
«Quanto più nobile del corpo è l\’anima, tanto più sublime delle sovranità temporali è il sacerdozio», scrive S. Clemente (De dignit. sacerd. c. III); infatti, secondo S. Cirillo, i sacerdoti sono una stirpe eletta consacrata a, funzioni divine (De Adorat., 1. XIII); secondo il Papa Innocenzo III, il prete tiene il luogo di mezzo tra Dio e l\’uomo: a quello inferiore, a questo superiore (Serm. II, in consecrat. Pontif.); il ministero sacerdotale, ancorché si eserciti su la terra, tuttavia si deve mettere tra le cose celesti (De Sacerd., I. III, c. III). A queste voci unisce la sua S. Efrem il quale, per ciò che il prete tratta alla familiare con Dio, vede nella dignità sacerdotale un dono che sopravanza ogni immaginazione, un miracolo stupendo, un onore infinito, immenso (De Sacerd.).
Ambasciatore di Dio, il sacerdote intercede per il mondo intero, presso Dio; perciò ne conchiude il Crisostomo che colui il quale onora il prete, onora Gesù Cristo; chi oltraggia il prete vitupera Gesù Cristo (Homil. XVII, in Matth.). Questo appunto aveva detto il Redentore con quella sentenza: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me» (Luc. X, 16).
Se già ai sacerdoti dell\’antica legge Isaia faceva rilevare il sommo onore che loro veniva dall\’essere chiamati sacerdoti del Signore, ministri di Dio (ISAI. LXI, 6); che cosa si deve dire della dignità dei preti cristiani, vicari di Gesù Cristo, che ne adempiono le veci (Serm. XXXIV ad Fratr. Inter. Op. S. August.); dispensatori dei beni celesti nella casa di Dio, e soci di Dio medesimo? (Ep. Ignat. martyr. ad Polycarp.). Con ragione S. Bernardo esclama: «O sacerdoti, badate che Dio vi ha collocati al di sopra dei re e degli imperatori, anzi degli Angeli medesimi (Serm. ad Part. in Synod.)»; e S. Ambrogio aggiunge che meglio sta il paragone tra il piombo e l\’oro, che non tra i re ed i sacerdoti, tanto la dignità sacerdotale è più eccellente che la reale (De dignit. Sac., c. II, distinct. XXXVI). S. Dionigi l\’Areopagita chiama «oltregrande, angelica, anzi divina questa dignità del prete, di essere cooperatore di Dio nella conversione delle anime, e di mostrare pubblicamente questa divina operazione (De coelest. hierarch.)».
Ai preti, più specialmente che ai laici, conviene il nome di figli di Dio, sia perché gli sono particolarmente consecrati per appartenere alla sua famiglia, sia perché hanno obbligo più stretto di mantenersi sempre giusti e santi per offrire ad ogni istante sacrifizi e preghiere per il popolo…
Il sacerdote è chiamato da Michea «l\’Angelo del Signore degli eserciti» (MICH. II, 7). Il prete è l\’Angelo di Dio, 1° perché è l\’inviato di Dio agli uomini. Tertulliano osserva che Dio suole chiamare col nome di Angeli coloro che in qualche modo costituisce ministri della sua potenza (De Resurrect.). 2° I preti stanno pronti agli ordini del Signore, come gli Angeli. 3° Gli angeli stanno continuamente alla presenza di Dio, lo lodano, gli inneggiano, lo servono, e lo stesso fanno i sacerdoti per cagione del loro ministero. 4° Il prete è un Angelo per la sua consecrazione. Perciò noi leggiamo che S. Francesco d\’Assisi non si peritava di asserire che «se gli fosse avvenuto d\’incontrare un Angelo e un prete, lasciato da parte l\’Angelo, sarebbe corso al sacerdote, perché questi consacra il corpo dì Cristo, e ci amministra il pane di vita (S. BONAV. In Vita)».
«Sublime è la dignità dei preti, esclama S. Gerolamo, ma terribile è la loro rovina se peccano; esultiamo della loro esaltazione, ma temiamo della loro caduta (Lib. III, in Ezech. ad cap. XLIV)». «Che cosa è una tanta dignità addossata a spalle indegne, dice Salviano, se non una gemma sotterrata nel
fango? (Lib. II ad Eut. Can.)». «Corrisponda adunque, conchiudiamo con S. Ambrogio, alla dignità la condotta, affinché sotto il lustro di un onore insigne non si celi il lezzo di una vita infame; una condizione divina non sia bruttata da azioni vituperose: sia il fatto in armonia col nome, affinché il nome non sia vano, e gravissima la colpa (De Dignit. Sacerd., c. III)».

3. POTENZA DEL SACERDOTE. – Del prete cristiano furono dette quelle parole del Signore: «Io ho posto il mio aiuto in un uomo forte, ed ho innalzato il mio eletto in mezzo al popolo. Ho trovato il mio servo e l\’ho consacrato con l\’unzione della mia santità. La mia mano gli sarà sostegno e il braccio mio sarà sua forza. Abbatterò innanzi a lui i suoi nemici, metterò in fuga coloro che lo guardano di malocchio. La mia misericordia e la mia verità lo seguiranno, e la sua potenza grandeggerà nel mio nome» (Psalm. LXXXVIII, 20-25). Ecco infatti come parla Gesù Cristo ai suoi Apostoli, nell\’atto d\’investirli della loro missione: «A me è stata data ogni potestà in cielo e su la terra; e con quell\’autorità con cui il Padre mandò me nel mondo, io mando voi. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, e insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato; e state certi che io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli» (MATTH. XXVII, 18-20) – Sicut misit me Pater, et ego mitto vos (IOANN. XX, 21).
Emblema e profezia della potenza sacerdotale furono Giuseppe e Mosè. Di quello sta scritto che fu chiamato Salvatore del mondo (Gen. XLI, 45); a lui disse Faraone : «Tu sopraintenderai alla mia casa, e dai tuoi cenni dipenderà tutto il popolo» (Id. 40). Quando poi la gente, stretta dalla fame, si volse a chiedere pane a Faraone, questi rispose: «Andate, a Giuseppe e fate com\’egli vi dirà» (Id. 55). Tutto questo si ripete in senso più sublime e non meno vero, nel sacerdote cattolico. A questo Gesù Cristo dice, come già Iddio a Mosè: «Vieni che io ti mandi… ed io sarò con te. Io ti ho scelto per mostrare per mezzo tuo la mia potenza (Exod. III, 10, 12), (Id. IX, 16). Ma sii uomo forte, valente nelle battaglie del Signore (I Reg. XVIII, 17. Saul ad David).
Nell\’ordinazione di ogni nuovo sacerdote, il Vescovo, qual nuovo Mosè, dice al Dio degli spiriti di ogni carne, che provveda un uomo il quale vegli su la plebe cristiana, che possa uscire ed entrare innanzi a lei, e farla uscire ed entrare, affinché il popolo del Signore non sia come gregge senza pastore (Num. XXVII, 16-17). E il Signore, stendendo l\’onnipotente sua destra protettrice sul neo sacerdote e toccandogli le labbra, gli dice, come già a Geremia: «Ecco che io ho messo la mia parola nella tua bocca; ecco che io ti ho stabilito quest\’oggi su le nazioni e sui regni, affinché schianti e distrugga, dissipi e sperda, edifichi e pianti» (IEREM. I, 9-10).
Sì, nella sua ordinazione, il prete ha ricevuto un potere più grande che quello degli Angeli: e questo suo potere si manifesta primieramente all\’altare.
«O potenza infinita! esclama S. Lorenzo Giustiniani. Al cenno del sacerdote, il pane è trasformato nel corpo di Gesù Cristo; il Verbo discende dal cielo, si fa carne, e si trova su l\’altare! Questa potestà data ai preti, è favore che non fu mai concesso agli Angeli. Questi formano la corte di Dio; quelli lo toccano con le loro mani, lo dànno agli altri e lo ricevono in se stessi (Serm, de Euch., n. 17)». «O venerabile santità delle mani! continua S. Agostino; o funzione beata! Colui che mi ha creato, mi diede il potere di crearlo; e colui che ha fatto me senza di me, creò se medesimo per mezzo di me! (Homil. II, in Psalm. XXXVII)».
«Ad un cenno di Dio, scrive S. Gerolamo, comparvero i cieli e la terra uscì dal nulla; una simile potenza vediamo nelle parole sacramentali (Serm. de Corp. Christi)». Questa cosa fece dire a S. Bernardo, che il potere dei preti è simile al potere delle persone divine; poiché tanta virtù si richiede nella transustanziazione del pane, quanta ne occorse per la creazione del mondo (Serm. ad Pastor. in Synod.). Diciamo dunque con S. Agostino: «O veneranda dignità dei sacerdoti, nelle cui mani il Figlio di Dio s\’incarna come nel seno di Maria! (Homil. II, in Psalm. XXXVII)».
La meravigliosa potenza del prete si palesa in secondo luogo nel tribunale della penitenza. Il grande Apostolo dice che «Gesù Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della riconciliazione, ha posto nella loro bocca la parola del perdono e dell\’assoluzione» (II Cor V, 18-19). Noi leggiamo infatti in S. Matteo, che un dì il Salvatore disse al capo della sua Chiesa: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. A te consegnerò le chiavi del regno celeste. Tutto quello che tu legherai su la terra, sarà legato in cielo; e tutto ciò che scioglierai su la terra, sarà sciolto in cielo» (MATTH. XVI, 18-19). E perché non si credesse che questa fosse prerogativa singolare di Pietro, ma si vedesse che essa fa parte della potestà sacerdotale, comparso dopo la sua risurrezione in mezzo ai discepoli, disse loro: «La pace sia con voi. Come il Padre mio ha inviato me, così io mando voi. Ciò detto, soffiò su di loro tutti, e aggiunse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, a chi li riterrete, saranno ritenuti» (IOANN. XX, 21-23). Chi non vede qui chiaramente stabilito il sacramento della penitenza e investiti, nella persona dei discepoli, i preti, della potestà di rimettere i peccati?
I Giudei dicevano la verità, quando domandavano: «Chi può rimettere i peccati, eccetto Dio solo?» (Luc, V, 21). Ora il prete rimette i peccati, dunque egli è come un Dio, tiene il luogo di Dio, ha la potestà di Dio e si può chiamare, con Clemente Alessandrino: «Il Dio della terra, dopo Iddio» (Const. Ap. 1. II, CXXVI). Il prete lega e scioglie le coscienze, apre e chiude il cielo! O potestà inaudita e sovrumana! degna veramente che i santi Padri gareggino nell\’encomiarla ed esaltarla. Potenza ineffabile, per la quale i preti, al dire di S. Bernardo, diventano i padri di Gesù Cristo (Serm. ad Pastor. in Synod.). E in verità, i nostri genitori, osserva il Crisostomo, ci generano alla vita presente, ed una sola volta; mentre i sacerdoti ci generano alla vita eterna, cioè generano Gesù Cristo in noi ogni qual volta con l\’assoluzione ci rimettono in grazia di Dio (De Sacerd. c. V).
In questo senso s\’intende quello che afferma S. Agostino, che Dio associò i sacerdoti all\’opera più meravigliosa che possa fare la sua onnipotenza; poiché impresa più grande, più difficile, più stupenda è convertire un empio in un giusto, che creare nuovi cieli e nuove terre (Tract. LII, in Joann). «Che ineffabile degnazione fu mai questa per parte di Dio! esclama qui Pietro di Blois. Colui che nell\’opera della creazione non volle avere chi l\’aiutasse, nel mistero della redenzione si degna partecipare la sua potenza a uomini, perché gli siano cooperatori (Serm. XLVII)». Anzi, come dice S. Pier Damiani, «la sentenza del sacerdote riconciliatore precede la sentenza del Redentore; e il Signore va, nell\’opera, dietro al suo servo (Serm. XXVII)».
«Che cosa è la potestà dei re in paragone a quella dei sacerdoti? dice il Crisostomo. Hanno i principi della terra il potere d\’incatenare, ma solamente i corpi; mentre i preti possono legare le anime stesse (Homil, V, in Isai.)». Che più? la Vergine medesima, la madre di Dio, sotto quest\’aspetto, la cede ai sacerdoti; «infatti, sebbene la beatissima Vergine fosse più eccellente degli Apostoli, dice Innocenzo Papa III, tuttavia non a lei, ma a questi Gesù Cristo confidò le chiavi del regno dei cieli (Nova quad, de poena rem.)». Perciò S. Bernardino da Siena così parla a Maria: «Scusatemi (o beata Vergine), se io, non per parlare contro di voi, ma per dire il vero, dico che il sacerdozio fu preposto a voi (Tom, I, Serm. XX. art. 2)».
In terzo luogo la potestà del sacerdote cattolico si manifesta nel ministero della predicazione evangelica: «Andate, disse Gesù agli Apostoli, e ammaestrate tutte le nazioni» (MATTH. XXVIII, 19). «Chi dà retta a voi, dà retta a me; chi disprezza voi, disprezza me» Luc. X, 16). Perciò S. Paolo diceva di sé agli Efesini: «A me, l\’ultimo dei Santi, è stata data la grazia di evangelizzare le genti intorno alle incomprensibili ricchezze di Gesù Cristo» (Eph. III, 8); ed io le predico, le annunzio, le proclamo per illuminare, purificare, perfezionare i Santi con l\’opera del ministero (Id. IV, 12). Ai Corinzi poi scriveva che essi, gli Apostoli, erano i Legati di Gesù Cristo, per, bocca dei quali era Dio medesimo che li esortava (II Cor V, 20); e le armi con cui essi combattevano, non le avevano dalla carne, ma dalla potenza di Dio, a distruzione delle armi del secolo, a confusione dei ragionamenti del mondo, a umiliazione di ogni altezza che si estolle contro la scienza di Dio, e per cattivare con la parola ogni intelletto al giogo di Cristo (Id. X, 4-5).
Queste armi sono, a parere di S. Anselmo: 1° la virtù dello spirito di zelo…; 2° l\’efficacia della predicazione…; 3° la saviezza…; 4° la santità…; 5° i miracoli…; 6° la preghiera…; 7° l\’imitazione sincera…; 8° la pazienza…; 9° la carità… Gli Apostoli, i sacerdoti col mezzo di tutte queste qualità colpiscono, come con un\’arma onnipotente, le coscienze, le feriscono, le trapassano; ed esse cedono, dànno credenza
alle loro parole, alla loro dottrina, ai loro ammaestramenti. Con tali armi trionfano del vizio, dell\’inferno, del mondo intero (Menolog.).
Si legge nella Sacra Scrittura (Iudic. VII, 20), che i soldati di Gedeone senza muoversi di luogo intorno al campo dei nemici, vi gettarono lo sgomento e lo scompiglio; perché rompendo a un tratto i vasi di argilla in cui tenevano nascoste lampade accese, levarono queste in alto con la sinistra, mentre diedero nelle trombe che tenevano con la destra, e gridarono a una voce: La spada del Signore e di Gedeone. Bella figura della potenza della parola sacerdotale! essa è lume, tromba, spada: senza che l\’uomo ci metta nulla del suo, essa spaventa di per sé sola, abbatte e atterra i nemici del Signore. «Dio dà ai suoi preti il potere d\’insegnare nei suoi precetti, nella sua volontà, nella sua alleanza, i suoi giudizi a Giacobbe, e dona ad Israele la luce», dice l\’Ecclesiastico (Eccli. XLV, 21).

4. SERVIZI INNUMEREVOLI CHE PRESTA IL SACERDOTE. – Iddio aveva promesso nell\’antica legge che avrebbe colmato della sua abbondanza l\’anima dei sacerdoti e che il suo popolo sarebbe riempito dei doni celesti (IEREM. XXXI, 14). Questa promessa se mai fu esattamente e abbondantemente adempita, è appunto nel sacerdote cattolico. Questi è per gli individui, per le famiglie, per le nazioni, per il bene e per la felicità del mondo, quello che è la nube per la pioggia, il sole per l\’universo, il pilota per il vascello… Il prete è l\’uomo della pace, della carità, della benedizione. Benedizione con le sue preghiere, con le sue elemosine, con i suoi insegnamenti, con tutti gli atti del suo ministero.
I preti sono coloni dedicati alla coltura del popolo che è la vigna del Signore (CHRYSOST. Hom. XL, in II Matth.). Sono colonne che tengono in piedi il mondo traballante (EUCHER. Hom. III); sono i capitani dell\’esercito del Signore (De dignit. sacerd. PETRUS DAMIANI); i custodi della sposa (S. BERNARD. Serm. ad Cleric.); i salvatori del mondo (HIERONYM. in Abdiam. 1. XXVIII). A tutta ragione pertanto S. Clemente ci esorta ad onorare i preti, maestri del ben vivere (Constit. Apost.); e Salviano afferma «che non vi è persona più degna di onore del sacerdote, perché in esso sta ogni speranza e salute (Epist. VII ad Leon. Pap.), tanto che senza di 1m nessuno può giungere alla salvezza, dice il Crisostomo (De Sacerd. lib. III, c. IV)».
Il prete è mediatore tra Dio e l\’uomo; egli sta tra il cielo e la terra; dal cielo fa discendere i beni su la terra, dalla terra porta al cielo le preghiere, i voti degli uomini a Dio; placa la collera divina; strappa i peccatori alle mani della giustizia divina, ottenendo loro misericordia. Apre il cielo, chiude l\’inferno, salva le anime; è il sostegno del trono, il legame della società, il lustro delle famiglie, il protettore della vedova, il padre dell\’orfano, il consolatore degli afflitti, il bastone dei deboli, la provvidenza dell\’indigente, il propagatore delle virtù, il distruttore del vizio e delle passioni nemiche degli uomini, il benefattore perpetuo ed universale del mondo intiero. Togliete il prete con le sue beneficenze, tutto va alla peggio ed in rovina. Senza preti non si dànno ordini religiosi, non congregazioni, non sacramenti, non fedeli, non Santi, non Chiesa, non paradiso. «I preti, dice S. Prospero, sono l\’ornamento della Chiesa, le colonne saldissime e le porte della città eterna, per le quali tutti gli uomini entrano a Gesù Cristo: sono i portinai cui furono commesse le chiavi del regno dei cieli; sono i ministri della casa di Dio, che assegnano a ciascuno il proprio luogo (De Vita contempl., lib. II, c. 3)».
Del prete si può dire, come di Elia, che è destinato a placare la collera divina, a riamicare il padre coi figli, a ristabilire le tribù di Giacobbe (Eccli. XLVIII, 10). Quindi a lui conviene l’elogio che del detto Profeta faceva il Crisostomo (Hom. in Elia): «Elia è al di sopra del mondo, sta vicino al cielo, abita la montagna, conversa alla familiare con Dio. Egli è mediatore tra Dio e il popolo. Si mantiene giusto tra i colpevoli, santo tra i peccatori, pio tra i profani, per assumere la difesa, il patrocinio di tutti. Riprende il popolo traviato, supplica Iddio e ne placa lo sdegno; richiama al buon sentiero il popolo che si allontana dal culto di Dio, e lo conduce alla gioia celeste. Unisce Dio all\’uomo, e l\’uomo a Dio. Per suo mezzo è ristabilita la concordia tra Dio e l\’uomo, tra il Creatore e la creatura».
Come Giosia, il sacerdote è mandato dall\’alto perché faccia entrare il popolo nelle vie della penitenza e tolga via le abominazioni dell\’empietà (Eccli XLIX, 3). Come Geremia, il prete ha per sua missione di abbattere e schiantare e perdere, e poi di nuovo edificare e rinnovare (Eccli. XLIX, 9). È inviato a distruggere il regno di Satana, a sterminare il peccato, a edificare l\’edifizio della virtù, a ristorare il nuovo Adamo su le rovine dell\’antico… Il Signore ha contratto con lui un patto di vita e di pace (Mal. II, 4),
Il sacerdote è, agli occhi di S. Gregorio Nazianzeno, il difensore del vero; appartiene all\’ordine e alla società degli Angeli; loda Iddio con gli Arcangeli; esercita le sacre funzioni d\’accordo con Gesù Cristo; ripara le rovine; restituisce, lavorando da operaio celeste, al Creatore l\’immagine sua rinnovata e riabbellita; dico di più, è un Dio che cambia gli uomini in dèi (In Distich.).

5. ZELO CHE DEVE AVERE IL PRETE. – Il sacerdote di Gesù Cristo deve essere tale per il suo zelo, che possa dire in tutta verità col suo capo e autore: «Io sono il buon pastore il quale dà la propria vita per il bene delle pecorelle. Chi viene a me, non patirà più fame, né avrà più sete» (IOANN. X, 14, 16), (Id. VI, 35).
Otto sono i doveri che, secondo il Vangelo, incombono al sacerdote e che costituiscono quasi otto segnali ai quali si riconosce il suo zelo: 1° egli deve entrare per la vera porta, cioè per la vocazione di Gesù Cristo…; 2° la porta gli deve essere aperta dallo Spirito Santo…; 3° bisogna che le pecore possano intendere la sua voce e obbedirgli…; 4° si richiede che le conosca tutte…; 5° è tenuto a pascerle…; 6° deve camminare innanzi a loro…; 7° conviene che lo possano seguire con sicurezza e tranquillità…; 8° deve esporre la propria vita, se giovi alla loro salute. Il buon prete adempie tutto questo. Tale era S. Giovanni Crisostomo il quale, sul punto di partirsene per l\’esilio, in un commovente discorso che tenne al popolo, disse fra le altre cose: «Voi siete a me padre e madre, voi siete la mia vita, la mia felicità. Se saprò che voi avanzate in perfezione, io ne proverò gran gioia. Voi siete la mia corona e le mie ricchezze, in voi è riposto il mio tesoro. Io sono pronto a immolarmi le mille volte per voi, e questo è per parte mia non solamente un atto di carità, ma è 1\’adempimento di un dovere; perché il buon pastore è tenuto a sacrificare la sua vita per le pecore ed una tal morte genera l\’immortalità (Homil. ad pop.)».
«Io sono la porta, disse di sé Gesù Cristo. Chi entra per me sarà salvo; egli e uscirà e entrerà e troverà pascolo» (IOANN. X, 9). Tale è il prete zelante… «Egli entrerà, commenta S. Agostino, cioè penetrerà in Dio e in se stesso, per mezzo di una profonda meditazione, poi uscirà ad esercitare il suo zelo e salute delle anime (In haec verbo Evang.)». «Essi entreranno ed usciranno e troveranno pingui pascoli, osserva S. Gregorio; perché trovano nella loro anima il pascolo della contemplazione, e all\’esterno il pascolo delle buone opere; al di dentro si nutrono di virtù, al di fuori alimentano sé e gli altri con pie azioni (Pastor.)».
Il prete zelante si diporta come il pastore fedele: l° Questi conosce una per una le sue pecore e se ne dà cura; quegli conosce tutte le anime alla sua cura affidate, se ne occupa, le istruisce, le avverte, le dirige… 2° Il pastore guida la greggia ai pascoli che conosce più ubertosi; il sacerdote zelante si studia di fare lo stesso… 3° Il pastore vigila sui lupi e li tiene lontani dall\’ovile; non meno attento è il prete zelante per allontanare dal popolo gli eretici, gli empi, gli scandalosi… 4° Il pastore prende cura singolare delle pecore malate, e s\’ingegna di guarirle; riconduce quella che si è sbrancata; non altrimenti si regola il prete di zelo… 5° Il vero pastore imita Giacobbe il quale diceva: «Giorno e notte io stava esposto al caldo e al freddo, e non chiudeva palpebra al sonno» (Gen. XXXI, 40). E i primi cui comparve l\’Angelo annunciatore della nascita del Messia, erano pastori che stavano vegliando la notte su le loro gregge (Luc. II, 8-11)… 6° Per guardare e preservare le sue pecore dai pericoli; il buon pastore mette a cimento perfino la propria vita;. ecco la condotta del prete zelante; il quale si tiene sempre dinanzi quelle parole di S. Pietro: «Pascete il popolo di Dio a voi confidato; vegliando non per necessità, ma spontaneamente secondo Dio; non per avidità di lucro vergognoso, ma per affezione; non facendola da padroni nel clero, ma facendovi di tutto cuore modello del gregge» (1 PETR. V, 2-3).
La carità dev\’essere la prima virtù, il più prezioso ornamento di un sacerdote di Gesù Cristo. «Mi ami tu?» – domandò il Salvatore a Pietro. Sì, o Signore, voi ben sapete che io vi amo. Se è così, riprese Gesù, dammene prova col pascere i miei agnelli (IOANN. XXI, 15). Notate che tre volte Gesù volse la medesima domanda a Pietro, e tre volte Pietro diede la medesima risposta. Questa risposta diede con i fatti anche l\’Apostolo Paolo il quale poteva scrivere di se stesso: «Mentre io era sciolto da ogni legame verso chicchessia, mi sono fatto schiavo di tutti, per guadagnare molti. Con i Giudei mi regolai come giudeo, per trarre a Cristo i Giudei; con quelli che sono soggetti alla legge, trattai come se anch\’io le fossi soggetto, benché io non sia sotto la legge, per guadagnare al Cristianesimo i sudditi della legge; con quelli che non appartenevano alla legge, mi condussi come se nemmeno io vi appartenessi, mentre in verità non ero senza la legge di Dio, ma era soggetto alla legge di Cristo, per guadagnare quelli che erano senza la legge. Mi sono fatto debole coi deboli, tutto a tutti per salvare tutti. E tutte queste cose io faccio per l\’Evangelo, per avervi parte… Sì io corro, ma non a caso; combatto, ma non a vuoto; ma mortifico il mio corpo, e lo tengo schiavo (della ragione e della legge di Gesù Cristo). Affinché, dopo di aver predicato agli altri, non mi accada di andare io dannato» (I Cor. 9-27).
«Lo zelo, dice S. Agostino, è un effetto dell\’amore; adunque chi non ha zelo, non ha amore; ma chi non ama, è morto (In Psalm. CXVIII, serm. XVIII)». Perciò, come non vi fu mai alcuno che abbia amato Dio più di Gesù Cristo, così non vi fu mai nessuno che abbia spiegato maggior zelo per Iddio e per gli uomini, che Gesù Cristo. Ora che cosa operava lo zelo in Gesù Cristo? Uditelo dal medesimo S. Agostino: «Gesù Cristo si è fatto tutto a tutti, povero coi poveri, ricco coi ricchi, afflitto con gli afflItti, patì la fame con chi non aveva pane, soffrì la sete con chi era assetato, era abbondante con chi abbondava. È in carcere con l\’infelice, piange con Maria, banchetta con gli Apostoli, ha sete con la Samaritana (In Psalm)». Se il supremo Pastore fu immolato come una pecora, quelli che eletti tra le pecore divengono pastori, non devono temere di essere immolati.
«Quanto sono belli su le montagne, esclama Isaia, i piedi di colui che annunzia la pace e la felicità, che predica la salute e dice a Sionne: «Il tuo Dio regnerà» (ISAI. LII, 7). Quello che il Profeta ammira nei piedi degli Apostoli, dei sacerdoti, è 1° la loro velocità…; 2° la loro forza…; 3° la loro purezza…; 4° la loro leggiadria… Non con le armi e con le minacce gli Apostoli trionfano del mondo, ma con la soavità della loro ,santa vita e della loro dottrina; qui sta il segreto con cui cambiano il cuore ai popoli e ai re, e li conducono a Cristo; guariscono i sordi, i muti, i ciechi, i paralitici. Quindi la bellezza dei piedi indica lo splendore della speranza, della dottrina, della virtù, della pietà, dello zelo. Per significare queste meraviglie, Gesù Cristo volle lavare i piedi ai suoi Apostoli. Come la primavera fa germogliare e fiorire tutte le piante e risuscita la natura intera, così un prete zelante opera tutti questi miracoli nelle anime.
Ma osserviamo ancora il quadro che del suo zelo ci ha tracciato S. Paolo, per scolpirci meglio, in mente il ritratto del vero Sacerdote di Cristo: «Io mi trovo, scriveva ai Corinzi, tra gli affanni ferito, imprigionato, di frequente col coltello alla gola, patisco fame, sete, penuria di ogni cosa, caldo, freddo, nudità, mi logoro in veglie, in angosce, in digiuni: e senza queste cose esteriori, porto il peso della cura quotidiana, della sollecitudine per tutta la Chiesa. Chi s\’inferma, ed io non ammalo? Chi è scandalizzato ed io non ne avvampo di sdegno e di dispiacere?.. Ora perché tutti questi patimenti? Per vostra consolazione e salute… Noi siamo la vostra gloria, come voi siete la
nostra» (II Cor II, 23-29; Ib. I, 6-14). «Del resto, i segni del mio Apostolato si manifestano per mezzo di una longanime pazienza, di miracoli, di prodigi, di virtù» (Ib. XII, 12),
Udite poi quali teneri sentimenti nutre, quali affettuose espressioni adopera quando si tratta di qualche opera del suo ministero a pro dei fedeli: «In quanto a me, diceva ai Corinzi, darei ogni cosa mia ed anche me stesso volentieri per le anime vostre; e sì che vi parlo dinanzi a Dio in Gesù Cristo» (II Cor. XII, 15, 19). Ai sacerdoti di Efeso ricordava come non avesse mai cessato né giorno né notte dall\’ammonire con lagrime ciascuno di loro (Act. XX, 31). Esortava Timoteo che predicasse la parola divina e insistesse a tempo e fuor di tempo, riprendesse, ammonisse, scongiurasse con longanimità e dottrina (II Tim. IV, 2). «Fratelli, scriveva ai Galati, se qualche persona si è lasciata invischiare in qualche pania, voi che vivete secondo lo spirito, ritraetela con dolcezza, pensando a voi per timore che non cadiate anche voi nella tentazione» (Gal. VI, 1). In altro luogo chiamava i medesimi Galati, «figliuolini suoi ch\’egli nuovamente generava finché si formasse in loro Gesù Cristo» (Ib. IV, 19). A questo proposito S. Bernardo parlando ai sacerdoti, fa loro questa esortazione: «Imparate ad essere madri, non padroni di coloro che vi stanno soggetti; procurate di essere amati anziché temuti; e se talora vi è bisogno di severità, sia paterna, non tirannica (Serm. ad past, in Synod.)».
Bisognerebbe che ad ogni sacerdote di Gesù Cristo si potesse applicare quell\’elogio di Epafra fatto dalla bocca medesima di S. Paolo: «E sempre tutto sollecitudine per voi, affinché perseveriate nella perfezione e adempiate in tutto la volontà di Dio» (Coloss. IV, 12); e quell\’altro d\’Epafrodito: «Per l\’opera di Cristo corse prossimo pericolo di morte, sacrificando l\’anima sua» (Philipp. II, 30); ovvero l\’encomio che dell\’Apostolo delle genti scrisse il Crisostomo: «Paolo sbarbicava le spine del peccato e seminava dappertutto la parola della pietà; distruggeva l\’errore, stabiliva il vero; gli uomini faceva Angeli, anzi convertiva in Angeli perfino coloro che erano divenuti quasi demoni. Paolo poteva, con più ragione ed in più nobile senso, applicarsi quel celebre motto di Giulio Cesare: Venni, vidi, vinsi; egli percorreva il mondo intero e davasi premura d\’introdurre tutti nel regno di Dio, istruendo, promettendo, meditando, pregando, supplicando, spaventando, mettendo in fuga i demoni corruttori delle anime: ora con epistole, ora con la presenza, ora con discorsi, ora con azioni, ora per mezzo dei discepoli, ora per se stesso si travagliava a rialzare i caduti, a rinsaldare i fermi (De S. Paulo)».
Ad ogni sacerdote Iddio dice come l\’Apostolo ad Archippo: «Guarda qual ministero tu bai ricevuto dal Signore» (Coloss. IV, 17); perché chi non lavora all\’edificazione della Chiesa di Gesù Cristo, dice S. Gerolamo, e non ammaestra il popolo che gli è confidato per farne pietre adatte alla costruzione della Chiesa, costui non merita di chiamarsi né apostolo, né profeta, né evangelista, né pastore, né maestro (Epist. ad Ocean.). Ma se Dio esige dai suoi ministri fedeltà nella dispensazione dei misteri loro confidati e zelo nel lavoro, non esige però la guarigione dei malati spirituali, non pretende che il loro zelo sia sempre fecondo e copioso di frutti. Non si lasci dunque cadere d\’animo, quando poca è la messe ch\’egli raccoglie dalla sua seminagione, non si tolga sconfortato dal lavoro, ma con maggior lena continui l\’opera del suo zelo. «Come le polle d\’acqua, dice con bella similitudine il Crisostomo, non lasciano di zampillare ancorché nessuno vada a bere, e il fonte non cessa di scaturire ancorché nessuno vi attinga; così il vescovo, il predicatore non devono desistere dall\’annunziare la parola di Dio, ancorché pochi l\’ascoltino e ne profittino (Homil. de Lazaro)». Deve il sacerdote poter dire con S. Giuda ai fedeli, che egli si spende tutto per quanto sa e può a procurare la loro salute (IUD. 3); e con S. Paolo, che egli bada a camminare per la sua strada, per raggiungere lo scopo al quale è destinato dal Cristo Gesù; che crede di averlo raggiunto, ma che intanto dimenticando tutto quello che ha già fatto, si spinge sempre innanzi tendendo al termine, alla ricompensa alla quale lo chiama Dio (Philipp. III, 12-14).
Il sacerdote è, secondo la frase di S. Paolo, il delegato di Gesù Cristo, e per la sua bocca parla Iddio, esortando gli uomini a riconciliarsi con lui (II Cor. V, 20). Ora questi titoli e uffizi impongono loro il dovere di mostrarsi in tutto come ministri di Dio, con una grande pazienza nelle tribolazioni, nelle angustie, nelle necessità, nelle prigioni, nelle sommosse, nei travagli, nelle veglie, nei digiuni, nella purità, nella scienza, nella longanimità, nella mansuetudine, nello Spirito Santo, in un amore non finto, nella parola di verità, nella forza di Dio, per le armi della giustizia a destra e a sinistra, per la gloria e l\’umiliazione, per la buona fama e l\’infamia; trattati come seduttori, quantunque veridici nelle parole, come sconosciuti, benché conosciutissimi; come morenti, mentre sono pieni di vita; come tristi, mentre vivono nella gioia; come poveri e nullatenenti, mentre possiedono tutto e arricchiscono molti (Ib. IV, 4-10).
Di Gesù Cristo, capo e modello dei preti, scrisse il suo Vicario in terra, che «passò facendo del bene e sanando tutti quelli che il demonio teneva oppressi, perché Dio era con lui» (Act. X, 38). Del sacerdote Aronne si legge che fece prodigi innanzi al popolo, e che perciò questo credette e si persuase che il Signore aveva visitato i figli d\’Israele e veduto la loro afflizione; e prostrandosi a terra lo adorarono (Exod. IV, 30-31). A somiglianza di Aronne, il prete zelante fa meraviglie, i popoli prestano fede alle sue parole, vedono che Dio li ha visitati nella sua misericordia per mezzo di questo buon pastore, e si consacrano al servizio del Signore. Ad esempio di Giuda Maccabeo, il sacerdote ardente di zelo arma le anime non di lance o di usberghi, ma di forti parole ed esortazioni (II Mach. XV, 11); le sprona a combattere vigorosamente e a stare salde fino alla morte per la legge divina e per la Chiesa (Ib. XIII, 14).
Bisogna che il prete possa dire col Signore in Ezechiele: Io, io in persona cercherò le mie pecore, e le visiterò, e le radunerò da tutti i luoghi in cui erano state disperse nei giorni di tenebre e di tempesta; io le condurrò nella loro terra (nella virtù, nella gloria), le menerò al pascola su le montagne, lungo i rivi, e in tutte le regioni più comode. Le guiderò là dove i pascoli sono più pingui e le farò riposare su l\’erba verdeggiante – degli alti monti. Andrò in cerca delle pecore smarrite, rialzerò le cadute, fascerò le piaghe alle ferite, conforterò le deboli, conserverò le robuste (EZECH. XXXIV, 11-15). Queste parole sono così commentate da S. Gregorio: «Le pecore cadute sono rialzate quando, prostrate dal peccato, sono richiamate allo stato di giustizia dallo zelo di un buon sacerdote. Fascia poi le piaghe alle ferite, quando cancella la macchia della colpa col lavacro della disciplina, e non lascia che si aggravi… Ah! se con tanta alacrità lavorava e vegliava Giacobbe, che pasceva il gregge di Labano, quale non dev\’essere il lavoro, lo zelo, la vigilanza di colui che pasce le pecore del Signore? (Pastoral.)». Udite anche il bel commento che del citato testo ci dà S. Clemente: «Il prete ama i fedeli come suoi figli, li coltiva, li carezza come chioccia i suoi pulcini. Governa quelli che sono sani e li provvede di cibo; sostiene quelli che sono deboli, vegliando su di loro, illuminandoli, incoraggiandoli; guarisce i malati, istruendoli e loro procurando la grazia, rimargina le ferite con l\’olio della carità e della dolcezza, riconduce i traviati con la sua bontà e misericordia» (Strom. 1. III).
Il buon prete, lo zelante pastore fa sue quelle tenere frasi di S. Agostino: «Credete pure che io sono la madre delle anime vostre, determinato a spendere attorno a voi le più amorose cure, affinché al tribunale dell\’eterno giudice non compaia in voi macchia né ruga. Bramoso di procurare alle anime vostre non solamente degli ornamenti, ma ancora dei rimedi, mi travaglio a congiungere quello che è disunito, a riparare quello che è squarciato, il medicare quello che è ferito, a lavare quello che è sudicio, a trovare quello che è perduto, e ad ornare di spirituali diamanti quello che è integro e sano (De morib. Eccles.)».