Fede e vita di fede (01)

…La fede nella S. SCRITTURA. Il dovere di ascolto dell’uomo verso DIO. Il dovere della fede. I presupposti della fede. Natura della fede. Necessità della fede. La necessità della fede per la salvezza è continuamente affermata nella S. Scrittura. Le verità necessarie. Il magistero ecclesiastico. Esercizio e professione della fede. Professione di fede, contatti ecumenici e comunicazione “IN SACRIS”….

Trattato di Teologia morale


PARTE I.


L’UOMO DI FRONTE A DIO


FEDE E VITA DI FEDE


LA FEDE NELLA S. SCRITTURA.


La S. Scrittura è come una lettera di Dio all’uomo e tutta la Rivelazione, contenuta nei Libri Santi e nella Tradizione, è la Parola di Dio all’uomo.


L’uomo deve una risposta e risponde a Dio con la fede, espressione vitale del rapporto fra creatura e Creatore, del figlio alla parola del Padre.


La rivelazione è ordinata proprio a suscitare nell’uomo la fede, orientamento decisivo della vita.


Questo motivo fondamentale è evidente dalla prima all’ultima pagina della Bibbia, tanto che potrebbe compendiarsi nelle parole di S. Giovanni: ” Queste cose sono state scritte affinché crediate che Gesù è il Cristo, il figlio di Dio, e, credendo, abbiate la vita nel suo nome ” (Gv 20, 31)  (1).


Infatti, la fede è la trama dell’Antico e del Nuovo Testamento, che si riducono a un patto stabilito da Dio prima col popolo l’Israele, poi con tutto il genere umano. Questo patto è fondato sul rapporto tra Dio che parla, chiama, comanda, promette, e l’uomo, che ascolta, crede obbedisce e spera. Il primo patto converge in Cristo, il secondo scaturisce dal primo e l’uno e l’altro tendono a orientare e innestare l’uomo in Cristo Salvatore. La fede è l’inizio della salvezza (Rm 5, 1; 9, 30).


Nell’Antico Testamento si ha il prototipo della fede nella persona di Abramo che crede alle promesse di Dio, nonostante tutte le difficoltà, arrivando ad immolare l’unico figlio Isacco. Questa fede piena, che investe non solo l’intelletto, ma anche la volontà e tutto l’uomo, continua a dominare in Mosè e in tutti i patriarchi e profeti, che vivono la fede in Dio e si adoperano a trasfonderla nel popolo eletto.


Tutta un’esplosione di fede si ha nel Nuovo Testamento che s’inizia in Maria annunziata dall’Angelo e si chiude con la fede degli Apostoli in Cristo Risorto (2).


Nella Scrittura troviamo anche la definizione della fede: ” La fede è la sostanza (thársei  = realtà) delle cose sperate, argomento (pístis = dimostrazione) delle cose che non si vedono “. Fede dunque di carattere intellettuale, che S. Paolo attribuisce anche ai patriarchi dell’A.T.; ma fede che importa fiducia, obbedienza, ossequio a Dio, fede in senso pieno che giustifica l’uomo, rendendolo partecipe della giustizia di Dio (Eb 11, 1).



IL DOVERE DI ASCOLTO DELL’UOMO VERSO DIO.


È determinato dai suoi rapporti di assoluta dipendenza da Dio come causa fondamentale e causa finale di ogni cosa. Questi rapporti sono necessariamente diversi nell’ordine della natura ed in quello della grazia, atteso il duplice nuovo fattore dell’elevazione dell’uomo e della rivelazione.


Il primo e fondamentale dovere dell’uomo è quello di cercare Dio e di accettarlo come Verità sotto ogni forma in cui gli si manifesti. In virtù di quest’obbligo fondamentale l’uomo è tenuto prima di tutto ad accogliere la manifestazione di Dio naturale con il risalire per quanto può per mezzo della ragione dagli effetti creati alla Causa increata. È questo il primo omaggio dovuto dall’umana intelligenza a Dio, alla verità divina. Quest’omaggio sarebbe stato l’unico in questo campo, se Dio avesse circoscritto la manifestazione di sé nell’ambito della ragione e della natura.


Dio però si è degnato di fatto di manifestarsi all’uomo anche in forma diretta e soprannaturale e lo ha reso così partecipe della conoscenza intima che Egli ha di sé sotto forma di fede prima, in questa terra, sotto forma di visione poi, nella vita beata.


In questa terra dunque Dio si è rivelato all’uomo, oltre che come Causa del tutto, anche come amico che fa delle confidenze e chiede la fiducia nelle sue parole, confidenze come di padre a figlio.


La fede è l’accettazione della rivelazione soprannaturale di Dio in terra per l’autorevole sua testimonianza, S, Paolo parla di una giustizia derivata da Dio e realmente posseduta dall’uomo credente, non soltanto a lui imputata come pensava Lutero. La fede è un mezzo per ottenere questa giustizia; fede piena e non semplice fiducia; fede che orienta tutto l’uomo verso Cristo e lo impegna a riprodurne la parola e l’esempio in opere sante, fatte sotto l’impulso della carità  (3). È un dono di Dio (4) per conseguenza la fede soprannaturale è specificamente differente dalla conoscenza naturale di Dio (5). Il Concilio Vaticano I, la definisce: ” Una virtù soprannaturale con la quale, prevenuti ed aiutati dalla grazia di Dio, noi crediamo vere le cose rivelateci da Lui, non a causa della loro verità intrinseca, percepita con il lume naturale della ragione, ma a causa dell’autorità di Dio rivelante, il quale non può essere ingannato, né ingannarci” (6) .


Nell’insegnamento tradizionale, costante e comune, della Chiesa Cattolica, la fede figura non solo come un valore gnoseologico, ma anche come un valore morale per la libertà psicologica ad essa congenita.




Titolo I – IL DOVERE DELLA FEDE



I. I PRESUPPOSTI DELLA FEDE (7).


1. Presupposti ontologici. Supposta l’esistenza di Dio, essi consistono nella vocazione dell’uomo ad un fine e ad un ordine che superano la sua capacità. Associati da Dio alla sua medesima vita (8), richiamati, dopo la prevaricazione, a nuova vita nel Cristo, in Lui siamo da tutta l’eternità predestinati (9), ricevendo in Lui ” l’adozione salvatrice ” “. Piantati “, inseriti nel Cristo “, dobbiamo crescere continuamente in Lui “, rivestendoci di Lui “, prendendo in noi i suoi stessi sentimenti (15), per poter così, per mezzo suo, imitare nelle nostre opere Dio, della cui vita siamo stati fatti partecipi (16). Egli è l’unica via che conduce al Padre (17), non solo sotto l’aspetto soteriologico, ma anche sotto l’aspetto etico.



2. Presupposti logici. Dio avrebbe potuto certamente salvare l’uomo in maniera differente. Ma, avendo scelta questa via, era necessario che l’uomo prendesse coscienza della sua nuova vita e dei suoi nuovi doveri. Ed ecco la rivelazione che, oltre a confermarlo nelle verità di cui è naturalmente capace, gli svela i misteri di Dio e del suo Cristo, e gli indica la nuova via per giungere al Padre. Di qui il dovere e la necessità della fede.



3. Presupposti razionali. L’uomo non può ragionevolmente negare a Dio il potere che egli stesso ha, di comunicare agli altri il proprio pensiero e farsi capire. Inoltre egli sa, con il semplice uso della sua ragione, che Dio non può né ingannarsi né ingannare e che può esigere da lui l’ossequio della sua mente e della sua volontà, una volta che egli abbia riconosciuta la sua parola. Sicché, di fronte all’annunzio di una rivelazione che tanto lo interessa, l’uomo non può rimanere indifferente, ma è tenuto a ricercarne l’autenticità e, riconosciutala, accoglierla. È cosi che egli arriva a formulare il cosi detto giudizio di credibilità che prepara la sua anima alla fede; giudizio che non prende vita da un vago sentimento, ne ha origine in una semplice aspirazione dello spirito, ma poggia necessariamente su quei motivi che rendono moralmente certo il fatto della rivelazione (18), Essi però non sono ancora la fede, ma ne costituiscono i presupposti.



4. Oggetto della fede (19) sono le verità che Dio ha gradualmente rivelate fin dall’inizio (20) e culminanti nella predicazione di Cristo e degli Apostoli (21).


Imperniate tutte intorno a Dio, considerato come fine soprannaturale della nostra vita, oggetto delle nostre speranze e termine del nostro cammino, esse contengono quanto è necessario all’uomo per conseguire la vita eterna. Sicché con l’ultimo si è chiusa la rivelazione pubblica e si è iniziato quel processo di approfondimento e di sviluppo che la Chiesa instancabilmente persegue da venti secoli, senza nulla detrarre e nulla aggiungere a quanto è stato rivelato (22).



5. Motivo formale della fede è l’autorità di Dio rivelante, cioè a dire la sua onniscienza e la sua veracità; e si tratta di Dio non solo come autore della natura, ma anche come autore della grazia. L’atto, con il quale Dio rivela, appartiene già, secondo i tornisti, al motivo della fede, mentre la formulazione infallibile delle verità che la Chiesa propone è solo una condizione sine qua non della fede. Questa formulazione infatti ci applica soltanto la Rivelazione già esistente, senza influire formalmente sulla nostra intelligenza e volontà.



6. L’atto della fede, considerato nel soggetto è un atto dell’intelligenza mossa dalla volontà a dare il suo assenso(23). L’atto della volontà è richiesto non solo per l’attenzione quale si esige nell’atto scientifico della dimostrazione, ma anche per determinare l’intelligenza all’affermazione piuttosto che alla negazione, poiché l’oggetto che si deve credere non è visto, né dimostrato, ma resta oscuro. Occorre quindi che la volontà costringa l’intelletto a quest’assenso, a causa di considerazioni fuori dell’evidenza oggettiva .


Ma non basta neppure la buona volontà naturale, occorre la grazia della fede (la virtù infusa della fede e la grazia attuale), perché l’oggetto, almeno principale, che si deve credere è essenzialmente soprannaturale, comprendendo i misteri della vita intima di Dio e l’atto stesso della virtù infusa della fede è pure essenzialmente soprannaturale (25).



II. NATURA DELLA FEDE.


1.  Natura. L’atto di fede non è dunque un semplice movimento fiducioso della volontà, con il quale ciascuno applica a sé le promesse divine circa il perdono dei peccati. E non è nemmeno la conclusione logica di un raziocinio, le cui premesse siano costituite dai suoi medesimi presupposti (26), ma è un atto dell’intelletto con il quale noi liberamente aderiamo alla verità rivelata, appoggiandoci sull’autorità di Dio rivelatore. Adesione che non è solo riconoscimento teorico della rivelazione e dell’autorità di Dio, ma è accettazione volontaria dell’una e dell’altra; frutto, perciò, non della logica ma dell’umiltà e della grazia. In questa accettazione non è solo l’intelligenza, ma anche la volontà che si piega dinanzi a Dio in atto di profondo ossequio (27). I presupposti razionali sono perciò necessari alla fede, ma questa, tutt’altro che risolversi nei medesimi, ha un suo particolare significato ed una sua profonda originalità.


Per questo l’assenso della fede è essenzialmente libero, mentre, se fosse la conseguenza di un raziocinio, sarebbe, al pari delle altre conclusioni, necessario. Esso di fatti non fa leva sull’evidenza, ma sull’autorità e questa non illumina il suo oggetto, ma lo lascia immerso nell’oscurità. Di qui il suo merito (28). Di qui ancora la sua dignità: chi crede, subordinando la sua mente a Dio, riposa in una certezza superiore a tutte le altre certezze terrene, che non permette il minimo dubbio.



2. Compito della fede. Se questo è, pertanto, il compito della fede, di metterci in cosciente rapporto con Dio, autore dell’ordine soprannaturale, essa non può essere intesa, come hanno preteso alcuni, in senso largo, o come semplice conoscenza razionale di Dio creatore e rimuneratore (Vega, Estrix, Gutberlet), o come disposizione dell’anima, esplicita od implicita, ad accogliere la rivelazione, nel caso che questa si manifesti (Straub) (29); ma va necessariamente considerata come accettazione positiva della rivelazione di Dio realmente conosciuta. La conoscenza razionale di Dio e la disposizione ad accogliere la sua rivelazione rimangono ancora, dal punto di vista del loro oggetto, nel piano naturale e, prescindendo completamente dal contenuto della fede, non danno in nessun modo ragione del compito ad essa assegnato nei documenti della rivelazione.



III. NECESSITÀ DELLA FEDE.


1.  La necessità della fede per la salvezza è continuamente affermata nella S. Scrittura.


Solo chi crede sarà salvo, chi invece non crede sarà inesorabilmente condannato ” (30). Né si tratta di un semplice precetto, dal quale, l’ignoranza, se invincibile, possa scusare, ma di un mezzo assolutamente necessario: senza la fede è impossibile piacere a Dio (31); la giustizia è dalla fede (32), poggia su di essa come sul suo fondamento; tutti, ebrei e gentili, sono ” giustificati per motivo della fede ” (33) , senza di essa l’osservanza della legge non ha valore in ordine alla giustificazione “(34).


La fede è, perciò, l’inizio della salvezza (35), il principio della giustificazione (36). E ciò per tutti, sia bambini che adulti: nei primi mediante l’abito infuso, il solo del quale sono capaci; nei secondi invece (e qui per adulti s’intendono coloro che hanno raggiunti gli anni della discrezione), mediante la propria volontaria adesione alle verità rivelate. Solo così, di fatti, la loro vita può muoversi su di un piano soprannaturale e diventare la via per la vita futura.


La dottrina cattolica circa la necessità della fede per salvarsi importa l’oggettiva obbligatorietà della fede per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, il problema della salvezza, su cui si tornerà in seguito.


Dal punto di vista dell’oggetto che cosa deve credere il cristiano cattolico?



2. Le verità necessarie.


Se è vero che bisogna ricercare nel contenuto della fede la ragione fondamentale della sua necessità, è anche vero che non tutte le verità rivelate hanno Io stesso rapporto di necessità con la nostra salvezza.


a) Implicitamente noi dobbiamo accogliere tutta la rivelazione.


Quali sono invece le verità, la cui fede esplicita è necessaria (37) per la salvezza?


Chi cammina verso una meta deve, innanzi tutto, conoscerla. La S. Scrittura è quanto mai esplicita su questo punto: “Senza la fede è impossibile piacere (a Dio); perché chiunque si avvicina a Dio deve credere che egli esiste e che diventa rimuneratore per coloro che lo cercano” (38). Dunque non è possibile avvicinarsi a Dio, ricevere cioè la giustificazione, senza la fede in Lui, autore e termine dell’ordine soprannaturale.


Può dirsi lo stesso della fede nella Trinità e nell’Incarnazione? Prima che la scoperta del nuovo mondo sollevasse i difficili e noti problemi relativamente alla sorte degli infedeli, i teologi non mettevano in dubbio la necessità, dopo la venuta di Cristo (39), della fede esplicita anche in queste due ultime verità. Non così in seguito (40),


Tuttavia noi non riusciamo a conciliare le nuove teorie con i numerosi ed espliciti testi della S. Scrittura. ” La giustizia di Dio – grida l’Apostolo S, Paolo – è dalla fede di Gesù Cristo ” (41); Dio ” giustifica chiunque dipende dalla fede di Gesù ” (42); per questo ” sapendo come l’uomo non è giustificato per le opere della legge, ma per la fede di Gesù Cristo, crediamo anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati per la fede del Cristo, e non per le opere della legge ” (43). Il pensiero di Paolo è lo stesso di quello di Pietro: Cristo è la pietra angolare. ” Né c’è in altro salvezza, e non v’è altro nome sotto il cielo dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci ” (44).


Del resto se nessuno va al Padre se non per mezzo del Cristo (45), se l’uomo riceve la giustificazione diventando membro di Cristo (46), se egli deve spogliarsi dell’uomo vecchio (47), per rivestirsi continuamente di Lui (48), è pur necessario aver fede in Lui. Analoghe riflessioni potrebbero essere fatte relativamente al mistero della Trinità, non solo per la sua intima relazione col mistero della Incarnazione, ma anche per la nostra intima associazione a questo stesso mistero, oggi nella vita di grazia, e domani nella vita di gloria.


b) Comunque tutti ammettono il dovere grave – necessità di precetto – di conoscere esplicitamente questi due misteri, nonché le altre principali verità teoriche e pratiche del cristianesimo: quelle contenute nel simbolo degli Apostoli, la necessità e la natura della preghiera cristiana, i precetti del Decalogo e quelli della Chiesa; i sacramenti necessari a tutti e quelli che ciascuno in particolare si prepara a ricevere (49).


Ma non è a questo minimum che deve arrestarsi nei singoli la scienza di Cristo: essa deve essere proporzionata alla loro capacità ed ai loro bisogni, affinché il loro amore ” abbondi ancor più in cognizione ed in ogni discernimento ” (50). Talvolta invece la mancanza di equilibrio tra la cultura profana e quella religiosa è occasione di intime crisi e di pericolosi disorientamenti.


c) Infine, oltreché alle verità rivelate da Dio, noi siamo tenuti a prestare il nostro assenso anche a tutte quelle verità che, pur non essendo in se stesse rivelate, si connettono tuttavia in qualsiasi modo col dato rivelato, come ad es. le verità d’ordine religioso naturale ed i cosiddetti fatti dogmatici (51).



3. Il magistero ecclesiastico.


Per ciò che riguarda le verità rivelate da Dio, per scritto o a voce, la norma della fede è il magistero solenne e ordinario della Chiesa (52), quello si concreta nelle definizioni dogmatiche papali e conciliari; questo consiste nell’unanime insegnamento dell’episcopato unito al Papa. Una definizione dogmatica per vincolare come tale la fede deve constare in modo certo e manifesto; di conseguenza una definizione dubbia è praticamente una definizione nulla. In alcuni casi, la Chiesa docente esprime il suo giudizio dottrinale senza impegnare in modo definitivo tutta la sua autorità. Spesso il magistero ecclesiastico approva o disapprova una dottrina, senza pronunziarsi definitivamente sulla sua assoluta verità o falsità. Questi atti di magistero vengono emanati, anche con l’approvazione del Pontefice, dalle Congregazioni Romane e dalle Commissioni Pontificie in forma di Decreti e di Costituzioni, nonché dalle pastorali dei vescovi in comunione con il Papa. Il Concilio ecumenico Vaticano II non soltanto non ha rinnegato o sottaciuto l’autorità del Magistero ordinario, ma l’ha esplicitamente e chiaramente affermata: ” I Vescovi sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli, sono dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, e la illustrano con la luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della Rivelazione cose nuove e vecchie (cfr. Mt 13, 52), la fanno fruttificare e vegliano per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano (cfr, 2 Tim 4, 1-4), I Vescovi, quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice, devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accettare il giudizio dato dal loro Vescovo in nome di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi con religioso rispetto. Questo religioso ossequio della volontà e della intelligenza deve essere prestato in modo particolare al Magistero autentico del Romano Pontefice, anche quando non parla ” ex cathedra “, così che il suo supremo magistero sia accettato con riverenza, e con sincerità si aderisca alle sentenze da lui date secondo la mente e la volontà da lui manifestata, che si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal riproporre frequentemente la stessa dottrina, sia dal tenore dell’espressione verbale ” (LG n. 25).


Il Magistero ordinario dei Vescovi e del Romano Pontefice è la forma comune e normale di esercizio di quella autorità di insegnamento che Gesù Cristo ha lasciato agli Apostoli ed ai loro successori, ed ha garantito di una particolare assistenza dello Spirito Santo. “Nella persona dei Vescovi,,, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, Pontefice Sommo, Sedendo, infatti, alla destra di Dio Padre non cessa di essere presente alla comunione dei suoi Pontefici, ma per mezzo del loro eccelso ministero in primo luogo predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i Sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno


incorpora nuove membra al suo corpo con la rigenerazione soprannaturale; e infine con la loro sapienza e prudenza dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l’eterna beatitudine ” (LG n. 21).


II Magistero non è avulso dall’intera comunità cristiana: ogni Vescovo, e lo stesso Romano Pontefice, prima di essere Vescovo e Romano Pontefice, sono dei fedeli, nutriti dalla fede della Chiesa madre, cioè educati ed istruiti a conoscere l’insegnamento di Gesù Cristo, conservato fedelmente nella Chiesa universale e per mezzo di essa nelle comunità particolari. La sostanza, le linee dominanti e le direttive di pensiero provengono quindi dalla intera comunità cristiana, che ha fedelmente conservato e trasmesso fino a noi la parola del Signore sotto la guida del Magistero delle generazioni passate.


Quanto all’obbedienza dovuta al magistero ordinario, la Costituzione Lumen Gentium, nel paragrafo dedicato a questo argomento (n, 25), presenta quattro forme di esercizio del Magistero ordinario, a ciascuna delle quali corrisponde una particolare forma di obbedienza.


a) Vi è l’insegnamento dei singoli Vescovi in comunione con il Romano Pontefice: in virtù della consacrazione episcopale e della appartenenza al Collegio episcopale, ciascuno di essi è testimone ufficiale della verità divina e cattolica, e come tale deve essere da tutti ascoltato con venerazione;


b) V’è in secondo luogo l’insegnamento autoritario del Vescovo nella propria Diocesi. Quando egli, in unione col Romano Pontefice, parla, in nome di Cristo, in materia di fede e di costumi, i fedeli devono aderire con religioso rispetto al suo insegnamento ed alle sue decisioni dottrinali;


c) V’è l’insegnamento autentico del Romano Pontefice, quando si manifesta senza le condizioni e le garanzie di infallibilità proprie dell’insegnamento ” ex cathedra “. Ad esso è dovuta un’adesione religiosa di volontà e di intelligenza ancora più profonda, proporzionale al grado di autorità di tale insegnamento;


d) Vi può essere, infine, anche il caso di un insegnamento infallibile del Magistero ordinario, al quale è dovuta un’adesione assoluta e definitiva: un’adesione di fede fondata sull’autorità infallibile della Chiesa docente.


La possibilità di un insegnamento ordinario infallibile è insegnata esplicitamente dal Concilio Vaticano II; ” Quantunque i singoli Vescovi non godano della prerogativa della infallibilità, quando tuttavia, anche dispersi per il mondo, ma conservando il vincolo della comunione tra di loro e con il successore di Pietro, nel loro insegnamento autentico circa materie di fede e di morale convengono nell’insegnare una dottrina come definitiva, annunziano infallibilmente la dottrina di Cristo” (LG n, 25).


Perciò il dovere della fede include l’obbligo di aderire a tutti i giudizi del magistero ecclesiastico (53). Questo assenso, dovuto ai giudizi della Chiesa docente, sarà corrispondente al merito di essi (54).


Anche dopo la Rivelazione pubblica destinata a tutti gli uomini, giusta i suoi inscrutabili consigli, Dio si manifesta ancora con segni visibili nelle così dette visioni ed apparizioni (55) specialmente a quelle anime, che con la umiltà ed il distacco delle cose terrene, più cercano di avvicinarsi a Lui e di meritare il suo amore.


Queste rivelazioni private mai potranno contrastare con la rivelazione pubblica, rispetto alla quale hanno una funzione solo supererogatoria e relativa, cioè come conforto alla fede di qualcuno; e mai potranno essere imposte come elementi di fede cattolica indispensabile alla salvezza.


Innanzitutto assai difficilmente si può raggiungere la certezza assoluta che una visione o rivelazione sia di origine divina. Con più facilità potrà raggiungerla colui che la riceve ed in questo caso egli è tenuto a credere di fede soprannaturale, Ma perché la convinzione di colui che la riceve divenga certezza obbligatoria per gli altri, occorre che egli presenti delle garanzie debitamente costatate, i cui caratteri esigano un intervento preternaturale. Poiché il popolo è sempre avido di meraviglioso e di un contatto facile coti il divino, non sarà mai abbastanza raccomandata in queste cose prudenza e riserbo. E così fa la Chiesa (56). Operare con prudenza è imitare la SS.ma Vergine stessa (57).


Le visioni e le rivelazioni che hanno avuto una grande celebrità nella Chiesa (Paray Le Monial, Lourdes, Fatima) sono state anche sottoposte alla dura prova della contraddizione. Quando al contrario una visione ed apparizione non è riuscita a superare molti ostacoli, si deve per ciò stesso tenere come sospetta.



IV. ESERCIZIO E PROFESSIONE DELLA FEDE.


1.  L’esercizio della fede. La fede è un mezzo positivo per la salvezza; essa costituisce per l’uomo adulto la sua prima presa di contatto con Dio, autore dell’ordine soprannaturale, l’inizio della sua incorporazione in Cristo (58) ed il mezzo per rimanere in Lui (59). Essa va, perciò, positivamente esercitata. E si è tenuti a ciò direttamente e indirettamente:


1) direttamente all’inizio della vita morale, non appena la verità rivelata è sufficientemente conosciuta; in seguito, durante tutta la vita, con una frequenza che è difficile definire, ma che resta determinata dalla stessa pratica della vita cristiana; ed al momento della morte quando si è più vicini al termine di tutta la nostra operosità terrena;


2) indirettamente, quando, p. es., bisogna vincere una tentazione contro la fede, o si deve compiere un dovere che esige l’esercizio di questa virtù.


La fede, al pari di qualsiasi altra virtù, è suscettibile di aumento, cioè di una sempre più larga estensione del suo raggio di influenza, tanto nel pensiero come nell’operosità. In questo suo progresso essa è aiutata dai doni dell’intelletto e della scienza, che danno all’anima di poter penetrare nello spirito delle verità rivelate e nel senso soprannaturale delle cose.



2.  La professione di fede (60). È un dovere di religione, di coerenza, di carità. Chi rinnega il Cristo offende Lui, rinnega se stesso, offende la fede degli altri. Nel suo atteggiamento è la sua stessa condanna. Il Cristo non può riconoscere dinanzi al Padre chi si è vergognato di Lui dinanzi agli uomini, preferendo alla sua dignità di cristiano altri interessi. Per questo S. Paolo afferma che ” col credere di cuore si giunge alla giustizia, e colla confessione delle labbra si perviene alla salute “(61).


Il precetto di confessare la nostra fede ha oggettivamente un duplice aspetto, negativo l’uno, positivo l’altro. Nel suo aspetto negativo ci obbliga a non rinnegare il Vangelo con le parole o con i fatti e a non professare una fede falsa(62). Nel suo aspetto positivo ci comanda di affermare la nostra fede, non a caso, ma quando sono impegnati l’onore della religione o la salute delle anime, Ora la negazione esterna della fede è sempre illecita, anche se internamente questa defezione non ha luogo (63).


L’occultamento della fede, invece, può essere lecito o illecito secondo le circostanze. La negazione della fede può effettuarsi in modo diretto o indiretto, cioè o con l’intenzione esplicita di farlo oppure adoperando atti o parole che o in sé o a causa delle circostanze significano una implicita rinnegazione od una falsa professione, senza l’intenzione di aderirvi. Negazione indiretta della fede è, ad es., l’uso di distintivi o divise caratteristiche e proprie di società dichiaratamente antireligiose, costituendo ciò un’implicita rinnegazione della fede. (64)


Quando il silenzio o la tergiversazione comporterebbero una implicita rinnegazione della fede oppure si opporrebbero comunque all’onore di Dio ed al bene delle anime (can. 1325 § 1), vi è l’obbligo di professare positivamente la fede. Negli altri casi (domande indiscrete di persone senza autorità, vessazioni, ecc.) la professione di fede potrà essere atto di maggiore virtù, ma non si può condannare di peccato il tacere o dissimulare la fede (occultamento della fede) supposta una giusta e proporzionata causa. Anzi talvolta il silenzio può essere richiesto dallo stesso onore di Dio e dal bene delle anime, lo stesso si dica della fuga in periodo di persecuzione.


Oltre il precetto divino della professione esterna della fede, un obbligo positivo di professione di fede ci viene imposto talvolta dalla legislazione ecclesiastica”, che obbliga certe persone ad emetterla per legge liturgica (Battesimo, Cresima, Ordine) o disciplinare (in occasione di promozione a benefici, uffici e dignità ecclesiastiche), determinando spesso la formula secondo cui emetterla.


La negazione indiretta della fede può anche aversi, infine, con la partecipazione attiva a riti di altre religioni, quando è fatta per indifferentismo religioso o imprudentemente, oltre i limiti consentiti dalle competenti autorità religiose, pure aperte ad un sano ecumenismo (67).



V. PROFESSIONE DI FEDE, CONTATTI ECUMENICI E COMUNICAZIONE “IN SACRIS”.


La mente della Chiesa al riguardo è espressa in alcuni decreti e dichiarazioni del Concilio ecumenico Vaticano II: decr. Orientalium ecclesiarum, sulle chiese orientali separate; Unitatis redintegratio, sull’ecumenismo e dichiar. Nostra aetate, sulle religioni non cristiane.


Il decreto Orientalium ecclesiarum precisa: ” La comunicazione in cose sacre che offende l’unità della Chiesa o include formale adesione all’errore o pericolo di errare nella fede, di scandalo e di indifferentismo, è proibita dalla legge divina. Ma la prassi pastorale dimostra, per quanto riguarda i fratelli orientali, che si possono e si devono considerare varie circostanze di singole persone, nelle quali né si lede l’unità della Chiesa, né vi sono pericoli da evitare, e invece urgono la necessità della salvezza e il bene spirituale delle anime. Perciò la Chiesa cattolica, secondo le circostanze di tempo, di luogo e di persone, ha usato spesso e usa una più mite maniera di agire, offrendo a tutti tra i cristiani i mezzi della salute e la testimonianza della carità, per mezzo della partecipazione nei sacramenti e in altre funzioni e cose sacre. In considerazione di questo, il santo Concilio, ” per non essere noi, con la severità della sentenza, di impedimento a coloro che sono salvati ” e per fomentare sempre più l’unione con le Chiese orientali da noi separate, stabilisce il seguente modo di agire.


Posti i sopra memorati principi, agli orientali, che in buona fede si trovano separati dalla Chiesa cattolica, si possono conferire, se spontaneamente li chiedano e siano ben disposti, i sacramenti della Penitenza, della Eucaristia e dell’Unzione degli infermi; anzi, anche ai cattolici è lecito chiedere questi sacramenti dai ministri acattolici, nella cui Chiesa si hanno validi sacramenti, ogniqualvolta la necessità o una vera spirituale utilità a ciò persuada, e l’accesso a un sacerdote cattolico riesca fisicamente o moralmente impossibile.


Parimenti, posti gli stessi principi, per una giusta ragione è permessa la partecipazione in funzioni, cose e luoghi sacri, tra cattolici e fratelli separati “(68).


Anche il decreto sull’Ecumenismo (Unitatis redintegratio) raccomanda ai cattolici di unirsi, a volte, coi fratelli separati.


Il decreto addita inoltre le ricchezze di Cristo, che questi fratelli possiedono, pur senza l’intera pienezza dei beni di Cristo. Riconosce inoltre che, nonostante profonde differenze, le sacre azioni della religione cristiana, che le comunità ecclesiali compiono, possono – secondo lo stato e la natura di ciascuna di queste comunità – veramente produrre in quelli che vi partecipano la vita e l’aumento della grazia.


In alcune speciali circostanze, come sono le preghiere che vengono indette ” per l’unità “, e nei congressi ecumenici, è lecito, anzi desiderabile, che i cattolici si associno nella preghiera con i fratelli separati. Tuttavia la comunicazione in cose sacre non la si deve considerare come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell’unità dei cristiani.


I cattolici debitamente preparati devono acquistare una migliore conoscenza della dottrina e della storia, della vita spirituale e liturgica, della psicologia religiosa e della cultura propria dei fratelli, “A questo scopo molto giovano i congressi, con la partecipazione di entrambe le parti, per trattare specialmente questioni teologiche” (n. 9).


Quanto alle Chiese orientali, esse, nonostante la separazione, sono rimaste Chiese, Possiedono un patrimonio proprio, che giustifica le loro particolarità in materia di liturgia, di spiritualità, di legislazione canonica ed anche di teologia.


Quanto alle Chiese e Comunità ecclesiali separate, di origine occidentale, queste, per la loro diversità di origine, di dottrina e di vita spirituale, differiscono non poco, anche tra di loro e non solo dalla Chiesa cattolica. Tuttavia il dialogo è anche qui possibile, nonostante le divergenze, e basi solide per un dialogo sono il fervore con cui il mondo protestante venera la S. Scrittura; il battesimo che costituisce il vincolo sacramentale dell’unità; ma che tende alla pienezza della vita di Cristo; la vita cristiana e le attività cristiane nel mondo, che costituiscono un magnifico campo di lavoro in comune. L’indiscriminata comunicazione in sacris è anche oggi proibita (69).


Anche fuori del cristianesimo tutti coloro che professano una religione condividono con i cristiani l’apprezzamento dei valori religiosi, con varia gradualità, secondo le varie credenze religiose (Ebrei, Maomettani, Buddisti, ecc.).


La Chiesa ” esorta i suoi figli, affinché con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e la collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi ” (70).



NOTE


(1) Cfr. R. BRINI, Dalle certezze della ragione alle certezze della fede, Torino 1949; G. RINALDI, II problema della fede, Milano 1950; R. AUBERT, Le problème de l’acte de foi, Louvain 1950; C. PESCH, Il dovere della fede. Roma 1911; M. FRAEYMAN, Centra attentionis in tractatione hodiem problematìs fidei, in Collationes gandavenses, ser, 2,1 (1951) 235 ss,; I, GIBLET, De aspectu eccles. fidei theologicae, in Collectanea mechliniensia, 23 (1953) 455 ss.; Y. CONGAR, La fede e la teologia, Roma 1967; A, LEONARD, La foi chez Hegel et notre traité “De fide”, in Rev. théol. de Louvain, (1972) 160-176; C. MOLARI, La fede e il suo linguaggio, Assisi 1972. In quest’ultima pubblicazione, cfr. C. BENVENUTO, La fede e il suo linguaggio, in Renovatio, 10 (1975) 40-59.


(2) Nei sinottici la fede è generalmente connessa con i miracoli, che dimostrano la potenza taumaturgica di Gesù Cristo, Notevole Mt 9, 22: “Confida ( ** ) o figlia, la tua fede (** ) ti ha salvato”; dove si distingue bene la fiducia della fede.


È lodata la fede del centurione che crede nell’onnipotenza divina di Gesù (Mt 8, 8 ss.). Si deve credere al messaggio evangelico (Me 1, 15); Gesù quando manda gli Apostoli a predicare il Vangelo dice; ” Si salverà chi crederà ” alla parola predicata dagli Apostoli (Mc 16, 16), Che si tratti della fede alla parola di Dio è confermato negli Atti (1, 4; 3, 15; 15, 17).


II Vangelo di Giovanni si concentra sulla fede nella Persona di Cristo (2, 11; 4, 39; 9, 36; 11, 15). Gesù stesso richiama l’attenzione sui suoi miracoli per suscitare la fede: ” Se non volete credere a me, credete alle opere affinché conosciate e crediate che il Padre è in me e lo sono nel Padre” (10, 38). La fede, però, non è salutifera se non è accompagnata dall’amore e dalle opere buone (osservanza dei precetti) (3, 23-24).


Nelle lettere di S. Paolo la fede ha un carattere soteriologico. La fede è frutto dello spirito (Gal 5, 22), nasce “ex auditu” (Rm 10, 14); è corroborata dai miracoli (1 Cor 2, 4-5).


(3) Fil. 3, 9 ss. Qui si parla della fede alla testimonianza divina della rivelazione ma non si tratta del modo con cui l’esistenza della Rivelazione viene confermata da segni sicuri.


(4) Ef, 2, 8. Conc, Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis n. 2.


(5) 1 Cor 13, 12-13.


(6) Conc. Vaticano I, Sess. IlI, cap. 3 de fide: Denz. S. 3008 (1789).


(7) Cfr. A. GARDEIL, La credibilité et l’Apologétique  Paris 1912; C. PESCH, II dovere della fede, Roma 1911; V. CATHREIN, La morale cattolica. Roma 1913, 342 ss.; A. ZACCHI, II miracolo, Milano 1923; ID., Dio, Roma 1950; R, GARRIGOU-LAGRANGE, Dieu Paris 1936, 224-41, 314-342; ID., De Revelatione, I4, Roma 1945, 236.259, 274-290, 492;  II4, Roma 1945, 92-97, 122-125,305-360; I. DELMOTTE, Theom M. Blondel de hominis accessu ad fidem, in Collationes gandavenses, 1 (1951) 231 ss.; I. MANCINI, Filosofia della religione, Roma 1968, 131 ss.


(8) Cfr. Rm 8, 14-17; Gal 4, 4-7; Ef 1, 13 ss.


(9) Cfr. Rm 8, 29; Ef 1, 5, 11,


(10) Cfr, Gal 4, 4-5; Rm 8, 15, 23; 9, 4; Ef 1, 5.


(11) Cfr. Gv 15, 4-6; Rm 6, 5.


(12) Cfr. Gv 15, 4-6; Rm 6, 5.


(13) Cfr. Col 2, 19; Ef 4, 15.


(14) Cfr, Rm 13, 14; Gal 3, 27.


(15) Cfr. Col 3, 3-17; Ef 4, 12, 24 ss.; 5, 2 ss.


(16) Cfr. Ef 5, 1 ss.; 1 Gv 4, 9. Cfr. ancora: I. GIBLET, De fide in epistolis S. Pauli, in Collectanea mechliniensia, 23 (1953) 445 ss.; I. HUBY, Le discours de Jésus après la Céne-La connaisance de foi dans Saint ]éan, Paris 1952.


(17) Cfr. Gv 14, 6; Gv 8, 12; 1 Pt 2, 21 ecc.


(18) Cfr, PIO IX, Enc. Qui pluribus, 9 nov. 1846; Denz. S. 2778-2780 (1637.1639); Conc. Vaticano I. Sess. IlI, cap. 3, de fide: Denz. S,, 3010, 5013, 3035 (1791, 1794, 1814); Pio X, Decr.. Lamentabili, 3 luglio 1907, n. 25: Denz, 5.3425 (2025). i segni dell’origine divina della Rivelazione contenuta nel Vecchio e Nuovo Testamento e nella tradizione vivente nella Chiesa (motivi di credibilità) sono i miracoli, particolarmente i miracoli di Cristo e innanzitutto la sua Resurrezione; le profezie realizzate; la santità eccezionale di Gesù; la sublimità della sua dottrina; la vita mirabile della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, che resiste da venti secoli a tante cause di disgregazione e di rovina. I segni dell’origine divina della Rivelazione assieme all’esistenza di Dio sono detti preamboli della fede, in quanto sono verità che debbono e possono essere conosciute dalla ragione prima che per la fede infusa e per la grazia attuale i fedeli aderiscano alle verità rivelate.


(19) Cfr. E. RANWEZ, L’object formel de la foi, in Rev. éccl. de Liège, 4 (1949) 110-126.


(20) Concilio Vaticano I, Sess, III, cap. 9, de fide; Denz. S. 3011 (1792).


(21) Mc 16,20; Concilio Vaticano, Sess. IlI, cap.3, de fide: Denz, S. 3009-3013 (1790-1794).


(22)  L.c.


(23) S. Theol. 2-2, q. 2, a. 1; De veritate, q. 14, a. 1; Conc. Vaticano II, Cost, dogm. Lumen gentium, 12.


(24) Cfr. P, PARENTE, S. Tommaso e la recente psicologia della, fede, in Doctor communis, 1 (1948) 7-27; R. BRINI, Dalle certezze della ragione alle certezze della fede, Torino 1949; A. GARDEIL, Crédibilité, in DTC, III, 2201-2310; G. MONTI, Credibilità razionale della fede cattolica, in EC, IV, 829- 833.


(25) Conc. d’Orange, a. 529, can, 5; Denz, S, 375 (178); Conc. Vaticano I, Sess. III, cap. 3, de fide: Denz. S. 3010 (1791).


(26) Cfr. circa l’atto di fede: V. BAINVEL, La fot et l’acte de foi, Paris 1908; V. BERNARDI, Una questione interessantissima per la apologetica e per la teologia ossia l’atto di fede e la dottrina di S.Tommaso, del B. Alberto Magno e di S. Bonaventura, Torino 1912; T, ZÌELINSKI, De ultima resolutione actus fidei, Romac 1942; R. AUBERT, Le caractère raisonnable de l’acte de foi d’après les théologiens de la fin du XII siecle, in Rev. d’hist. éccl., 39 (1943) 22-99; ID., Le probleme de l’acte de foi…, Louvain 1947; H. DECOUT, L’acte de foi, Paris 1947; M. RAMIREZ, El obsequio racional del acto de fé, in Virtud y Letras,10 (1951) 183-190; A. VANGHELUWE, De actu fidei divinae eiusque infallibilitate, in Collationes brugenses, 49 (1953) 57-64; ID., De firmitate actus fidei, ID., 133 ss.; ID., De ohscuritate fidei, ib., 327 ss.; N. PEDERZINI, L’alto di fede. Roma ecc. 1960.


(27) Cfr. M. OLTRÀ, Inteleccion y volición en el acto de fé divina, in Verdad y Vida (1951) 27-45.


(28) Cfr. D. M. PRUMMER, Manuale theol. moral., I, Friburgi B. 1931, n. 480, p. 332.


(29) Circa le teorie del francescano ANDREA VEGA (m. 1560), del gesuita EGIDIO ESTRIX (m.1694), del teologo C, GUTBERI.ET (m. 1928), del p. A, STRAUB, S.I., cfr.: L. CAPÉRAN, Le problème du salut des infidèles, essai historique, Toulouse 1934, 253 ss.; 350 nota 5; 356 nota 3; 465 ss.; 538 ss.; 541 ss.; P. HARENT, Infidèles, in DTC, VII, 1793 ss.; A. STRAUB, De analysi actus fidei, Oeniponte 1922.


(30) Mc 16, 15 ss. Cfr. su tutto l’argomento: J. NEVEUT, La necessité de la foi, in Ephemerides theol. lovan; 7 (1930) 29-45; E. HUGON, Hors de l’Eglise point de salut, Paris 1927.


(31) Eb 11, 6, Cfr. ancora Gal 3, 22.


(32) Eb 11, 7; Rm 3, 22, 28; Gal 2, 16.


(33) Rm 3, 30; Gal 3, 8.


(34) Gal 2, 21, 3, 21, Rm 10, 5-6,


(35) Rm 5, 1; 9, 30.


(36) Rm 3,27-28; 4, 11; cfr. ancora Gv 3, 18; 5,24; 8,24; 11,26; 16,9; Att. 10, 34-43; 15, 7 ss.; 1 Gv 3, 23; 5, 24. La Chiesa ha definito la fede come inizio, radice e fondamento della giustizia cristiana (Conc. Tridentino, Sess. VI, cap. 7; Denz, S.: 1529-1531 [799-800]). La rovina totale della coscienza morale di un individuo e di un popolo è attuata soltanto quando scompare la fede: Peccatum infidelitatis est maius omnibus peccatis quae contingunt in perversitate morum (S. Theol. 2-2, q. 10, a. 3).


(37)  R. GARRIGOU-LAGRANGE, An fides esplicita de Christo Salvatore sit omnibus necessaria ad salutem…, in Doctor communis, 1 (1948) 341-354.


(38) Eb 11, 6.


(39) Cfr, L CAPÉRAN, Le problème du salut des infideles, essai théologique, p. 94 ss.


(40) Cfr. L. CAPÉRAN, Le problème du salut des infidèles, essai historique, p. 258 ss.


(41) Rm 3, 22; cfr. anche Gv 17, 3.


(42) Rm 3, 26.


(43) Gal 2, 16.


(44) At 4, 12.


(45) Gv 14, 6.


(46) 1 Cor 12,12-13,27; Ef 4, 4 ss.


(47) Col 3,9.


(48) Ef  2,15.


(49) Innocenzo XI ha condannato la seguente affermazione: “Un cristiano è capace di assoluzione sacramentale, qualunque sia la sua ignoranza del contenuto della fede, ed anche se ignora per colpevole negligenza i misteri della SS. Trinità e dell’Incarnazione ” (Denz. S. 2164 [1214]).


(50) Fil 1, 9.


(51) La proposizione 22a del Sillabo (Denz. S. 2922 [1722]) e la 5a del Decreto Lamentabili Denz. S. 3405 [2005]), nonché il Concilio Vaticano I (Denz, S, 3018 [1798]), riaffermano l’estensione dell’obbligo della fede oltre il dato direttamente rivelato.


(52) Cfr. il Concilio Vaticano I (Denz, – S, 3011 [1792]); I. BRYS, De magisterio ecclesiastico in CIC, in Collatìones brugenses, 33 (1933) 343-348.


(53) II dovere di sottostare al magistero ecclesiastico era già stato riaffermato da Clemente XI contro i Giansenisti, da Pio IX contro alcune correnti semirazionaliste della teologia tedesca, da S. Pio X contro i Modernisti (Denz. S. 2390 [1350], 2875 [1679], 3408 [2008],3503 [2113]) e nel Codice di diritto canonico del 1917 (can. 1324); da Pio XII nell’enciclica Humani generis: Denz. S. 3885.


(54) Se i giudizi sono certi e definitivi, l’assenso sarà fermissimo e incondizionato; se invece si tratta di giudizi non definitivi, l’assenso sarà meno fermo e condizionato.


(55) Cfr. Revelationes S. Birgittae recognitae a Card. Turrecremata, I, Romae, 1628, 15 ss.; Card. BONA, De discretione spirituum, Romae 1672; E. BOUTROUX, La psychologie du miysticisme, Paris 1902; B. H. MERKELBACH, Quaestiones pastorales, III, Liège 1928; I. DE GUIBERT, Etudes de théologie myst., Toulouse 1930; G. COLOMBO, Apparizioni e messaggi divini nella vita cristiana, Venegono Inferiore 1948; A. ODDONE, Visioni e apparizioni, Roma 1948; F. CARPINO, Apparizione, in EC, I, 1700-1702.


(56) Cfr. can. 1399, n. 5 del CIC del 1917.


(57) Lc 1, 26 ss.


(58) Gal 2, 20; Ef 5, 17.


(59) Col 1, 23.


(60) S. Theol. 2-2, q. 3; PH. MAROTO, De fidei professione, in Comm. pro religiosis, 17 (1926) 436-437; S. WOYWOD, The profession of faith, in The homil. and pastor, rev., 28 (1928) 1179-1187; W. I, CANAVAN, Profession ot faith, Washington 1942; L, FINI, Professione di fede, in EC, X, 90-91; L. VAN PETEGHEM, De obbligatione fidem catholicam esterne profitendi, in Collationes gandavenses, ser, 2, 1 (1951) 324 ss, Per la formula di professione di fede che la Chiesa esige per l’esercizio di alcuni uffici,


cfr. AAS 59 (1967) 1058,


(61) Mt 10, 32 ss.; Rm 10, 10.


(62) Mt 10, 33; Lc 11, 26; 12, 9; 2 Tm 2, 12.


(63) La causa più frequente che induce alla negazione esterna o all’illecito occultamento della fede è il rispetto umano, che già tra i primi discepoli di Cristo trovò seguaci (Giuseppe d’Arimatea, Gv 19,38; molti della classe dirigente giudaica, Gv 12, 42).


(64) Per queste ragioni la Chiesa fin dall’origine della Massoneria non ha cessato di proibire a suoi fedeli di partecipare a tale associazione o ad altre con essa imparentate e di punire i colpevoli con le censure ecdesiastiche (cfr. CLEMENTE XII, Cost. In eminenti, 20 aprile 1738; BENEDETTO XIV, Cost. Providas, 18 marzo 1751; Pio IX, Apostolicae Sedis, 12 ottobre 1869; così anche molti decreti ed istruzioni della S. Congr. della dottrina della fede [già S.C.S. Ufficio]). Nella legislazione del Codice di diritto canonico del 1917 è rimasta in vigore la scomunica riservata alla S, Sede contro tutti i membri della Massoneria e di simili associazioni che operano contro la Chiesa (can. 2535). Cfr. B, DOLHAGARAY, Franc-Massonnerie, in DTC, VI, 722-731; H. GRUBER, Mazzini, freimaurerei und Weltrevolution, Regensburg 1901 (trad. ital.2), Roma 1908; A. PREUSS, Secret and other societies St. Louis 1924; I. OUIGLEY, Condemned societes, Washington 1927; E, LENNHOFF, Die Friemaurerei , Wien 1932; E, DEGANO, Società proibite, in EC, XI, 868-869, E. MARTIRE, La massoneria, Milano 1951; J. BOOR, Massoneria, Madrid 1952, S. HOUTIN, Les Francs-maçons, Paris 1960; A. MELLER, Nos freres les Franc-maçons, Paris 1961; R, ESPOSITO, la Massoneria, e l’Italia dal 1800 ai giorni nostri, Roma – Alba 1961. Nonostante talune dichiarazioni non è chiaro che la Massoneria abbia desistito da certi suoi atteggiamenti, Pertanto la vacazione va fatta in concreto. Per questo la S. Congregazione per la dottrina della fede ha rimesso alle singole Conferenze episcopali il giudizio se mantenere o meno le pene canoniche (Lettera del 19 luglio 1974, n. 272/44).


Successivamente alla stesura di questo saggio, a chiarificazione della ratio del nuovo Codice di Diritto Canonico, il 26 novembre 1983, la S. Congregazione per la Dottrina della Fede ha chiarito che “Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione. Non compete alle autorità ecclesiastiche locali di pronunciarsi sulla natura delle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito, e ciò in linea con la Dichiarazione di questa S. Congregazione del 17 febbraio 1981 (Cf. AAS 73, 1981, p. 240-241)” La Dichiarazione in questione è stata diffusa con una speciale approvazione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II. (Nota di redazione di Totustuus network del 2003).


(65) Cfr. P. PALAZZINI, Fuga, in EC, V, 1791-1792.


(66) Cfr. L. FINI, Professione di fede, in EC, X, 90-91 La nuova formula di professione di fede, imposta dalla Chiesa oggi, è quella indicata in AAS 59 (1967) 1058.


(67) Si dice partecipazione positiva, in opposizione alla partecipazione negativa, che è la partecipazione di un acattolico al culto cattolico. La partecipazione positiva poi può essere formale, quando il cattolico partecipa ad un culto acattolico con l’intenzione di onorare Dio con quel culto e materiale, quando il cattolico assiste solo alle funzioni d’un culto acattolico per ragioni di convenienza sociale e di ecumenismo, ma non intende far suo quel culto. Per una breve sintesi sull’ecumenismo, cfr. G, VODOPIVEC, Ecumenismo, in Dizionario storico religioso, diretto da P. Chiocchetta, Roma 1966, 278-284.


(68) Orientalium ecclesiarum, nn. 26-28.


(69) Unitatis redintegratio, nn. 2-3; 8, 9; 14-18; 20-23; cfr. ancora: Directorium ad ea quae a Concilio Vaticano II de re oecumenica promulgata sunt exequenda, Pars I (AAS 59 (1967) 574-592; Pars II (AAS 62 (1970) 705-724. Ivi si paria di comunicazione in cose spirituali; preghiere da farsi in comune, uso in comune dei luoghi sacri, e comunicazione nelle cose sacre propriamente dette. Perché sia da considerarsi lecita questa ultima debbono essere sempre rispettati due principi: che l’atto in comune possa significare l’unità (e non, invece, la disunione) e che ci sia la partecipazione ai mezzi di grazia.


Cfr. L’ecumenismo nel Concilio Vaticano II. Testo del decreto e commento teologico-pastorale di M. Nicolau e G, Sanchez Vagnero, Roma 1.966; Segretariato per l’unione dei cristiani, La collaborazione ecumenica sul piano regionale, nazionale e locale, 22 febbr. 1975, in L’Osservatore Romano, 7-8 luglio 1975, pp. 5-7; I. GORDON, De communicatione in sacris sub luce Concilii Vaticani II, in Periodica, de re morali etc,, 57 (1968) 435-460,


(70) Dichiar. Nostra aetate, n. 2.