Contro Theilard (13 di 16)

R. Th. Calmel o. p., Realismo ed Evoluzionismo da "Nouvelles de Chrétienté". IL SENSO DELLA STORIA. Se «tutti i peccati sfuggissero oggi alle terribili persecuzioni della giustizia divina, non si crederebbe nella Provvidenza, ma se Essa punisse ora ogni peccato con un manifesto castigo, nulla sarebbe riservato, secondo noi, al giudizio universale». Perciò Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e piovere sui giusti e sugli ingiusti. Permette anche che i cattivi abbiano successo e volge in favore del loro progresso la desolazione dei giusti. In fondo le cose terrene hanno poca importanza. E’ importante solo ciò che ci unisce a Dio, ed è invece sventura ciò che ci allontana da Lui, anche se si presenta con il volto del successo.

R. Th. Calmel o. p.
Realismo ed Evoluzionismo
da "Nouvelles de Chrétienté"

IL SENSO DELLA STORIA

Bossuet, che sa perfettamente distinguere fra le epoche dell\’umanità, il che dopo tutto non è che buon senso umano, afferma all\’inizio del Discorso sulla Storia Universale: «porre gli avvenimenti al loro posto nell\’ordine del tempo», ha come «scopo principale» di «fare osservare in questo susseguirsi dei tempi quello della religione e quello dei grandi imperi»; egli fa quindi una distinzione permeata di buon senso cristiano. E ciò che egli discerne in questo modo è da un lato la «perpetua durata della Religione» e dall\’altro «le grandi rivoluzioni avvenute negli imperi». Tale divisione si riscontra anche nella sua opera: dapprima la successione dei fatti, quindi «l\’evolversi della religione», ed infine «le rivoluzioni degli imperi».
L\’aspetto di questo mondo cambia e la figura di Cristo si rivela a poco a poco, quale è stata voluta sin dall\’eternità e sempre più chiaramente annunziata dai profeti, quale si è presentata a noi nella vita terrena, quale risplenderà nella luce del regno celeste. La storia prova che la mano di Dio sostiene la Chiesa malgrado tutti gli ostacoli e le debolezze insite in essa: «la durata del tempo che sola è in grado di abbattere tutte le cose umane… non ha mai potuto, non dico soffocarla, ma neppure intaccarla». Essendo la Chiesa nel mondo, è normale che essa abbia contribuito ai progressi del mondo e che le cose del mondo abbiano contribuito al progresso ed alla vittoria della Chiesa; la storia del mondo ha un «legame necessario con la storia del popolo di Dio», ma lo sviluppo di quest\’ultimo è da attribuirsi esclusivamente ad esso, ed esso soltanto è una continua ascesa; questa ascesa non può culminare che nella vittoria del Cristo, mentre «le rivoluzioni degli imperi.. servono ad umiliare i prìncipi». «Ciò deriva dal fatto che Dio, che ha fatto predire ai suoi profeti le diverse età del suo popolo, ha fatto loro anche predire la successione degli imperi. Il Corpo mistico, in quanto gli eletti ne fanno parte, è in divenire sino alla fine del mondo – e lui soltanto -; in quanto Corpo mistico del Cristo, il suo sviluppo resta principalmente ed essenzialmente un\’immobile esistenza che sarà rivelata dalla fine del mondo; ed è al Cristo, non ad essi medesimi, che gli eletti indirizzano nel Regno definitivamente unito la lode, l\’onore, la gloria».
Questa visione delle cose è perfettamente conforme alla Scrittura e alla Storia. La confusione storico-mistica dell\’evoluzionismo non sembra potervisi accordare a meno di non adoperare un\’estrema sottigliezza. L\’evoluzionismo tende a contraddire o a distruggere questo tradizionale punto di vista. Si può falsare il senso della storia cercando in essa solo l\’aspetto superficiale e non il concatenamento profondo delle cause.
È necessario operare una scelta tra i fatti.
Ma noi non riusciamo mai a conoscerli tutti; essi non si presentano nel loro vero significato. D\’altronde non si può pretendere che le cause rivelino ogni cosa, poiché basta apportarvi un minimo di criterio, e le regole di tale criterio ci sono fornite dalla morale naturale e cristiana; basta anche cercarle «nella successione dei grandi imperi dove la grandezza degli avvenimenti le rende più evidenti».
Dopo Bossuet lo studio della storia ha fatto dei progressi; ma questi criteri interpretativi sono forse «superati»? Noi abbiamo sempre visto nella storia che «gli imperi e le civiltà si formano e si disfano», che «la saggezza umana è sempre in qualche modo limitata». Conviene non parlare mai «di caso e di destino» a meno che «non sia un nome di cui ci serviamo per mascherare la nostra ignoranza. Ciò che è casuale a nostro giudizio risponde invece ad un disegno preordinato in un giudizio superiore… In questo modo ogni cosa concorre allo stesso fine», che è la glorificazione di Dio, di Colui «che vede tutto mutare senza mutare egli stesso». Noi vediamo le imprese umane «cadere quasi tutte in quanto umane» e «la religione sostenersi con la propria forza», e sappiamo quindi «che essa è la solida grandezza dove un uomo sensato deve riporre la speranza».
Ma ciò diventa chiaro solo se si pensa che «il legame necessario delle cose» non determina il regno del mondo che verrà e, a fortiori, non assicura lo sviluppo del Regno di Dio; infatti noi sappiamo attraverso la Sacra Scrittura che ciò che si oppone nella storia quasi continuamente, si opporrà ancora più crudelmente quando il Cristo avrà deciso di fare risplendere con una definitiva vittoria su tali forze la sua sovrana Provvidenza e l\’Universale Regno del Figlio.
La lotta delle due città è infatti l\’oggetto del grande libro di Sant\’Agostino, De civitate Dei. Queste due città non sono una rappresentazione manicheista o pessimistica della storia; poiché la loro opposizione non finirà in definitiva che col procurare a Dio la vittoria sull\’Inimicus Homo. Ma non si deve pensare che vi possa essere affinità fra i due opposti amori che si danno battaglia: «L\’amore verso se stessi sino al disprezzo di Dio, che dà luogo alla Città del mondo; l\’amore di Dio sino al disprezzo di se stessi che dà luogo alla Città di Dio». Questo grande principio, contenuto nella Sacra Scrittura e continuamente confermato dai fatti, anima tutta l\’opera di Sant\’Agostino. Ed in quanto opera di scienza e di fede essa non deve in nessun modo indurre in inganno. Bisogna comprenderla con lo stesso spirito di giustizia che animò il santo.
Abitualmente i due campi non si presentano, di fatto, così distinti; è difficile estirpare la gramigna che si mescola al grano nei campi del Padre di famiglia; bisogna distinguere fra l\’errore od il male che bisogna combattere e gli uomini che bisogna amare. Pertanto non si può sostenere che il dominio terrestre sia come posseduto da Satana e che ci si debba isolare. Il cristiano deve unirsi allo sforzo umano, all\’organizzazione umana, alla ricerca scientifica, deve collaborare a tutti i progressi. E\’ da cattivi agostiniani pensare che la politica, per esempio, non possa essere cristianizzata, che il cristiano non debba affatto prodigarsi per sottomettere le istituzioni alla Reggenza divina. Abbiamo il dovere di porre ogni cosa nel Cristo. Ma, inversamente, costituisce un evidente errore il fatto di pensare che il regno di Dio possa instaurarsi in modo così perfetto da potersi tranquillamente e fiduciosamente riposare su delle istituzioni ritornate cristiane; esse devono divenirlo sempre più e ciò dipenderà da uno sforzo cristiano che non deve mai affievolirsi. E\’ ancora un errore, e molto grave, il credere che tutte le manifestazioni anti-cristiane e anti-sociali non siano in definitiva che delle crisi di sviluppo e che Dio sia in qualche modo obbligato, prima o poi, a redimere tutti gli errori e tutti i traviamenti per un mondo sempre migliore. No, bisogna conservare un equilibrio di pensiero che ritenga per sempre valida e fondamentale la verità del principio di Sant\’Agostino: l\’amore di sé, fino al disprezzo di Dio, dà luogo alla Città terrena; l\’amore di Dio, sino al disprezzo di sé, dà luogo alla Città celeste; infatti esso taglia netto e senza possibilità di equivoci qualsiasi travisamento.
Ma la dinamica, il movimento del sistema di Teilhard di fronte a questa visione tradizionale (che porta il nome di Sant\’Agostino, di Bossuet o di tanti altri), si pone come una nuova visione. Giustamente, checché ne dica Padre de Lubac, Padre Teilhard insiste su tale novità, ed è appunto tale novità ad attirare molte persone ed a porsi nei loro commenti entusiasmanti come un pungolo ed un leit-motiv. Proprio perché è posta sotto l\’autorità di un religioso ed è approvata da molti altri, i lettori ed i discepoli credono che questa novità sia cristiana, e non si chiedono nemmeno se sia tracotante pensare che la Chiesa debba rivedere la sua visione classica delle cose ed anche la maniera di comprendere i suoi dogmi ed a fortiori la loro formulazione.
E\’ una china pericolosa, un movimento che può condurre molto lontano. Il Cristo che insegnava ai Dottori cominciava coll\’ascoltarli ed interrogarli: audientem et interrogantem eos. Ed essi erano ammirati per le sue «risposte». Roma non ammira le risposte di Teilhard alle necessità di una apologetica moderna; i discepoli di costui non ascoltano né interrogano la saggia Tradizione della Chiesa; eludono o «vanno oltre» (questa parola è così facile) i suoi ammonimenti. Sono orgogliosi di credersi più fieri, più comprensivi, più sottili, più intelligenti. Dicendo ciò non ci rivolgiamo tanto ai difensori di Teilhard ma alla grande massa dei suoi ammiratori.
Non sono soltanto coloro che criticano Teilhard ad affermare questo movimento generale del sistema, ma anche molti di quelli che lo seguono. Essi formano un popolo. Fra questo popolo, se sono pochi coloro che fanno delle riserve ed ancor meno quelli che si rifiutano categoricamente di lasciarsi trascinare e di lasciare trascinare i loro fratelli, troppi sono quelli che si abbandonano a questo sistema per lo stesso motivo che li dovrebbe indurre a respingerlo: la sua novità circa le esigenze di trasformazione. E, a dispetto del «Nil novi nisi quod traditum est», essi confondono novità e giovinezza, «nova» e «nove», nobili slanci e mistica; questa confusione normalmente è la conseguenza di una confusione più grave, che non è soltanto un cattivo metodo, ma un errore di giudizio. Confondono l\’ordine della scienza con quello della fede, il progresso scientifico e il progresso morale come inseparabili, od addirittura come se il più nobile fosse a servizio del più materiale, il più personale alla mercé dei più meccanici, il più divino nella sua origine dipendente dal più umano. A nulla serve, per mascherare ciò, affermare contemporaneamente cose contraddittorie mettendo ovunque il Cristo. Non è più equilibrio, è equilibrismo; non è più cristianesimo ma pancristismo. Non si tratta di intenzione, né di pietà, ma di discernimento. Una fede limpida ed obbediente come una figlia alla Chiesa, sposa del Cristo e sua unica sposa, sa che la Chiesa non ha atteso P. Teilhard per dedicarsi tutta intera all\’ispirazione e conformarsi al comportamento dell\’unico Maestro.

Si sa che la Città di Dio è stata scritta per rispondere alle obiezioni di coloro che dubitavano della loro fede perché, dopo che l\’impero era diventato cristiano ed i suoi dei erano stati respinti, innumerevoli mali si erano abbattuti sulla città terrestre. Il grande Dottore comincia col separare i due ordini di cose. Se «tutti i peccati sfuggissero oggi alle terribili persecuzioni della giustizia divina, non si crederebbe nella Provvidenza, ma se Essa punisse ora ogni peccato con un manifesto castigo, nulla sarebbe riservato, secondo noi, al giudizio universale». Perciò Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e piovere sui giusti e sugli ingiusti. Permette anche che i cattivi abbiano successo e volge in favore del loro progresso la desolazione dei giusti. In fondo le cose terrene hanno poca importanza. E’ importante solo ciò che ci unisce a Dio, ed è invece sventura ciò che ci allontana da Lui, anche se si presenta con il volto del successo.