Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (1303-1319)


Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO III. La via unitiva. Art. I. Dei doni dello Spirito Santo. § I. Dei doni dello Spirito Santo in generale. I. Natura dei doni dello Spirito Santo. II. Eccellenza dei doni. III. Della cultura dei doni dello Spirito Santo.


CAPITOLO I.
Della via unitiva
semplice.

1303.   Questa via è lo stato delle anime
fervorose che vivono abitualmente in intima unione con Dio, senza avere ancor
ricevuto il dono della contemplazione infusa. Abituate già a praticare le virtù
morali e teologali, si sforzano di perfezionarvisi coltivando i doni dello
Spirito Santo;
l’orazione si semplifica sempre più e diventa
orazione di semplicità o di semplice raccoglimento, che viene
chiamata contemplazione impropriamente detta, acquisita o
attiva. Che si dia questo stato è dimostrato dall’esperienza,
dalla distinzione dei due generi di contemplazione, come pure dalla
differenza tra doni attivi e doni contemplativi.

1304.   1° Innanzitutto
l’esperienza dimostra che vi sono nel chiosto e nel mondo anime veramente
fervorose, unite abitualmente a Dio, che praticano con generosità e costanza le
virtù cristiane, talora anche in modo eroico, e che pure non hanno la
contemplazione infusa. Anime cosiffatte sono docili allo Spirito Santo,
corrispondono abitualmente alle sue ispirazione, ricevono anche ogni tanto lumi
e ispirazioni speciali, ma nessuna prova scorgono esse o il loro direttore per
affermare che si trovino nello stato passivo propriamente detto 1304-1.

1305.   2° Ed è pure ciò che risulta dalla
distinzione tra contemplazione acquisita e contemplazione infusa,
di cui troviamo vestigio anche presso Clemente Alessandrino 1305-1 e Riccardo da S. Vittore, distinzione che
divenne classica a cominciare dalla fine del secolo decimo settimo: le anime che
rimangono nella contemplazione acquisita per un notevole periodo della vita,
sono nella via unitiva semplice.

Qui, a scanso di equivoci, non diciamo che vi siano due vie
divergenti, perchè ammettiamo invece che la contemplazione acquisita sia
ottima disposizione alla contemplazione infusa, quando piaccia a Dio di
darcela. Ma vi sono molte anime che non la ricevono pur vivendo intimamente
unite a Dio; onde restano nella via unitiva semplice senza necessaria
colpa da parte loro 1305-2.

1306.   3° L’argomento viene pur
confermato dal fatto che, tra i doni dello Spirito Santo, gli uni ci sono dati
specialmente per l’azione e gli altri specialmente per la
contemplazione. Ora avviene che certe anime, dotate di temperamento più
attivo e aggravate da più numerose occupazioni, coltivino specialmente i doni
attivi, onde riescono meno atti alla contemplazione propriamente detta.

Tale osservazione non sfuggì al P. Noble 1306-1: “Non nell’affanno del lavoro o
nell’affaccendamento di affari complicati che attraggono tutta l’attenzione,
egli dice, può la mente concentrarsi dentro di sè a fissare un immobile sguardo
sulle realtà spirituali ed eterne. Per contemplare non bisogna essere oppressi
da assidui e faticosi lavori; o per lo meno è necessario potere strappar loro
tanto di respiro che il cuore e la mente si levino tranquillamente a Dio.

Ond’è che queste anime non godranno, almeno
abitualmente, della contemplazione infusa, ma saranno strettamente unite a Dio
nell’azione e docili alle ispirazioni dello Spirito Santo: è lo stato che noi
chiamiamo via unitiva semplice.

Avendo essa per caratteristica:


  • 1°  la
    coltura dei doni dello Spirito Santo e
  • 2°  l’orazione
    di semplicità
    ,
tratteremo per ordine di
questi due elementi.

 

ART. I. DEI DONI
DELLO SPIRITO SANTO 1307-1.

Tratteremo per ordine:


  • 1° dei
    doni dello Spirito Santo in generale;
  • 2° di
    ognuno di essi in particolare;
  • 3° del
    loro ufficio nella contemplazione;
  • 4° dei
    frutti e delle beatitudini che corrispondono ai doni.


§ I. Dei doni dello Spirito Santo in
generale.


Ne esporremo:

  • 1° la
    natura;
  • 2° l’eccellenza;
  • 3° il
    modo di coltivarli;
  • 4° la
    varia classificazione.


 

I. Natura dei doni dello Spirito Santo.

1307.   Abbiamo detto, n. 119, in che
modo lo Spirito Santo inabitante nel’anima vi produca, oltre la grazia abituale,
abiti soprannaturali che perfezionano le nostre facoltà e le rendono capaci di
produrre atti soprannaturali sotto l’impulso della grazia attuale. Questi abiti
sono le virtù e i doni: determinando con esattezza la differenza
che passa tra queste due sorte di abiti, riusciremo a intender meglio in che
consistano i doni.

1308.   1° Differenza tra i doni e le
virtù. A
) La differenza fondamentale non deriva già
dall’oggetto materiale o dal campi di azione che veramente è lo stesso,
ma dal diverso modo di operare nell’anima.

Dio, come dice S. Tommaso 1308-1, può operare in noi in due modi:
a) adattandosi al modo umano di agire delle nostre facoltà; il che
fa nelle virtù, aiutandoci a riflettere e a cercare i mezzi migliori per
giungere allo scopo; a rendere soprannaturali queste operazioni ci dà le grazie
attuali, ma lascia che incominciamo noi secondo le regole della
prudenza o della ragione illuminata dalla fede; onde siamo noi che
operiamo sotto l’impulso delle grazia.

b) Ma, per mezzo dei doni, Dio opera pure in una maniera
superiore al modo umano: comincia lui per il primo: prima che abbiamo
avuto il tempo di riflettere e di consultare le regole della prudenza, ci manda
istinti divini, illustrazioni e ispirazioni, che operano in noi senza
deliberazione
da parte nostra, non però senza il nostro consenso. Grazia
cosiffatta, che sollecita soavemente e ottiene efficacemente il nostro consenso,
può essere chiamata grazia operante; sotto di lei noi siamo più passivi
che attivi, e la nostra attività consiste soprattutto a liberamente consentire
all’operazione di Dio, a lasciarci guidare dallo Spirito Santo, a seguirne
prontamente e generosamente le ispirazioni.

1309.   B) Con questo principio
fondamentale si capiscono meglio le differenze tra doni e
virtù.

a) Le virtù ci inclinano ad agire conforme alla
natura delle nostre facoltà:
onde noi, con l’aiuto della grazia largitaci,
indaghiamo, ragioniamo, lavoriamo allo stesso modo che negli atti di ordine
puramente naturale; sono quindi forze primieramente e direttamente
attive. I doni invece ci danno una docilità, una
ricettività che ci fa ricevere e seguire gl’impulsi della
grazia operante: grazia che mette in moto le nostre facoltà senza però toglierne
la libertà, cosicchè l’anima, come dice S. Tommaso, è più passiva che
attiva “non se habet ut movens sed magis ut mota” 1309-1.

b) Nelle virtù ci governiamo secondo i principi e
le regole della prudenza soprannaturale; onde dobbiamo riflettere,
deliberare, consultare, scegliere, ecc. (n. 1020);
sotto l’influsso dei doni invece ci lasciamo guidare da una ispirazione
divina
, che, repentinamente, senza nostra riflessione, ci fa viva premura di
operar questa o quell’altra cosa.

c) Essendo la parte della grazia molto maggiore nei doni
che nelle virtù, gli atti fatti sotto l’influsso dei doni sono normalmente, a
parità di condizioni, più perfetti di quelli fatti sotto l’azione delle
virtù; sono i doni quelli che ci fanno praticare il terzo grado delle virtù e
fare atti eroici.

1310.   C) A far
meglio intendere questa dottrina si sogliono adoperare vari paragoni.
a) Chi pratica le virtù naviga col remo, chi si giova dei
doni naviga colla vela: onda corre più rapidamente e con meno sforzo.
b) Il bambino che, sorretto dalla madre, fa alcuni passi innanzi, è
il simbolo del cristiano che coll’aiuto della grazia pratica le virtù; il
bambino che la madre prende di peso fra le braccia per farlo avanzare più
rapidamente, è l’immagine del cristiano che, corrispondendo alla grazia operante
largitagli, si giova dei doni. c) L’artista che pizzica le corde
dell’arpa per trarne armoniose note, è l’immagine del cristiano che pratica le
virtù; ma quando lo Spirito Santo viene egli stesso a far vibrare col divino suo
tocco le corde dell’anima, l’anima è allora sotto l’influsso dei doni. Tal è il
paragone onde si servono i Padri per esprimere l’azione di Gesù nell’anima di
Maria: “Suavissima cithara quâ Christus utitur ad delicias Patris“.

1311.   2° Definizione. Dal fin qui
detto si può conchiudere che i doni dello Spirito Santo sono abiti
soprannaturali che danno alle facoltà tale docilità da obbedire prontamente alle
ispirazioni della grazia.
Ma, come presto diremo, questa docilità non è a
principio che semplice ricettività che ha bisogno di essere
coltivata per giungere al pieno suo sviluppo. Inoltre non entra in
esercizio che quando Dio ci concede quella grazia attuale che si chiama
operante. Allora l’anima, pur essendo passiva sotto l’azione di Dio,
diventa attivissima per farne la volontà; e si può dire che i doni sono nello
stesso tempo “arrendevolezza ed energia, docilità e forza… che rendono l’anima
più passiva sotto la mano di Dio e insieme più attiva nel servirlo e nel
compierne le opere” 1311-1.

 
II. Eccellenza dei doni.

Si può considerare questa eccellenza in
e in
relazione alle virtù.

1312.   1° In sè
è chiaro che questi doni sono eccellenti. Quanto più siamo uniti e docili allo
Spirito Santo, fonte d’ogni santità, tanto più siamo necessariamente perfetti.
Ora i doni ci mettono sotto l’azione diretta dello Spirito Santo, che, vivendo
nell’anima, illumina l’intelletto coi suoi lumi, indicandogli chiaramente ciò
che dobbiamo fare, infiamma il cuore e fortifica la volontà per farle compiere
il bene suggerito. Onde sorge un’unione intima tanto quanto è consentito sulla
terra.

Preziosi quindi ne sono gli effetti. Sono i doni che ci fanno
praticare il grado più perfetto delle virtù morali e teologali, quello che
chiamiamo terzo grado, e che ispirano gli atti eroici. L’anima viene per essi
elevata, quando Dio lo voglia, alla contemplazione infusa, essendo
l’arrendevolezza e la docilità da essi prodotta la disposizione prossima
allo stato mistico. Sono quindi la scorciatoia per arrivare alla più alta
perfezione.

1313.   2° Se
paragoniamo i doni colle virtù, li troviamo, dice
S. Tommaso 1313-1, più perfetti delle virtù morali o
intellettuali. Queste infatti non hanno Dio per oggetto immediato, mentre i doni
portano le virtù a un grado superiore, dove, confondendosi con la carità, ci
uniscono a Dio.

Così la prudenza, perfezionata dal dono del
consiglio, ci fa partacipare alla luce stessa di Dio; il dono della
fortezza mette in noi, a nostra disposizione, la fortezza stessa di Dio.
Ma i doni non sono superiori alle virtu teologali, massime alla carità; la
carità infatti è il primo e il più perfetto dei beni soprannaturali, la fonte da
cui derivano i doni. Tuttavia si può dire che i doni perfezionano le virtù
teologali nel loro esercizio: così il dono dell’intelletto rende la fede
più viva e più penetrante, manifestandole l’armonia intima dei dogmi; e il dono
della sapienza perfezione l’esercizio della carità, facendoci assaporare
Dio e le cose divine. Sono quindi mezzi che si riferiscono alle virtù teologali
come a fine, aggiungendovi però maggior perfezione.

 
III. Della cultura dei doni dello Spirito
Santo.


1314.   1° Sviluppo progressivo.
Noi riceviamo i doni dello Spirito Santo insieme con lo stato di grazia, ma non
sono allora se non semplici facoltà soprannaturali. Giunti l’età della
ragione e volgendosi il cuore a Dio, cominciamo, sotto l’influsso della grazia
attuale, a mettere in eserzicio tutto l’organismo soprannaturale, compresi i
doni dello Spirito Santo; non è infatti credibile che questi doni restino
inoperosi e incapaci di essere utilizzati per un lungo periodo della
vita 1314-1.

Ma perchè giungano al normale e pieno sviluppo, è necessario
aver prima praticato le virtù morali per un tempo notevole, che varia secondo i
disegni di Dio su di noi e la cooperazione nostra alla grazia: sono infatti
queste virtù che, come abbiamo detto, indociliscono a poco a poco l’anima e la
preparano a quella perfetta arrendevolezza che è richiesta al pieno esercizio
dei doni. Crescono intanto, come abiti, insieme colla grazia abituale e
aggiungono spesso le loro energie, senza che noi n’abbiamo coscienza, a quelle
delle virtù per farci praticare gli atti soprannaturali.

Ci sono persino occasioni in cui lo Spirito Santo, con la grazia
operante, provocherà, così di passaggio, un fervore insolito, che
sarà come una passeggiera contemplazione. Quale anima fervorosa infatti non
sentì, in certi momenti, certe repentine ispirazioni della grazia in cui noi non
abbiamo che da ricevere e da seguire la mozione divina? Sarà stato nella lettura
del Vangelo o di un libro pio, in una comunione o in una visita al
SS. Sacramento, in tempo di esercizi spirituali o della scelta di uno stato
di vita, di un’ordinazione, di una vestizione; ci pareva allora che la grazia di
Dio fortemente e soavemente ci trasportasse: “satis suaviter equitat quem
gratia Dei portat
“.

1315.   2° Mezzi per
coltivare i doni. A
) La pratica della virtù morali è la prima
condizione necessaria alla coltura dei doni. Tal è l’insegnamento di
S. Tommaso 1315-1: “Virtutes morales et intellectales
præcedunt dona, quia per hoc quod homo bene se habet circa rationem propriam
disponitur ad hoc quod se bene habeat in ordine ad Deum
“. Ad acquistare
infatti quella divina docilità che i doni conferiscono bisogna aver prima domato
le passioni e i vizi con abiti di prudenza, di umiltà, di obbedienza, di
dolcezza, di castità. Come infatti si potrebbe percepire e docilmente accogliere
e seguire le ispirazioni della grazia, quando l’anima è agitata dalla prudenza
della carne, dall’orgoglio, dall’indocilità, dalla collera, dalla lussuria?
Prima di essere guidati dagli impulsi divini, bisogna aver già seguito le regole
della prudenza cristiana; prima di obbedire ai moti della grazia, bisogna aver
osservato i comandamenti e trionfato della superbia.

Quindi il Gaetano 1315-2, fedele commentatore di S. Tommaso,
giustamente dice: “Notino bene questo i direttori spirituali e vigilino onde i
loro discepoli si esercitino nella vita attiva prima di proporre loro le vette
della contemplazione. È necessario infatti domar le passioni con abiti di
dolcezza, di pazienza, ecc., di liberalità, di umiltà, ecc., per potere poi,
diventati calmi, elevarsi alla vita contemplativa. Per difetto di questa
precedente ascesi, molti che, in cambio di camminare, vanno saltando nella via
di Dio, si trovano poi, dopo aver dato buona parte della vita alla
contemplazione, vuoti di ogni virtù, impazienti, collerici, superbi, per poco
che siano cimentati. Cotesta gente non ebbe mai nè la vita attiva nè la vita
contemplativa nè l’unione delle due, ma edificò sull’arena e Dio volesse che
fosse questo un difetto raro”.

1316.   B) Si coltivano pure i doni
combattendo lo spirito del mondo, che è diametralmente opposto allo
Spirito di Dio. È quello che vuole da noi S. Paolo: “Noi però ricevemmo non
lo spirito del mondo, ma lo spirito che è da Dio; affinchè conosciamo quello che
da Dio ci fu largito… L’uomo naturale non accoglie le cose dello Spirito di
Dio: sono follìa per lui e non può intenderle, perchè spiritualmente van
giudicate: “animalis autem homo non percipit ea quæ sunt Spiritus Dei;
stultitia enim est illi, et non potest intelligere quia spiritualiter
examinatur
” 1316-1. A meglio combattere questo spirito del mondo,
bisogna leggere e meditare le massime evangeliche e conformarvi la propria
condotta più perfettamente che sia possibile; si sarà allora disposti a
lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio.

1317.   C)
Vengono quindi i mezzi positivi e diretti che ci mettono sotto
l’azione dello Spirito Santo:


a) Prima di tutto il raccoglimento interno o
l’abitudine di pensar spesso a Dio che vive non solo vicino a noi ma in noi
(n. 92). Con ciò uno giunge gradatamente a non perder di vista la presenza
di Dio anche in mezzo alle più gravi occupazioni; si ritira spesso nella
celletta del proprio cuore per trovarvi lo Spirito Santo e ascoltarne la voce:
Audiam quid loquatur in me Dominus Deus” 1317-1. S’avvera allora ciò che dice l’autore
dell’Imitazione: “Beata anima quæ Dominum in se loquentem audit et de ore
ejus verbum consolationis accipit
” 1317-2; lo Spirito Santo parla al cuore e le sue
parole recano luce, forza e consolazione.

1318.   b) E
poichè questo divino spirito ci chiede sacrifici, bisogna abituarsi a seguirne
prontamente e generosamente le minime ispirazioni quando ci parla
in modo chiaro e certo: “quæ placita sunt ei facio semper” 1318-1; altrimenti cesserebbe di farsi sentire o
parlerebbe almeno più raramente: “Hodie si vocem ejus audieritis, nolite
obdurare corda vestra, sicut in exacerbatione secundum diem tentationis in
deserto, ubi tentaverunt me patres vestri
” 1318-2. Se i sacrifici chiestici paiono difficili, non
ci disaminiamo ma, come Agostino, domandiamo senz’altro la grazia di compierli:
Da, Domine, quod jubes, et jube quod vis“. Ciò che importa è di non
resistere mai di proposito deliberato alle divine sue ispirazioni: quanto più
noi siamo docili, tanto più volentieri egli muove l’anima nostra.

1319.   c) Bisogna anzi andargli
incontro, fiduciosamente invocandolo in unione col Verbo Incarnato che ci
promise di mandarci il suo Spirito, in unione con Colei che è il tempio più
perfetto e la sposa dello Spirito Santo, come fecero gli Apostoli che nel
Cenacolo pregavano con Maria “cum Mariâ, matre Jesu” 1319-1.

La Chiesa ci porge nella liturgia magnifiche preghiere per
attirare su noi lo Spirito di Dio; la sequenza Veni Sancte Spiritus,
l’inno Veni Creator Spiritus, e altre invocazioni che si trovano nel
Pontificale nel rito dell’ordinazione dei sudduaconi, dei diaconi e dei
sacerdoti; sono preci che hanno efficacia particolare, di contenuto così bello
che non si possono recitare senza sentirsene piamente commossi.

Ottimo costume è quello di recitare, prima di ogni azione, il
Veni Sancte Spiritus, come si fa nei Seminari, onde si chiede la divina
carità, principio dei doni, e il dono della sapienza “recta sapere” che,
essendo il più perfetto, contiene tutti gli altri. Recitata con attenzione e
fervore, questa preghiera non può restar senza effetto.

NOTE

1304-1 Quando si legge, per esempio, la
biografia di uomini come i PP. Olivaint e Ginhac, del Mollevaut o del De
Courson, e di tanti altri le cui vite furono pubblicate, non possiamo tenerci
dall’ammirarne le virtù, l’unione con Dio, la docilità allo Spirito Santo, ma
pure non si vede che abbiano praticata la contemplazione infusa.
1305-1 Don Ménager, La doct. spir.
de Clém. d’Alex.
, Vie spirituelle, gennaio 1923, p. 424; Cfr.
Etudes Carmélitaines, 1920-1922, ove è una serie di articoli sulla
contemplazione acquisita; si legga anche il nostro articolo sulla orazione di
semplicità
, Vie spirit., dic. 1920, p. 161-174.

1305-2 Questa conclusione è ammessa dal
P. Garrigou-Lagrange, in risposta ad una lettera di
G. Maritain (Perfect. chrét. et contempl., t. II°,
p. 75): “Quindi non abbiamo alcuna difficoltà a riconoscerlo ripetutamente:
può accadere che anime anche generosissime, per mancanza di certe condizioni
indipendenti dalla loro volontà, non pervengano alla vita mistica se non dopo un
tempo più lungo della durata ordinaria della nostra vita terrena. Il che può
dipendere non solo dall’ambiente sfavorevole, dalla mancanza di direzione, ma
anche dal fisico temperamento”.

1306-1 Rev. des Jeunes, 25 sett.
1923, p. 613. — Ciò che viene pure provato da G. Maritain, nell’articolo
citato. Aggiunge però che le anime, in cui predominano i doni attivi, sono nello
stato mistico, benchè non godano della contemplazione infusa. A scanso
d’equivoci, bisognerebbe aggiungere ch’esse sono nello stato mistico
impropriamente detto.

1307-1 S. Tommaso, In III
Sent.
, dist. XXXIV-XXXV; Iª IIæ, q. 68; IIª
IIæ, qq. 8, 9, 19, 45, 52, 121, 139; e i suoi commentatori,
specialmente Giovanni di S. Tommaso, in Iam
IIæ, q. 68; Suarez, De gratia, P. III,
c. VIII; Dionigi certosino, ottimo trattato De Donis
Spiritus S.;
G. B. de St Jure, L’uomo
spirituale
, 4° Principio, La docilité à la conduite du S. Esprit;
Mgr Perriot, L’Ami di Clergé, 1892; p. 389-393;
Froget, De l’habitation du S. Esprit, p. 378-424;
Card. Billot, De virtutibus infusis, (1901), p. 162-190;
Gardeil, Dons du S. Esprit, Dict. de Théol., t. IV,
col. 1728-1781; D. Joret, Les dons du S. Esprit,
Vie spirituelle, t. I, pp. 229, 289, 383; P. Garrigou-Lagrange, Perfect.
et contemplation
, t. I, c. IV, a. 5-6, p. 338-417; Mgr Landrieux, Le Divin Méconnu.

1308-1 Nel libro delle Sentenze (III.
Sent. d. 34, q. I, a. I) adopra questa espressione: “Dona a
virtutibus distinguuntur in hoc quod virtutes perficiunt ad actus modo
humano
, sed dona ultra humanum modum“. Nella Somma si serve
d’una espressione diversa: “secundum ea (dona) homo disponitur ut efficiatur
prompte mobilis ab inspiratione divinâ” (Iª IIae,
q. 68, a. I). Cfr. De Guibert, Dons du
S. Esprit et mode d’agir ultra-humain
, nella Rev. d’Asc. et de
Mystique
, ott. 1922, p. 394. Vi è qui certamente una sfumatura un
po’ diversa; resta però sempre vero che, sotto l’influsso dei doni giunti al
loro pieno sviluppo, noi siamo più passivi che attivi, magis agimur quam
agimus.


1309-1 Sum. theol., IIª
IIæ, q. 52, a. 2.

1311-1 Mgr Gay, Della vita e delle
virtù cristiane
, t. I.

1313-1 Sum. Theol., IIª
IIæ, q. 9, art. 3, ad 3: “Dona sunt perfectiora
virtutibus moralibus et intellectualibus; non sunt autem perfectiora virtutibus
theologicis; sed magis omnia ad perfectionem virtutum theologicarum ordinantur
sicut ad finem”. Cfr. Iª IIæ, q. 68, a. 8.

1314-1 Alcuni teologi, come l’abbate
Perriot (Ami du Clergé, 1892, p. 391), pensano che i doni
intervengano in ogni opera meritoria; ma senza andar tanto oltre, si ammette
comunemente che su questi atti influiscano frequentemente allo stato
latente
, senza che ne abbiamo coscienza.

1315-1 Sum. theol., Iª
IIæ, q. 68, a. 8 ad 2.

1315-2 In IIam
IIæ, q. 182, a. 1, § VII; Joret, Vie
spirit.
, 10 Aprile 1920, p. 45-49, e La Contemplation mystique,
1923, p. 71.

1316-1 I Cor., II, 12-14.

1317-1 Ps. LXXXIV, 9.

1317-2 De imit., l. III,
c. 1.

1318-1 Joan., VIII, 29.

1318-2 Ps. XCIV, 8; Hebr.,
III, 7-8.

1319-1 Act., I, 14.