Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (1167-1189)

Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO II. La via illuminativa o lo stato delle anime proficienti. CAPITOLO III. Le virtù teologali. Art. I. La virtù della Fede. I. Natura della fede. II. Efficacia santificatrice della virtù della fede. III. Pratica della virtù della fede.

1167.   1° San Paolo parla delle tre virtù teologali,
raggruppandole tutte e tre insieme come tre elementi essenziali della vita
cristiana e facendone risaltare la superiorità sulle virtù morali 1167-1. Esorta quindi i Tessalonicesi a indossare
l’usbergo della fede, e della carità, e l’elmo della
speranza
 1167-2, e loda in essi l’opera della fede, la
sollecitudine della carità, e la costanza della
speranza
 1167-3. Al contario dei carismi che sono
temporanei nella Chiesa, la fede, la speranza e la carità stabilmente
rimangono 1167-4.

1168.   2° Il loro ufficio è di unirci a Dio per
mezzo di Gesù Cristo e farci partecipare alla vita divina. Onde sono nello
stesso tempo unificanti e trasformanti.

a) La fede ci unisce a Dio, verità infinita, facendoci
entrare in comunione col pensiero divino, perchè ci fa conoscere
Dio come si è rivelato egli stesso, e così ci prepara alla visione
beatifica.


b) La speranza ci unisce a Dio, beatitudine suprema,
facendocelo amare come bene per noi; per lei fermamente e sicuramente
aspettiamo la felicità del cielo, come pure i mezzi necessari per giungervi; per
lei ci prepariamo già al pieno possesso della beatitudine eterna.

c) La carità ci unisca a Dio, bontà infinita,
facendocelo amare come infinitamente buono ed amabile in sè e formando
tra lui e noi una santa amicizia che ci fa vivere fin d’ora della sua vita,
perchè cominciamo ad amarlo come egli ama se stesso.

Questa virtù comprende sempre, sulla terra, le due altre virtù teologali, di
cui è per così dire l’anima, la forma, la vita, tanto che
la fede e la speranza sono imperfette, informi, morte, senza la carità. Onde la
fede non è intiera, al dire di S. Paolo, se non quando si manifesta
coll’amore e colle opere, “fides quæ per caritatem operatur” 1168-1; la speranza non è perfetta se non quando ci da
una pregustazione della celeste felicità col possesso della grazia santificante
e della carità.

 
ART. I. LA VIRTÙ DELLA
FEDE 1169-1.

Tre cose ne esporremo:

  • 1° La natura;

  • 2° l’efficacia santificatrice;

  • 3° la pratica progressiva.



I. Natura della fede.

Richiamiamo qui brevemente quanto abbiamo esposto nella nostra Teologia
dogmatica e morale.


1169.   1° Significato nella Sacra Scrittura. La
parola fede significa per lo più un’adesione dell’intelletto alla
verità
ma fondata sulla confidenza; del resto, per credere a
qualcuno, bisogna pure aver fiducia in lui.

A) Nel Vecchio Testamento la fede è presentata
come virtù essenziale, da cui dipende la salute o la rovina del popolo: “Credete
in Yaweh vostro Dio e sarete salvi” 1169-2; “se non credete, sarete
distrutti” 1169-3. Questa fede è assenso alla parola di Dio, ma
accompagnato da confidenza, da abbandono e da amore.

B) Nel Nuovo Testamento, la fede è cosa talmente essenziale che
credere vale professare il cristianesimo, e non credere vale non essere
cristiani: “Qui crediderit et baptizatus fuerit salvus erit; qui vero non
crediderit condemnabitur
” 1169-4. La fede è l’accettazione del Vangelo predicato
da Gesù Cristo e dagli Apostoli, onde suppone la predicazione: “fides ex
auditu
” 1169-5. Questa fede non è dunque nè un’intuizione del
cuore, nè una visione diretta “videmus nunc per speculum, in
ænigmate
” 1169-6; è un’adesione alla testimonianza divina,
adesione libera e illuminata, perchè da un lato l’uomo può ricusare di credere,
e dall’altro non crede senza ragioni, senza l’intima convinzione che Dio ha
rivelato 1169-7. Questa fede è accompagnata dalla speranza e si
perfeziona con la carità: “fides quæ per caritatem operatur” 1169-8.

1170.   2° Definizione. La fede è una virtù
teologale che inclina l’intelletto, sotto l’influsso della volontà e della
grazia, a dare fermo assenso alle verità rivelate, fondandosi sull’autorità di
Dio rivelante.


A) È quindi prima di tutto un atto dell’intelletto, perchè si
tratta di conoscere una verità. Ma non essendo questa verità intrinsicamente
evidente, la nostra adesione non può farsi senza l’influsso della volontà
che ordina all’intelletto di studiare le ragioni di credere, e, quando queste
sono convincenti, le comanda pure di darvi l’assenso. Trattandosi poi di un atto
soprannaturale, vi deve intervenire la grazia, sia per illuminar
l’intelletto, sia per aiutare la volontà. Onde la fede diventa un atto
libero, soprannaturale e meritorio.

B) L’oggetto materiale della fede è il complesso delle verità
rivelate, sia quelle che la ragione non può in nessun modo scoprire, sia quelle
che può conoscere da sè ma che conosce anche meglio colla fede.

Tutte queste verità si concentrano intorno a Dio e a Gesù Cristo: a Dio, uno nella natura e trino nelle persone, nostro primo principio e
nostro ultimo fine; a Gesù Cristo, nostro redentore e mediatore, che è
Figlio eterno di Dio fatto uomo per salvarci; e quindi all’opera sua redentrice
e a tutto ciò che vi si riferisce. Crediamo insomma ciò che un giorno vedremo
chiaramente in paradiso: “Hæc est autem vita æterna, ut cognoscant te solum
Deum verum et quem misisti Jesum Christum
” 1170-1.

1171.   C) L’oggetto formale, o ciò che
comunemente si dice motivo della fede, è l’autorità divina che ci
si manifesta dalla rivelazione e ci comunica alcuni dei secreti [sic] di Dio.
Onde la fede è virtù tutta soprannaturale nell’oggetto come nel motivo, che ci
fa entrare in comunione col pensiero divino.

D) Spesso la verità rivelata ci viene autenticamente proposta dalla
Chiesa, istituita da Gesù Cristo come interprete ufficiale della sua
dottrina; questa verità si dice allora di fede cattolica; se non v’è
definizione autentica della Chiesa, è semplicemente di fede divina.

E) Nulla è più fermo dell’adesione della fede: avendo piena
fiducia nell’autorità divina assai più che nei nostri lumi, con tutta l’anima
crediamo alla verità rivelata, il che facciamo con tanto maggior sicurezza in
quanto che la grazia divina viene ad agevolare e fortificare il nostro assenso.
Ecco perchè l’adesione della fede è più viva e più ferma dell’adesione alle
verità razionali.

II. Efficacia santificatrice della virtù della fede.

1172.   È chiaro che la fede così spiegata deve avere
una parte importante nella nostra santificazione: facendoci partecipare al
pensiero divino, è il fondamento della vita soprannaturale, e ci
unisce
intimissimamente a Dio.

1173.   1° È il fondamento della nostra vita
soprannaturale. Abbiamo detto che l’umiltà viene considerata come il fondamento
delle virtù e abbiamo spiegato in che senso (n. 1138);
ora la fede è il fondamento dell’umiltà, che, come si è detto, fu virtù
ignota ai pagani, onde viene ad essere in modo anche più profondo il fondamento
di tutte le virtù.

A farlo ben capire, non abbiamo che da commentar le parole del Concilio di
Trento, il quale afferma che la fede è il principio, il fondamento, la radice
della giustificazione e quindi della santificazione: “humanæ salutis initium,
fundamentum et radix totius justificationis
“.

A) Ne è il principio: perchè è il mezzo misterioso adoprato da
Dio per iniziarci alla sua vita e al modo con cui conosce se stesso; è da parte
nostra la prima disposizione soprannaturale, senza cui non si può nè sperare nè
amare; è, a così dire, la presa di possesso di Dio e delle cose divine. Per
impossessarsi del soprannaturale e viverne, bisogna prima di tutto conoscerlo
nil volitum quin præcognitum; ora noi lo conosciamo con la fede,
luce novella aggiunta a quella della ragione, che ci fa penetrare in un mondo
nuovo, il mondo soprannaturale. È come il telescopio che ci fa scoprire
le cose lontane che non possiamo vedere ad occhio nudo; il paragone per altro è
molto imperfetto, perchè il telescopio è strumento esterno, mentre la fede
penetra nel più intimo del nostro intelletto aumentandone l’acume e il campo
d’azione.

1174.   B) È anche in fondamento della
vita spirituale: questa similitudine ci dice che la santità è come un edificio
vastissimo ed altissimo, di cui la fede è il fondamento. Ora, in un edifizio,
quanto più ampie e profonde sono le fondamenta tanto più può l’edifizio sorgere
in altezza senza nulla perdere in solidità. Conviene quindi rassodar bene la
fede delle persone pie, e principalmente dei seminaristi e dei sacerdoti, onde
possa su questo incrollabile fondamento sorgere il tempio della cristiana
perfezione.

C) È finalmente la radice della santità. Le radici vanno a
cercare nel suolo i succhi necessari a nutrire e far crescere l’albero; così la
fede, che affonda le radici nel più intimo dell’anima e vi si nutre delle divine
verità, somministra alla perfezione dovizioso alimento. Le radici, quando sono
profonde, danno pure sodezza all’albero che reggono; così l’anima, rassodata
nella fede, resiste alle spirituali bufere. Nulla dunque di più importante, chi
voglia giungere ad alta perfezione, quanto una fede profonda.

1175.   2° La fede ci unisce a Dio e ce ne fa
partecipare il pensiero e la vita; è la conoscenza con cui Dio conosce se stesso
parzialmente comunicata all’uomo: “per lei, dice il Gay, 1175-1 la luce di Dio diventa luce nostra; la sapienza
sua sapienza nostra, la scienza sua scienza nostra, la mente sua mente nostra,
la vita sua vita nostra”.

Direttamente la fede unisce il nostro intelletto alla divina sapienza; ma non
potendosi l’atto di fede fare senza l’intervento della volontà, anche questa ha
la sua parte nei preziosi effetti che la fede produce nell’anima. Onde si può
dire che la fede è fonte di luce per l’intelletto, è forza e
consolazione per la volontà, è principio di meriti per l’anima
tutta.

1176.   A) È luce che illumina
l’intelletto e distingue il cristiano dal filosofo, come la ragione distingue
l’uomo dall’animale. Vi è in noi una triplice conoscenza: la conoscenza
sensitiva, che si ha con i sensi; la conoscenza razionale, che si
acquista con l’intelletto; la conoscenza spirituale o
soprannaturale, a cui si perviene colla fede. Quest’ultima conoscenza è
di molto superiore alle altre due.

a) Allarga il campo delle nostre cognizioni su Dio e sulle cose
divine: ben poco conosciamo colla ragione della natura di Dio e della sua vita
intima; con la fede impariamo che è un Dio vivente, che da tutta l’eternità
genera un figlio, e che dal mutuo amore del Padre e del Figlio scaturisce una
terza persona, lo Spirito Santo; che il Figlio si fece uomo per salvarci e
coloro che credono in lui diventano figli adottivi di Dio; che lo Spirito Santo
viene ad abitare nelle anime nostre, a santificarle e dotarle di un organismo
soprannaturale che ci abilita a fare atti deiformi e meritori. Ed è questa solo
una parte delle rivelazioni fatteci.

b) Ci aiuta ad approfondire le verità già conosciute con la
ragione. Quanto più precisa e più perfetta è infatti la morale evangelica
paragonata colla morale naturale!

Si rilegga il Sermone del monte: Nostro Signore fin dal principio
proclama francamente beati i poveri, i miti, i perseguitati; vuole dai discepoli
che amino i nemici, preghino per loro e facciano loro del bene. La santità da
lui predicata non è la santità legale od esteriore, ma una santità
interiore, fondata sull’amor di Dio e sull’amor del prossimo per Dio. A
stimolare il nostro ardore, ci propone l’ideale più perfetto: Dio e le sue
perfezioni; e poichè Dio par lontano da noi, il Figlio di Dio discende dal
cielo, si fa uomo, e, vivendo la nostra vita, ci offre un esempio concreto della
vita perfetta che dobbiamo condurre sulla terra. A darci la forza e la costanza
necessarie a tale impresa, non si contenta di camminare alla nostra testa, ma
viene a vivere in noi con le sue grazie e le sue virtù. Non possiamo dunque
addurre a scusa la nostra debolezza, perchè è egli stesso la forza nostra e la
nostra luce.

1177.   B) Che la fede sia un principio di
forza viene bellamente dimostrato dall’autore dell’Epistola agli
Ebrei
 1177-1.

La fede infatti ci dà convinzioni profonde che invigoriscono in modo
singolare la volontà: a) Ci mostra quanto Dio ha fatto e continua a
fare per noi, in che modo vive e opera nell’anima nostra per santificarla, come
Gesù ci incorpora a sè e ci fa partecipare alla sua vita, n. 188-189; onde
noi, con lo sguardo fisso sull’autore della nostra fede, il quale al gaudio e
alla gloria preferì la croce e l’umiliazione, “proposito sibi gaudio,
sustinuit crucem, confusione contemptâ
” 1177-2, ci sentiamo animo a portar valorosamente la
croce dietro a Gesù.

b) Ci mette continuamente dinanzi agli occhi la
ricompensa eterna che sarà il frutto dei temporanei patimenti:
momentaneum et leve tribulationis nostræ æternum gloriæ pondus operatur in
nobis
” 1177-3; onde diciamo con S. Paolo: “Penso che i
patimenti del tempo presente non hanno proporzione con la gloria ventura: non
sunt condignæ passiones hujus temporis ad futuram gloriam
” 1177-4; ci allietiamo anzi, come lui, in mezzo alle
tribolazioni 1177-5, perchè ognuna di esse, pazientemente
tollerata, ci frutterà un grado più alto nella visione e nell’amore di Dio.

c) Se sentiamo talora la nostra debolezza, la fede ci rammenta che,
essendo Dio stesso la nostra forza e il nostro sostegno, nulla abbiamo da temere
quand’anche il mondo e il demonio si alleassero contro di noi: “Et hæc est
victoria quæ vincit mundum, fides nostra
” 1177-6.

La qual cosa si vede nella mirabile trasformazione operata dallo Spirito
Santo nell’anima degli Apostoli; armati ormai della forza di Dio, essi, che
prima erano timidi e codardi, affrontano animosamente prove di ogni sorta,
flagelli, prigionie, perfino la morte, lieti di soffrire pel nome di Gesù:
ibant gaudentes… quoniam digni habiti sunt pro nomine Jesu contumeliam
pati
“.

1178.   C) La fede è pure fonte di
consolazione
, non solo in mezzo alle tribolazioni e alle umiliazioni ma
anche nelle dolorose perdite di parenti e di amici. Noi non siamo di quelli che
si contristano senza speranza; sappiamo che la morte non è che un sonno, presto
seguito dalla risurrezione, e che scambiamo una dimora provvisoria con una
permanente città.

Ciò che specialmente ci consola è il domma della Comunione dei Santi:
nell’attesa di riunirci a quelli che ci hanno lasciati, restiamo loro
intimissimamente uniti in Cristo Gesù; preghiamo per abbreviarne il tempo della
purificazione e affrettarne l’ingresso in paradiso; ed essi da parte loro,
sicuri ormai della propria salvezza, pregano ardentemente perchè possiamo andare
un giorno a raggiungerli nel cielo.

1179.   D) È finalmente fonte di numerosi
meriti:
a) l’atto stesso di fede è molto
meritorio
, perchè assoggetta alla divina autorità quanto vi è di meglio in
noi, l’intelletto e la volontà. Fede tanto più meritoria in quanto che è oggi
esposta a più numerosi assalti, e coloro che apertamente la professano vanno
incontro, in certi paesi, a maggiori scherni e persecuzioni.

b) Ed è pur la fede che rende meritori gli altri nostri atti:
essi infatti non possono essere tali senza un’intenzione soprannaturale e senza
l’aiuto della grazia (nn. 126, 239); ora è la fede che, dirigendo l’anima
verso Dio e Nostro Signore Gesù Cristo, ci abilita ad operare in tutte le cose
con mire soprannaturali; è lei pure che, palesandoci l’impotenza nostra e
l’onnipotenza divina, ci fa pregare con ardore per ottenere la grazia.

III. Pratica della
virtù della fede.


1180.   Essendo la fede nello stesso tempo dono di
Dio
e libera adesione dell’anima, è chiaro che, per farvi progresso,
bisogna appoggiarsi sulla preghiera e sui nostri sforzi. Sotto
questa doppia efficacia, la fede diverrà più illuminata e più semplice, più
ferma e più operosa.

Applicheremo questo principio ai vari gradi della vita spirituale.

1181.   1° Gl’incipienti si sforzeranno di
rassodarsi nella fede.

A) Ringrazieranno con tutto il cuore Dio di questo gran
dono, che è il fondamento di tutti gli altri, ripetendo le parole di
S. Paolo: “Gratias Deo super inenarrabili dono ejus” 1181-1. E tanto più lo ringrazieranno al vedersi
attorno gran numero di increduli. Pregheranno quindi per aver la grazia di
conservare questo gran dono non ostante tutti i pericoli che li circondano; e
penseranno pure a implorar l’aiuto di Dio per la conversione degl’infedeli,
degli eretici e degli apostati.

1182.   B) Reciteranno con umile
sottomissione e con ferma convinzione gli atti di fede, dicendo con gli
Apostoli: “adauge nobis fidem” 1182-1. Ma alla preghiera uniranno lo
studio e
la lettura di libri atti a illuminare e rinvigorire la fede; oggi si
legge molto, ma quanto pochi sono quelli, anche tra i cristiani intelligenti,
che leggano libri seri di religione e di pietà! O non è questa un’aberrazione?
Si vuol saper tutto fuorchè l’unico necessario.

1183.   C) Scanseranno tutto ciò che potrebbe
inutilmente turbare la fede: a) vale a dire certe letture
imprudenti
, in cui sono assalite, derise o messe in dubbio le verità della
fede.

La maggior parte dei libri che oggi si pubblicano, non solo fra i libri
dottrinali ma anche fra i romanzi e le opere teatrali, contengono assalti ora
aperti ora palliati contro la fede. Se non si sta attenti, si beve a poco a poco
il veleno dell’incredulità, si perde almeno la verginità della fede, onde viene
il momento che, scossa da esitazioni e da dubbi, la fede non sa più come
difendersi. Bisogna rispettare su questo punto le savie prescrizioni della
Chiesa che forma un indice di libri cattivi o pericolosi, e non
disprezzarlo col pretesto che si è sufficientemente premuniti contro i pericoli.
Veramente uno non lo è mai abbastanza: il Balmes, ingegno così profondo e così
ben equilibrato, e che così abilmente difese la Chiesa, obbligato a leggere
libri eretici per confutarli, diceva agli amici: 1183-1 “Voi sapete se i sentimenti e le dottrine
cattoliche siano in me ben radicate; eppure non mi accade mai di adoperare un
libro proibito, senza sentire poi il bisogno di ritemprarmi nella lettura della
Bibbia, dell’Imitazione o di Luigi di Granata. Or che sarà di questa insensata
gioventù che osa leggere di tutto senza preservativi e senza esperienza? Ne sono
atterrito al solo pensarvi”. Per lo stesso motivo dobbiamo, com’è chiaro,
fuggire le conversazioni degli increduli o le loro conferenze.

b) Schivano pure quell’orgoglio intellettuale che
vuole abbassar tutto al proprio livello e non accettare se non ciò che capisce.
Rammentano che c’è sopra di noi uno Spirito infinitamente intelligente che vede
ciò che la debole nostra ragione non può comprendere e che ci fa grand’onore a
manifestarci il suo pensiero. Accertatici che abbia parlato, l’unico contegno
ragionevole è di accogliere con riconoscenza questo supplemento di luce: se
c’inchiniamo davanti a un uomo di genio che benevolmente ci comunichi alcune
delle sue cognizioni, con quanta maggior confidenza non dobbiamo inchinarci
davanti alla Sapienza infinita?

1184.   D) Quanto alle tentazioni contro
la fede, bisogna distinguere tra quelle che sono vaghe e quelle che
battono su un punto determinato.

a) Quando sono vaghe, come questa: Chi sa se saranno poi
cose vere?
bisogna scacciarle come si fa con le mosche importune.

1) Siamo in possesso della verità, i nostri titoli di proprietà sono in buona
e debita forma; e questo ci basta. 2) Abbiamo del resto altre volte
chiaramente veduto che la nostra fede si reggeva sopra sodi fondamenti; questo
ci basta; non si può rimettere ogni giorno in dubbio ciò che è stato una volta
sodamente provato; nelle cose della vita ordinaria non si bada a questi dubbi e
a queste pazze idee che passano per la mente; si tira avanti e la certezza
ritorna. 3) E poi altri, più intelligenti di me, credono queste verità e
sono convinti del valore delle loro prove: io accetto il loro giudizio, che è
assai più assennato di quello di certa gente che prende maligno diletto a
rendersi singolare con lo scalzar dalla base tutti i fondamenti della certezza.
A queste ragioni di buon senso si aggiunge la preghiera: “Credo, Domine,
adjuva incredulitatem meam
” 1184-1.

1185.   b) Se sono invece determinate e
si riferiscono a punti particolari, si continua a credere fermamente, essendo in
possesso della verità; ma uno si vale della prima occasione per chiarire la
difficoltà, sia col proprio studio se si ha ingegno e i necessari documenti, sia
consultando persone istruite che possano aiutarci a risolvere più facilmente il
problema. Allo studio si associa la preghiera e la docilità alla leale
investigazione, e ordinariamente non si tarda a trovare la soluzione.

Bisogna per altro ricordarsi che questa soluzione non farà sempre dileguare
ogni difficoltà. Vi sono talora obiezioni storiche, critiche, esegetiche che non
possono essere risolte se non dopo lunghi anni di studio. Si pensi allora che,
quando una verità è provata da buoni e sodi argomenti, prudenza vuole che si
continui ad aderirvi fino a che la piena luce possa dissipar tutte le nubi: la
difficoltà non distrugge il valor delle prove, mostra soltanto la debolezza del
nostro ingegno.

1186.   2° Le anime progredite praticano non
solo la fede, ma lo spirito di fede o la vita di fede: “Justus autem
ex fide vivit
” 1186-1.

A) Leggono amorosamente il Santo Vangelo, liete di seguire a
passo a passo Nostro Signore, di gustarne le massime, di ammirarne gli esempi
per imitarli. Gesù comincia a diventar centro dei loro pensieri: lo cercano
nelle letture e nei lavori, bramose di meglio conoscerlo per meglio amarlo.

1187.   B) Si avvezzano a guardare e giudicare
tutto secondo la fede: cose, persone, eventi. 1) Vedono in tutte le
opere divine la mano del Creatore e le sentono ripetere: “ipse fecit
nos et non ipsi nos
” 1187-1; Dio quindi ammirano dovunque. 2) Le
persone che hanno attorno sono per loro come immagini di Dio, figli dello
stesso Padre celeste, fratelli in Gesù Cristo. 3) Gli eventi, che
per gl’increduli sono talora così oscuri, vengono da loro interpretati alla luce
di quel gran principio che tutto è ordinato a vantaggio degli eletti, che i beni
e i mali vengono distribuiti con la mira alla nostra santificazione e all’eterna
nostra salute.

1188.   C) Ma si studiano
specialmente di regolarsi in tutto secondo i principii della fede:
1) i giudizi sono fondati sulle massime del Vangelo e non su quelle
del mondo; 2) le parole sono ispirate dallo spirito cristiano e non
dallo spirito del mondo, perchè conformano le parole ai giudizi, trionfando così
del rispetto umano; 3) le azioni si accostano quanto più è possibile
a quelle di Nostro Signore, che volentieri riguardano come modello, onde evitano
di lasciarsi trascinare dagli esempi dei mondani. Vivono insomma vita di fede.

1189.   D) In fine si sforzano di
propagare intorno a sè la fede di cui sono animate: 1) con la
preghiera, chiedendo a Dio che mandi operai apostolici ad evangelizzare
gli infedeli e gli eretici: “Rogate ergo Dominum messis ut mittat operarios
in messem suam
” 1189-1; 2) con gli esempi, praticando sì
bene i doveri del proprio stato da indurre i testimoni della loro vita ad
imitarli; 3) con le parole, confessando schiettamente e senza
rispetto umano che trovano nella fede forze a fare il bene e consolazioni
in mezzo alle pene; 4) con le opere, contribuendo con generose
largizioni, con sacrifici e con l’opera all’istruzione e all’educazione morale e
religiosa del prossimo.

3° I perfetti, coltivando i doni della scienza e
dell’intelletto, perfezionano vie più la loro fede, come spiegheremo
trattando della via unitiva.
 
NOTE
1167-2 I Thess., V, 8.

1167-3 I Thess., I, 3.

1167-4 I Cor., XIII, 13.

1168-1 Galat., V, 6.

1169-1 S. Agostino, Enchiridion de
Fide, Spe et Caritate;
S. Tommaso, IIª IIæ, q.
I-XVI; Giov. di S. Tommaso, De fide; Suarez,
De fide; J. de Lugo, De virtute fidei divinæ; Salmanticenses,
De fide; Scaramelli, Direttorio ascetico, t. IV,
art. I; Card. Billot, De virtutibus
infusis
, th. IX-XXIV; Banivel, La foi et l’acte de foi; Hugon,
La lumière e la foi; Mgr Gay, Vita e virtù, t. I, tr. III;
C. de Smedt, Notre vie surnat., t.
I, p. 170-271; Mgr d’Hulst, Carême 1892; P. Janvier,
Quaresimale, 1911-1912 (Marietti, Torino);
P. Garrigou-Lagrange, De Revelatione, t. I, c. XIV-XV;
S. Harent, Dic. de Théol., al vocabolo Foi.

1169-2 II Paral., XX, 20.

1169-3 Isa., VII, 9.

1169-4 Marc., XVI, 16.

1169-5 Rom., X, 17.

1169-6 I Cor., XIII, 12.

1169-7 Phil., III, 8-10.; I
Petr.
, III, 15.

1169-8 Gal., V, 6.

1170-1 Joan., XVII, 3.

1175-1 De la vie et des vertus… t.
I, p. 150.

1177-1 Hebr., XI.

1177-2 Hebr., XII, 2.

1177-3 II Cor., IV, 17.

1177-4 Rom., VIII, 18.

1177-5 Rom., V, 3-5.

1177-6 I Joan., V.

1181-1 II Cor., IX, 15.

1182-1 Luc., XVII, 5.

1183-1 A. de Blanche-Raffin, Balmès, p. 44.

1184-1 Marc., IX, 23.

1186-1 Rom., I, 17.

1187-1 Ps. XCIX, 3.

1189-1 Matth., IX, 38.