Cattolici inglesi martirizzati sotto il regno di Enrico VIII.

La Chiesa cattolica, che è in Inghilterra e nel Galles, il 4 maggio di ogni anno fa memoria dei suoi figli che diedero la vita, fino all\’effusione del sangue, per non rinnegare la fede nel primato spirituale del Sommo Pontefice e nel dogma del Sacrificio eucaristico, sotto i governi di Enrico VIII (1509-1547), Elisabetta I (1558-1603), fino a Carlo II (1660-85). Non di tutti questi numerosi martiri inglesi fu possibile raccogliere notizie sicure. Leone XIII ne beatificò 54 il 29-12-1886 e 9 il 13-5-1895; Pio XI ne beatificò 136 il 25-12-1929; Paolo VI ne canonizzò 40 il 25-10-1970. Di essi 13 sono sacerdoti del clero secolare, 3 benedettini, 3 certosini, 1 brigidino, 2 francescani, 1 agostiniano, 10 gesuiti e numerosi laici, tra cui anche donne.

La Chiesa cattolica, che è in Inghilterra e nel Galles, il 4 maggio di ogni anno fa memoria dei suoi figli che diedero la vita, fino alla effusione del sangue, per non rinnegare la fede nel primato spirituale del Sommo Pontefice e nel dogma del Sacrificio eucaristico, sotto i governi di Enrico VIII (1509-1547), Elisabetta I (1558-1603),Giacomo I (1603-1625), Carlo I e il periodo della guerra civile (1625-49) con l\’estensione al Commonwealt (1649-60), fino a Carlo II (1660-85).
 Non di tutti i numerosi martiri inglesi fu possibile raccogliere notizie sicure. Leone XIII ne beatificò 54 il 29-12-1886 e 9 il 13-5-1895; Pio XI ne beatificò 136 il 25-12-1929; Paolo VI ne canonizzò 40 il 25-10-1970. Di essi 13 sono sacerdoti del clero secolare, 3 benedettini, 3 certosini, 1 brigidino, 2 francescani, 1 agostiniano, 10 gesuiti e 7 laici, tra cui 3 donne. Specialmente di costoro tracceremo un breve profilo non essendo possibile ricordare tutti i martiri elevati all\’onore degli altari. Giovanni Paolo II, l\’1-11-1987, beatificò altri 85 martiri inglesi, di cui 22 laici e 65 sacerdoti. Costoro soffrirono e morirono, in conseguenza di un decreto di Elisabetta II del 1585, che proibiva ai sacerdoti di essere ordinati "al di là del mare" e vietava ai laici di dare ospitalità ai sacerdoti, pena la confisca dei beni e la morte. I laici furono di solito strangolati o accomunati al supplizio dei loro pastori; gli ecclesiastici, invece, trascinati al patibolo distesi supini sopra un graticcio, vennero impiccati, sventrati, benché talvolta ancora vivi, squartati ed esposti nelle parti più frequentate della città. Il loro tormento fu accresciuto dal pensiero di essere stati traditi da una ventina di confratelli apostati, persino da antichi compagni di studio o di prigionia. Diversi laici furono traditi dagli stessi parenti.
 Durante il regno di Enrico VIII e di Elisabetta I, dei condannati a morte, 119 furono giustiziati a Londra, 43 a York, 10 a Durham, 6 a Lancaster e a Dorchester, 5 a Canterbury e a Winchester, 4 a Oxford.
 All\’origine dello scisma d\’Inghilterra e delle spietate persecuzioni contro i cattolici, sta il divorzio del re Enrico VIII (+1547), non una vera e propria eresia dogmatica. Desiderando un erede maschio che sua moglie, Caterina d\’Aragona, ex-consorte di suo fratello Arturo, non era riuscita a dargli, pretese di sposare una delle sue amanti, la dama di corte Anna Bolena, adducendo l\’invalidità del precedente matrimonio, nonostante che Giulio II avesse concesso la dispensa dall\’impedimento di affinità di primo grado. Clemente VII, pressato da Caterina e da suo nipote, Carlo V, revocò il processo dinanzi ai tribunali di Roma (1529) e proibì al re di passare ad altre nozze pena la scomunica (1531), ma Tommaso Cranmer, un oscuro avvocato che aveva acquistato influenza presso il sovrano e aveva assunto il cancellierato dopo il ritiro di Tommaso Moro (1532), gli consigliò di staccarsi da Roma seguendo l\’esempio dei principi tedeschi. Divenuto arcivescovo di Canterbury e primate d\’Inghilterra, dopo che Enrico VIII aveva sposato Anna Bolena (1533), egli dichiarò ufficialmente nullo il matrimonio da lui contratto con Caterina d\’Aragona. Il re incorreva per questo, automaticamente, nella scomunica. Alla definitiva sentenza papale che soltanto il matrimonio con Caterina d\’Aragona aveva valore legittimo, il sovrano rispose con l\’atto di supremazia (1534), che dichiarava il re e la regina supremi e unici capi della Chiesa d\’Inghilterra, e attribuiva a loro quel potere spirituale che su di essa aveva sempre esercitato il papa. Chi rifiutava di accettare l\’atto veniva considerato reo di alto tradimento e punito con morte crudele.
 Contro questo sovvertimento religioso non mancarono le proteste dei buoni, ma la maggioranza del clero, già da tempo assuefatta ad una chiesa di stato e imbevuta di spirito mondano, si assoggettò a questa nuova forma di cesaropapismo, senza fiatare. Coloro che si rifiutarono di giurare, furono condannati a morte. Le vittime più note del despotismo regale furono i Santi Tommaso Moro e Giovanni Fischer, ed i diciotto certosini dell\’abbazia londinese. Emissari del re si presentarono ad essi per chiedere che accettassero di riconoscere come vera sovrana Anna Bolena. Il priore della certosa, S. Giovanni Houghton, e tutti i suoi monaci, convinti che il giuramento di fedeltà non implicava articoli di fede, si piegarono agli ordini del re. Quando però Enrico VIII impose l\’atto di supremazia, tutti i certosini si dissero pronti a morire piuttosto che separarsi dalla Chiesa Cattolica, apostolica, romana.
 In quel tempo erano giunti alla certosa di Londra, per affari delle loro case, S. Roberto Lawrance, priore di Beauvale, e S. Agostino Webster, professo della casa di Sheen e priore di quella di Axholme. Costoro, d\’accordo con gli altri certosini, si recarono da Tommaso Cranmer, che il re aveva nominato "vicario generale per gli affari ecclesiastici", perché esortasse il sovrano ad esimerli da un giuramento che ripugnava alla loro coscienza. Per tutta risposta i due certosini furono rinchiusi nella Torre di Londra come ribelli e traditori e, dopo una settimana, processati e condannati a morte, per delitto di lesa maestà.
 In carcere fu loro associato S. Riccardo Reynolds, poliglotta, della casa di Syon, sul Tamigi, dell\’Ordine di S. Brigida. Egli aveva risposto al cancelliere, che gli aveva chiesto come mai si opponesse alla legge del parlamento che pure era composto da tanti nobili e vescovi: "Per essere a posto con la mia coscienza e di quelli che sono presenti qui con me, io dichiaro che la nostra fede ha maggior peso ed è sorretta da maggiori testimonianze di quella vostra, perché invece delle poche testimonianze che voi avete ottenuto soltanto dal parlamento di questo regno, io ho dalla mia parte l\’intero mondo cristiano". Condannato anche lui a morte, chiese che l\’esecuzione della sentenza fosse sospesa per due giorni "cosicché potesse preparare la sua anima all\’incontro con la morte come si conviene a un religioso e a un buon cristiano".
 Il 4-5-1535 i condannati a morte, rivestiti degli abiti religiosi, furono trascinati a Tyburn, la piazza di Londra adibita alle esecuzioni capitali. Tommaso Moro poté osservare quei protomartiri dalla cella della sua prigione e dire alla figlia che era andata a trovarlo: "Guarda con quanta serenità vanno alla morte. Sono magnifici!". Il primo ad essere strangolato fu S. Giovanni Houghton. Egli abbracciò il boia che gli chiedeva perdono, respinse un ultimo invito a sottomettersi all\’editto reale e mise il collo nel cappio pregando: "Nelle tue mani, o Signore…". Uno dei presenti tagliò subito la corda con cui era stato impiccato, e il martire cadde a terra che era ancora vivo. Il boia lo denudò e gli cavò le viscere, ma mentre gli strappava il cuore si udì il morente gemere: "Piissimo Signore Gesù, abbi pietà di me in quest\’ora".
 L\’ultimo a morire fu S. Riccardo Reynolds essendo stato condannato ad assistere all\’orrendo supplizio degli altri. Uno dei presenti attestò: "Vedendoli atrocemente sventrare e squartare, li incoraggiava e li confortava senza impallidire e perdersi d\’animo". Quando giunse il suo turno, stando in piedi sotto la forca, esortò la folla a pregare per Enrico VIII, "affinchè il re che, all\’inizio del suo regno aveva governato con saggezza e pietà, come Salomone, non dovesse, come lui, nei suoi ultimi tempi, essere sedotto dalle donne fino alla rovina". I corpi dei martiri, dopo che furono squartati e coperti di pece, furono esposti sulle piazze di Londra per incutere terrore ai "papisti".
 Durante il regno di Enrico VIII, verso la fine del 1539, fu giustiziato pure l\’agostiniano S. Giovanni Stone. Era stato arrestato nel suo convento, durante la visita che vi fece il vescovo eretico di Dover, nell\’intento di ricevere, a nome del re, la sottomissione di quella comunità. Fu interrogato da Tommaso Cranmer e incarcerato a Londra quasi per un anno prima di venire condannato a morte. Dio lo confortò in mezzo a tanta tribolazione. Difatti un giorno udì una voce, senza vedere nessuno, che lo chiamava per nome e lo incoraggiava a farsi animo e a non esitare ad affrontare fermamente la morte, per quella fede che aveva professato.
 Il 7-3-1545 a Tyburn fu impiccato e squartato pure il B. Giovanni Ireland, cappellano di S. Tommaso Moro, perché "istigato dal demonio, aveva cercato maliziosamente, falsamente, proditoriamente di privare il re del titolo… di capo supremo della chiesa anglicana". Prima di lui, il 12-7-1541 era stato mandato a morte a Southwark il B. Davide Gonson, cavaliere dell\’Ordine di S. Giovani di Gerusalemme che, l\’anno precedente, il re aveva abolito in Inghilterra per incamerarne i beni.
 Il solco tra il papato e l\’Inghilterra divenne ancora più profondo con le riforme di sapore protestante introdotte dal re Edoardo VI (+1553), succeduto a suo padre Enrico Vili, sotto la reggenza dello zio materno, Edoardo Seymour. Difatti, nel 1549, approvò e fece imporre con la forza il Libro della Preghiera Comune, compilato dal Cranmer secondo i principi luterani e calvinisti.
 L\’organizzazione della Chiesa inglese fu capovolta con Maria Tudor, detta la cattolica (+1558), figlia di Enrico VIII e di Caterina d\’Aragona. Con l\’appoggio del cardinal Reginaldo Fole, suo cugino e legato pontificio, cercò di sottomettere il suo regno al sommo pontefice. Fu severa con i protestanti più ostinati e fomentatori di rivolte. Ne mandò al rogo 273, meritandosi così il soprannome di sanguinaria. Tra i condannati a morte ci fu pure l\’ipocrita Tommaso Cranmer.
 A Maria Tudor, succedette Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, sovrana di grandi capacità, ma priva di ogni idealismo religioso. Sua unica preoccupazione fu quella di accrescere il prestigio dell\’Inghilterra di fronte alla Francia e alla Spagna. Sotto il governo della sorellastra Maria, si era professata esternamente cattolica ma, fin dall\’inizio del suo regno, avversò il cattolicesimo perché i fedeli consideravano erede legittima del trono inglese non lei, ma Maria Stuart, regina di Scozia. Prima che Paolo IV assumesse una posizione ostile contro di lei, ella passò apertamente al protestantesimo con il sostegno di Guglielmo Cecil lord Burghey, segretario di stato e suo consigliere (+1598). 
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 Sac. Guido Pettinati SSP,
 I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 67-71.
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