CREDITO PUBBLICO

Di p. L. Taparelli d'Azeglio S.J., –  1. Vantaggi dei banchi pubblici: solvibilità – 2. Prontezza – 3. Efficacia – 4. Estensione di relazioni – 5. Grandezza delle imprese – 6. Varii ufficii dei Banchi – 7. Raccolgono capitali per via di deposito: – 8. per via di azioni – 9. Banco dello Stato – 10. Banchi di società diverse – 11. Base della fiducia. – 12. Credito personale e reale – 13. Credito fondiario – 14. Credito industriale o popolare – 15. Credito mobiliare – 16. Epilogo. La fiducia sostituita alla moneta – 17. Attinenze del Credito col Cattolicismo – 18. Il credito non si rassoda se nella società non regna l'onestà del disinteresse – 19. Il Credito fra gli eterodossi – 20. Suoi esordii nel Medio evo – 21. Causa dei suoi progressi. – 22. Imprudenza del progresso fanatico.

CREDITO PUBBLICO
«La Civiltà Cattolica», 1858, a. 9, Serie III, vol. X, pp. 385-406.

SOMMARIO
1. Vantaggi dei banchi pubblici: solvibilità – 2. Prontezza – 3. Efficacia – 4. Estensione di relazioni – 5. Grandezza delle imprese – 6. Varii ufficii dei Banchi – 7. Raccolgono capitali per via di deposito: – 8. per via di azioni – 9. Banco dello Stato – 10. Banchi di società diverse – 11. Base della fiducia. – 12. Credito personale e reale – 13. Credito fondiario – 14. Credito industriale o popolare – 15. Credito mobiliare – 16. Epilogo. La fiducia sostituita alla moneta – 17. Attinenze del Credito col Cattolicismo – 18. Il credito non si rassoda se nella società non regna l'onestà del disinteresse – 19. Il Credito fra gli eterodossi – 20. Suoi esordii nel Medio evo – 21. Causa dei suoi progressi. – 22. Imprudenza del progresso fanatico.

1. Nell'articolo precedente abbiamo considerato i primi passi di quella maravigliosa macchina economica che, sotto nome di Credi­to, ha assunto in gran parte l'ufficio di agevolare le grandi permu­tazioni, risparmiando ai metalli l'ozioso ufficio di moneta e lasciandoli così liberi a girare pel commercio e per le officine. Ma i primi passi del Credito, come quei del fanciullo e dell'adolescente, si erano contenuti nelle mura domestiche e in una vita, per così dire di famiglia: ogni banchiere faceva da principio da sè solo gli affari suoi. È inutile il dire che in questa, come in ogni altra relazione sociale, dalla congiunzione delle forze doveano nascere e nacquero veramente mirabili incrementi nell'opera e per l'intensità della fiducia ispirata, e per l'estensione delle relazioni, e per l'efficacia dei mezzi.
L'intensità della fiduda di chi raccomanda il danaro al banco, dipende principalmente da tre elementi: vale a dire dalla certezza che non vi manchi il valsente; dal presupposto che il banco vorrà restituire; dai mezzi, con cui, in caso di renitenza, potrebbe esservi costretto. Vede ognuno, e specialmente sotto i due primi aspetti, quanto crescono le ragioni di fiducia allorchè molti nomi concor­rono in una società di Credito. Se di qualcuno degli associati potrebbe dubitarsi quanto ne sieno solidi i fondi, il dubbio diviene moralmente impossibile, allorchè trattasi di numerosa associazione d'uomini notoriamente facoltosi.

2. Dite altrettanto della prontezza ai pagamenti, in quanto essa dipende dalla probità personale. Che un negoziante riputato integerrimo, possa essere un vero ipocrita, un truffatore, è cosa possibile. Ma che molti nomi onesti e rispettati abbiano ugualmente tradito il pubblico mascherando una tregenda di ladri, questo sarebbe tal fenomeno, che non può entrare tra i calcoli probabili dell'uma­na prudenza: tanto più che, se anche l'onestà interna fosse in cia­scuno inferiore al credito di che egli gode, la pubblicità dell'infa­mia, a cui la società negoziatrice si esporrebbe col fallire volontariamente al dovere, conterrebbe gli associati e per rispetto al buon nome e per timore di perdita irreparabile negl'interessi.

3. L'efficacia finalmente dei mezzi somministrati dalla pubblicità per la riscossione delle quote, sebbene contro i banchi pubblici sembri minore sotto un aspetto, per la potenza di coloro che li formano e li amministrano, la quale potrebbe resistere alla coazione giudiziaria; pure per altri rispetti cresce in ragione e dei cointeressati, a riscuotere e della difficoltà di nulla nascondere, e delle pubbliche guarentigie, all'ombra delle quali coteste associazioni si formano, e dei cent'occhi che vegliano perpetuamente sugli andamenti della società. Per tutte queste ragioni è chiaro che la fiducia riposta nei banchi pubblici è molta più intensa, di quella, con cui si suole confidare la moneta ad un banchiere privato: nel quale l'onestà ben può essere superiore ad ogni eccezione; ma il conoscerne a fondo l'integrità non può essere che dei pochi intimi amici: e posta anche cotesta integrità indubitabile, quante sono le vicende che possono renderne vano il buon volere scemandone i mezzi, anche senza colpa di lui, con inaspettato fallimento! Nella quale ipotesi, che giovano tutte le guarentigie, se non a raccogliere dal naufragio miseri ed incerti rottami del banco naufragato?

4. Coll'aumento della fiducia è chiaro che in un banco pubblico già crescono le relazioni commerciali, per la facilità di trovare chi confidi i capitali, proporzionati alla fiducia medesima. Ma esse crescono inoltre e per la pubblicità della istituzione e pel gran numero delle persone cointeressate. La stessa pubblicità, data all'istituzione nel momento di esordirla, è per sè medesima un invito a tutti i capitali anche più minuti, che ad un privato riuscirebbe difficilissimo l'andar fiutando nei loro ripostigli. Come sarebbe possibile, esempligrazia, ad un banchiere privato andare raccogliendo quella infinita quantità di monetuzze spicciolate, che raccoglie in un anno dalla scarsella degl'infimi operai una Cassa di risparmio mediante la sua pubblicità? Non si crederebbe a quali somme si ammonti il totale di cotesti piccioli depositi: e troviamo in Francia nella Cassa di risparmio raccolti nel solo anno 1844 circa 400 milioni di franchi: somma che, al dire del Coquelin, molto potrebbe crescere, se le operazioni del banco non si trovassero, vincolate dalle prescrizio­ni del Governo. Negli stessi Stati Pontificii, ove la mania di arricchire ancor non è giunta a quei delirii che dai pazzi dell'economia sono ammirati e invidiati come apice del progresso, ed ove l'istituzione è di data assai fresca (1836): negli Stati Pontificii, diciamo, i nostri lettori già hanno potuto vedere (volume X, pag. 104) che l'attivo totale di 34 di queste Casse di risparmio ascende a scudi 4.728.361.360 somma notabilissima, quando si riflette alla picciolezza delle quote che per lo più non oltrepassano, come quivi è detto, i 10 scudi. La pubblicità dunque stendendo le relazioni del banco, in forza della sua stessa notorietà, rende più agevole l'accumulare capitali spicciolati.
Siccome poi è nella natura di coteste associazioni che esse risultino dalla cooperazione d'uomini, ciascuno dei quali già trovasi come centro di estese corrispondenze; posti scambievolmente a contatto cotesti centri, il complesso che ne risulta, forma, come ognun vede, una rete immensa.

5. E di qui nasce la grande efficacia dei mezzi, dei quali coteste associazioni possono disporre. Le enormi imprese dell'industria moderna, corrispondenze di piroscafi che mettono in regolare comunicazione i punti più remoti del globo, ferrovie che innalzano le valli, traforano i monti, cavalcano fiumi e golfi, monumenti colossali che sorgono, istituzioni ed imprese tipografiche, telegrafi elettrici, che annunziano in un attimo quelle notizie che un secolo fa avrebbero impiegato nel loro corso i mesi e gli anni, prosciugamenti di vastissimi territorii restituiti a coltura e salubrità; tutte insomma le opere, il cui dispendio atterrirebbe qualsivoglia, benché ricchissimo scrigno, divengono oggimai uno scherzo, tostochè una società industre riesce ad ispirar fiducia nell'universale e a cattivarsene coi suffragii le borse. Tutti cotesti sforzi giganteschi; altro non sono finalmente che un'immensa moltiplicazione di quel fenomeno primitivo che abbiamo preso a dichiarare, l'effetto della fiducia degli uni nella probità degli altri: fiducia dei minuti capitalisti nei banchieri, fiducia dei banchieri nell'associazione dei grandi capitalisti che compongono la pubblica istituzione di Credito.
È facile il vedere che le operazioni dei banchi pubblici si riducono a quelle medesime che vedemmo nel privato. Anch'essi debbono dapprima trovare i fondi, coi quali eseguire le imprese: poi collocarli in mani esperte che rendano fruttifero quel che fu prima danaro giacente; finalmente somministrare, mediante il Credito, i mezzi celeri e semplici per mettere in giro quei fondi.
Dimostrato così la precellenza dei pubblici banchi sui privati, diciamo una parola delle forme, con cui quelli esercitano la loro influenza, e della materia intorno a cui versano.

6. I capitali giacenti talora si raccolgono per via d'associazione, talora per via di deposito. Questa seconda fu, per quanto ne sembra, la più antica maniera d'istituzione dei banchi pubblici; i quali ricevendo dai privati il deposito della loro pecunia, ne rilasciavano una fede al deponitore.
Il sommo vantaggio che quindi derivava al commercio non era tanto la sicurezza nel conservare la moneta, quanto l'agevolezza nei pagamenti: atteso che ogni negoziante che avesse danari sul banco saldava cogli altri i suoi debiti con una semplice girata di partite su i libri del banco medesimo, senza mettere in movimento la moneta metallica. Questa primitiva maniera di pagamenti, ita quasi in disuso, specialmente nel Continente, sembra oggi voler tornare in riputazione sull'esempio dell'Inghilterra, la quale nelle sue checks (trucioli diremmo noi in italiano) vien proposta dal Lechevalier come esempio da imitarsi alla Francia. Qui, dic'egli, i pagamenti ordinarii si fanno per lo più o in monete, o in polizze pubbliche: le firme dei privati sono riserbate pei contratti di maggiore importanza: di che la necessità per ogni negoziante, o grande o piccolo, di serbar sempre nello scrigno notabile quantità di numerario gia­cente. In Inghilterra all'opposto chiunque spende tiene alla mano continuamente un librettino a matrice, detto check book, dal quale distacca un foglietto, o un truciolo (coupon) ogni volta che deve fare un pagamento. Codeste cedolette, assicurate dalla fiducia scambievole, sono divenute in Inghilterra moneta corrente, moneta veramente fiduciaria; la cui autenticità è fondata sopra un altro libretto detto pass-book (libro di passaggio), ove come in libro di Cassa, si scrive di giorno in giorno il conto corrente fra il banchiere e il negoziante. Mediante coteste cedolette private, il commercio inglese opera il giro annuo di 37 milliardi e 560 milioni, senza occuparvi né moneta, né cedole pubbliche, le quali possono così meglio adoperarsi alle operazioni commerciali. In tal guisa, rettamente osserva il Coquille (1), noi torniamo dopo parecchi secoli con le pubbliche istituzioni a quella maniera di pagamenti che fu adoperata nei loro primordii dai primi banchi di deposito.
Accreditatissirno fra questi fin dall'origine fu quello di Amsterdam, la cui delicatezza nella gelosa custodia delle somme confidategli ne sostenne altissimo il credito fino all'epoca della rivoluzione francese. La moneta che raccoglieva nelle sue casse era scrupolamente saggiata e ridotta a giusto valore, calcolando nelle monete forestiere la sola pasta. Ai valori raccolti in cassa corrispondevano esattamente le cedole gittate in corso: e le tre chiavi, confidate a tre ufficiali dello Stato, assicuravano alla pubblica fiducia l'inviolabilità del deposito. Di che il valore della moneta di banco superava quello delle altre monete, soggette com'esse erano in mano ai Governi, allora principalmente, a frequenti alterazioni o per conseguenza delle vicende politiche, o per malintese economie di zecche ingannatrici, o per l'avarizia del volgo che le alterava tosandole. Se non che allo scoppio della rivoluzione francese il credito intemerato di quella famosa istituzione ricevette una scossa, da cui più non risorse, essendosi scoperto che la Direzione aveva imprestato 24 milioni agli Stati di Olanda e di Frisia; onde si trovava impotente a rimborsare pienamente i creditori.
Anteriore a questo nel tempo e poco inferiore nel credito fu il banco di Venezia, a cui successero quei di Barcellona e di Genova, ristretti anch'essi generalmente all'uffizio di depositarii.

7. Nel 1694 l'istituzione del banco di Londra s'inaugurò sotto altra forma, divenuta oggidì comunissima nei banchi nazionali. Il Governo (era allora di Guglielmo e Maria) costituì il banco d'Inghilterra, proponendo una sottoscrizione volontaria di 1 milione e 200 mila sterline, i cui sottoscrittori costituiti in corporazione venivano dotati di molti privilegii: il fondo costitutivo del banco veniva imprestato al Governo, il quale si obbligava a pagare gl'interessi in ragione dell'8 % : altre 300 mila sterline offerivano ai sottoscrittori volontarii un'annua rendita duratura fino a termine prefisso. In tal guisa invece di un banco di deposito si ebbe un debito pubblico guarentito dal Governo, il quale raccoglieva quei fondi, non già per comodo dei remittenti, ma per sovvenimento alle pubbliche necessità che allora travagliavano il Regno. Ad agevolare poi il traffico di cotesta istituzione, fu conceduta al banco e la facoltà di scontare gli effetti di credito (cambiali eccetera), e il diritto di mettere in giro biglietti di banco corrispondenti al capitale incassato. In tal guisa vennero inaugurate le istituzioni di credito moderne, formate generalmente a somiglianza di questa. Esse riescono equivalenti e a banchi di deposito, potendo ciascuno com­prarne le cartelle per un valore corrispondente alla somma che egli intenderebbe depositare; ed al banco d'imprestito per le intraprese ove impiega i suoi fondi; ed al banco di giro con le carte che ella impronta; ed alla cassa di sconto per comodo dei negozianti.

8. Cotesti banchi, invece di serbare inerti le valute metalliche depositate, per sicurezza dei depositanti, assicurano l'annua rendita sull'entrata pubblica, impiegando frattanto o nei pubblici bisogni, o in imprese produttive le somme riscosse per via di credito. Poste così sotto la guarentigia dell'erario, le cartelle del debito pubblico acquistano tal valore, che supplisce abbondevolmente alla promessa di rimborso. Il proprietario di quelle rendite, essendo sempre moralmente sicuro (tranne i momenti critici) di poterle rivendere, può a suo talento farsi rimborsare la somma, senza che lo Stato abbia a risentirne lo sborso. In tal guisa s'ottiene l'effetto medesi­mo di saldare quella specie di cambiale, che è il titolo di rendita, ma con mezzo diverso, facendo sborsare la tratta non dallo Stato che sarebbe il debitore, ma dal nuovo creditore che comprandola sottentra all'antico.

9. A somiglianza di questi banchi propriamente nazionali, perché guarentiti sulle pubbliche entrate, anche i privati associandosi si valgono del credito, di che godono gli onesti e facoltosi capitalisti, per condurre a termine dispendiose ed ardue imprese, congiungendosi per lo più in società anonime (2), le quali per via di azioni raccolgono i fondi necessarii all'impresa. Queste, a crescere viemaggiormente la fiducia pubblica nella società, e ad assicurare la società medesima dai contrasti e dalle gare che potrebbero insorgere, sogliono invocare a garante delle loro intraprese, la suprema autorità dello Stato, non senza vantaggio anche di questa, la quale non potrebbe vedere senza ragionevole sospetto sciolte da ogni vigilanza e freno del Governo simili imprese gigantesche; la cui influenza sull'ordine pubblico non è chi non veda quanto possa riuscire efficace e in bene e in male.

10. I pubblici banchi, nei quali la fiducia sociale esercita, come abbiamo veduto, un'immensa forza, possono raggiungere fini e vantaggi, ai quali l'industria e la ricchezza privata neppure oserebbero pensare. Ma per giungere a tali intenti, debbono avere una base, alla quale si appoggi la loro solvibilità e per conseguenza la pubblica confidenza. Questo appoggio può trovarsi in varie specie di fondi, dai quali vien denominato il credito che induce i capitalisti a fidarsi del banco. Il credito dei banchi dello Stato o nazionali è appoggiato, come ognun vede, alle entrate dello Stato e specialmente alle pubbliche gravezze: credito mas­simo allorchè la nazione e il suo Governo sono onesti sicchè vogliano, doviziosi sicchè possano attener le promesse; forti ed ordinati sicchè ne per esterno assalto, né per interno tumulto ab­biano a traballare. Quando all'opposto lo Stato pericola, i pub­blici fondi incominciano a vacillare e perdono gran parte del loro valore.

11. I banchi pubblici, costituiti per via di società, possono acquistare il credito ora dal nome delle persone associate, ora dai fondi, su i quali vengono costituiti. L'onestà delle persone è certamente un valido appoggio. Pure, secondo il noto adagio, niuno vorrà negare che plus est cautionis in re quam in persona. Quindi oltre il credito personale che in ogni società è richiesto, si può distinguere il credito in fondiario allorchè viene appoggiato sopra i fondi immobili, industriale allorchè su i lavori dell'industria, mobiliare allorchè su i capitali giranti.

12. Il credito fondiario può dirsi un'ampliazione del sistema ipotecario, il quale, benché di grande utilità e valore per dare la necessaria sicurezza ai contratti fra i privati, lascia pur tuttavia sussistere difficoltà e pericoli e per la lentezza con cui le operazioni procedono, specialmente se sia mestieri ricorrere ai tribunali, e per le difficoltà che possono incontrarsi nei titoli ipotecarii, ove una circostanza di privilegio, di priorità, eccetera può ingannare anche i più oculati.
Un'istituzione di credito all'opposto, assumendosi il carico di assicurare e la solidità dell'ipoteca e il pagamento degl'interessi, apre ai capitali facile l'accesso; e presentando per altra parte molte agevolezze all'estinzione del debito, dà, secondo che affermano i suoi fautori, ai proprietarii il mezzo della cultura, senza grave pericolo delle proprietà.

13. Quell'agevolezza che il Credito fondiario procaccia agli agricoltori si è tentato procacciarla agli operai, mediante un credito industriale o popolare, (come l'appella il Marescotti). Non è, dicesi dai fautori di questa opinione, non è il popolo dei proletarii sì misero, che non abbia intelligenza e braccia atte a procacciargli il vitto giornaliero. Or perché non concedere anche a lui di usare i grandi vantaggi del credito, facendosi che un biglietto del proletario, guarentito dalla firma dell'intraprenditore e di un qualche pubblico magistrato, abbia corso in commercio, come qual altra vogliasi cambiale di negoziante? L'operaio otterrebbe in tal guisa un'anticipazione di fondi, coi quali innalzerebbe la propria di­gnità ad autonomia pari a quella d'ogni altro negoziante. Se cotesta ragione, addotta dal citato chiarissimo Marescotti (3), riuscisse a persuadere il pubblico e sortisse il suo effetto, avremmo certo a consolarcene. Confessiamo peraltro che la cosa ci sembra o di assoluta impossibilità, o possibile solo nella perfezione cattolica del sentimento religioso: e la ragione ce la somministra l'Autore medesimo affermando che cotesto segno di numerario non sarà mai ricevuto dal commercio, se la moralità dell'operaio non sia superiore ad ogni eccezione. Una tale moralità in tutte le classi è ella una supposizione di cosa impossibile? domanda quel valoroso economista. Noi non risponderemo essere impossibile: la speriamo anzi dal Cattolicismo tostochè esso, ripigliato il sopravvento, rivolgerà al bene morale della società i frutti dell'esperienza e dello studio che si vanno accumulando da tanti secoli. Cionondimeno anche così perfezionata ed autenticata la morale onestà del proletario, non sappiamo se giungerà mai ad ottenere personalmente gli effetti del credito; essendo che a questo ricercasi la certezza non solo del buon volere, ma ancora del potere soddisfare al debito. Ora se l'incertezza di questo potere fa vacillare talvolta, il credito eziandio di facoltosi negozianti, come sperare che lasci sussistere nel comune la fiducia in una carta appoggiata alle braccia, val quanto dire alla vita e alla sanità di un proletario che può da un giorno all'altro infermare e morire?
Non per questo crediamo impossibili le istituzioni di credito industriale, qualora, congiungendo, in esse numerosa moltitudine di operai, si ottenga nella società di tutti quella durevolezza che manca ai singoli: ed imponendo a lei una guarentigia assicuratrice contro la morte, si attribuisca alle cedole quell'immortalità che manca all'operaio. Ottenuta così la fiducia pubblica, intendiamo benissimo che queste istituzioni di credito, come qualunque altra, possono giovare a raccogliere e mettere in movimento i capitali, assicurandoli sull'opera futura, invece di assicurarli sul frutto dei lavori passati. Ma ripetiamolo: affinchè questo riesca, uopo è che tutti gli operai consociati ravvisino in ciascuno dei loro colleghi un uomo operaio, leale e massaio, che non perde il tempo in ozio; che non ispreca i guadagni coi beoni e coi buontemponi, che non inganna con finte malattie o sventure i colleghi pietosi, che insomma contribuisce realmente del proprio a fine di usufruttuare il comune. Allora se vera sventura ed immeritata opprima un socio, giustizia e carità parlano al cuore degli altri, e ciascuna ripete a se stesso: Debbo ad altrui ciò che bramerei ricevere io medesimo. Non ignara mali miseris succurrere disco. Vede peraltro il lettore che nel popolo più rozzo cotesta solerzia, economia, lealtà abbisognano di sentimenti di probità gagliardamente radicati nell'anima, e che tanta gagliardia di probità non giungerà ad universaleggiarsi mai in uomini men civilmente educati, senza una viva influenza sociale del sentimento religioso, che dia lena a chi deve faticare, carità a chi deve pericolare i suoi capitali.

14. Sotto auspicii meno incerti procede il Credito Mobiliare. Avete voi piena fiducia che un'impresa qualunque (di strade ferrate p. e.) riuscirà fruttifera? Si raccoglie un certo numero di socii che contribuiranno in parti aliquote alle spese per condurla a termine. Assicurata l'impresa con queste quote, o come le dicono, azioni, se ne vendono i frutti futuri, mettendone in vendita le obbligazioni. Donde hanno valore coteste obbligazioni? Dalla fiducia riposta dal pubblica nella capacità e probità di quell'amministrazione che assicura i futuri guadagni dell'intrapresa.

15. In tal guisa la pubblica fiducia mette in movimento valori smisurati, senza dare più il menomo incomodo a quella merce mo­neta, che pareva un tempo il mezzano indispensabile di qualunque permutazione. E siccome la fiducia è ispirata dalla Morale e la Morale sta a libera disposizione dell'umano arbitrio; così ogni uomo che voglia essere onesto sembra chiamato in tal guisa a disporre di cotesto numerario. Ma il fatto corrisponderà egli veramente alla speranza o alla parvenza? Gli entusiasti dell'Economia hanno in queste materie tale una vivacità ed energia di fede, che per poco non ne disgrada la credenza di molti Cattolici nel Simbolo apostolico e nel santo Vangelo: e il poco che abbiamo tratto dalla Ban­cocrazia del Corvaia ha potuto mostrare ai lettori fin dove giunger possa il delirio. Non è questo per noi il luogo di fare le ragioni del reale o dell'immaginario, del positivo o dell'eccessivo; essendo qui solo intento nostro di spiegare a quei lettori, che nelle regioni eco­nomiche non hanno ancora viaggiato, la topografica disposizione dei primitivi concetti. Essi avranno compreso che le idee del cre­dito formano il compimento di quelle di ricchezza. Conciossiachè, essendo la ricchezza un valore permutabile; ed essendo difficili le permutazioni senza l'uso del metallo coniato, questo è primitivamente il misuratore della ricchezza di un popolo: misuratore peraltro che ha il suo proprio valore esso stesso, appunto come il metro, misuratore delle lunghezze, ha esso pure la sua lunghezza. Siccome nondimeno, data questa misura comune, io posso esprimere in cifra le varie proporzioni o quantità di lunghezze diverse, senza che quella cifra abbia in sè determinata lunghezza; così data nella moneta la generale misura dei valori, io posso esprimere qualunque quantità di cotesti valori con cifre notate nelle cedole dei banchi. Ma qual valore avranno elleno coteste cifre, coteste cedole? Quel valore appunto che le merci o monete da esse rappresentate: se le merci sono reali, valore reale; se possibili, valore possibile; se immagina­rie, valore immaginario. Immensa differenza è dunque tra il numerario metallico e il numerario in polizze; benché il primo non sia ricercato nella sua qualità di moneta, se non come intermedio delle permutazioni; pure se questo intermedio s'arresta a mezza via, sicchè io non giunga a comperare quella merce, nella quale aveva divisato impiegarlo, non per questo io mi rimango a mani vuote; ma possederò sempre il valore di quel metallo, il quale non rappresenta gli altri valori, se non perché ha esso pure il suo proprio. All'opposto se il numerario segnato sulla mia polizza cessi di avere nella realtà rappresentata la sua giusta rispondenza (come accade nei fallimenti dei banchi), la mia polizza, che doveva essere mezzo per me di giungere al possesso del valore da lei rappresentato, mi pianterà a mezza via con le mani vuote, e posseditore di non altro che di una carta inutile. La fiducia che io aveva posta in quei segni rappresentativi, o per dir meglio, nel banco, da cui quegli emana­vano, si troverà in tal guisa delusa, o per colpa, o per isventura del banco promettitore: il quale, perduta così la universale confidenza, verrà poi costretto a contraccambiare in moneta o in merci ogni permutazione, dove prima gli bastava una parola guarenti­ta dall'opinione di probità, dal Credito, di che egli godeva nel pubblico. Ragionevolmente dunque il Presidente degli Stati Uniti, Buchanano, nel suo messaggio al Congresso americano verso il fine del 1857, attribuendo in gran parte le calamità della crisi commerciale alla libertà conceduta a tutti i mille e quattrocento banchi privati, di mettere in giro le loro carte, ne inferisce sommo e sacro dovere di un Governo essere l'assicurare ad un popolo le giuste proporzioni fra i bisogni del commercio e gli effetti giranti: essendo, dice, gravemente ingiusto e pericoloso il disquilibrio in tale materia, il quale fa crescere o diminuire irragionevolmente i valori da ciascuno posseduti (4). Essere dunque necessario che coteste case commerciali, partecipando al diritto sovrano di emettere carta moneta, abbiano nelle loro cave quantità corrispondente di metallo per assicurarne quando che sia il rimborso; e che a tal uopo niuna ban­ca vada esente da quei costringimenti di pubblica autorità, che as­sicurano la civil comunanza. Al quale intento se non bastò alla Gran Bretagna l'avere in ricchezze metalliche il valore di un terzo almeno dei suoi biglietti, come poteva sperarsi un tranquillo andamento del commercio agli Stati Uniti, ove i valsenti metallici accumulati non giungeano sul principio del 1857 al settimo dei valori giranti in carta?
Queste giudiziose e pratiche osservazioni del presidente Buchanano intorno al fatto ancora freschissimo della crisi terribile, poco si accordano con la smania teorica di libertà commerciale, la quale prometterebbe mari e monti, se si lasciasse liberissimo l'andamento di coteste istituzioni (5). Tocca a voi, lettore, il decidere se sia meglio, in fatto di borsa, attenersi alla teoria o alla pratica. Il Buchanano sembra piuttosto fidarsi alla seconda che alla prima.

16. Ecco in sostanza le primitive idee di Credito pubblico che ne parvero necessarie, affinchè ogni lettore comprendesse ciò che dovremo forse dire talvolta intorno alle operazioni di Credito. In quanto alle esagerate speranze, di che testè si parlava, recheremo qui solo qualche osservazione che richiami lo sguardo del lettore verso il lato morale della quistione, facendo toccar con mano quanto vadano ingannati gli economisti eterodossi, i quali non cessano di vituperare ed osteggiare il Cattolicismo, come avverso a tutti gl'incrementi della ricchezza dei popoli e alle scienze ed istituzioni che mirano a cre­scerne l'agiatezza. Dal poco che abbiamo detto intorno alla natura del Credito e delle sue istituzioni, i nostri lettori potranno vedere che non solo il sentimento cattolico non vi si oppone, ma vi è anzi prerequisito necessario: e talmente necessario, che le società eterodosse ne perderebbero in breve perfino il germe, se il contatto continuo e la gara loro con le nazioni cattoliche non le salvasse dall'essere schiave interamente del principio eterodosso.
Infatti le grandi promesse di futuri vantaggi mercè gl'incrementi e i varii meccanismi delle istituzioni di Credito, donde muovono ordinariamente? Muovono da una smania smisurata di accumulare quattrini per accumular godimenti. Ora cotesta smania è madre fe­conda di mille delitti, giacché:
Quid non mortalia pectora cogis,
Auri sacra fames…?
E questi delitti si commettono principalmente nel maneggio ap­punto delle ricchezze; vale a dire sono delitti commessi per l'ap­punto contro quella virtù di probità, senza la quale vien meno ogni pubblica fiducia.

17. Quindi vedete che smania di arricchire e veri incrementi di credito sono due elementi che fanno a calci. Gli economisti eterodossi, che tanto vantarono il principio di destar la fame per indur­re il popolo a lavorare con la speranza di satollarla, caddero in quell'abbaglio, in cui l'uomo è strascinato sotto varii aspetti da tutte le passioni, le quali tutte dànno a credere che basta aver libertà per ottenere tosto le soddisfazioni richieste: l'idropico crede dissetarsi col bere, il collerico tranquillarsi colla vendetta, l'annoiato del mondo ritemprarsi coi divertimenti, il sensuale satollarsi coi piaceri.
Nè s'avveggono gli stolti che il maggiore ostacolo a quella pace che agognano dimora appunto nell'eccesso o nel disordine, con cui ne procacciano i mezzi.
Vero è che le mire dell'interesse possono sottentrare fino ad un certo segno alle ragioni di probità: ed io potrò fidare il mio danaro ad un depositario anche di poca coscienza, qualora lo creda persuaso che il frodarmelo riuscirebbe più nocivo a lui che a me stesso. Ma questa, come ognun vede, sarebbe confidenza sì misera, sì materiale, che appena meriterebbe nome di Credito; e il fatto va persuadendo pur troppo non pochi, i quali si avveggono del quanto sia labile la guarentigia dell'interesse in chi ne è schiavo; or derubati dai loro stessi cassieri, benché profumatamente stipendiati; or gittati a sbaraglio in imprese arrischiate da intraprenditori temerarii che trascinano nel loro fallimento i capitalisti di cui maneggiano i fondi. Il vero Credito dunque ripugna essenzialmente alla smania di trasricchire, come questa smania ripugna al vero Credito. Di che la conseguenza voi la vedete: le istituzioni di Credito per prosperare abbisognano essenzialmente, del temperamento di sobrietà cristiana. Ed ecco perché nel Paganesimo non vi fu, nè vi potè essere di Credito se non quel primo embrione che, come accennammo al principio, si annida, qual germe nella naturale probità e nella fiducia corrispondente: ecco perché a misura che va risorgendo cogli incrementi dell'eterodossia il sentimento pagano, il credito pubblico riceve terribili scosse di crisi e di fallimenti.

18. Intendiamo che gli entusiasti pel progresso moderno o si faranno qui le croci, o sorrideranno per compassione; e «Dove, di­ranno, sperate voi trovare meglio fondato il Credito, che in Inghilterra, in America, paesi interamente eterodossi»? Ma la risposta non è difficile: noi parliamo della tendenza dei principii, e questa ci sembra così evidente; come è innegabile che quanto più si bramano denari, tanto più altri è tentato ad accumularne; benché ingiustamente, coll'opera; e per l'opposto, quanto meno tenacemente altri è attaccato al proprio, tanto meno agogna all'altrui;
– Ma dunque voi negate il fatto che ci dice.
Il sedicente fatto in questo caso ci può dire ben poco; giacché parla solo d'Inghilterra e d'America. Ora il vantare il commercio di Inghilterra e di America, come miracolo di pubblica fiducia, ben potrebb'essere uno scambio pericoloso dell'effetto con la causa: scambio che i dotti economisti dovrebbero lasciare alla grossezza del volgo. Questo quando vede certi ricconi che spendono e spandono a rotta di collo, qui crede che stia la ricchezza sfondolata, il Perù o la California: nè si avvede il meschinello che quella profusione donde egli arguisce ricchezza, quella appunto rende probabilissimo, e forse già vicinissimo il fallimento, se non si trovi nelle fonti della ricchezza quanto basti a riempire continuamente i vuoti delle continue pro­fusioni. Or questo appunto potrebbe succedere ai paesi eterodossi per l'uso colossale e per l'abuso che fanno dell'antico Credito di probità, di cui frattanto vanno disseccando le fonti e col perdere il sentimento religioso, in cui si radica la probità, e coll'arrischiarsi ad imprese imprudenti, ove si perdono i capitali. Alla vista di que­ste audacie gigantesche gl'improvvidi ed inesperti sclamano, attoniti, aprendo tanto d'occhi: «Vedete progresso immenso del Credito»! Eppure se conoscessero ciò che bolle colà entro nella pentola dovrebbero forse esclamare dolenti: «Addio Credito!» E così veramente parvero sciamare parecchi giornali inglesi e francesi atterriti dall'ultima crisi commerciale.
Ma non ricorriamo, se volete, alla costoro severità, e supponiamo che Inghilterra ed America abbiano a proseguire per la via sinora battuta, trovando sempre corrispondenza di fiducia pubblica alle imprese che propongono, corrispondenza di lucri proporzionati alla fiducia che spende: diremo noi per questo che a cotesta fiducia non pregiudichi l'utilismo eterodosso? diremo che più non gioverebbe il disinteresse cattolico? Avvertite bene che quando esaminiamo le influenze del principio eterodosso, esse si risentono da per tutto ove quel principio trapela; ma non possono mai pienamente esercitarsi per l'impossibilità che esso sia solo al governo di una società. Fossero pure quei due paesi popolati unicamente di Prote­stanti, credete voi per questo che il principio eterodosso ne gover­nerebbe tutte le operazioni? Sarebbe grande errore. Nel Protestante v'è sempre una parte di positivo, ed è il Cristianesimo, una di negativo, ed è la ribellione alla Chiesa. Quando i Protestanti si governano col primo, partecipano alle sane influenze del Cattolicismo, ed ecco perché si trovano anche fra loro uomini onestissimi: laddove fra Cattolici può prendere talvolta gagliarde influenze il principio eterodosso (e che altro fu in Francia la rivoluzione del 1789?) e produrvi le naturali sue conseguenze: aggiungete a questo che in amendue i paesi, anche fra i Protestanti molto ancor so­pravvive di buona fede cristiana per retaggio degli avi e per gara coi Cattolici. Se non che, scemandosi a poco a poco questi avanzi d'in­fluenza cattolica, voi vedete che nelle colossali amministrazioni commettonsi ladronecci inauditi; che, secondo la The civil ser­vice Gazette, un comitato della Camera dei Comuni, di cui non ven­nero peranco pubblicati i rendiconti, avrebbe nella decorsa sessione scoperto tali vuoti di casse, e peculati in varii dipartimenti del servizio civile, da dare la peggiore idea del mondo delle persone, da cui cotesti ufficii sono amministrati (Armonia 20 Decembre 1857); che distolto a danno del Cattolicismo dal suo destino, il Fondo patriottico raccolto per gli orfani dei soldati di Crimea; i Cattolici più non vogliono fidare a pubbliche amministrazioni i soccorsi per le sventure dell'India; che le intraprese americane sono sì arrischiate, che ne sentono il contraccolpo tutti i mercati europei. Vedete quante piaghe al credito pubblico di quei paesi! Fate che così proseguasi a violare la fede dei contratti e la fiducia dei capitalisti, e dite qual diverrebbe la forza del Credito nelle società padroneggiate dallo spirito eterodosso, se non fossero perpetuamente in comunicazioni e in concorrenza con le genti cattoliche, nelle quali i meravigliosi esempii di disinteresse e di sacrifizio, sono una perpe­tua protesta contro l'utilismo e l'epicureismo della corrotta natura.
A combattere contro di questa, un qualunque embrione di Cristianesimo non basta, ci vuole un Cristianesimo compiuto ed efficace, quale non può aversi se non nel Cattolicismo. Lo vedemmo parlando dell'economia cattolica: perduta la sincerità della fede, è inevitabile nelle società anche cristiane l'introduzione dell'utilismo e l'abolizione di quegli esempii di soprannaturale interesse, coi quali il voto di povertà religiosa ricorda perpetuamente ai laici, potersi trovare felicità in questo mondo anche sotto rozzo saio e negli stenti di continua astinenza (6). Fuor del Cattolicismo dunque la fame dell'oro, fatte le debite eccezioni, dee divenire generale. Tra tanti affamati, la fiducia nell'universale astinenza sarebbe pazzia. Il credito dunque ben potrà sostenersi per istituzioni meccaniche e per contrasti d'interesse; ma nel giusto e radicale suo concetto, vale a dire, in quanto è fiducia dell'altrui probità, tende perpetuamente a menomarsi e mancare. Qual meraviglia che nella società pagana mai non giungesse a formarsi?

19. Questa ci sembra la base fondamentale di quelle ragioni che i chiari economisti Gautier e Coquelin adducono nel Dizionario d'Economia politica, per ispiegare la totale mancanza di simili istituzioni nell'antica società. Esse suppongono, dice il Coquelin; tre elementi, senza cui non possono neanche immaginarsi; vale a dire libertà di associarsi, comunicazione col pubblico, guarentigie di sicurezza. Ora queste condizioni, che raramente s'incontrano anche oggidì in grado almeno mediocre, mancarono assolutamente ai popoli dell'antichità. Mancava necessariamente, dice il Gautier, lo spirito di associazione in una società, cui serviva di base la schiavitù, ed ove l'industria non poteva per conseguenza acquistare estensione, né importanza, ma incontrava all'opposto nello stato abituale di guerra un incaglio irremovibile (7).
Certamente questa condizione di popoli ci presenta una causa immediata, che rendeva impossibile la meravigliosa ampiezza del Credito odierno. Ma se più innanzi si domandasse qual sia il motivo, per cui non esisteva spirito di associazione; per cui la schiavitù era condizione indeclinabile della società civile; per cui ogni nazione era perpetuamente in guerra con le altre tutte; e per cui finalmente, promulgatosi il Cristianesimo, si trasformò sotto quei tre aspetti la condizione del mondo civile; chi non vede la risposta? chi non trova tosto nel principio cristiano di universale fratellanza in grembo alla Chiesa un tipo perfettissimo di spirito associante; nella dipendenza cattolica dal Capo della Chiesa l'abolizione della guerra perpetua; nella parità degli uomini innanzi a Dio il principio abolitivo della schiavitù? Tolti poi cotesti ostacoli negativi al consociamento degli uomini e degl'interessi, chi nol vede inoltre il positivo vantaggio recato al Credito pubblico dalla forza delle coscienze e dall'unità dei principii morali, per cui ciascuno è certo che bene o male si giudica dagli altri, ciò che bene o male giudica, ammaestrato dalla Chiesa, egli stesso?

20. Con tale unità e gagliardia di coscienze, la spirito di associazione era naturalmente formato nei primordii stessi del Cristiane­simo, benché dovesse acquistare a poco a poco quegli ulteriori in­crementi che oggi ammiriamo, e che vie più cresciuti ammireranno a suo tempo le venture generazioni. E non era infatti un'immensa fiducia quella dei primi fedeli, che, venduto per intero l'asse loro patrimoniale, ne rimettevano agli Apostoli il prezzo, aspet­tandone poscia il vitto quotidiano?
Al che sembra non avere avvertito l'Autore di quell'articolo, allorchè scriveva potersi dire del Medio evo un sottosopra cioè che ave­va detto del mondo pagano. Il chiarissimo Autore ha qui riguardato l'aspetto materiale del mondo civile, invece di considerarne la vitalità morale. Direste voi un sottosopra la stessa cosa due querce che sotto il soffio della bruma invernale sieno incanutite per la brina, se una di esse, fosse inaridita e morta, l'altra viva e vigorosa preparasse ai primi soffi del zeffiro tutto il rigoglio di una fronzuta vegetazione? Dire che queste piante sono un sottosopra il medesimo, ci parrebbe un giudizio di cervello assai badiale. Eppure non dissimile ne sembra quel ragguagliare il Medio evo, ove la vita inizia­ta avea tutto il vigor seminale che dovea produrre gli odierni incrementi, con la società pagana, fradicio cadavere senza vita. Certamente il Cristianesimo non trasformò il mondo a colpi di bacchetta magica, o come si trasforma allo scoccar dell'orologio la luminaria della cupola del Vaticano. Ma gittati quei semi di fratellanza universale, di organismo fra le nazioni cattoliche, di parità morale nella gerarchia, anche il Credito mercantile poteva sorgere, doveva sorgere e sorse di fatto, come (benché con piglio un po' sprezzante) vien confessato in sostanza dall'Autore medesimo, nelle parole seguenti: «Anche nel Medio evo lo stato ordinario dei popoli era la guerra, onde non si poteva pensare a grandi associazioni commerciali. A tal condizione di società non s'incontra quasi eccezione, se non fosse in qualche repubblica, come Venezia, Genova, l'Olanda, Amburgo e Lubecca: ove non pertanto il commercio molto ancora si risentiva della barbarie dei tempi». così il Coquelin; il quale guarda come un nonnulla quell'immensa rete di comunicazioni e di banchi commerciali che tutto rannodavano il vecchio mondo dal Cataio alle Azorre, dai geli dell'Islanda ai caldi dell'Abissinia, tutto rendendolo tributario a quelle repubbliche italiane, che tenevano allora l'egemonia del commercio europeo. Certamente queste intraprese commerciali non erano allora né azioni di strade ferrate, né Credito mobiliare, come la spinetta del Paisiello non era un piano forte di Erhard, e come il bambino non è l'uomo adulto. Ma siccome il non avere una scienza adulta non fa che il bambino possa dirsi un sottosopra un orangutang; così lo stato rudimentale del Credito pubblico nel medio evo non fa che. questo possa pareggiarsi a un dipresso al mondo pagano, ove il Credito era moralmente impossibile.
E in verità, se parlisi dello spirito di associazione in generale sotto tutte le sue forme e rispetto a tutti i suoi effetti, noi non sappiamo che possa trovarsi un'epoca, nella quale esso abbia operato portenti maggiori che in quel medio evo, in cui tutte le nazioni cristiane costituivano sotto il Pontefice una sola famiglia, correvano periodicamente a riconoscere il Padre comune nei Giubilei, si raccoglievano in immensi eserciti contro la barbarie turchesca e vivevano, può dirsi, sotto unica legislazione registrata nel Gius canonico. In ciascun popolo poi tutte le professioni. tutti i ceti costituivano corporazioni sì strettamente congiungenti i loro membri e le rispettive famiglie di questi, che le stesse corporazioni di arti imposero talora riverenza ed argini alle soperchierie di Ministri o anche di Monarchi prepotenti. Lo spirito dunque di associazione preso in senso più generale era nel medio evo, mercè del Cristianesimo, sollevato ad altissima potenza.
Ma anche restrigendoci alle associazioni commerciali, e stando anche solo a quegli esempii, a cui il Coquelin ci riporta, qual è occhio esercitato a contemplare nel germe le istituzioni morali e politiche, che non debba trasecolare vedendo la gagliardia dello spirito di associazione e le speranze di rigoglio che contenevano quelle repubblichette, che dalle angustie delle loro mura lanciavano colonie a tanta distanza e intrecciavano relazioni commerciali sì ingegnosamente combinate in mezzo agli ostacoli, come dice l'Autore, di tanta barbarie? Ecco dove era il germe di quelle grandi istituzioni che formano oggi ingigantite il vanto del mondo moderno, ma che forse a miglior diritto dovrebbono recarsi a merito del me­dio evo. Se pure non vogliamo dire che l'edifizio del Vaticano sia merito piuttosto del Maderno che malamente lo storpiò, terminandolo nella facciata, anzichè del Bramante o del Buonarroti, la cui mente gigantesca ne concepiva il disegno.

21. Concludiamo dunque che in materia di Credito, come in ogni altro ordine morale, troviamo avverata la teoria storica del chiarissimo Cesare Balbo; il quale assegnava la ragione di perfettibilità , progressiva che ravvisiamo nel mondo moderno, alla riparazione cristiana, per la quale il genere umano, caduto fino all'imo della corruzione nel Gentilesimo, aveva poi ripigliato un moto ascenden­te, il cui termine solo dalla Provvidenza può conoscersi, ma dall'uomo può talvolta congetturarsi.

22. Posto poi che la sobrietà del disinteresse cattolico sia condizione sine qua non dell'ordinato e costante incremento della fidu­cia pubblica, non è chi non veda quanto improvvidi sieno certi fanatici che sospingono ed incalzano perpetuamente i Governi a gareggiare in quanto può avere di più arrischiato l'audacia di simili imprese, rampognando all'opposto come retrivi quei governanti che sentono il pericolo degli eccessi e non si lasciano infanatichire dalla foga dei venturieri. Se i segni del Credito non hanno altro valo­re che quello della realità che rappresentano, non ci vuole grande ingegno a comprendere che il Credito non solamente è bugiardo se oltrepassa cotesta realità, ma è disordinato ed eccessivo, ogni qual volta pretende raggiungere con la fiducia gli ultimi termini del possibile. Il possibile in tal materia non giungerà mai a compiuta realità. Un bastimento sommerso dalla tempesta, un opificio consumato dalle fiamme, una cassa derubata dal tesoriere, una messe fallita per ingiuria delle stagioni sono casi per sè eccettuativi, ma nella loro generalità sono altresì necessarii ad accadere nel mondo presente. Esporsi con l'ampiezza colossale degl'intraprendimenti a tale cimento, che ogni sventura consimile esponga a fallirvi, non è usare il Credito, ma abusarlo. Eppure l'insaziabile avidità del guadagno non solamente vorrebbe mietere tutti i frutti che crede ravvisare nel seme del Credito; ma per poco che le si conceda la libertà (peggio poi se le si aggiungano stimoli), avventa nel pubblico sì sterminata quantità di carta, che riesce impossibile a pareggiarsi dai frutti delle imprese. Pochi cerretani eloquenti e furbi fanno vedere ai dabbenuomini il diavolo nell'ampolla, carpiscono capitali, emettono cedole, intraprendono colonie, spediscono emigrati, empiono delle loro spavalderie giornali e cervelli: e poi?… Voi già conoscete la storia dell'Icaria, ultima edizione del famoso sistema di Law. Ed ecco perché la smodata avidità del guadagno ha oggi ridotto a tale il mondo incivilito, che ogni privata disdetta diviene un flagello umversale.
Invece dunque di spronare il già troppo rapido corso dell'industria e del traffico, sapientissimo ne sembra il consiglio di quei Governi che cercano l'attento alla foga e valvole di sicurezza alla soverchiante elasticità delle cupidigie che d'ogni parte minacciano, e spesso spesso ripetono lo scoppio. E cotesta valvola di sicurezza è per l'appunto quello spirito di temperanza cattolica, le cui influenze nell'economia politica dovrebbono formare oggetto di studio indefesso per coloro che bramano davvero gl'incrementi di cotesta scienza. Applicando cotesto spirito alle teoriche del Credito, essi vedranno che le tre condizioni richieste dall'Economista francese all'esistenza e agl'incrementi del Credito (socialità, pubblicità, guarentigie) mai non avranno condizioni più favorevoli, che nella società cattolica, ove sviscerata è la carità universale su tutta la terra l'associazione, guarentita da un Dio vindice la probità, intimato per obbligo ed esemplato in una vita soprannaturale il disinteresse.

NOTE

1. Univers 28. Marzo 1858.

2 Nel commercio si distinguono principalmente quattro specie di società: la società in nome collettivo, ove la pensona morale della società obbliga solidalmente tutti i socii; la società in accomandita, ove solidalmente sono obbligate quelle persone soltanto che rappresentano la ragione sociale; la società anonima, ove gli amministratori mandatarii, senza obbligo personale, governano gli interessi sociali senza altra malleveria che dei capitali consociati; la società di partecipazione, ove ogni socio opera per sè stesso in vantaggio comune. Chi volesse vedere dichiarate le condizioni di queste società può vedere il TROPLONG: Delle società, ovvero il RONCAGLI: Istituzioni di Dritto commerciale §. 60 a 88.

3 Discorsi sull'Economia Sociale v. III, disc. V, c, V §. 13.

4 Si le montant de la circulation est fìxé trop au-dessus ou trop au-dessous de la véritable proportion, la valeur de la propriété de chacun se trouve augmentée ou diminuée dans la meme proportion, et l'injustice et des dangers incalculables pour tout le monde en sont la conséquence (Univers 24 Dicembre 1857).

5 Nous avons supposé l'institution des banques publiques parfaitement libre et nous les avons montrées telles qu'elles seraient si elles s'etaient développées dans leur spontanéité et dans leur liberté. Il s'en faut malheureusement de beaucoup qu'it en ait été ainsi dans le passé (Dict. d'Econ. pol. V. Banque, §. 3, pag. 118).

6 Vedi nel quaderno precedente (15 Aprile) l'articolo il FRATE pag. 284 e segg;

7 Vedi Dictionnaire d'Economie politique V. Banque §. III. p. 119, col. l°