B. PIETRO RENATO ROGUE (1758-1796)

Sentendosi chiamato a una vita di maggior perfezione, Don Rogue decise di entrare nella Congregazione dei preti della Missione dopo molte preghiere e lunghe riflessioni. Si recò quindi a Parigi per iniziare nel seminario di San Lazzaro il noviziato (25-10-1786), durante il quale ebbe modo di attingere alla fonte lo spirito di umiltà e carità di cui era animato il fondatore, S. Vincenzo de Paoli (+1660). Al termine dell’anno di prova il Beato fu rimandato a Vannes (1787) affinchè, sotto la direzione del signor Giovanni Le Gal, suo antico professore, insegnasse teologia ai chierici del seminario. In tale compito il P. Pietro seppe evitare gli opposti estremismi. Da tutti era amato perché possedeva un temperamento gaio e affidabile. Quando nella chiesa del seminario prendeva parte alle sacre funzioni era un diletto udirlo cantare, essendo dotato di una voce incantevole.

Questo prete della Missione, martire della rivoluzione
francese, nacque a Vannes, nel dipartimento di Morbihan (Francia), l’11-6-1758
da Claudio e da Francesca Loyseau, modesti possidenti di un magazzino di
cappelli e ferventi cattolici. Pietro rimase orfano di padre ancora in tenera
età. Poiché era figlio unico, la madre provvide a fargli impartire una buona
educazione civile e religiosa ponendolo nel collegio cittadino di S. Ivo,
diretto da sacerdoti e rinomato in tutta la Bretagna, dove rimase fino al 1774.
Dopo aver trascorso un anno a Bourges in seno alla famiglia di sua madre che
non conosceva ancora, il Beato si decise a entrare nel seminario maggiore di
Vannes, diretto dai Preti della Missione, per prepararsi al sacerdozio, verso
il quale si era sentito attratto fin dall’infanzia.
 Per 6 anni, in quell’asilo di pace, Pietro attese alla
preghiera e allo studio, preoccupato soltanto di diventare un buon ministro del
Signore. Ricevette gli ordini sacri per le mani del vescovo Mons. Sebastiano
Amelot nella chiesa parrocchiale di Nostra Signora del Mene, soggetta al
seminario, e fu consacrato prete il 21-9-1782. Quasi subito dopo l’ordinazione
fu nominato cappellano della Casa di Ritiro per donne, esistente a Vannes, e
per 4 anni (1782-1786) ne fu l’assistente spirituale, il predicatore e il
confessore, nonostante la giovane età.
 Sentendosi chiamato a una vita di maggior perfezione, Don
Rogue decise di entrare nella Congregazione dei preti della Missione dopo molte
preghiere e lunghe riflessioni. Si recò quindi a Parigi per iniziare nel
seminario di San Lazzaro il noviziato (25-10-1786), durante il quale ebbe modo
di attingere alla fonte lo spirito di umiltà e carità di cui era animato il
fondatore, S. Vincenzo de Paoli (+1660). Al termine dell’anno di prova il Beato
fu rimandato a Vannes (1787) affinchè, sotto la direzione del signor Giovanni
Le Gal, suo antico professore, insegnasse teologia ai chierici del seminario.
In tale compito il P. Pietro seppe evitare gli opposti estremismi. Da tutti era
amato perché possedeva un temperamento gaio e affidabile. Quando nella chiesa
del seminario prendeva parte alle sacre funzioni era un diletto udirlo cantare,
essendo dotato di una voce incantevole.
 Alla fine del 1789, già in piena rivoluzione francese, il
beato rinunciò all’insegnamento per dedicarsi con zelo alla cura della
parrocchia di Nostra Signora del Mené, di cui era stato nominato vicario. Intanto
il moto rivoluzionario avanzava minacciosamente attaccando trono ed altare.
L’Assemblea Costituente, il 12-7-1790 decretò la costituzione civile del clero
con la pretesa, in omaggio allo spirito giansenistico e gallicano, di
ricondurre il clero francese alle usanze della Chiesa primitiva, e con
l’intento di sottrarlo all’ubbidienza del papa per fondare una chiesa nazionale
scismatica, soggetta al potere civile. La costituzione civile del clero
regolava le circoscrizioni ecclesiastiche su quelle amministrative, e affidava
al popolo l’elezione dei vescovi e dei parroci. Costoro furono chiamati a
giurare la costituzione civile del clero. In questa maniera diventavano
automaticamente dei funzionari stipendiati dallo stato.
 Il beato ricusò di prestare il giuramento imposto, anzi,
appena seppe che il suo superiore, con sei religiosi e cinque preti diocesani,
turbati dal timore e dall’incertezza, avevano promesso di prestare il
giuramento, il 20-2-1791, corse da loro, ne ottenne una ritrattazione scritta e
s’incaricò di farla recapitare alle competenti autorità civili. Non si era
sbagliato nel suo apprezzamento. Difatti, il 13 aprile dello stesso anno, Pio
VI condannò ufficialmente la costituzione civile del clero e proibì ai
sacerdoti di accettarla con giuramento. La maggior parte del clero gli ubbidì.
 In quel tempo le autorità civili del dipartimento di
Morbihan privarono ingiustamente i Preti della Missione dell’amministrazione
dei beni del seminario e soppressero la parrocchia di Nostra Signora del Mené.
Il P. Rogue, forte dei suoi diritti, reclamò energicamente lo stipendio che gli
era dovuto come vicario della parrocchia per provvedere alle necessità della
propria comunità. All’inizio del 1792 sia lui che i suoi confratelli furono
espulsi dal seminario e spogliati anche degli oggetti di uso personale.
 Il 18-8-1792 l’Assemblea Legislativa, dopo la caduta del
re Luigi XVI, soppresse le congregazioni religiose e condannò all’esilio i
sacerdoti che si erano rifiutati di giurare la costituzione civile del clero.
Il superiore del seminario, il signor Le Gai, che era anche parroco della
chiesa di Nostro Signore del Mené, decise di fuggire in Spagna, il P. Rogue,
invece, prese l’eroica decisione di restare sul posto a prendersi cura da solo
dei fedeli rimasti senza pastore. Nello stesso anno l’Assemblea, volendo fare
scomparire dalla formula del giuramento il nome del re, impose una nuova
formula conosciuta nella storia sotto il nome di “Libertà –
Uguaglianza” oppure di “Piccolo Giuramento”: tutti gli
ecclesiastici che la ricusarono il 23-4-1793 furono condannati dalla
Convenzione alla deportazione nella Guyana francese, e il 21 ottobre alla pena
di morte. Il beato, come tantissimi altri preti, non prestò il nuovo
giuramento. Sprezzante del pericolo, continuò a esercitare il ministero di
nascosto. Per precauzione ogni tanto cambiava soltanto domicilio e amministrava
i sacramenti di notte.
 Con la caduta di Massimiliano Robespierre (1794), la
Convenzione, preoccupata dell’insurrezione della Vandea, cercò di pacificare la
popolazione dell’ovest della Francia, facendo qualche concessione ai cattolici.
I rappresentanti del popolo autorizzarono i preti cosiddetti romani a uscire
dai loro nascondigli e a esercitare il ministero quasi pubblicamente. I
sacerdoti, però, dovevano promettere “di vivere tranquilli e di
contribuire al mantenimento della pace e del buon ordine”. Il P. Rogue
prestò tale giuramento con coscienza tranquilla nel maggio del 1795, perché in
esso non trovava nulla di compromettente. Il mese successivo, perdurando
l’insurrezione vandeana contro la repubblica proclamata dalla Convenzione, una
piccola armata di emigranti tentò uno sbarco nella penisola di Quiberon con
l’aiuto degli inglesi, ma fu fatta prigioniera dal generale Lazzaro Hoche.
Presso Aurey 711 emigrati furono fucilati in una prateria. A Vannes vennero
trasportati i malati e i feriti, ma, per la mancanza di igiene, in città
scoppiò il tifo. Allora fu visto il beato aggirarsi giorno e notte tra i malati
per confortarli e prepararli a ben morire.
 Il 29-9-1795 la Convenzione impose a tutti i ministri del
culto di fare questa dichiarazione senza alcuna restrizione: “Io riconosco
che l’universalità dei cittadini francesi è il sovrano, e prometto sottomissione
e ubbidienza alle leggi della repubblica”. Il beato, come molti altri
sacerdoti, ricusò di fare una promessa di tale genere ritenendola sospetta.
 Difatti alcune leggi della repubblica erano
intrinsecamente cattive. La Convenzione, prima di sciogliersi, per capriccio e
a causa dell’invasione di Quiberon, rinnovò le vecchie misure sanguinarie
contro i preti romani, chiamati refrattari. Il Direttorio, che succedette alla
Convenzione e che era composto per due terzi dagli stessi membri, sollecitò
l’applicazione di tali misure.
 Il 24-12-1795 il P. Rogue, che fino a quel momento si
considerava libero di esercitare il sacro ministero, mentre verso le dieci di
notte portava il viatico a un malato, fu assalito da due uomini, uno dei quali
era soccorso da sua madre con abbondanti elemosine, e venne trascinato davanti
agli amministratori del distretto, riuniti in seduta nell’antico palazzo
vescovile. Mentre i due malfattori si recavano a chiamare i gendarmi, gli
amministratori, che avevano grande stima del loro concittadino, lo
consigliarono di approfittare delle tenebre per fuggire, ma egli ricusò per non
comprometterli. Si limitò a supplicare di permettergli di consumare in un
angolo della stanza le sacre specie che portava con sé. Dopo quel gesto di pietà
fu lasciato solo, nella speranza che ne approfittasse per sottrarsi
all’arresto, ma egli non si mosse. Giunsero frattanto i gendarmi i quali lo
ammanettarono e lo condussero, come un malfattore, in una delle torri
dell’antica prigione dove patì il freddo e l’umidità senza un lamento e per
oltre tre mesi trascorse i giorni e le notti pregando e consolando i detenuti
che si trovavano con lui. Ci fu un momento in cui si parlò della probabilità di
rimetterli in libertà. Se gli altri ne esultarono, il beato, nel timore di
perdere la corona del martirio, esclamò ripetutamente con le lacrime agli
occhi: “Mio Dio, non ne ero degno!”.
 Il 14-2-1796 il Commissario di Morbihan lo denunciò, con
altri sacerdoti, al pubblico accusatore del tribunale criminale perché si
procedesse contro di lui, secondo le leggi stabilite. In quel tempo, pubblico
accusatore era Luca Bourgerol, antico condiscepolo del Rogue. Per l’affetto che
gli portava, costui declinò l’ingrato compito. Gli fu sostituito Giovanni
Mancel il quale il 29 febbraio interrogò il prigioniero e fissò i diversi capi
di accusa. Prima però che il beato comparisse davanti al tribunale, due medici
ricevettero l’ordine di visitarlo giacché i sacerdoti infermi non erano
soggetti alla deportazione.
 Il 2 marzo il P. Rogue fu tradotto davanti al tribunale che
teneva le sue sedute proprio nella cappella della Casa di Ritiro per donne in
cui per quattro anni egli aveva esercitato il sacro ministero. Alle varie
interrogazioni dei giudici rispose candidamente che non aveva prestato né il
grande, né il piccolo giuramento, e che era rimasto sempre sul suolo della
patria, per esercitare di nascosto le funzioni sacerdotali. Gli fu anche
chiesto presso quali famiglie aveva trovato ricetto, ma di esse egli non disse
nulla. Interrogato sul suo stato di salute rispose che non era mai stato molto
buono, ma che malgrado ciò aveva potuto adempiere i doveri del proprio stato.
Il suo avvocato ne fece un’ottima difesa, ma il sostituto del commissario del
potere esecutivo chiese l’applicazione della legge.
 Avendo i medici dichiarato che il prigioniero non era
tanto infermo da essere dispensato dalla deportazione, i giudici all’unanimità
lo condannarono alla pena di morte. Udita la sentenza, il beato s’inginocchiò a
terra e rese grazie a Dio, poi abbracciò la madre in lacrime e le diede
l’addio.
 Ricondotto in carcere, il martire fu ancora una volta
esortato a fuggire, ma egli ricusò. Scrisse invece a sua madre una lettera e
tra l’altro le raccomandò di continuare a soccorrere l’uomo che lo aveva
tradito. Scrisse pure ai suoi confratelli per raccomandarsi alle loro
preghiere, spiacente di non poterli riabbracciare. Trascorse l’ultima notte
della vita nella preghiera e nell’incoraggiare i compagni di prigionia, specialmente
il sacerdote Alano Robin, contristato dal pensiero della morte, a restare saldi
nella fede. Colpito dalla serenità e dalla carità del Rogue, una guardia, il
giorno dopo, andò in cerca di un sacerdote, si confessò e promise di non
prestarsi più in azioni contro i ministri di Dio.
 Il 3-3-1796 verso le tre pomeridiane il beato fu condotto
al supplizio scortato da molti fedeli in lacrime. Strada facendo cantava un
inno che aveva composto in carcere e pregava. Giunto alla Piazza del Mercato
sulla quale era stata eretta la ghigliottina, si consegnò al carnefice
esclamando: “Nelle tue mani, o Signore, affido il mio spirito”.
Appena la sua testa cadde sotto la mannaia i presenti gli si precipitarono
attorno per raccogliere con pannilini il sangue. I gendarmi, nel fare ritorno
alla caserma, pubblicamente attestarono: “Non hanno ucciso un uomo, ma un
angelo”. Il martire fu seppellito nel cimitero di Vannes e nel 1856 sulla
sua tomba fu eretto uno speciale monumento con le offerte dei fedeli. Pio XI lo
beatificò il 10-5-1934.
___________________
 Sac. Guido Pettinati
SSP,

I Santi canonizzati del
giorno
, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 31-35.

http://www.edizionisegno.it/