B. LUIGI MARIA PALAZZOLO (1827-1886)

Sacerdote nato il 10 dicembre 1827 a Bergamo. Fu fondatore dei Fratelli della Sacra Famiglia e delle Piccole sorelle dei Poveri, le «suore Poverelle» che in tempi recenti si trovarono accanto al letto dei contagiosissimi malati di Ebola, alla fine vittime esse stesse del virus . Il carisma del fondatore è infatti legato all’assistenza a malati, bisognosi e anziani. Morì il 15 giugno 1886. Palazzolo è stato beatificato nel 1963.

Colui che è passato alla storia con l\’appellativo di "cenciaiolo della carità" è nato il 10-12-1827 a Bergamo, da Ottavio e Teresa Antoine, penultimo ed unico superstite di dodici figli. I genitori si potevano considerare ricchi possedendo varie case e terre oltre ad una ben avviata libreria, legata al nome della vecchia tipografia Locatelli. Luigino, rimasto orfano di padre a dieci anni, crebbe gracile sotto la guida della madre. Costei, dopo le elementari, fece frequentare al figlio il pubblico ginnasio e lo affidò alla direzione spirituale di Don Pietro Sirone, piissimo sacerdote bergamasco, il quale, per vent\’anni, ebbe cura di lui e lo avviò alla santità.
La virtù che Luigino praticò maggiormente nell\’adolescenza, fu la carità. Quanto riceveva in dono, egli lo faceva passare nelle mani di qualche povero. La mamma se ne inquietava e un giorno esclamò: "Prevedo che questo mio figlio ha da morire spiantato!…". Pur essendo molto occupato negli studi, il beato trovava il tempo di fare ogni tanto una visita, in compagnia di un domestico, ai malati dell\’ospedale e delle case private, recando con sé cibo, vesti e denaro. Poiché sentiva tanta attrattiva per i poveri e i sofferenti, è chiaro che Dio lo chiamava a servirlo nella vita sacerdotale. Al termine degli studi ginnasiali il Palazzolo passò al seminario per lo studio della filosofia in qualità di alunno esterno. Un suo condiscepolo attestò che era pio, faceto, schietto, illibato di costumi, affabilissimo di modo che tutti gli volevano un gran bene.
Il giovane si preparò con impegno al sacerdozio che ricevette nel 1850 senza lasciarsi infatuare dai moti rivoluzionari che in quel tempo serpeggiavano per tutta Europa. In vista delle sue condizioni familiari non ebbe mai benefici ecclesiastici e impegni di cura d\’anime. Rimase così un sacerdote aperto a tutti gli apostolati, come i due fratelli bergamaschi, i conti Luca e Marco Passi, entrambi preti, i quali stavano propagando in varie regioni d\’Italia l\’opera di Santa Dorotea per l\’educazione della gioventù femminile. A che genere di attività si sarebbe dedicato Don Luigi? Un sentimento interiore, che egli reputava d\’ispirazione divina, lo spinse a prendersi cura della gioventù. Suo primo campo di lavoro, sotto la direzione spirituale del canonico Alessandro Valsecchi, (+1879), fu l\’oratorio di S. Filippo Neri che sorgeva nella viuzza detta della Poppa, nel quartiere più povero di Sant\’Alessandro in Colonna, la sua parrocchia.
Col suo carattere aperto e gioviale, col suo fare accogliente e paterno, il beato divenne presto l\’idolo dei ragazzi. Essi lo ricercavano, lo seguivano, lo amavano perché era l\’angelo buono che insegnava loro ad amare Dio anche nel gioco, nelle passeggiate, nelle accademie che alimentava sempre con nuove produzioni in poesia e in musica. Nel 1857 Don Luigi rimase l\’esclusivo direttore responsabile dell\’oratorio. Nessuno seppe mai quanto egli spese in restauri e ampliamenti dello stabile, nella costruzione della sala per le riunioni e le rappresentazioni dei burattini ai quali egli stesso prestava la voce e le mani con arte raffinata.
Possedeva una collezione di teste di legno che, completate con varie fogge di vestiti, rappresentavano sul teatro gli attori di commedie divertentissime, di cui era sempre protagonista Gioppino, la famosa maschera bergamasca. In questa maniera Don Luigi distoglieva gli adulti dai pericolosi divertimenti ed esilarava i piccoli al punto da renderli pronti al catechismo e alle funzioni religiose. Da due anni il Palazzolo dirigeva da solo l\’oratorio quando fu costretto a licenziare i ragazzi, con la morte nell\’anima, perché venne a scadergli il contratto d\’affitto. Per tre anni ne soffrì atrocemente fino a dimagrire.
La mamma gli ridonò la gioia del sacerdozio il giorno in cui si decise a sborsare una somma perché, nei pressi della Foppa, acquistasse un fondo con immobili che, restaurati, potevano servire per i suoi disegni. Compiuto il gesto magnanimo, la pia signora quasi repentinamente se ne tornò a Dio (+1862) lasciando il figlio erede di tutte le sue sostanze.
Liberato dall\’ultimo filo che lo legava alla famiglia terrena, il beato impresse alla propria vita un carattere religioso, consacrandosi a Dio con voti privati. Il nuovo oratorio fu da lui dotato di una chiesetta, di un vasto cortile, di un salone teatrino e varie stanze per le scuole serali. Accanto ad esso sorgeva la casetta in cui egli viveva molto poveramente, digiunava più giorni la settimana a pane ed acqua, si flagellava a sangue, dormiva sopra un panca, pregava, preparava le missioni che di quando in quando andava a predicare nei paesi della diocesi e accoglieva in occasioni straordinarie qualche chierico o giovane dell\’oratorio. I ragazzi che sotto la sua esperta guida arrivarono al sacerdozio furono quaranta. Ascoltando le confessioni delle donne nella sua chiesa e in quella di San Bernardino di cui era stato fatto rettore nel 1855, Don Luigi capì che c\’erano molte piaghe da curare anche tra la gioventù femminile. Decise di fare qualcosa per loro istituendo nei pressi della sua rettoria la Pia Opera di Santa Dorotea (1864) per le ragazze traviate o pericolanti. Non volendo i giovani che, sia pure nei giorni feriali, il loro oratorio fosse usato dalle ragazze, il beato ne fondò uno per conto loro nei locali di sua proprietà in via della Poppa (1869), ma per non lasciare deserta tutta la settimana la casa che ospitava le giovani la domenica e qualche rara sera feriale, egli pregò Maria Teresa Gabrieli (+1908), maestra elementare e vicesuperiora dell\’Opera di Santa Dorotea, di stabilirvi la sua dimora per accogliere le ragazze che volevano avere contatti più frequenti a loro sostegno nel bene (1869).
La Gabrieli acconsentì di trasferirvisi con le masserizie e la scuola e di accogliervi un\’orfanella sciancata, deforme, coperta di piaghe che da pochi mesi il Palazzolo le aveva affidato. Nasceva così la Congregazione delle Suore delle Poverelle il cui fine sarebbe stato quello di esercitare tutte le opere di misericordia. Più tardi il fondatore scriverà: "Io cerco e raccolgo il rifiuto di tutti gli altri, perché dove altri provvede lo fa assai meglio di quello che io potrei fare, ma dove altri non può giungere, cerco di fare qualche cosa io, così come posso".
Quando il Valsecchi si recò a Roma per la nomina a vescovo ausiliare di Mons. Luigi Speranza (+1879), ordinario di Bergamo, il Palazzolo ve lo accompagnò. Durante gli esercizi spirituali che fece con lui si sentì fortemente spinto a spogliarsi di tutte le sostanze per le opere che aveva iniziato. E annotò: "Che onore essere povero e disprezzato e poi andare in Paradiso". Ritornato a casa spinse fino all\’eroismo l\’opera di totale spogliazione. Ai materassi di lana sostituì cuccette di crine vegetale o di paglia; alle poltrone e sedie, rozze panche di legno, alle camicie di fine tela, camicie di canapa grossolana; alle vesti di lana, vesti rattoppate. Sul terreno di sua proprietà, vicino alla casetta in cui abitava, il beato fece costruire un edificio-laboratorio (1874) in cui le orfanelle cominciarono subito il lavoro di incannatura e stracannatura della seta e, due anni più tardi, un teatrino per le loro ricreazioni. Fu criticato, fu preso per pazzo, ma sostenuto dal direttore spirituale e fidente soltanto nell\’aiuto della Provvidenza, perseverò nell\’opera intrapresa a costo di umiliazioni, di povertà estrema. Devotissimo del Sacro Cuore di Gesù, gli parlava ad alta voce nel suo oratorio, coi gesti persino, per dirgli le sue pene, per snocciolargli elenchi di debiti da pagare subito all\’indomani. Il vescovo un giorno lo richiamò alla realtà dei fatti e Don Luigi, con umiltà eroica, gli dichiarò che se era volontà di Dio e quella del pastore della diocesi di sospendere ogni cosa egli avrebbe prontamente ubbidito. Il saggio superiore, ben lontano dall\’impartire un tale ordine, si limitò a costatare: "Don Luigi finisce sempre con l\’aver ragione… Certe cose, che parrebbero temerità, a lui riescono, e bisogna andare adagio nel contraddirlo, perché si vede alfine che è un uomo illuminato e guidato da Dio".
A Torre Boldone la famiglia Antoine possedeva un bella casa di villeggiatura con una grande tenuta condotta a mezzadria. Il Palazzolo pensò di affidarla ad un gruppo di orfani di contadini sotto la direzione di tre uomini timorati di Dio. La B. Elisabetta Cerioli Buzzecchi di Soncino (+1865), fondatrice delle Suore della Sacra Famiglia per la cura degli orfani dei contadini, venutane a conoscenza tramite forse il suo direttore spirituale, Mons. Valsecchi, gli propose di unire le loro forze, ma siccome avevano intenti diversi, non riuscirono ad accordarsi. Fu allora che Don Luigi pensò di legare con vincoli religiosi e con opportune regole i preposti alla casa di Torre Boldone sotto la guida di Battista Leidi, da anni al servizio del Palazzolo nella casa materna. Essi assunsero il nome di Fratelli della Sacra Famiglia (1872), ma nel 1928 si estinsero.
Pareva che tutta l\’attività del beato dovesse essere assorbita dalle opere esistenti, invece, siccome le Suore delle Poverelle furono richieste da varie parti, egli dovette allargare il campo delle sue fatiche. Ovunque le religiose si stabilirono, vestite da buone massaie con un rosario al fianco, si diedero anche all\’assistenza degl\’infermi poveri. Esse furono sempre fedeli alla consegna del fondatore: "State ferme nel vivere povere e serve dei poveri. I ricchi hanno denari e trovano facilmente chi li serva, i poveri hanno bisogno di assistenza e non la trovano e languiscono. Non vi faccia gola la roba; state fedeli al vostro spirito e Dio non vi abbandonerà mai, anzi sarà la vostra ricchezza". Diceva ancora: "Ogni suora delle Poverelle preghi Iddio che le conceda spirito di madre verso le povere… Quelle che hanno inclinazione ad operare il bene nella classe signorile e nobile, a preferenza della classe povera, non sono da accettarsi". Per amore delle orfane, in anni di carestia, il Palazzolo non si vergognò di andare a chiedere l\’elemosina di porta in porta e di sollecitare la carità di amici e di persone facoltose. Per quanto grande fosse la miseria nelle undici case che aveva fondato in Lombardia e nel Veneto, raccomandava alle suore: "Trattiamo bene le orfanelle e Dio ci aiuterà. Esse si possono trattare bene anche senza mancare al voto di povertà. Sono immagini di Gesù Cristo". Ad una superiora, tra le altre raccomandazioni fece anche questa: "Non risparmiare spese per le mie orfanelle; ti darò un buon castigo se troverò che hai speso poco". Diceva abitualmente che bisognava "fare il bene in grande", lungi da ogni spirito di grettezza e di pedanteria. A Vicenza, avendo una suora rifiutato un po\’ di uva ad una povera donna con il pretesto che non bastava per gli orfani, le impose di portargliene una cesta dicendo: "Quando i poveri domandano qualcosa, da subito, anche la casa". Un giorno castigo severamente una suora perché, oltraggiata continuamente da una donna a cui aveva curato la fìgliuoletta malata, si era risentita con lei. E le disse: "Che suore di peso ho io mai! Che gente insensata che non sa custodire le perle! Fare del bene e ricevere del male, non è una perla, una gioia, un gran bene?".
Finché la salute glielo permise Don Luigi non stette fermo mai. Fu continuamente da una casa all\’altra del suo Istituto per sorvegliare, provvedere, animare, correggere, predicare ritiri ed esercizi spirituali. Il moto continuo non lo distraeva perché si sentiva eccitato all\’unione con Dio più dallo spettacolo delle creature che dal raccoglimento silenzioso. Continuò pure a predicare missioni al popolo in vari paesi della diocesi sostenendo ordinariamente la parte dell\’ignorante nei dialoghi e riservandosi le istruzioni alla gioventù che incantava col suo dire arguto e pieno di unzione. Del gran bene che operava egli attribuiva il merito soltanto a Dio. Non voleva neppure che lo chiamassero fondatore tant\’era convinto di essere un povero peccatore, un buono a nulla, un sacco di miserie pur sentendosi l\’anima monda da colpe gravi. Pari alla sua umiltà era la sua ubbidienza. Mentre le sue opere si moltiplicavano, ebbe a dire: "Se il mio vescovo me ne mostrasse desiderio, sarei pronto a lasciare qui tutto, e recarmi oggi stesso nella più piccola e più alpestre parrocchia della diocesi a fare il coadiutore".
Al principio del 1886 il Palazzolo fu inchiodato a letto dall\’asma e da una risipola migrante che, dalle gambe, salì a impiagargli tutto il corpo. Ai dolori fisici pazientemente sopportati si aggiunsero quelli morali eroicamente accettati, costituiti da una profonda malinconia; dalle preoccupazioni di mantenere le orfanelle che versavano in strettezze finanziarie; da una desolante aridità di spirito; da pensieri di disperazione dell\’eterna salvezza. Morì il 15-6-1886.
Giovanni XXIII lo beatificò il 19-3-1963. Le sue reliquie sono venerate a Bergamo nella cappella dell\’Istituto.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 6, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 187-193
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