16) L’esistenza di Dio

Esiste Dio? Dalla risposta a questa domanda, che si affaccia inesorabile alla mente di ogni uomo, molte altre questioni dipendono

Lezione XVI


L’ESISTENZA DI DIO


1. Introduzione. Il problema di Dio.


Salendo attraverso i vari gradi della vita ci siamo fermati a studiare l’uomo, la creatura che poggia sul vertice degli esseri materiali ed è al confine del mondo spirituale, anello di congiunzione tra lo spirito e la materia. Ma lo studio dell’uomo si completa in Dio. Egli infatti viene immediatamente da Dio, tende immediatamente a Dio, è costituito con un’anima spirituale fatta a Sua immagine e somiglianza. Dio perciò è coronamento e termine necessario del nostro studio filosofico.
Prima di tutto ci domandiamo: esiste Dio? Questione principalissima che si affaccia inesorabile alla mente di ogni uomo, e dalla cui soluzione molte altre questioni dipendono.
Essa è tuttora al centro della filosofia, come apparve in un recente Congresso filosofico (Firenze 1940) ove, contro alcuni pochi (come Fazio, Allmayer e Calogero) i quali dicevano che il problema di Dio è ormai superato e non interessa più perché ciò che oggi interessa è l’estetica, l’economia e la politica, fu invece affermata e difesa la vitalità di questo problema centrale da parte dei numerosi filosofi presenti, pur nella varietà delle opinioni e nella diversità del linguaggio. Ma, se il problema è sempre vivo e attuale, purtroppo i filosofi non si accordano nella soluzione. Mentre l’umanità dalle sue origini, come dimostreremo naturalmente guidata dalla ragione che la fede confermava, ha affermato l’esistenza di Dio e gli ha sempre innalzato altari e templi, ed anche l’umanità di oggi, ove la violenza non lo impedisce, manifesta la sua comune credenza in Dio, non sono mancati e non mancano pensatori che negano l’esistenza di Dio: da Democrito, che per primo pronunciò la frase fatale: “Non est Deus naturae immortalis” agli odierni negatori di Dio, quale il Rensi, che si assumeva l’ardua e vana fatica (tanto evidenti sono gli argomenti in contrario) di fare un’Apologia dell’ateismo, (Roma, Formiggini), opera nella quale la facilità e piacevolezza dell’eloquio non riesce a nascondere la fragilità e l’inconsistenza delle argomentazioni.
Platone, nel X libro delle Leggi scriveva: “Come si può senza indignazione vedersi ridotti a provare l’esistenza di Dio?”. Eppure, di fronte all’ateismo militante è necessario dare e ripetere la dimostrazione, sia per confutare l’avversario, sia per confermare il credente di fronte al dubbio imprudente che talora può affiorare alla sua coscienza nelle alterne vicende della vita.
Per evitare fin dal principio ogni equivoco, avvertiamo che quando diciamo Dio, con questo nome augusto, “la più grande parola del linguaggio umano”, intendiamo un Essere supremo, personale, distinto dal mondo, dal quale tutto l’universo dipende.

2. Avversari.


A) Negano l’esistenza di Dio:


1) I materialisti. Essi affermano: tutto è materia, tutto viene dalla materia e ad essa ritorna. Ecco la dottrina che deve sciogliere tutti gli enigmi, contentare tutti i bisogni, soddisfare a tutte le aspirazioni. Su una concezione materialistica della realtà si basa anche l’ateismo del Rensi che, nelle prime pagine della sua Apologia dell’ateismo, dà questa definizione dell’Essere: “Essere significa ciò che si può vedere, toccare, percepire. E’ soltanto ciò che può essere visto, toccato, percepito” (pag. 15); e prosegue spiegando: “quel può non va inteso nel senso che esista solo ciò sopra cui sia effettivamente possibile mettere l’occhio e la mano, ma nel senso che anche quando questo fatto non possa accadere, pure la cosa che è deve possedere una natura tale per cui sia per sé suscettibile di essere vista, toccata, percepita” (pag. 15?16). Ora, siccome soltanto l’essere materiale ha tale natura, il Rensi conclude che Dio, come essere spirituale, non esiste. Ma, quanto categorica, altrettanto falsa è la definizione di essere data dal Rensi: al contrario, essere dice solamente ciò che esiste o può esistere, sia materiale, come il mondo che vediamo, sia spirituale, come per es. la nostra anima, di cui già dimostrammo l’esistenza nella lez. XII (1).

2) I monisti e panteisti, che dicono di ammettere Dio, ma lo identificano col mondo e quindi praticamente lo negano. A ragione disse il Gratry: “Il panteismo è l’ateismo più una menzogna”. Si distingue il panteismo realistico di Scoto Eriugena, Giordano Bruno, Spinoza, ecc., e il panteismo idealistico della filosofia post-kantiana con Fichte, Schelling, Hegel, e in Italia con Croce, Gentile, Carabellese, ecc.
Il Gentile per es. scrive: “Dio non può essere tanto Dio che non sia lo stesso uomo” (2) e “Dio è spirito; ma è spirito in quanto l’uomo è spirito; e Dio e l’uomo nella realtà dello spirito sono due e sono uno; sicché l’uomo è veramente uomo soltanto nella sua unità con Dio (…) e Dio da parte sua è il vero Dio in quanto è tutt’uno con l’uomo che lo compie nella sua essenza”(3). E’ vero che talora afferma la distinzione tra Dio e uomo, ma la spiega, piuttosto, come distinzione di termini astratti nell’unica realtà concreta che è la sintesi 4 secondo i principi dell’idealismo che abbiamo altrove esposto (Lez. VI).
Orbene il panteismo non è accoglibile, perché Dio, per sua natura infinito, immutabile e perfettissimo, non può identificarsi né con la realtà materiale né col nostro spirito che sono realtà finite, mutabili e imperfette.
3) Dubitano dell’esistenza di Dio anche gli agnostici, i quali dichiarano impossibile sciogliere razionalmente il problema religioso. La questione dell’esistenza e della natura di Dio – affermano – supera le forze della nostra debole mente: Dio non può essere oggetto di scienza. L’agnosticismo – come dicemmo – è in fondo un atto di sfiducia nelle forze della ragione, sfiducia che nasce da una falsa concezione del valore e dei limiti della conoscenza razionale. Secondo questa impostazione, noi non possiamo oltrepassare il mondo sensibile, e siccome Dio non cade sotto l’esperienza sensibile, non lo possiamo in alcun modo raggiungere.
Nella lezione III abbiamo già confutato l’agnosticismo, mostrando come dalle cose sensibili possiamo razionalmente raggiungere una realtà sovrasensibile e lo vedremo meglio provando di fatto l’esistenza di Dio.

B) Affermano l’esistenza di Dio, ma appoggiandosi su falsi principi:


1) I fideisti, modernisti, ecc., che ritengono non potersi raggiungere Dio per la via del ragionamento, ma piuttosto per quella dei bisogni e delle aspirazioni della volontà e del cuore. Nel sentimento religioso dicono riscontrarsi un certo “intuito del cuore” per mezzo del quale l’uomo immediatamente entra in contatto con Dio e acquista, della esistenza di Lui e della Sua azione dentro e fuori di noi, una tale convinzione che supera ogni altra. Non neghiamo che motivi affettivi possano aiutare a raggiungere Dio, ma affermiamo che i motivi veramente validi e degni dell’uomo, essere ragionevole, per affermare Dio sono gli argomenti razionali, che conservano ancora tutto il loro valore assoluto.
2) I tradizionalisti; essi insegnano che l’esistenza di Dio non può essere dimostrata dalla ragione se Dio stesso prima non ci ha già rivelato questa verità che gli uomini si tramandano di generazione in generazione. Anche in questo caso non neghiamo che la rivelazione e la tradizione facilitino all’uomo la conoscenza di Dio, ma rifiutiamo l’idea che la ragione umana sia incapace di dimostrare l’esistenza di Dio: anzi, il fondamento su cui deve poggiare la nostra affermazione di Dio sono precisamente gli argomenti della ragione.
3) Gli ontologisti, che vanno all’eccesso opposto e affermano che noi abbiamo la cognizione immediata di Dio, l’intuizione della sua essenza. Proposta dal Malebranche, questa dottrina fu difesa in Italia dal Gioberti e dal Rosmini. Ma fu condannata dalla Chiesa, perché non solo non abbiamo di fatto questa intuizione dell’essenza divina (come l’esperienza chiaramente ci insegna), ma neppure possiamo averla, essendo questa superiore alle forze della natura e dono da Dio concesso solo nella visione intuitiva ai Beati.
4) Quelli che, con S. Anselmo, Descartes, Leibnitz ecc., con un argomento detto a simultaneo, pretendono dedurre l’esistenza di Dio dall’analisi del semplice concetto di Dio.
S. Anselmo così ragionava: Dio è l’Essere di cui non se ne può concepire uno maggiore; ma se non esistesse, se ne potrebbe concepire un altro maggiore che abbia anche la perfezione dell’esistenza. Dunque Dio deve esistere. Ma a chi ben lo considera, appare che l’argomento prova solo che Dio deve essere concepito come esistente; ma dal fatto che io debbo concepirlo come esistente, non ne segue che realmente esista. L’argomento di S. Anselmo fu ripreso e modificato da Descartes e da Leibnitz, ma rimane sempre inefficace. Infatti l’argomento avrebbe valore se noi avessi­mo un concetto proprio e intuitivo di Dio, ma siccome ne abbiamo solo un concetto improprio e analogico, ogni argomento che dai concetti si voglia dedurre implica un passaggio vizioso dall’ordine ideale al reale.
Noi vogliamo arrivare a Dio con la ragione, vogliamo dimostrarne l’esistenza, ma la sola dimostrazione valida è quella a posteriori, cioè dagli effetti alle cause. E’ questa la vera via, che, unica, ci conduce sicuramente a Dio, la via degna dell’uomo dotato di ragione, la via additataci già da S. Paolo:
“Invisibilia enim Ipsius a creatura mundi per ea quae facta sunt, intellecta conspiciuntur” (Ep. ad Rom., 1, 20), raccomandata e consacrata autorevolmente nelle dichiarazioni solenni della Chiesa, nonché seguita costantemente non solo dai grandi apologeti cristiani, ma anche dai più illustri teisti di qualunque epoca, scuola e religione.
Considerando i fatti reali che cadono sotto la nostra esperienza sensibile, noi vedremo che non c’è modo di interpretarli razionalmente senza ammettere Dio, poiché:
1) la natura delle cose che costituiscono il mondo esige un Dio Creatore;
2) l’ordine che regna in tutto l’universo esige un Dio sapiente e ordinatore;
3) la voce di tutti i popoli proclama unanimemente un Dio supremo Signore.
Questi argomenti, studiati e discussi nel corso di lunghi secoli, hanno convinto le menti più elette dell’umanità; se certi moderni non ne percepiscono la forza, non è per difetto di luce della verità, ma per molte cagioni che, rendono le menti indisposte: tali sono le prevenzioni contrarie, la mancanza di attenzione, la scarsezza di ingegno, l’affetto che l’intelletto lega, l’uso di seguire gli altri fra i quali si vive, il non volere essere trascinati a conseguenze temute e la particolare inclinazione a studi più materialmente determinati nei fatti storici e nei fenomeni sensibili, apprendendo quasi avvolto di nebbia tutto ciò che si presenta come ragione astratta”. (4).

(Continua)

Note.


1) Cfr. Valentini, La dottrina ateistica di G. Rensi, in Civiltà Cattolica, 1943, 3, p. 103 ss.
2) Teoria generale dello Spirito, Bari, Laterza, p. 45.
3) Cfr. La mia religione, Firenze, Sansoni.
4) Mattiussi, Veleno kantiano.

Bibliografia.


Ballerini, L’esistenza di Dio di fronte alla scienza e al pensiero moderno, Firenze, Libr. Ed. Fiorentina;
Daffara, Dio. Esposizione e valutazione delle prove, Torino, SEI;
Farges, L’idea di Dio secondo la ragione e la scienza, Siena, S. Bernardino;
Franchi, Ultima critica, Vol. III, Milano, Pal­ma;
Gaetani, Dio, Roma, Univ. Gregoriana, 1944;
Giovannozzi, Il problema dell’esistenza, Vol. I, Firenze, Calasanziana;
Marcozzi, Il problema di Dio e le scienze naturali, Brescia, Morcelliana;
Mattiussi, Credo in unum Deum, Milano, Tip. S. Giuseppe;
Sertillanges, Dio o niente?, Torino, SEI;
Zacchi, Dio, Vol. I, Roma, Ferrari.