SULL’ABORTO PROCURATO

Congregazione per la Dottrina della fede, istruzione Sull’aborto procurato, promulgata sotto il Pontificato di S. S. Paolo VI. Un insegnamento mirabile del Magistero Ordinario Universale che ripropone la dottrina di sempre e ricorda che la funzione della legge non è di registrare passivamente quel che si fa, ma di aiutare a far meglio; bisogna, pertanto, far bene attenzione a ciò che può comportare un cambiamento di legislazione: molti prenderanno per un’autorizzazione quel che altro non è che promozione del libertinismo

SULL’ABORTO PROCURATO


Congregazione per la dottrina della fede


 


INTRODUZIONE


 


1. Il problema dell’aborto procurato e della sua eventuale liberalizzazione legale è diventato, un po’ dappertutto, tema di discussioni appassionate. Questi dibattiti sarebbero meno gravi, se non si trattasse della vita umana, valore primordiale che è necessario proteggere e promuovere. Ciascuno lo comprende, anche se parecchi cercano ragioni per far servire a questo fine, contro ogni evidenza, anche l’aborto. Non ci sì può, in effetti, non stupire nel vedere crescere da una parte la netta protesta contro la pena di morte, contro ogni forma di guerra, e, dall’altra, la rivendicazione di rendere libero l’aborto, sia interamente, sia su indicazioni sempre più larghe. La Chiesa è troppo cosciente che spetta alla sua vocazione di difendere l’uomo contro tutto ciò che potrebbe dissolverlo o avvilirlo, per tacere su tale argomento: poiché il Figlio di Dio si è fatto uomo, non c’è uomo che non sia suo fratello in quanto uomo e che non sia chiamato a divenire cristiano e a ricevere da lui la salvezza.


3. Numerosi laici cristiani, specialmente medici, ma anche associazioni di padri e dì madri di famiglia, uomini politici o personalità in posto di responsabilità, hanno vigorosamente reagito contro questa campagna di opinione. Ma soprattutto, molte conferenze episcopali e vescovi a proprio nome hanno giudicato opportuno richiamare senza ambiguità la dottrina tradizionale della Chiesa (1). Questi documenti, la cui convergenza è impressionante, mettono mirabilmente in luce l’atteggiamento, umano e cristiano insieme, di rispetto della vita. E’ tuttavia avvenuto che parecchi di essi incontrassero, qua o là, riserve o anche contestazione.


4. Incaricata di promuovere e di difendere la fede e la morale nella Chiesa universale (2), la sacra Congregazione per la dottrina della fede si propone di richiamare questi insegnamenti nelle loro linee essenziali a tutti i fedeli. Così, ponendo in risalto l’unità della Chiesa, essa confermerà con l’autorità propria della santa Sede ciò che i vescovi hanno felicemente intrapreso. Essa confida che tutti i fedeli, compresi coloro che sono stati scossi dalle controversie e dalle opinioni nuove, comprenderanno che non si tratta di opporre una opinione ad altre, ma di trasmettere loro un insegnamento costante del magistero supremo, che espone la regola dei costumi alla luce della fede (3). E’ dunque chiaro che questa dichiarazione non può non comportare un grave obbligo per le coscienze cristiane (4). Voglia Iddio illuminare altresì tutti gli uomini che cercano con cuore sincero di “ operare la verità ” (Giov 3,21).


 


ALLA LUCE DELLA FEDE


 


5. “Dio non ha fatto la morte, né si rallegra per la fine dei viventi!” (Sap 1,13). Certamente Dio ha creato degli esseri che vivono per un tempo limitato, e la morte fisica non può essere assente dal mondo dei viventi corporei. Ma ciò che è, anzitutto voluto, è la vita e, nell’universo visibile, tutto è stato fatto in vista dell’uomo, immagine di Dio e coronamento dei mondo (Gen 1, 26‑28). Sul piano umano, “è per invidia dei diavolo che la morte è entrata nel mondo” (Sap 2, 24); introdotta a causa dei peccato, essa gli rimane legata, e ne è insieme il segno e il frutto. Ma essa non potrebbe trionfare. Confermando la fede nella resurrezione, il Signore proclamerà nel Vangelo che Dio “non è Dio dei morti, ma dei vivi” (Mat 22,32), e la morte, come il peccato, sarà definitivamente vinta dalla resurrezione nel Cristo (1Cor 15,20‑27). Così si comprende come la vita umana, anche su questa terra, sia preziosa. Inspirata dal Creatore (5), da lui è ripresa (Gen 2,7; Sap 15,11). Essa resta sotto la sua protezione: il sangue dell’uomo grida verso di lui (Gen 4,10) ed egli ne domanderà conto, “perché ad immagine di Dio è stato fatto l’uo­mo” (Gen 9,5‑6). Il comandamento di Dio è for­male: “Non uccidere” (Es 20,13). La vita è nello stesso tempo un dono e una responsabilità; ri­cevuta come un “talento” (Mat 25,14‑30), essa


deve essere valorizzata. Per farla fruttificare, si offrono all’uomo molti compiti in questo mondo, ai quali egli non deve sottrarsi; ma più profon­damente, il cristiano sa che la vita eterna dipen­de per lui dall’uso che, con la grazia di Dio, egli avrà fatto della sua vita sulla terra.


 


6. La tradizione della Chiesa ha sempre ritenuto che la vita umana deve essere protetta e favorita fin dal suo inizio, come nelle diverse tappe dei suo sviluppo. Opponendosi ai costumi dei mondo greco‑romano, la Chiesa dei primi secoli ha insistito sulla distanza che, su questo punto, separa da essi i costumi cristiani.


Nella Didaché è detto chiaramente: “Tu non ucciderai con l’aborto il frutto dei grembo e non farai perire il bimbo già nato” (6). Atenagora sottolinea che i cristiani considerano come omicide le donne che usano medicine per abortire; egli condanna gli assassini dei bimbi, anche di quelli che vivono ancora nel grembo della loro madre, “dove essi sono già l’oggetto delle cure della Provvidenza divina” (7). Tertulliano non ha forse tenuto sempre il medesimo linguaggio; tuttavia egli non ne afferma meno chiaramente il principio essenziale: “E’ un omicidio anticipato impedire di nascere; poco importa che si sopprima l’anima già nata o che la si faccia scomparire sul nascere. E’ già un uomo colui che lo sarà” (8).


7. Nel corso della storia, i Padri della Chiesa, i suoi Pastori, i suoi Dottori hanno insegnato la medesima dottrina, senza che le diverse opinioni circa il momento dell’infusione dell’anima spirituale abbiano introdotto un dubbio sulla illegittimità dell’aborto. Certo, quando nel medioevo era generale l’opinione che l’anima spirituale non fosse presente che dopo le prime settimane, si faceva una differenza nella valutazione dei peccato e nella gravità delle sanzioni penali; eccellenti autori hanno ammesso, per questo primo periodo, soluzioni casuistiche più larghe, che respingevano per i periodi seguenti. Ma nessuno ha mai negato che l’aborto procurato, anche in quei primi giorni, fosse oggettivamente una grave colpa. Questa condanna è stata, di fatto, unanime. Fra i tanti documenti, basterà ricordarne qualcuno. Il primo concilio di Magonza, nell’847, conferma le pene stabilite dai concili precedenti contro l’aborto e decide che la più rigorosa penitenza sarà imposta “alle donne che provocano l’eliminazione dei frutto concepito dal loro grembo” (9). Il Decreto di Graziano cita queste parole dei papa Stefano V: “E’ omicida colui che fa perire mediante aborto ciò che era stato concepito” (10). San Tommaso, dottore comune della Chiesa, insegna che l’aborto è un peccato grave contrario alla legge naturale (11). Al tempo del rinascimento, il papa Sisto V condanna l’aborto con la più grande severità (12). Un secolo più tardi, Innocenzo XI condanna le proposizioni di certi canonisti lassisti che pretendevano di scusare l’aborto procurato prima del momento in cui alcuni fissavano l’animazione spirituale dei nuovo essere (13). Ai nostri giorni, gli ultimi romani pontefici hanno proclamato la medesima dottrina con la più grande chiarezza: Pio XI ha risposto espressamente alle obiezioni più gravi (14); Pio XII ha chiaramente escluso ogni aborto diretto, cioè quello che è fine o mezzo al fine (15); Giovanni XXIII ha richiamato l’insegnamento dei Padri sul carattere sacro della vita “che, fin dal suo inizio, esige l’azione di Dio creatore” (15). Più recentemente, il Concilio Vaticano II, sotto la presidenza di S.S. Paolo VI, ha condannato con molta severità l’aborto: “La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura: l’aborto e l’infanticidio sono abominevoli delitti” (17). Lo stesso Paolo VI, parlando a più riprese di tale argomento, ha dichiarato che questo insegnamento della Chiesa “non è mutato ed è immutabile” (18).


 


ALLA LUCE CONGIUNTA DELLA RAGIONE


8. Il rispetto della vita umana non si impone solo ai cristiani: è sufficiente la ragione a esigerlo basandosi sull’analisi di ciò che è e deve essere una persona. Dotato di natura ragionevole, l’uomo è un soggetto personale, capace di riflettere su se stesso, di decidere dei propri atti e quindi dei proprio destino; egli è libero. E’, di conseguenza, padrone di sé, o piuttosto, poiché egli si realizza nel tempo, ha i mezzi per diventarlo, questo è il suo compito. Creata immediatamente da Dio, la sua anima è spirituale, e quindi immortale. Egli è inoltre aperto a Dio e non troverà il suo compimento che in lui. Ma egli vive nella comunità dei suoi simili, si nutre della comunicazione interpersonale con essi, nell’indispensabile ambiente sociale. Di fronte alla società e agli altri uomini, ogni persona umana possiede se stessa, possiede la propria vita, i suoi diversi beni, per diritto; la qual cosa esige da tutti, nei suoi riguardi, una stretta giustizia.


9. Tuttavia, la vita temporale condotta in questo mondo non s’identifica con la persona; questa possiede in proprio un livello di vita più profondo, che non può finire. La vita corporale è un bene fondamentale, condizione quaggiù di tutti gli altri; ma ci sono valori più alti, per i quali potrà essere legittimo o anche necessario esporsi al pericolo di perderla. In una società di persone, il bene comune è per ciascuna un fine che essa deve servire, al quale essa dovrà subordinare il suo interesse particolare. Ma esso non è il suo fine ultimo e, da questo punto di vista, è la società che è al servizio della persona, perché questa non raggiungerà il suo destino che in Dio. Essa non può essere definitivamente subordinata che a Dio. Non si potrà mai trattare un uomo come un semplice mezzo, di cui si possa disporre per ottenere un fine più alto.


 


10. Sui diritti e sul doveri reciproci della persona e della società, spetta alla morale illuminare le coscienze, ai diritto di precisare e di organizzare le prestazioni. Ora ci sono precisamente un complesso di diritti che non spetta alla società di accordare, perché essi le sono anteriori, ma che essa ha il dovere di tutelare e di far valere: tali sono la maggior parte di quelli che oggi si chiamano i “diritti dell’uomo”, e che la nostra epoca si gloria di aver formulato.


11. Il primo diritto di una persona umana è la sua vita. Essa ha altri beni, ed alcuni sono più preziosi, ma quello è fondamentale, condizione di tutti gli altri. Perciò esso deve essere protetto più di ogni altro. Non spetta alla società, non spetta alla pubblica autorità, qualunque ne sia la forma, riconoscere questo diritto ad alcuni e non ad altri: ogni discriminazione è iniqua, sia che si fondi sulla razza, sul sesso, sul colore o sulla religione. Non è il riconoscimento da parte degli altri che costituisce questo diritto; esso esige di essere riconosciuto ed è strettamente ingiusto il rifiutarlo.


 


12. Una discriminazione fondata sui diversi periodi della vita non è giustificata più di qualsiasi altra. il diritto alla vita resta intatto in un vegliardo, anche molto debilitato; un malato incurabile non l’ha perduto. Non è meno legittimo nel piccolo appena nato che nell’uomo maturo. In realtà, il rispetto alla vita umana si impone fin da quando ha inizio il processo della generazione. Dal momento in cui l’ovulo è fecondato, si inaugura una vita che non è quella dei padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto. Non sarà mai reso umano se non lo è fin da allora.


 


13.  A questa evidenza di sempre (perfettamente in­dipendente dai dibattiti circa il momento del­l’animazione) (19), la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo istante si trova fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: un uomo, quest’uomo individuo con le sue note caratteristiche già ben determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata l’avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo, per impostarsi e per trovarsi pronta ad agire. Il meno che si possa dire è che la scienza odierna, nel suo stato più evoluto, non dà alcun appoggio sostanziale ai difensori dell’aborto. Del resto, non spetta alle scienze biologiche dare un giudizio decisivo su questioni propriamente filosofiche e morali, come quella dei momento in cui si costituisce la persona umana e quella della legittimità dell’aborto. Ora, dal punto di vista morale, questo è certo: anche se ci fosse un dubbio concernente il fatto che il frutto dei concepimento sia già una persona umana, è oggettivamente un grave peccato osare di assumere il rischio di un omicidio. “E’ già uomo colui che lo sarà” (20).


 


RISPOSTA AD ALCUNE OBIEZIONI


14. La legge divina e la ragione naturale escludono, dunque, qualsiasi diritto di uccidere direttamente un uomo innocente.


Tuttavia, se le ragioni addotte per giustificare l’aborto fossero sempre manifestamente cattive e prive di valore, il problema non sarebbe così drammatico: la sua gravità deriva dal fatto che in certi casi, forse abbastanza numerosi, rifiutando l’aborto si reca pregiudizio a beni importanti, che è normale voler salvaguardare e che possono anche apparire, talora, prioritari. Non possiamo misconoscere queste gravissime difficoltà: può essere ad es. una grave questione di salute, talvolta di vita o dì morte, per la madre; può essere l’aggravio che rappresenta un figlio in più, soprattutto se ci sono buone ragioni per temere che egli sarà anormale o rimarrà minorato; può essere il rilievo che, in diversi ambienti, hanno o assumono le questioni di onore e di disonore, di declassamento sociale, ecc.; noi affermiamo solamente che mai alcuna di queste ragioni può conferire oggettivamente il diritto di disporre della vita altrui anche se in fase iniziale; e, per quanto concerne l’infelicità futura dei bambino, nessuno, neppure il padre o la madre, può sostituirsi a lui, anche se è ancora allo stato embrionale, per preferire a suo nome la morte alla vita. Egli stesso, raggiunta l’età matura, non avrà mai il diritto di scegliere il suicidio; tanto meno, dunque, finché non ha l’età per decidere da solo, potranno essere i suoi genitori a scegliere la morte per lui. La vita, insomma, è un bene troppo fondamentale perché possa essere posta a confronto con certi inconvenienti, benché gravissimi (21).


 


15. Nella misura in cui il movimento di emancipazione della donna tende essenzialmente a liberarla da tutto ciò che rappresenta un’ingiusta discriminazione, esso è perfettamente legittimo (22). Nelle diverse forme di civiltà, vi è certo molto da fare a questo riguardo; ma non si può cambiare la natura, né sottrarre la donna, come neanche l’uomo, a ciò che la natura ad essi richiede. Dei resto, ogni libertà pubblicamente riconosciuta ha sempre come limiti i diritti certi degli altri.


 


16. Altrettanto bisogna dire circa la rivendicazione della libertà sessuale. Se con questa espressione sì intendesse la padronanza, progressivamente acquisita, della ragione e del vero amore sugli impulsi dell’istinto, senza svalutare il piacere, ma mantenendolo al suo giusto posto, e la padronanza, in questo campo, è la sola autentica libertà, non ci sarebbe nulla da eccepire: una tale libertà, infatti, si guarderà sempre dall’attentare alla giustizia. Ma se, al contrario, si intende affermare che l’uomo e la donna sono “liberi” di ricercare il piacere sessuale a sazietà, senza tener conto dì nessuna legge né dell’ordinazione essenziale della vita sessuale ai suoi frutti di fecondità (23), siffatta opinione non ha nulla di cristiano, ed è anche indegna dell’uomo. In ogni caso, essa non conferisce alcun diritto a disporre della vita altrui, fosse anche allo stato embrionale, e a sopprimerla coi pretesto che essa arreca fastidio.


 


17. I progressi della scienza aprono ed apriranno sempre più alla tecnica la possibilità di compiere interventi ingegnosi, le cui conseguenze possono essere assai gravi, in bene come in male. Si tratta di conquiste, di per sé mirabili, dello spirito umano. Ma la tecnica non potrebbe sfuggire al giudizio della morale, perché essa è fatta per l’uomo e ne deve rispettare le finalità. Come non si ha il diritto di utilizzare, indiscriminatamente, cioè a qualunque fine, l’energia nucleare, così non si è autorizzati a manipolare in qualunque senso la vita umana: ciò non può avvenire che a servizio dell’uomo, per assicurare meglio l’esercizio delle sue capacità normali, per prevenire o guarire le malattìe, per concorrere al suo migliore sviluppo. E’ vero, sì, che il progresso delle tecniche rende sempre più facile l’aborto precoce, ma non per questo ne risulta modificata la valutazione morale.


18. Sappiamo bene quanto può esser grave per certe famiglie e per certi paesi il problema della regolazione delle nascite: è per questo che il recente Concilio e, successivamente, l’enciclica Humanae vitae, del 25 luglio 1968, hanno parlato di “paternità responsabile” (24). Ciò che vogliamo ripetere con forza ‑ come l’hanno richiamato la costituzione conciliare Gaudium et spes, l’enciclica Populorum progressio ed altri documenti pontifici ‑ è che mai, per nessun pretesto, può essere utilizzato l’aborto, né da parte della famiglia né da parte dell’autorità politica, come un mezzo legittimo per la regolazione delle nascite (25). L’offesa dei valori morali costituisce sempre, per il bene comune, un male più grande di qualsiasi altro inconveniente di ordine economico e demografico.


 


LA MORALE E IL DIRITTO


19. La discussione morale sì accompagna, un po’ dappertutto, a gravi dibattiti giuridici. Non vi è alcun paese la cui legislazione non proibisca e non punisca l’omicidio; molti di essi, inoltre, hanno determinato questa proibizione e queste pene per il caso specifico dell’aborto procurato. Ai nostri giorni, un vasto movimento di opinione reclama una liberalizzazione di quest’ultima proibizione, ed esiste già una tendenza abbastanza diffusa a voler restringere il più possibile ogni legislazione repressiva, soprattutto quando sembra che essa interferisca nel settore della vita privata. Si riprende, inoltre, l’argomento dei pluralismo: se molti cittadini, e in particolare, i membri della Chiesa cattolica, condannano l’aborto, molti altri lo ritengono lecito, almeno dal punto di vista dei minor male: perché allora imporre a questi di seguire un’opinione che non condividono, soprattutto in un paese in cui fossero la maggioranza? D’altronde, dove esistono ancora le leggi che condannano l’aborto, esse si rivelano difficili da applicare: il delitto è divenuto troppo frequente perché si possa sempre infierire, ed i pubblici poteri trovano spesso più prudente chiudere gli occhi. Senonché, mantenere una legge che non si applica non si risolve mai senza danno per l’autorità di tutte le altre leggi. Bisogna aggiungere che l’aborto clandestino espone le donne che si rassegnano a ricorrervi ai più gravi pericoli non solo per la loro fecondità futura, ma anche, spesso, per la loro stessa vita. Pur continuando a considerare l’aborto come un male, il legislatore non può forse proporsi di limitarne i danni?


20. Queste ragioni, ed altre ancora che si intravedono da diversi punti di vista, non sono, però, valide per la legalizzazione dell’aborto. E’ vero che la legge civile non può voler abbracciare tutto l’ambito della morale, o punire tutte le colpe: nessuno pretende questo da essa. Spesso essa deve tollerare ciò che, in definitiva, è un male minore, per evitarne uno più grande. Bisogna, tuttavia, far bene attenzione a ciò che può comportare un cambiamento di legislazione: molti prenderanno per un’autorizzazione quel che, forse, altro non è che una rinuncia a punire. Ed ancora, nel caso presente, tale rinuncia sembra comportare che il legislatore non consideri più l’aborto come un crimine contro la vita umana, poiché l’omicidio resta sempre gravemente punito E’ vero che la legge non ha il compito di scegliere tra le diverse opinioni, o di imporne una a preferenza di un’altra. Ma la vita dei bambino prevale su qualsiasi opinione, e non si può invocare la libertà di pensiero per togliergliela.


21. La funzione della legge non è di registrare passivamente quel che si fa, ma di aiutare a far meglio. E’, in ogni caso, missione dello Stato quella di tutelare i diritti dì ciascun cittadino, e di proteggere i più deboli: gli occorrerà per questo riparare molti torti. La legge non è obbligata a sanzionare tutto, ma non può andare contro una legge più profonda e più augusta di ogni legge umana: la legge naturale, la quale è inscritta dal Creatore nel cuore dell’uomo come norma che la ragione discopre e si adopera a ben formulare, che bisogna costantemente sforzarsi a meglio comprendere, ma che è sempre male contraddire. La legge umana può rinunciare a punire, ma non può dichiarare onesto quel che sarebbe contrario al diritto naturale, perché tale opposizione basta a far sì che una legge non sia una legge.


 


22. Dev’essere, in ogni caso, ben chiaro che un cristiano non può mai ubbidire ad una legge intrinsecamente immorale, e questo è il caso di una legge che ammettesse, in linea di principio, la liceità dell’aborto. Egli non può né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio dei suo voto. Non potrà neppure collaborare alla sua applicazione. Non si può ammettere, per esempio, che medici ed infermieri vengano obbligati a concorrere, in modo prossimo ad un aborto e a dover scegliere tra la legge cristiana e la loro posizione professionale.


23. Spetta, invece, alla legge il dovere di promuovere una riforma della società e delle condizioni di vita in tutti gli ambienti ‑ a cominciare da quelli meno favoriti ‑ affinché sia resa possibile, sempre e dappertutto, ad ogni bambino che viene in questo mondo un’accoglienza degna dell’uomo. Aiuto alle famiglie ed alle madri nubili, assicurare sussidi ai bambini, statuto per i figli naturali e conveniente regolazione dell’adozione: bisogna, cioè promuovere tutta una politica positiva, perché si abbia sempre un’alternativa concretamente possibile ed onorevole all’aborto.


 


CONCLUSIONE


24. Seguire la propria coscienza nell’obbedienza alla legge di Dio non è sempre una via facile. Ciò può comportare sacrifici ed aggravi, di cui non è lecito disconoscere il peso; talvolta, ci vuole eroismo per restare fedeli a tali esigenze. In pari tempo dobbiamo, però, sottolineare che la via dell’autentica espansione della persona umana passa per questa costante fedeltà alla coscienza mantenuta nella rettitudine e nella verità, mentre esortiamo tutti coloro che ne hanno i mezzi, ad alleviare i pesi che schiacciano ancora tanti uomini e donne, tante famiglie e bambini, posti come sono dinanzi a situazioni umanamente insolubili.


 


25. La valutazione di un cristiano non può limitarsi all’orizzonte della sola vita terrena: egli sa che, in seno alla vita presente, se ne prepara un’altra, la cui importanza è tale che alla sua luce bisogna esprimere i propri giudizi (26). Da questo punto di vista, non esiste quaggiù un male assoluto, fosse pure l’orribile sofferenza di allevare un bambino deficiente. E’ questo il rovesciamento di valori annunciato dal Signore: Beati coloro che piangono, perché saranno consolati (Mat 5,5). Sarebbe un volger le spalle al Vangelo, se si misurasse la felicità con l’assenza delle sofferenze e delle miserie in questo mondo.


 


26. Ciò non significa che si possa restare indifferenti a queste pene e miserie. Ogni uomo di cuore e certamente ogni cristiano deve esser pronto a fare il possibile, per portarvi rimedio: è questa la legge della carità, la cui prima preoccupazione deve esser sempre quella di instaurare la giustizia. Non si può mai approvare l’aborto, ma e necessario, anzitutto, combatterne le cause. Tutto ciò include un’azione politica e questa sarà, in particolare, ciò che compete alla legge. Ma bisogna, nel medesimo tempo, incidere sui costumi, bisogna impegnarsi attivamente per tutto quanto può aiutare le famiglie, le madri e i bambini. Progressi notevoli son già stati compiuti dai medici a servizio della vita; c’è da sperare che essi procederanno ulteriormente secondo la vocazione dei medico, che non è quella di sopprimere la vita, ma di conservarla e di favorirla nella maniera migliore. E’ dei pari auspicabile che si sviluppino, attraverso istituzioni adeguate o ‑ in loro mancanza ‑ grazie allo slancio della generosità e della carità cristiana, tutte le forme di assistenza.


Non si agirà efficacemente sul piano dei costumi, se non si lotta egualmente sul piano delle idee. Non si può lasciare diffondersi, senza contraddirla, una maniera di vivere ed ancor più, forse, di pensare, che considera la fecondità una disgrazia! E’ vero che non tutte le forme di civiltà sono egualmente favorevoli alle famiglie numerose, e che queste trovano più gravi ostacoli nella civiltà di tipo industriale ed urbano. Per questo, la Chiesa in questi ultimi tempi ha insistito sull’idea della paternità responsabile, come esercizio di vera prudenza, umana e cristiana. Una tale prudenza non sarebbe autentica, se non includesse la generosità: essa deve mantenersi cosciente della grandezza di un compito, qual è la collaborazione col Creatore nella trasmissione della vita, la quale arricchisce di nuovi membri la comunità umana, e dona nuovi figli alla Chiesa. Preoccupazione fondamentale della Chiesa di Cristo è di proteggere e di favorire la vita. Indubbiamente, essa pensa innanzi tutto alla vita che Cristo è venuto a portare sulla terra “Io sono venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza” (Giov 10,10). Ma la vita, a tutti i suoi livelli, viene da Dio, e la vita corporea rappresenta per l’uomo l’indispensabile inizio. In questa vita sulla terra il peccato ha introdotto, moltiplicato ed aggravato la sofferenza e la morte; ma Gesù Cristo, prendendo su di sé tali pesi, li ha trasformati. Per coloro che credono in lui, la sofferenza e la stessa morte diventano strumenti di resurrezione. Perciò san Paolo ha potuto affermare: Ritengo che le sofferenze del tempo presente non possano essere paragonate con la futura gloria, che si rivelerà a noi (Rom 8,18). E volendo fare un paragone, aggiungeremo con lui: “Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna dì gloria” (2Cor 4,17).


 


Sua santità Paolo VI, nel corso dell’udienza concessa al sottoscritto segretario della sacra Congregazione per la dottrina della fede, il 28 giugno 1974, ha ratificato e confermato questa dichiarazione sull’aborto procurato, ed ha ordinato che sia pubblicata.


 


Roma, 18 novembre 1974.


FRANCESCO card. SEPER


prefetto


 


+ GIROLAMO HAMER


arcivescovo tit. di Lorium ‑ segretario


 


 


 


ANNOTAZIONI


 


1. Si troverà un certo numero di documenti episcopali in G. CAPRILE, Non uccidere. Il magistero della Chiesa sull’aborto. Parte II, p. 47‑300, Roma 1973.


 


2. Regimíni ecclesiae universae, III, 1, 29. Cfr. Ibid., 31 AAS 59 (1967), 897.


 


3. Lumen gentium, n. 12 (AAS 57 (1965), 16‑17). style=’font-size: 13.0pt;La presente dichiarazione non considera tutte le questioni che possono porsi nei riguardi dell’aborto: spetta ai teologi esaminarle e discuterne. Essa richiama soltanto alcuni principi fondamentali che debbono essere per questi stessi teologi una luce e una regola, e per tutti i cristiani la conferma di certezze fondamentali della dottrina cattolica.


 


4. Lumen gentium, n. 25 (AAS 57 (1965), 29‑31).


 


5 Gli autori sacri non fanno considerazioni filosofiche sull’animazione, ma parlano dei periodo della vita che precede la nascita come oggetto dell’attenzione di Dio: egli crea ed egli forma l’essere umano, quasi plasmandolo con la sua mano. Sembra che questo tema abbia la sua prima espressione in Ger 1,5. Lo si ritroverà in molti altri testi: cfr. ls 49,13; 46,3; Giob 10,8‑12; Sal 22, 10; 71,6; 139,13. Nel Vangelo leggiamo in san Luca 1,44: “Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo”.


 


6 Didaché Apostolorum, ed. FUNK, Patres Apostolici, V, 2; La lettera di Barnaba, XIX, 5, utilizza le medesime espressioni (FUNK, o. c., 91‑93).


 


7 ATENAGORA, Apologia per i cristiani, 35 (PG 6, 970: Sources Chrétiennes (SC) 3, p. 166‑167). Ci si riferisce anche alla Lettera a Diogneto, V, 6 (FUNK, o. c., I, 399: SC 33), che dice dei cristiani: “Essi procreano figli, ma non eliminano i feti”.


 


8 TERTULLIANO, Apologeticum, IX, 8 (PL 1, 371‑372: Corp. Christ. I, p. 103, l. 31‑36).


 


9 Canone 21 (MANSI, 14, p. 909). Cfr. il Concilio di Elvira, canone 63 (MANSI, 2, p. 16) e di Ancira, canone 21 (ibid., 519). Si veda anche il decreto di Gregorio III riguardante la penitenza da imporre a coloro che si rendono colpevoli di tale crimine (MANSI, 12, 292, c. 17).


 


10 GRAZIANO, Concordantia discordantium canonum, c. 20, C. 2, p. 2. Durante il medioevo, si ricorre spesso all’autorità di sant’Agostino, il quale scrive a tale proposito nel De nuptiis et concupiscentiis, c. 15: “ Talvolta questa crudeltà libidinosa o questa libidine crudele giungono a procurarsi delle pozioni che rendono sterili. Se il risultato non viene raggiunto, la madre estingue la vita ed espelle il feto che era nelle sue viscere di modo che il bimbo muore prima d’esser vissuto o, se il bimbo viveva già nel seno materno, viene ucciso prima di nascere” (PL 44, 423‑424: CSEL 33, 619; cfr. il Decreto di Graziano, q. 2, C. 32, c. 7).


 


11 Commento alle Sentenze, libro IV, dist. 31, esposizione del testo.


 


12 Costituzione Effraenatum del 1588 (Bullarium romanum, V, 1, pp. 25‑27; Fontes iuris canonici, 1, n. 165, p. 308‑311).


 


13 Dz‑Sch., 1184, cfr. anche la cost. Apostolicae sedis di Pio IX (Acta PII IX, V, 55‑72; ASS 5 (1869), 305‑331; Fontes iuris canonici, III, n. 552, p. 24‑31).


 


14 Enc. Casti connubii, AAS 22 (1930), 562‑565; Dz.‑Sch., 3719‑21.


 


15 Le dichiarazioni di Pio XII sono esplicite, precise e numerose; da sole richiederebbero uno studio completo. Citiamo soltanto, perché formula il principio in tutta la sua universalità, il discorso all’Unione italiana medicobiologica “San Luca”, dei 12 novembre 1944: “ Finché un uomo non è colpevole, la sua vita è intangibile, ed è quindi illecito ogni atto tendente direttamente a distruggerla, sia che tale distruzione venga intesa come fine o soltanto come mezzo al fine, sia che si tratti di vita embrionale o nel suo pieno sviluppo ovvero giunta ormai al suo termine” (Discorsi e radiomessaggi, VI, 183ss.)


16 Enc. Mater et magistra, AAS 53 (1961), 447.


17 Gaudium et spes, II, c. 1, n. 51; cfr. n. 27 (AAS 58 (1966), 1072; cfr. 1047).


18 Alloc. Salutiamo con paterna effusione, del 9 dicembre 1972, AAS 64 (1972), 777. Tra le testimonianze di questa dottrina immutabile si ricorda la dichiarazione del santo Ufficio, che condanna l’aborto diretto (ASS 17 (1884), 556; 22 (1888‑1890), 748; Dz.‑Sch. 3258).


 


19 Questa dichiarazione lascia espressamente da parte la questione circa il momento della infusione dell’anima spirituale. Non c’è su tale punto tradizione unanime e gli autori sono ancora divisi. Per alcuni, essa ha inizio fin dal primo istante; per altri, essa non può precedere almeno l’annidamento. Non spetta alla scienza di prendere posizione, perché l’esistenza di un’anima immortale non appartiene al suo campo. E’ una discussione filosofica, da cui la nostra affermazione morale rimane indipendente per due ragioni 1) pur supponendo una animazione tardiva, esiste già una vita umana, che prepara e richiede quest’anima nella quale si completa la natura ricevuta dai genitori; 2) d’altronde, basta che questa presenza dell’anima sia probabile (e non si proverà mai il contrario) perché toglierle la vita significhi accettare il rischio di uccidere un uomo, non soltanto in attesa, ma già provvisto della sua anima.


 


20 TERTULLIANO, citato nella nota 8.


 


21 Il card. Villot, segretario di Stato, scriveva il 10 ottobre 1973, al card. Döpfner, circa la protezione della vita umana: “(La Chiesa) però non può riconoscere come leciti, al fine di superare tali difficili situazioni, né i mezzi contraccettivi né, ancora di meno, l’aborto” (L’Osservatore romano, ed. tedesca, 26 ottobre 1973, p. 3).


 


22 Enc. Pacem in terris, AAS 55 (1963), 267; cost. Gaudium et spes , n. 29; Paolo VI, Alloc. Salutiamo, AAS 64 (1972), 779.


 


23 Gaudium et spes, II, c. 1, 48: “Per sua indole naturale, l’istituto stesso dei matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento”. Ibidem, n. 50: “Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole”.


 


24 Gaudium et spes, n. 50 e 51; PAOLO VI, Enc. Humanae vitae, n. 10 (AAS 60 (1968), 487). La paternità responsabile suppone l’uso dei soli mezzi leciti dei controllo delle nascite; cfr. Humanae vitae, n. 14 (ibid., 490).


 


25 Gaudium et spes, n. 87; PAOLO VI, Enc. Populorum progressio, n. 37; Alloc. alle Nazioni unite, AAS 57 (1965), 883; GIOVANNI XXIII, Enc. Mater et magistra, AAS 53 (1961), 445‑448.


 


26 Il cardinale Villot, segretario di Stato, scriveva al congresso mondiale dei medici cattolici, conclusosi a Barcellona il 26 maggio 1974: “Per quanto concerne la vita umana, questa non è certamente univoca; piuttosto si potrebbe dire che è un fascio dì vite. Non si possono ridurre, senza mutilarle gravemente, le zone dei suo essere le quali, nella loro stretta dipendenza e interazione, sono ordinate le une alle altre: zona corporea, zona affettiva, zona mentale, e quella zona profonda dell’anima, dove la vita divina, ricevuta per la grazia, può di. spiegarsi mediante i doni dello Spirito santo” (L’Osservatore romano, 29 maggio 1974).