S. Rita da Cascia (1381-1447)

Le prime biografìe di questa santa mistica agostiniana, che la resero famosa nel mondo, furono pubblicate oltre un secolo dopo la sua morte. Quanto sappiamo di lei fu condensato nella biografia che le Agostiniane di Cascia inviarono a Roma nel 1628 in occasione della ufficiale beatificazione che ne fece Urbano VIII. Il corpo incorrotto di S. Rita da Cascia è oggi esposto alla venerazione degli innumerevoli pellegrini in un\’urna argento nella basilica-santuario eretto dalla pietà dei fedeli nel 1943.

Questa grande mistica agostiniana non ha avuto molta fortuna con gli storici. Le prime irreperibili biografìe che la resero famosa nel mondo furono pubblicate oltre un secolo dopo la sua morte. Quella che è servita di base a tutte le altre risale al 1610. Fu scritta da Fra Agostino Cavallucci il quale, pur affidandosi alla tradizione orale, la compose a scopo di edificazione. Quanto sappiamo di lei fu condensato nella biografia che le Agostiniane di Cascia inviarono a Roma nel 1628 in occasione della ufficiale beatificazione che ne fece Urbano VIII (1644), dopo il processo canonico da lui fatto istruire a Spoleto nel 1626.
E\’ tradizione che la santa sia nata verso il 1381 e quindi sotto il pontificato di Urbano VI (1378-89), a Roccaporena, piccola frazione di Cascia (Perugia), da Antonio e Amata Lotti, umili contadini, ma molto pii e pacifici. Al fonte battesimale alla loro unica figlia imposero il nome di Margherita. Al quinto giorno dalla nascita rimasero stupiti nel vedere entrare e uscire più volte alcune api bianche dalla bocca dì lei mentre dormiva nella culla. Nel 1600 la casa natale di colei che sarà celebrata universalmente come S. Rita da Cascia venne trasformata in cappella dal Card. Fausto Poli, suo conterraneo.
Margherita crebbe devota e obbediente ai genitori i quali erano chiamati "i pacieri di Gesù Cristo" perché in mille modi cercavano di mantenere la concordia tra le famiglie. Segno evidente che tra i conoscenti godevano dì grande reputazione.
I tempi in cui la santa visse correvano molto tristi per la Chiesa e la società. Cascia, posta tra il Regno dì Napoli e lo Stato della Chiesa, era una fiorente repubblica con un potere legislativo in mano ai suoi cittadini, e un potere esecutivo e giudiziario in mano a forestieri. Le lotte, le vendette e gli omicidi tra guelfi e ghibellini, nobili e plebei, ricchi e poveri erano all\’ordine del giorno. A tanti mali cercavano rimedio i Padri Agostiniani dal pulpito della chiesa di S. Agostino, da loro eretta sulla rocca di Cascia nel 1300 in sostituzione di una chiesetta anteriore dedicata a S. Giovanni Battista, e i Padri Francescani dal pulpito della chiesa trecentesca di S. Francesco, coadiuvati da S. Giacomo della Marca (+1476), entusiasta propagatore della devozione al "Buon Gesù\’ "introdotta da S. Bernardino da Siena (+1444) e strenuamente difesa da S. Giovanni da Capestrano (+1456).
La loro parola era sostenuta dai "pacieri" che "per amore di Dio e remissione dei peccati" cercavano di mettere pace tra le fazioni e le famiglie in lotta fuori dei processi civili o criminali. La legge riconosceva queste pacificazioni che venivano scritte su un foglio pubblico. In esso si dava la notizia della pace avvenuta, si prometteva di evitare d\’allora in poi le offese reciproche e si fissava la pena da pagare per chi violasse raccordo raggiunto.
S. Rita trascorse la sua giovinezza tra le pareti domestiche e quella della parrocchia di S. Montano in pieno scisma d\’occidente (1378-1417), causato dalla tumultuosa elezione di Urbano VI e specialmente dalla violenta condotta di questo papa con i cardinali e gli ufficiali di curia. La confusione che generò nella cristianità fu talmente grande che si vide S. Caterina da Siena (+1380) lottare senza tregua per il riconoscimento del papa che risiedeva a Roma, e S. Vincenzo Ferrer (+1419) che predicava con altrettanto zelo affinchè fosse riconosciuto il papa che risiedeva ad Avignone. Lo scandalo della divisione ebbe termine nel 1417 con l\’elezione nel concilio di Costanza di Martino V (+1431). S. Rita ne avrà certamente sentito parlare dal suo parroco, e possiamo ben immaginare quali ardenti preghiere avrà elevato a Dio per la ricomposizione dell\’unità della Chiesa.
Non è improbabile che Rita fin dalla fanciullezza sì sia sentita attratta a vivere nell\’esclusivo servizio di Dio in un monastero. I genitori, quando raggiunse i quattordici anni, le vollero dare un marito. Rincresceva loro lasciarla sola. La santa obbedì per amore di Dio. Contrasse matrimonio con Mancini Paolo di Ferdinando nella chiesa di S, Montano in cui, più tardi, fece seppellire i propri genitori. Ebbe due figli che educò amorosamente tanto con l\’esercizio delle virtù cristiane quanto con l\’insegnamento. La vita dei contadini era allora molto più dura di quanto non lo sia ora per la scarsità dei mezzi di cui disponevano per il lavoro della terra e il loro commercio. Nel nuovo santuario di Roccaporena, eretto accanto all\’orfanotrofio maschile, è esposto alla venerazione dei fedeli, racchiuso in una preziosa custodia in argento, un manto di pelle appartenuto a S. Rita, muto testimone delle intemperie da lei affrontante per il mantenimento della famiglia.
Nei giorni di mercato e di festa S. Rita ogni tanto lasciava Roccaporena per andare a cercare luce e conforto alle sue pene presso i Padri Agostiniani di Cascia o quelli dell\’eremo di S. Croce, oggi Madonna della Stella, nei pressi di Roccatamburo, fondato nel 1308 da Andrea Casotti. Sbocciò così in lei la devozione per S. Agostino (1430) dottore della Chiesa, e S. Nicola da Tolentino (+1306), famoso predicatore, dei quali sentiva celebrare le lodi dal pulpito. Al tempo di S. Rita, nella chiesa di S. Agostino erano venerate le spoglie del B. Simone da Cascia, della famiglia Fidati (1285-1348), predicatore, scrittore ascetico e fondatore di monasteri, insieme alla reliquia del Corpus Christi. Nel 1335, mentre il beato stava predicando a Siena, avvenne che un sacerdote poco devoto portò a un infermo l\’ostia santa tra le pagine del breviario. Nell\’aprile si accorse che l\’ostia era insanguinata. Non sapendo che fare, in preda al terrore corse a parlarne col famoso predicatore il quale mise l\’ostia insanguinata in un reliquiario e la portò con sé a Cascia. Anche Rita la vide, e la venerò quando veniva solennemente portata in processione, e trasse da essa un forte richiamo alla devozione eucaristica e alla frequente meditazione della Passione di Gesù.
Per circa quindici anni S. Rita trascorse una vita relativamente felice accanto al marito e ai suoi figli. Poi la bufera si addensò repentina sulla sua famiglia. Un giorno si vide portare a casa il marito crivellato di ferite e tutto sanguinante. Chi glielo aveva ucciso sotto la torre di Collegiacone, luogo impervio e adatto alle imboscate? Per quali motivi? Politici, economici o semplicemente per un regolamento di conti? Un fatto è certo, che Rita perdonò subito agli uccisori del marito, pregò per lui e si adoperò perché i figli non crescessero con Podio nel cuore e coltivassero sentimenti di vendetta che avrebbero messo in pericolo non soltanto la loro vita eterna ma, a causa delle dure leggi civili e della spirale dell\’odio, anche quella terrena.
Nel processo canonico svoltosi a Spoleto fu possibile trovare testi i quali, attraverso antenati molto longevi, potevano riferirsi a tempi molto vicini a quelli della santa. Tra essi figura anche il console di Cascia, certo Antonio Cittadoni, di 74 anni, il quale attestò: "Io ho inteso dire che la beata Rita è stata monaca di S. Maria Maddalena e che le era stato ammazzato il marito prima che fosse monaca e questo lo dicevano gli antichi e in particolare l\’avo mio che si chiamava Cesare, ed era di 90 anni quando morì". Riguardo all\’eroicità delle virtù dichiarò: "Ho inteso dire tanto dal mio avo come da tutti gli antichi abitanti di detta città, che la beata Rita era vissuta santamente e che così avevano inteso dire dai più vecchi e che era ornata di tutte le virtù cristiane… in particolare che aveva pregato sempre Dio per colui che le aveva ammazzato il marito e che essa nascose la camicia insanguinata del marito quando fu ammazzato affinchè i figli vedendola non si muovessero alla vendetta".
In quei tempi privi di qualsiasi cura profilattica i figli di Rita morirono l\’uno dopo l\’altro a causa di qualche epidemia. Rimasta sola, la santa ripensò al sogno della sua fanciullezza: abbandonare il mondo per darsi con tutte le forze esclusivamente al servizio di Dio nella preghiera incessante e nella penitenza. Ma quale monastero avrebbe accolto la vedova di un assassinato? In quel tempo a Cascia sorgevano diversi monasteri: quello delle Benedettine, quello delle Celestine e quelli di S. Maria Maddalena e S. Lucia appartenenti entrambi alle Agostiniane. Rita, per la devozione che nutriva verso S. Agostino, andò a bussare alla porta del monastero di S. Maria Maddalena, ma per ben tre volte ne fu respinta. Anziché perdersi di coraggio, ella moltiplicò le preghiere a S. Giovanni Battista, a S. Agostino e a S. Nicola da Tolentino i quali le apparvero "in visione" e la confermarono nel suo buon proponimento.
Una tela, andata poi perduta, dipinta poco dopo la morte della santa, fu esaminata dai commissari del processo canonico e da loro descritta nei suoi sei scomparti. Nel primo Rita era rappresentata in culla con le api che le entravano le uscivano di bocca; nel secondo era raffigurata davanti alla porta chiusa del monastero con alle spalle un albero e quindi l\’effige dei santi suoi prediletti. Una iscrizione al piede diceva: "Quando la Beata Rita ricevette la visione di S. Giovanni Battista, S. Agostino e San Nicola da Tolentino i quali la esortarono a farsi monaca".
Nel terzo scomparto la Santa, accettata finalmente in monastero, era rappresentata vestita da religiosa, inginocchiata davanti ad alcune monache in piedi, una delle quali le teneva la mano sul capo. A lato erano disegnati soltanto S. Agostino e San Nicola da Tolentino. Nel quarto scomparto Rita era raffigurata vestita da monaca, inginocchiata, con un libro in mano e sulla fronte una puntura sanguinolenta, davanti a un Cristo che aveva un corona di spine sul capo e le mani piagate. Gli ultimi due scomparti la presentavano sul letto di morte con due uomini inginocchiati davanti a lei, uno dei quali le baciava la mano, e sei donne in piedi, con le mani giunte in preghiera. Nella chiesetta del monastero i commissari trovarono pure un quadro in cui la Santa era raffigurata con la corona del rosario nella mano sinistra, una puntura sulla fronte e un diadema in testa.
Ottenuta la pacificazione della sua parentela con quella dell\’uccisore del marito, Rita, nel 1407, entrò dunque a Cascia nel monastero di Santa Maria Maddalena non per stanchezza, ma per vivere più unita a Dio e all\’umanità peccatrice, secondo la regola di S. Agostino, nella contemplazione e nella più dura mortificazione. Non conosciamo la formula della professione da lei emessa perché l\’archivio del monastero comincia nella parte rimasta dal 1463. L\’atto notarile che la riportava ci sarebbe interessato non tanto per il contenuto noto, quanto per i nomi riportati dei consanguinei che avevano dato il consenso alla monacazione di lei. Alla badessa anche Suor Rita promise "stabilità del luogo, la conversione dei costumi, l\’obbedienza, la continenza, la povertà con l\’esclusione di ogni cosa propria". Ella visse questo ideale evangelico ininterrottamente ed eroicamente per 40 anni. In antichissime tavolette ex-voto, due delle quali risalenti al 1457, viene rappresentata con una disciplina nella mano sinistra aspersa di sangue, testimonianza evidente che era considerata dai contemporanei come una religiosa dedita a aspre penitenze per l\’unità della Chiesa, la pacificazione del popolo cristiano, la conversione dei peccatori e il suffragio delle anime del Purgatorio. In quel tempo nei monasteri vigeva la clausura imposta nel 1298 da Bonifacio VIII (+1303) con la costituzione Periculoso, ma era praticata qua e là in forme meno rigide di quelle richieste più tardi dal Concilio di Trento. Le agostiniane di S. Maria Maddalena potevano difatti uscire dal monastero per andare a sentire la predicazione straordinaria che si teneva nelle varie chiese di Cascia. In S. Francesco nel 1425 predicò S. Giacomo della Marca. S. Rita, avida della parola di Dio, fu di certo tra i suoi uditori. Dopo l\’ingresso in monastero andò pure una volta a Roma con alcune consorelle per vedere il papa Eugenio IV (+1447), venerare la tomba dei principi degli Apostoli e lucrare le indulgenze romane.
Finché visse, S. Rita dovette essere particolarmente cara alle superiore e alle consorelle per la sua obbedienza. Nel giardino del monastero si custodisce ancora la "vite miracolosa" della santa, vale a dire la pianta secca innaffiata per diverso tempo da Suor Rita per compiacere la propria badessa. Sottoposta ad esame chimico la pianta risultò essere legno di prugne. Nel monastero è conservato pure l\’affresco del secolo XIV raffigurante Gesù in croce. E chiamato "il crocifisso della spina". Dopo una predica sulla Passione del Signore udita dalla viva voce di S. Giacomo della Marca, la santa, mentre il venerdì santo del 1432 se ne stava raccolta in preghiera davanti al crocifisso, improvvisamente sentì lo stigma di una spina sulla propria fronte. Poté così fino alla morte, e cioè per quindici anni, prendere parte ai dolori del Figlio di Dio. La tradizione vuole che la ferita, anziché rimarginarsi, suppurasse di continuo un siero così graveolente che la santa fu costretta praticamente a vivere appartata dalla comunità. Ne approfittò per moltiplicare le preghiere e le penitenze a beneficio di tutta la società. Le furono attribuiti miracoli pure in vita e uno straordinario potere sugli ossessi. Non meraviglia quindi che, da ogni parte d\’Italia, giungessero a lei pellegrini bisognosi di luce e di conforto.
Secondo il Cavallucci, agostiniano, S. Rita trascorse a letto gli ultimi quattro anni di vita dando splendidi esempi alle consorelle di pazienza e di conformità al volere di Dio. Una sua parente durante l\’inverno andò a trovarla. Avendole chiesto se da casa sua desiderava cosa alcuna, l\’inferma le ripose: "Desidererei una rosa e due fichi del mio orto". Fu accontentata. Non poteva Dio ricompensare con un prodigio la santa vita della sua serva fedele? Un giorno le apparve il Signore insieme con la sua SS. Madre e le disse che presto l\’avrebbe accolta in paradiso. Morì il 22-5-1447, cioè un anno dopo la canonizzazione di S. Nicola da Tolentino. La sua cella si illuminò e dal suo corpo si sprigionò un inebriante profumo che si diffuse per il monastero.
S. Rita da Cascia non fu inumata, ma posta in una cassa di noce sotto l\’altare dell\’oratorio. Attorno alle sue spoglie ben preso si verificarono dei miracoli tanto che, nel 1457, si ritenne necessario procedere alla loro esumazione. La cassa in cui era stata deposta non misurava più di 158 cm. Evidentemente la santa era piccola di statura.
Essendo stata trovata ancora intatta, fu posta in una "cassa solenne", oggi custodita dalle monache con la prima nella cella in cui visse e morì. Sul coperchio di detta cassa c\’è un\’iscrizione poetica e ci sono delle pitture che testimoniano inequivocabilmente come S. Rita fu stigmatizzata e, quindi, da riporre accanto ai grandi mistici, S. Francesco d\’Assisi e S. Caterina da Siena. L\’autore del canto popolare si rivolge alla santa e, tra l\’altro, le dice; "Una delle spine di Cristo recepisti" e "quindici anni la spina portasti". Il pittore invece la rappresentò nel suo vigoroso aspetto fisico, con la fronte segnata da una piaga, una spina nella mano destra e la corona del rosario nella mano sinistra. Al centro della cassa rappresentò Cristo con le mani incrociate e la corona di spine sul capo mentre esce dal sepolcro. Al suo lato raffigurò S. Maria Maddalena che con la sinistra sostiene un vasetto di unguento. Il mistero pasquale che è sofferenza e insieme trionfo, fu ben rappresentato. S. Rita vi prese parte molto attiva per tutta la vita. Considerò la sofferenza non come un castigo, ma un dono concessole dal cielo per santificarsi e per dire ai suoi devoti che al cielo si va portando giorno dopo giorno la propria croce dietro a Gesù.
Al tempo del processo canonico esisteva un Codex miraculorum o pergamene sulle quali venivano registrati i miracoli ottenuti per intercessione di S. Rita. Il 25-5-1457 Domenico Angeli, notaio di Cascia, prima di registrare gli undici prodigi verificatisi in quell\’anno, scrisse: "Una onorevolissima suora donna signora Rita, avendo passati 40 anni da monaca nel chiostro della predetta chiesa di S. Maria Maddalena di Cascia vivendo con carità nel servizio di Dio, alla fine seguì la sorte di ogni essere umano. E Dio… volendo mostrare agli altri fedeli un modello di vita, affinchè come lei era vissuta servendo Dio con digiuni e preghiere, così anch\’essi, i fedeli cristiani, vivessero, operò mirabilmente molti miracoli e prodigi con la sua potenza e per i meriti della beata Rita".
Leone XIII il 24-5-1900 canonizzò colei che i suoi concittadini avevano preso a venerare ancora in vita e che Urbano Vili beatificò il 1-10-1527. Difatti la fecero raffigurare, vedova giovanissima ed elegantemente vestita, in una scena di pacificazione affrescata nel 1432 nella chiesa di S. Francesco. Rita dovette essere una monaca di coro, quindi non analfabeta. Difatti i commissari del processo canonico dichiararono che nella chiesa di S. Agostino trovarono un quadro del 1474 raffigurante Rita, con S. Caterina e S. Lucia, vestita da monaca agostiniana, con un diadema in testa, nella mano destra una palma e nella mano sinistra un libro aperto alla festa della Visitazione di Maria SS. a S. Elisabetta.
Il corpo incorrotto di S. Rita da Cascia è oggi esposto alla venerazione dei fedeli, che accorrono da tutte le parti d\’Italia a pregarla, in un\’urna argento nella basilica-santuario eretto dalla pietà dei fedeli nel 1943 in suo onore. Dietro il santuario, dopo la seconda guerra mondiale, la serva di Dio Madre Maria Teresa Fasce (+1947), badessa del monastero delle Agostiniane, fece costruire un grande orfanotrofio per l\’istruzione e l\’educazione della gioventù femminile di Cascia e dintorni.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 265-273
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