S. PIETRO II DI TARANTASIA (1102-1174)

Questo luminare dell\’Ordine Cistercense e ornamento della Chiesa nacque verso il 1102 a St-Maurice-de-1\’Exil, presso Vienne, nel Delfìnato (Francia), da genitori privi di beni di fortuna, ma ricchi di virtù. Nel 1138 l\’arcivescovo di Tarantasia, Isdrael, fu deposto per la vita indegna che conduceva. Il clero all\’unanimità elesse come successore Pietro che avrebbe voluto ricusare quell\’onorifico ufficio tanto contrario alle sue inclinazioni e alla sua umiltà, ma il capitolo generale di Citeaux, e in modo speciale S. Bernardo di Chiaravalle (+1153), lo esortarono a sottomettersi alla manifesta volontà di Dio (1141). Un compito di grande utilità per l\’Europa attendeva Pietro di Tarantasia. La difesa del Papa e della Chiesa da Federico Barbarossa e la riconciliazione di Enrico II Plantageneta, re d\’Inghilterra, con Luigi VII, re di Francia.

Questo luminare dell\’Ordine Cistercense e ornamento della Chiesa nacque verso il 1102 a St-Maurice-de-1\’Exil, presso Vienne, nel Delfìnato (Francia), da genitori privi di beni di fortuna, ma ricchi di virtù. Quattro dei loro figli si consacrarono al Signore. La madre stessa, alla morte del marito, divenne abbadessa di Betton. La casa paterna fu per Pietro una continua palestra di fede e di carità. I poveri, i pellegrini, i malati in essa trovarono rifugio e conforto.
Invece di andare a scuola, il santo dovette attendere alla custodia del gregge. Imparò a leggere e a scrivere con l\’aiuto del fratello Lamberto, ma era dotato di una memoria tanto prodigiosa che riteneva ciò che sentiva e vedeva. Un giorno recitò tutto il Salterio che aveva letto per devozione. Il padre ne rimase tanto meravigliato che non osò più impedirgli di darsi allo studio.
A vent\’anni Pietro ottenne dal padre il permesso di entrare nella nuova Abbazia cistercense di Bonnevaux, presso Vienne, dove per dieci anni edificò tutta la comunità. Avendo esercitato alla perfezione i principali uffici del chiostro, fu incaricato della fondazione del monastero di Tamié, nella diocesi di Tarantasia (Savoia), destinato ad ospitare i viaggiatori che dalla Svizzera scendevano in Italia (1132). I religiosi che vi si stabilirono con lui divennero la personificazione della carità. Essi vivevano di pane e legumi, ma trattavano con generosità i poveri, i malati e i pellegrini che andavano a chiedere loro ospitalità. Pietro stesso li serviva personalmente, lavava loro i piedi, li curava, li rivestiva e suggeriva loro pie riflessioni perché si abituassero a fare la volontà di Dio. Persino il conte di Savoia, Amedeo III, ogni tanto lo andava a consultare. La fama dì Pietro crebbe a dismisura quando cominciò a fare miracoli. Per assicurare il pane alla comunità non aveva che da pregare il Signore. Un giorno guarì pubblicamente un paralitico.
Nel 1138 l\’arcivescovo di Tarantasia, Isdrael, fu deposto per la vita indegna che conduceva. Il clero all\’unanimità elesse l\’abate di Tamié come successore. Pietro avrebbe voluto ricusare quell\’onorifico ufficio tanto contrario alle sue inclinazioni e alla sua umiltà, ma il capitolo generale di Citeaux, e in modo speciale S. Bernardo di Chiaravalle (+1153), lo esortarono a sottomettersi alla manifesta volontà di Dio (1141). Il compito era molto gravoso perché il clero della cattedrale era non solo negligente, ma anche sregolato. Pietro lo sostituì con i canonici Regolari di Sant\’Agostino verso i quali si dimostrò più che padre. Un po\’ per volta provvide tutte le chiese di quello che era necessario al culto, e obbligò gli ecclesiastici che avevano usurpato i beni delle loro cappellanie a restituirli. A beneficio dei malati e dei poveri fondò un ospizio a Moùtiers; ristabilì e dotò quello del Piccolo San Bernardo fondato da S. Bernardo di Mentono nel secolo XI; costruì fuori della diocesi due altri rifugi, uno sul monte de la Lésion e l\’altro sul Monte Jura; trasformò l\’episcopio in un asilo in cui erano ricevuti a tutte le ore gl\’indigenti, i malati, i pellegrini.
Nelle visite alla diocesi, Pietro portava con sé delle modeste provvisioni per la sua sussistenza, ma prima di servirsene ne faceva parte a chi ne aveva bisogno. Se l\’arcivescovo era buono con gli altri, era rigorosissimo con se stesso. Vestito da monaco, egli conduceva la vita del chiostro, dormiva poco, non mangiava che legumi e pane bigio, faceva lunghe orazioni durante la notte e si sottoponeva a straordinarie mortificazioni. Ogni anno, durante i mesi che precedevano la mietitura, in cui l\’indigenza si faceva particolarmente sentire, egli organizzava una distribuzione generale di zuppa e di pane. Assisteva così una grande quantità di persone sprovviste di mezzi di sussistenza. Quell\’elemosina, conosciuta sotto il nome di pane di maggio, divenne oggetto di venerazione nei secoli, ma con la rivoluzione francese essa scomparve.
Nei suoi viaggi apostolici, mentre attraversava le Alpi durante un inverno molto rigido, incontrò una povera vecchia, malata, intirizzita dal freddo. Mosso a compassione, il caritatevole vescovo la rivestì con i propri abiti, non riservando per sé che la cocolla. Senza volerlo si espose al pericolo di morire assiderato. Arrivò difatti molto malato all\’ospizio del Piccolo San Bernardo. A St-Claude (Jura), egli si trovò talmente pressato dalla folla che era accorsa a chiedergli i celesti favori, che lo si dovette collocare nel campanile della chiesa per evitare incidenti. Essendo servito da due scale, i pellegrini e i malati attraverso a una salivano a lui e attraverso l\’altra scendevano, dopo aver ricevuto la benedizione. In quel tempo tre stranieri andarono a ringraziarlo per essere stati liberati dal carcere. Essi raccontarono che, essendo stati chiusi nelle prigioni di Losanna, si erano convertiti leggendo il racconto delle virtù che Pietro praticava e dei miracoli che faceva. Essi lo avevano allora invocato come si invoca un santo del cielo, ed egli era loro apparso, ne aveva spezzato le catene e, dando ad essi la mano, li aveva fatti uscire passando senza essere visto in mezzo alle guardie.
Pietro avrebbe voluto sottrarsi alle ovazioni che quei racconti gli attiravano. Un giorno prese la risoluzione di rientrare nel chiostro. Dopo aver cambiato i suoi abiti con gli stracci di un mendico, se ne fuggì, sconosciuto da tutti, nel monastero cistercense di Lucella, presso Basilea (1155). Alla notizia della sua fuga, la desolazione s\’impossessò dei fedeli di Tarantasia. Uno dei giovani, allevati in episcopio, riuscì a rintracciarlo dopo molte ricerche e agguati, e a persuaderlo a riprendere il governo della diocesi. I fedeli lo ricevettero in trionfo.
Un compito di grande utilità per l\’Europa attendeva Pietro di Tarantasia. La Chiesa Cattolica era dilaniata dallo scisma, suscitato dall\’imperatore Federico Barbarossa con l\’elezione di Vittore III ad antipapa. Credendosi erede di Costantino, il despota intendeva restaurare la dignità e le prerogative imperiali che, secondo lui, il papato aveva violato. Nella dieta di Roncaglia (1158) aveva fatto proclamare che la volontà del sovrano aveva vigore di legge; che la dignità imperiale si estendeva su tutto il territorio dell\’antico impero romano; che l\’imperatore poteva eleggere a suo arbitrio il papa e farsi da lui incoronare. Secondo i papi invece apparteneva ad essi eleggere l\’imperatore, deperii e sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà.
Il conflitto scoppiò, inevitabile, nel 1156, allorché il Barbarossa ricusò di tenere la staffa al papa secondo la consuetudine. Alla morte di Adriano IV, la maggioranza elesse Alessandro III, nemico dichiarato delle rivendicazioni imperiali, una minoranza gli oppose come rivale Vittore III, il che porse al Barbarossa il pretesto d\’intervenire. Alessandro III, dopo aver scomunicato l\’imperatore, fu costretto a rifugiarsi in Francia, dove il rè Luigi VII gli prestò ubbidienza. L\’arcivescovo di Tarantasia fu quasi il solo suddito dell\’impero a dichiararsi apertamente per il papa legittimo in diversi concili, nelle peregrinazioni attraverso la Francia orientale e l\’Italia. L\’Ordine Cistercense seguì il nobile esempio di lui e si adoperò perché l\’autorità di Alessandro III trionfasse. In due colloqui con l\’imperatore (1158 e 1170) Pietro difese i diritti papali. La protervia del Barbarossa fu tuttavia umiliata soltanto dalla Lega Lombarda con la battaglia di Legnano (1176).
Il papa, desiderando vedere il suo indomito difensore, chiamò Pietro a Roma. Il viaggio del santo fu una continua predicazione, un trionfo, un susseguirsi di miracoli. A Vercelli riconciliò le due fazioni in cui si divideva la città; a Bologna restituì la salute al vescovo imponendogli le mani, e la vista a un cieco facendogli un segno di croce sugli occhi; ovunque passava, il clero lo supplicava di consacrare altari e di evangelizzare i fedeli. A Roma fu ricevuto da Alessandro III e dal popolo con le più grandi testimonianze di stima e di venerazione.
Nel 1170 il Sommo Pontefice incaricò Pietro della riconciliazione di Enrico II Plantageneta, re d\’Inghilterra, responsabile dell\’assassinio di S. Tommaso Becket, con Luigi VII, re di Francia. Costui aveva ripudiato, nel 1152, Eleonora per la sua scandalosa condotta, ed ella aveva sposato Enrico II, riprendendosi la ricca dote che comprendeva molte province della Francia. Ne nacque una lunga lotta tra i due paesi che ebbe la sua fase acuta nella guerra detta dei Cent\’anni. Nonostante la sua avanzata età, Pietro intraprese il viaggio allo scopo di pacificare i contendenti. Nel suo cammino, come d\’ordinario, predicava e operava miracoli. Nel monastero cistercense di Preuilly, nella diocesi di Sens, rinnovò il prodigio della moltiplicazione dei pani per nutrire i forestieri che la sua reputazione vi aveva attirato in folla. I due re lo ricevettero con grandi onori a Chaumont-en-Vexin, ai confini della Francia e della Normandia. Alla loro presenza, Pietro rinnovò i prodigi che lo avevano reso tanto famoso quanto il suo confratello Bernardo di Chiaravalle, ma non poté vedere la fine delle trattative.
Dopo il colloquio di Gisors, il santo si diresse verso l\’abbazia di Mortemer, nella diocesi di Rouen, ove all\’inizio della quaresima distribuì le ceneri. Presentendo che aveva più poco tempo da vivere, raddoppiò lo zelo. In seguito alla richiesta della regina di Francia si recò al monastero di Haute-Bruyère, dell\’Ordine di Fontevrault, vi consacrò un altare e restituì la vista ad una giovane cieca facendo su di lei il segno della croce. Nell\’abbazia di Lierre guarì due sordi e un paralitico; nel convento di Chassagne condusse a termine diversi affari del più alto interesse; in quello della Bussière, di cui consacrò la chiesa, guarì un sordo-muto e due ciechi; a Longuay, in seguito alle suppliche del vescovo di Langres, dedicò un altare a S. Bernardo da poco canonizzato; a Besancon confermò il vescovo Ebrard nell\’ubbidienza ad Alessandro III.
Prima di arrivare nel vicino convento di Bellevaux, dov\’era atteso con impazienza, le forze lo abbandonarono. Una indisposizione lo obbligò a prendere un po\’ di riposo ai margini della strada, vicino ad una sorgente. Trasportato al convento, vi morì l\’8-5-1174, consunto dalle fatiche e dalle penitenze.
Il sepolcro dello straordinario arcivescovo di Tarantasia divenne meta di pellegrinaggi per i miracoli che ivi si operavano. Celestino III canonizzò Pietro II nel 1191. Il capo del santo e altre sue reliquie sono venerate a Tamié, nella Savoia.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 125-129.
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