L’amore e il rispetto del proprio corpo (11)

…IL VALORE DEL CORPO. L’amore del corpo esige che si abbia una moderata cura della salute, non solo in ragione della funzione strumentale del corpo e del naturale rapporto della sanità fisica con la sanità dello spirito, ma anche in vista del valore intrinseco della vita terrena….

Trattato di Teologia morale


PARTE II.


DOVERI DELL’UOMO VERSO SE STESSO



2 – L’AMORE E IL RISPETTO DEL PROPRIO CORPO



I. IL VALORE DEL CORPO.


La dottrina cattolica non lo ha mai negato, ma ne ha piuttosto assunta la difesa contro i vari tentativi di una interpretazione pessimistica della materia (Gnostici, Manichei, Albigesi), ed ha dimostrato nello stesso tempo a quale alta funzione sia chiamata la carne nello stesso ordine soprannaturale e nel piano della Redenzione. I misteri della vita del Cristo, che nella realtà del suo Corpo ha voluto attuare la nostra redenzione, consumandola nel sacrificio della sua Carne e del suo Sangue, e che attraverso a questa ha scelto in una donna la sua Madre e la Corredentrice del genere umano, l’istituzione di riti sensibili che solo attingendo il corpo riescono a santificare l’anima; ed infine il dogma della resurrezione e della glorificazione dei corpi hanno un valore dimostrativo contro il quale si infrangono le difficoltà e le accuse mosse contro la spiritualità cristiana.


Il contrasto tra la carne e lo spirito, che costituisce uno dei motivi più frequenti della teologia paolina, non scalfisce neanche alla superficie la dottrina esposta. Che per S. Paolo la carne, intesa nel suo significato fisico, non è cattiva per se stessa; ma l’antagonismo è tra la carne come espressione della vecchia creatura e lo spirito inteso come la creatura nuova rigenerata e rieducata dalla grazia (361).


Bisogna, tuttavia, riconoscere che nell’uomo decaduto il corpo è stimolo e focolare del peccato; di qui il bisogno di dominarne, mediante una vera disciplina, gli istinti incomposti. Ma, per evitare che codesta affermazione, la quale, del resto, poggia su di un’esperienza volgare e quotidiana, contrasti con i precedenti rilievi, è necessario interpretare rettamente il significato e la forza di codesta causalità. Non bisogna, infatti, dimenticare che il peccato, anche se occasionato dalla carne, ha sempre nello spirito la sua causalità formale: in fondo è lo spirito che, rovinando se stesso, sconsacra anche la carne. Del resto, non si può attribuire al corpo, neanche nell’ordine della colpa, un primato che non gli spetta nell’ordine ontologico, attesa la sua essenziale inferiorità e subordinazione allo spirito.


La sua valutazione etica è necessariamente subordinata alla sua posizione ontologica nei confronti con l’anima. Unito ad essa in unità di sostanza, ne partecipa, a suo modo, tanto la nequizia come la santità, offrendosi, a sua volta, come arma di peccato o strumento di giustizia. Subordinato, per valore e per funzione, alla medesima, non può essere fine a se stesso, né può subordinare a sé come a fine, le attività dello spirito; ma deve essere, piuttosto, a queste subordinato, disposto per questo, se del caso, anche al sacrificio.



II. L’AMORE ED IL RISPETTO DEL CORPO.


Il dovere di amare e rispettare il proprio corpo deriva logicamente dalla sua natura e dalla sua funzione, come ha bene illustrato il Concilio Vaticano II (362).



1. Praticamente l’amore del corpo esige che si abbia una moderata cura della salute, non solo in ragione della funzione strumentale del corpo e del naturale rapporto della sanità fisica con la sanità dello spirito, ma anche in vista del valore intrinseco della vita terrena.


D’altra parte, però, la naturale subordinazione di questi valori ai valori di ordine superiore, l’essenziale provvisorietà della vita terrena e l’impiego che della medesima bisogna fare, perché essa riesca veramente utile e risponda alle sue finalità, impediscono che la cura della salute subordini a sé tutte le altre sollecitudini, e giustificano pienamente l’atteggiamento di chi, in vista di un bene superiore, sacrifichi a questo, in misura proporzionata al suo valore, le sue energie fisiche e la floridezza della sua sanità fisica. Di qui l’onestà di alcune professioni che nuocciono indirettamente al fisico. Di qui ancora, ed a maggior ragione, la piena liceità di talune durissime penitenze, che i santi indissero al proprio corpo. S, Paolo poteva benissimo, senza contraddirsi, dare dei suggerimenti igienici (1Tim. 5, 23), e stimolare i suoi discepoli a crocifiggere la propria carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze (363).



2. Nella luce e nello spirito di questi medesimi principi vanno esaminati e risolti i problemi relativi all’igiene, all’educazione fisica, al divertimento.


Il dovere morale dell’igiene (364) deriva, non solo dalle esigenze della sanità, ma anche dal rispetto dovuto al proprio corpo e dall’abituale e naturale correlatività che esiste tra l’abito esterno della persona ed il suo atteggiamento interiore. Tuttavia le preoccupazioni profilattiche non possono essere spinte al punto da recare serio pregiudizio ai valori di ordine superiore, né devono servire di pretesto per mascherare tendenze volgari, direttamente contrarie al rispetto dovuto al proprio corpo. Di qui l’intrinseca immoralità


del nudismo (365).


Non dissimile deve essere la valutazione etica della ginnastica e dello sport (366), che, considerati in se stessi, oltre a corroborare il fisico, costituiscono spesso un provvidenziale mezzo di derivazione di energie esuberanti, che potrebbero sfociare nel male, ed una sana terapia per temperamenti ammalati. Ma, perché rispondano al loro scopo e non contrastino con gli interessi superiori dell’individuo, è necessario che siano proporzionati alle condizioni fisiche di ciascuno, rispettino le differenze fisiologiche e psicologiche dei due sessi, ed osservino in tutto, nel tempo, nel modo e nella valutazione, la gerarchia dei valori.


Denunziamo innanzi tutto e quasi incidentalmente la degenerazione brutale che stanno subendo da tempo alcuni sport ed il carattere combattivo, l’introduzione di gare e di forme sportive, che hanno per unico scopo quello di sollecitare i più bassi istinti del pubblico, ed anche il ruolo sempre maggiore che viene a tenere nello sport il fattore lucro, fattore che ha fatto degli atleti una mercé preziosissima ed ha creato il ” divismo sportivo “.


Negli stessi ambienti sportivi, nazionali ed internazionali, non si è sempre assistito passivamente al favore incontrato da forme e modalità sportive, che stanno dando agli stadi moderni un aspetto da circo e generano la delinquenza sportiva. Una tale degenerazione non può non preoccupare tutti, poiché falsa sostanzialmente la stessa definizione o meglio la stessa finalità prima dello sport: favorire cioè la formazione integrale dell’uomo, potenziandone le facoltà psico-fisico-morali.


Inoltre vi sono sport pericolosi, sulla cui liceità sono da farsi molte riserve. Fra le discipline sportive quelle che propriamente producono il maggior numero di vittime sono il pugilato, l’atletica pesante, il rugby e gli sport a motore. Su di essi quindi ci intratterremo.


I principi di teologia morale, che ci servono per dare un giudizio circa la moralità dell’esercizio di questi sport, sono semplicissimi.


Solo per un motivo proporzionatamente grave è lecito esporsi a pericolo di morte.


Conseguentemente un motivo più o meno grave si richiede anche per l’esercizio di attività o professioni, che abbrevino la vita o danneggino la salute.


L’uno e l’altro di questi principi morali non sono che corollari del principio più generale affermante che l’uomo non è padrone ed arbitro assoluto della sua vita.


La causa scusante, abbiamo detto, deve essere proporzionatamente grave, proporzionata cioè alla maggiore o minore prossimità del pericolo. Per cui nell’applicazione di questi principi allo sport bisogna tenere innanzi tutto presente che un pericolo non è prossimo per tutti allo stesso modo.


L’esperienza, l’esercizio, l’abilità personale influiscono notevolmente in questo senso e valgono a mutare un pericolo da prossimo a remoto. Da ciò si deduce anche che la prima dote richiesta in chi voglia esercitare sport pericolosi è la prudenza nella sua forma più semplice: valutare le proprie forze e le proprie qualità.


Il cristiano non è obbligato a praticare solo il tennis, perché con esso è unito un pericolo minimo, ma commetterebbe un peccato chi volesse senza esperienza ed allenamento superare le cime alpine. Il rischio non deve superare i limiti delle proprie facoltà.


Parimenti utile tanto al corpo come allo spirito è il divertimento (367), purché contenuto nei limiti delle sue finalità. Duplice è, infatti, l’efficacia del divertimento: il riposo dello spirito nella momentanea distensione della sua attenzione agli oggetti che abitualmente lo tengono occupato; ed il potenziamento delle facoltà dell’individuo, potenziamento che si attua soprattutto nei divertimenti che ne impegnano almeno in parte l’intelligenza.


Da ciò si comprende che nel divertimento stesso c’è una certa gerarchia di valori. Il divertimento che direttamente alimenta anche la cultura dello spirito è evidentemente più nobile di un divertimento che produce un piacere puramente sensibile della vista, dell’udito, del tatto. In quest’ultimo campo è più facile poi scivolare dai piaceri puramente sensibili a quelli ispirati da una certa sensualità, che da vaga può divenire ben definita e magari trasformare il divertimento in occasione prossima di peccato. Una delle forme più nobili e preziose di divertimento sono i godimenti prodotti dall’arte.


Ma d’altra parte non tutti i divertimenti, anche i più nobili, sono i più utili e proficui in ogni momento; né adatti a tutti i tipi ed a tutte le età, anche perché certe forme di divertimento richiedono una cultura più raffinata dello spirito, e doti non sempre comuni. Il divertimento perché raggiunga il suo scopo occorre quindi che sia relativo al gusto della persona, alle circostanze di lavoro e di impiego. Anche le diverse epoche della storia, il grado di civiltà, la classe sociale e la moda stessa influiscono sulla scelta dei divertimenti. Un’importanza specialissima rivestono oggi per lo svago popolare il teatro ed il cinematografo.


Da quanto si è detto risulta l’onestà e la liceità del divertimento, che, non solo non ha in sé e per sé nulla di intrinsecamente cattivo, ma sotto un certo aspetto è utile e proficuo.


Tra l’altro i divertimenti favoriscono incontri familiari ed amichevoli e sono quindi un’occasione per l’esercizio di alcune virtù, come la carità.


Se è lecito e sotto un certo aspetto utile il divertimento, sono ancora lecite e nel convivere sociale necessario, certe professioni che a null’altro servono, se non all’organizzazione del divertimento (ad es. la professione di regista, di direttore d’orchestra, d’impresario teatrale, ecc.).


Se la Chiesa ha trovato e trova da ridire, è l’abuso che condanna, non la professione stessa.


Di tutto infatti noi possiamo abusare, specialmente di quelle cose ed oggetti che sono un mezzo nell’ordine voluto da Dio, ma che per l’egoismo dei nostri sensi, tendono a diventare un fine (divertimenti e piaceri sensibili). È dovere per il cristiano di inquadrare anche il divertimento nella concezione alta che egli ha della vita: è necessario che il divertimento rientri nell’ordinamento della vita umana, individuale e sociale. La virtù che presiede a tale inquadramento è l’eutrapelia, che rientra nella virtù più generale della modestia. La sua funzione moderatrice si esplica prima di tutto nel mantenere al divertimento lo scopo che ha, di mezzo cioè o di intercalare nel succedersi dell’attività umana.


II divertimento, occorre ricordarlo, non è un fine, ma un mezzo; esso presuppone, perché sia meritato, il lavoro ossia l’abituale serio impiego della vita, ed esige inoltre, perché sia del tutto onesto, un senso di moderazione ed una prudente scelta dei mezzi, affinché, la sua finalità sia raggiunta, senza alcun pregiudizio degli interessi superiori della vita.


Così nella vita non può il divertimento occupare il posto che compete al lavoro ed alle occupazioni del proprio stato; altrimenti diventa immorale. E ciò appena l’uomo è in grado di una qualche attività.


Inoltre il divertimento che l’uomo ragionevole consente a se stesso deve sempre sottostare all’impero della riflessione dell’autogoverno e contenersi nella durata o del luogo o tempo debito, nell’ambito del piacere lecito.


Dal punto di vista etico poi non si possono trascurare le ripercussioni che una determinata forma di divertimento avrà sulla vita dello spirito. Perché sia lecito dunque il divertimento, è necessario:


a) che il divertimento non si cerchi in azioni e parole turpi o nocive;


b) che non sommerga completamente la gravita dell’anima e l’armonia delle proprie occupazioni e delle opere buone (368);


c) che sia degno dell’uomo nel momento particolare che attraversa  (tempore et homine dignus) (369).



3. Se il divertimento è utile, il riposo e necessario; ma anche esso va inteso e valutato come mezzo rivolto a ritemprare le forze e rendere più efficiente il susseguente lavoro. Basta, poi, appena ricordare che il riposo del corpo, inteso come periodica interruzione di quei lavori che piegano l’attenzione dello spirito alla terra, costituisce, come abbiamo visto, un dovere imposto all’uomo in vista, per l’appunto, dei suoi valori spirituali (370).





NOTE


361        Rm 8, 1 ss., 12; 13, 14; 2 Cor 10, 3; Gal 5, 17 ecc.


362   Cfr. Cost past. Gaudium et spes n. 13.


363     Gal 5, 24.


364     Cfr. L. SCREMIN, Cura. Quesiti morali, in Dizionario di morale professionale per i medici, Roma 1949, 105-129, R. BIOT, II corpo e l’anima, Brescia 1948; ID., Salute umana, Brescia 1951; E. BOGANELLI, Corpo e spirito, Roma 1951; R. P. DUCATILLON, Valeur humaine et chrétienne de la santé (Santé et societé, XXXVIII Sem. Soc. de France, Montpellier 1951), Lyon 1951, 153-173; A. BONNAR, il medico cattolico. Alba 1953.


365      F. WALTER, Ver Leib und sein Recht in Christentum, Donauwòrth 1910, 371-467; F. SEIGL, Erzieher und moderner Nacktkultur, Donauwòrth 1909; PH. KUBLE, Nacktkultur, Dùsseldoff 1926; G. LECORDIER, Nudisme, naturismo et nudonaturisme, in Rev. apologet., 54 (1932) 58 ss.; E. PETERSON, Theologie des Kleides, in Bened. Monatschrift T., 16 (1954) 347 ss.; A, LANZA-P. PALAZZINI, Theologia moralis-Appendix…, Taurini-Romae 1953,209 ss.; M. SCHELLER, Le pudeur, Paris 1952,


366       Cfr. L. GEDDA, Lo Sport, Milano 1931; L. FODOR, Christiana cultura corporis, cum speciali respectu ad modernum sport, Natura et moralitas, Romae 1947; J. HONZIK, Moralità dello Sport, Roma, Pontificio Ateneo Lateranense, Tesi di laurea in S, Teologia, 1947 (manoscritta); Pio XII, Discorso al Congresso scientifico nazionale dello sport e della educazione fisica (12 novembre 1952), in Civiltà Cattolica (1952) IV, 579 ss,, F. J. CONNELL, Honesty in Sports, in America eccl. Rev., 127 (1952) 385-387; G. C. BERNARD, The morality of prizefichting, Washington 19.52; R, SCHUESSLER, Boxing Sport or slaughter, in Catbolic Mind, 49 (1951) 401-406, G. PERICO, Sport, in Dizionario enciclopedico di teologia morale, ed. Paoline, 2a ed., Roma 1973, 970-979, specie 978-979 per altre indicazioni bibliografiche.


367          S. Theol. 2-2, q. 168, a. 2-4; A. BALLERINI – D. PALMIERI, Opus theologicum morale, Prati 1889-1893 (7 voll.) vol, I, tr. I, e, 8, n, 175, p. 93-96; vol. III tr. VIII, n. 570-571, p. 780; A. ODDONE, I divertimenti e la coscienza cristiana, in Civiltà Cattolica (1948) III, 463-474; C. JÉGLOT, La giovane e il piacere (I taccuini della giovane, 4), Torino 1944; F, TILLMANN, II maestro chiama Brescia 1945, 296-305; A. CAVAGNA, Annunzio liliale. Alba 1945, 399-433; B. K. MERKELBACH, Summa theologiae moralis, II, Parisiis 1947, n. 1060-62, p. 981-83; A. CHEREL, Les divertissements, in Ecclesia, Paris 1947, 1271-79; P. PALAZZINI, Divertimenti, in EC, IV, 1765-1768.


368      S. AMBROGIO, De officiis. I, 20.


369      CICERONE, De officiis, c. 1.


370     V. quanto si è detto a proposito della santificazione delle feste.