I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Passione di Gesù Cristo (II)

  8. Pietro rinnega Gesù Cristo.
  9. Gesù Cristo innanzi a Pilato.
 10. Gesù al1a presenza di Erode.
 11. Gesù per la seconda volta innanzi a Pilato.
 12. Disperazione di Giuda.
 13. Castighi dei Giudei deicidi.

8. PIETRO RINNEGA GESÙ CRISTO. – In quella notte medesima, notte così funesta e crudele, il divin Salvatore agli altri dolori vede ancora aggiungersi quello acerbissimo della caduta di Pietro, il quale nega per ben tre volte di conoscere il suo maestro; e Gesù tutto sopporta con sublime rassegnazione… Dove mai, o Pietro, rinneghi Gesù? dimanda S. Ambrogio; nella casa dei Giudei, nel convegno degli empi (In XXII Luc.). O quanto son nocevoli, esclama il venerabile Beda, i trattenimenti e la compagnia dei malvagi! Pietro, in mezzo agli scellerati, nega di riconoscere perfino come uomo quel Gesù che aveva confessato come Dio, quando si trovava tra i suoi colleghi (In cap. XIV Marc.). In verità, ridotto alle proprie forze, l'uomo è ben debole! Senza lo Spirito Santo, Pietro impallidisce, trema, e nega il suo Maestro alla semplice voce di una fantesca; con lo Spirito Santo non cede né a principi né a imperatori, né agli ebrei, né ai gentili; sfida le catene, le prigioni, i tormenti, la morte. Tutte le minacce e tutti i supplizi sono per lo più un trastullo: egli dice francamente, a coloro che gli proibiscono sotto pena di severissimi castighi di predicare Gesù Cristo: Importa obbedire a Dio prima che agli uomini (Act., V, 29).
Più cause concorrono alla caduta di Pietro.
1°.- Egli si fida troppo di se stesso. Quando Gesù gli diceva: Io ti avviso che questa notte medesima prima che il gallo canti, tu mi negherai tre volte, Pietro aveva risposto audace: No, mai; ne avesse a costare la vita (MATTH. XXVI, 34-35).
2°.- Perché, conoscendo la sua fiacchezza e la sua timidità, si mette imprudentemente in mezzo a mia torma di malviventi…
3°.- Perché, tiepido e neghittoso, seguiva Gesù dalla lontana. (Id. 58).
4°.- Perché aveva già dimenticato la sua promessa…
5°.- Dio permette questa caduta di Pietro, affinché dovendo egli essere il supremo Pastore della Chiesa, imparasse a compatire e perdonare…
6°.- Dio la permette per dare ai peccatori un solenne esempio di pentimento e di penitenza. Infatti, uscito da quel malaugurato luogo, Pietro proruppe in amaro pianto (Id. 75). S. Clemente, discepolo e successore di S. Pietro, assicura che questo apostolo ebbe tanto dolore del suo peccato, che finché visse, ogni notte al canto del gallo, si prostrava a terra e piangeva tanto che aveva sempre gli occhi rossi e umidi di pianto (Stor. eccles.). Ah! le lagrime del penitenti sono il vino degli angeli, esclama S. Bernardo (Serm. XXX in Cantic.). Esse cancellano il peccato e, come dice S. Ambrogio, non domandano il perdono, ma lo meritano (In Luc. XXII).

9. GESÙ CRISTO INNANZI A PILATO. – Fattosi giorno, i principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si radunarono a consiglio e stabilirono che si dovesse uccidere il Cristo (MATTH. XXVII, 1). Notate con S. Gerolamo la fretta di quegli empi per il male; appena si fa giorno i loro piedi, secondo la frase del Salmista, corrono a spargere il sangue (Psalm. XIII, 6, De Iudaeis). L'odio, il furore li pungono e spingono… Caifa raduna presso di sé tutto il Sinedrio da cui fa decidere la condanna di Gesù Cristo, affinché a Pilato non rimanesse più appiglio a scamparlo da morte… Ma in quel mattino, o Giudei, esclama S. Leone, Dio abbatté il vostro tempio e il vostro altare, in quel mattino egli vi tolse la legge e i profeti, e il regno e il sacerdozio; e cambiò le vostre feste in un lutto perpetuo (Serm. III de Passione).
Legatolo di bel nuovo, lo condussero e lo consegnarono a Ponzio Pilato governatore (MATTH. XXVII, 2). Lo menarono a Pilato, affinché questi pronunziasse la sentenza di morte. Poiché con tutta la voglia che li divorava di ucciderlo, essi non ne avevano più il potere, perché i Romani li avevano spogliati del supremo diritto di vita e di morte. Lo proclamano di loro propria bocca, poiché avendo Pilato detto loro: Prendetelo e giudicatelo secondo la vostra legge, risposero: A noi non è permesso mettere a morte nessuno (IOANN. XVIII, 31).
Consegnarono dunque il Salvatore a Pirato, affinché questi lo condannasse a morte; ma molte ragioni li spingevano a fare così:
1° Non volevano che sopra dì loro pesasse l'infamia della morte di Gesù Cristo, sebbene fosse tutta loro, avendolo essi consegnato a Pilato e accusato calunniosamente. Miravano anche con ciò a far credere al popolo, che Gesù si era veramente meritata la morte: poiché Pilato, che non era giudeo e godeva credito di uomo giusto, l'aveva condannato.
2°.- Volevano distruggere l'onore e la gloria di Gesù Cristo e provare che non era il Cristo, ma un falso profeta; infatti per compiacerli, Pilato doveva considerarlo come un perturbatore dell'ordine pubblico e condannarlo come malfattore e come ribelle a Cesare…
3°.- Il giorno in cui si trattava la causa di Gesù, i sacerdoti dovevano trovarsi nel tempio e astenersi dal sangue. Essi non aspettarono a consegnare Gesù dopo la festa di Pasqua, pensando che tanto più grande sarebbe l'onta che ne verrebbe a Gesù dal suo supplizio, quanto era più grande la calca di gente accorsa da tutte le contrade .della Giudea a Gerusalemme, per celebrarvi la Pasqua.
4°.- Volevano finalmente fare in moda che Pilato, esercitando il suo uffizio di giudice, senza badare alla santità del giorno, fosse riguardato come un profanatore… Ora Dio inflisse ai Giudei deicidi la pena del taglione. Siccome essi avevano consegnato Gesù Cristo a Pilato proconsole romano, affinché lo condannasse, così Iddio abbandonò essi agli imperatori Tito e Vespasiano affinché li battessero, distruggessero Gerusalemme, e annientassero la nazione giudea.
I nemici del Salvatore non entrarono nel Pretorio per non contaminarsi (IOANN. XVIII, 28). Chi può fare a meno di esclamare con S. Agostino: O ipocrisia! o follia, o accecamento dell'empietà! non entrano nel Pretori o per non macchiarsi, e si lordano di una sozzura eterna col loro misfatto! (De Passione).
Ma ecco Gesù dinanzi al Preside romano (MATTH. XXVII, 11). Questi interroga gli accusatori di quale misfatto lo accusano e avendo essi risposto: «Se non fosse un malfattore, non te la avremmo consegnato» (IOANN. XVIII, 29-30), egli ripiglia: «Prendetelo dunque voi e giudicatelo secondo la vostra legge» (Id. 31): e S. Matteo fa notare che Pilato non voleva mischiarsene di questo affare, perché intravedeva l'iniquità dei Giudei e l'innocenza di Cristo, e sapeva che per invidia glielo avevano consegnato (MATTH. XXVII, 18).
Allora i nemici del Salvatore temendo che Pilato lo rimandasse assolto, non lo accusarono più di bestemmia, come prima, perché il giudizio di questo delitto non apparteneva alla giurisdizione di Pilato: e poi i bestemmiatori, peccando solamente contro la legge giudaica, non potevano essere condannati alla croce, supplizio dei ladri, dei sediziosi, degli assassini, supplizio per conseguenza ignominiosissimo, ma erano condannati alla lapidazione, supplizio che non portava con sé nota d'infamia. Ora volendo che Gesù non solamente fosse ucciso, ma infamato, per riuscire nel loro scellerato divisamento, presero il partito di accusarlo di tre delitti che portavano la pena di croce.
l° Dissero che lo avevano colto nell'atto di sobillare la plebe e di eccitare il popolo alla rivolta contro i Romani (Luc. XXIII, 2);
2° che proibiva di pagare il tributo a Cesare (Ib.);
3° che si spacciava per il Cristo re (Ib.).
Pilato non fece caso di tali accuse che sapeva benissimo essere prive affatto di fondamento e volgendosi direttamente a Gesù, gli domandò che cosa avesse fatto, per cui la sua gente e i sacerdoti lo avevano condotto a lui; o se egli era il re dei Giudei (IOANN. XVIII, 35, 33). Avendo Gesù risposto che il suo regno non era di questo mondo, perché altrimenti i servi e seguaci suoi avrebbero combattuto affinché non fosse dato in mano dei Giudei, Pilato riprese: «Dunque tu sei proprio re?» (Ib. 37): e Gesù nuovamente a lui: «Sì, è in verità come tu dici; io sono re. Per questo io sono nato e venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità» (Ib.). A questo punto Pilato, dopo di aver domandato a Gesù che cosa fosse la verità, con colpevole indifferenza se ne uscì senza aspettare risposta e se ne andò ai Giudei e loro disse: Non trovo in costui nessuna colpa (Ib. 38).
I principi dei sacerdoti persistettero nelle loro accuse e Gesù non apriva labbro (MATTH. XXVII, 12):
1° perché tutto ciò che gli si rinfacciava era falso…;
2° perché sapeva che le sue risposte non sarebbero approdate a nessun bene..;
3° taceva affinché Pilato non lo assolvesse, ma lo condannasse…;
4° taceva finalmente per espiare, col suo silenzio, le menzogne, gli spergiuri, le maldicenze, le calunnie, le bestemmie, insomma tutti i delitti commessi dagli uomini con le parole.
Pilato, vedendo che Gesù taceva, riprese egli la parola, quasi per fargli avvertire quante nefandità contro di lui vomitassero gli accusatori, ed eccitarlo a difendersi (MATTH. XXVII, 13). Ma a queste istigazioni il Salvatore si mostrò sordo e non disse sillaba nemmeno al Preside romano il quale ne faceva le più alte meraviglie (Ib. 14). Pilato ammirava l'innocenza, la dolcezza, la pazienza, la rassegnazione, la forza di quell'accusato. «Grande e mirabile cosa fu certamente questa nel Salvatore, dice Sant'Atanasio, che tacendo avesse tanta forza di persuasione sull'animo del giudice, che costui ne conoscesse di per sé, nonostante le trame ordite contro di lui, e ne dichiarasse l'innocenza» (Serm. de Passione et Cruce).

10. GESÙ ALLA PRESENZA DI ERODE. – Desiderando di salvare Gesù Cristo, Pilato deliberò di rimetterlo ad Erode (Luc. XXIII, 7). Questi al vederselo innanzi ne fu contento, perché da lungo tempo desiderava di vederlo, avendone udito dire cose meravigliose e sperando di vederlo operare qualche prodigio. Lo interrogò dunque su vari punti, ma Gesù si tenne in assoluto silenzio (Ib. 8, 9). Ecco come si contiene Iddio in faccia ai curiosi, ai superbi, agli empi: egli tace. La voce della sua grazia, delle sue inspirazioni, dei rimorsi, non si fa loro più intendere. Questo però non bastava a far sì che tacessero anche gli scribi ed i principi dei sacerdoti i quali anzi si ostinavano anche là nell'accusarlo (Ib. 10). Non ottennero però il loro intento di vederlo condannato; ché Erode e la sua corte si contentarono di schernirlo e vestitolo per derisione di una bianca veste, lo rinviarono a Pilato (Luc. XXIII, 11). Ma se nel pensiero di Erode e dei suoi cortigiani la bianca veste era segnale di follia, realmente però in Gesù Cristo era la divisa dell'innocenza, della purità, dell'immortalità e della gloria di lui, l'insegna della sua vittoria.

11. GESÙ PER LA SECONDA VOLTA INNANZI A PILATO. – Quando Pilato udì che gli avevano ricondotto Gesù Cristo, radunò i principi dei Sacerdoti, i magistrati e il popolo, e disse loro: Voi mi avete presentato quest'uomo accusandolo di ribellione e di sobillare il popolo: ora io, per quanto lo abbia interrogato in vostra presenza, non ho scoperto in lui nemmeno l'ombra delle colpe che gli addebitate. Vi ho rimessi al tribunale di Erode, e nemmeno lui trovò in esso motivo di condanna a morte. lo dunque lo licenzierò dopo di averlo fatto castigare (Luc. XXIII, 13-16). Mentre egli stava parlando così, la moglie sua gli mandò a dire che non s'impiccasse di quel giusto, perché molte visioni l'avevano spaventata per causa di lui (MATTH. XXVII, 19). «Nella nascita del mondo, osserva qui Sant'Agostino, la donna condusse l'uomo alla morte; nella passione di Cristo, la moglie eccita il marito a salvarsi (Serm. CXXI de Temp.)». In tutti i secoli, vediamo la donna cristiana essere la prima a fare il bene e invitare gli uomini a compierlo, a mettere mano alle opere di carità, di compassione, di beneficenza.
Pilato riconosce, non meno che la moglie sua, l'innocenza di Gesù Cristo; ma troppo fiacco per resistere alle minacce degli audaci, agli urli della piazza, studia un mezzo per attutire la sua coscienza, dare una soddisfazione al Sinedrio e intanto togliergli di mano la preda. Era usanza che per la solennità pasquale il governatore mettesse in libertà un prigioniero scelto dal popolo. Ora, facendo Pilato assegnamento sul buon senso del popolo, preso dalle carceri un famoso furfante, reo di sedizione e di omicidio, e messolo in confronto di Gesù, domandò alla moltitudine quale dei due volesse libero. Accortisi del tiro, i principi dei sacerdoti, furono pronti a gridare e a far gridare dalla plebe, che volevano salvo Barabba e morto Gesù. E così appunto fecero per ben due volte urlando: Viva Barabba, muoia Gesù. E quando il preside romano aggiunse per la terza volta: ma che cosa devo fame di Gesù chiamato il Cristo? Che male ha egli mai fatto? la turba ubriaca di furore non sapeva più rispondere altro se non gridare: Mandalo a morte; sia crocifisso; (MATTH. XXVII, 3), (Luc. XXVIII, 23-21).
Che indegna preferenza! che furore! che delitto! dimandare la liberazione per Barabba e la morte di croce per Gesù!… Ciechi ed infelici peccatori, non rinnoviamo noi la medesima scelta, quando pecchiamo mortalmente? Non preferiamo noi Barabba a Gesù Cristo?.. Ma che dico? Noi facciamo ben peggio dei Giudei; perché, quantunque scelleratissimo, Barabba era pur sempre un uomo; quello invece che noi col peccato preferiamo a Gesù Cristo, quello che scegliamo per padrone, è il demonio… Ma sciagurati Giudei! esclama il Venerabile Beda (In cap. XV Marc.), la domanda con tanta fatica da essi ottenuta, si è loro attaccata alle carni e la portano con sé fino al presente. Avendo liberamente preferito a Gesù un ladrone, al Salvatore un omicida, a colui che dà la vita uno che aveva dato la morte, perdettero giustamente la vita e la salute; furono talmente invasi dallo spirito di disordine e di sedizione, che perdettero e regno e patria: ripudiarono la libertà loro offerta da Gesù Cristo e vendettero per sempre la libertà corporale e spirituale.
Finalmente Pilato, vedendo che nulla guadagnava presso quei cuori di macigno e che il tumulto andava ingrossando, presa dell'acqua e lavandosi le mani in pubblico, protestò ch'egli era innocente del sangue di quel giusto e che ne lasciava loro la responsabilità (MATIH. XXVII, 24). Tu puoi lavarti le mani, giudice vile ed iniquo, ma non laverai né la tua coscienza né il tuo onore né la tua memoria. Tu ti dichiari innocente del sangue del Giusto, e tu sei colui che pronunzia la sua sentenza di morte!… La turba a tale proposta prese a urlare: Il sangue suo cada su di noi e sui figli nostri (Ib. 25); Pilato allora, messo in libertà Barabba e fatto flagellare Gesù Cristo, lo consegnò loro perché lo crocifiggessero (Ib. 26).
 
 
12. DISPERAZIONE DI GIUDA. – In questo mentre il traditore Giuda, vedendo che Gesù era condannato, ne sentì rimorso e riportate le trenta monete d'argento ai principi dei sacerdoti ed agli anziani, disse loro: Io ho peccato vendendo il sangue di un giusto (MATTH. XXVII, 3-4). Giuda fu tocco da rimorso e pentimento: ma non da un pentimento vero e sincero, perché il pentimento vero contiene la speranza del perdono, anzi il perdono medesimo: ma il pentimento di Giuda era sforzato e pieno di disperazione, qual è il pentimento che sorge nella coscienza dei dannati che bruciano nelle fiamme dell'inferno.
Giuda restituì e gettò nel tempo il prezzo sborsatogli per il suo tradimento. Benché fosse falso e di nessun valore il pentimento di Giuda, tuttavia, dice Sant'Ambrogio, quel traditore provò una certa quale vergogna nel riconoscere il suo misfatto, e se questa non giovò a lui per ottenere perdono, giovò a mettere in palese l'impudenza dei Giudei. Infatti quel medesimo argomento che rivelava e denunziava il tradimento di Giuda, provava ancora che i Giudei avevano fatto con lui un contratto odioso e colpevole (In Luc. XXII).
Ma i principi dei sacerdoti gli risposero: A noi che importa? È affare tuo. Giuda allora, gettato l'argento nel tempio, se ne uscì e andò a impiccarsi (MATTH. XXVII, 5).
Giuda getta il denaro nel tempio alla vista di tutto il popolo: così ciascuno può vedere che Gesù era stato tradito, venduto, consegnato ingiustamente e che era innocente.
Se Giuda avesse chiesto perdono e non si fosse disperato, lo avrebbe ottenuto… S. Leone lo apostrofa così: «Uomo indurito, spirito rotto al male, tu hai seguito la rabbia del tuo cuore. Tu avevi il diavolo alla tua destra, e hai fatto ricadere sul tuo capo l'iniquità che avevi commesso contro lo Spirito. Santo. Siccome il tuo delitto aveva superato ogni misura di odio e di malvolere, la tua iniquità ti ha costituito tuo proprio giudice e il tuo pentimento ti ha fatto tuo carnefice; tu ti sei appeso con le tue proprie mani» (Serm. III de Passione).
Molti dottori pensano che Giuda sì sia impiccato ad un albero della specie di quello di cui Adamo aveva mangiato il frutto. Comunque sia, egli ha trovato, dice il Venerabile Beda, un castigo conveniente al suo delitto. La gola da cui era uscita la voce del tradimento, fu strozzata da una corda: colui che aveva consegnato alla morte il Signore degli uomini e degli angeli, morì sospeso tra cielo e terra, da ambedue ripudiato; quelle viscere che avevano concepito la perfidia e il tradimento, scoppiarono e si sparsero al suolo (In I Act.). «Il ventre di Giuda, scrive anche S. Bernardo, il ventre di questo complice delle potestà aeree, scoppiò in mezzo all'aria, di modo che né il cielo ricevette, né la terra sopportò colui che aveva tradito Gesù, vero Dio e vero uomo, disceso dal cielo su la terra per operare la salute del mondo (Serm. VIII in Psalm. XCI)». Né cielo, né terra vogliono ricevere Giuda che esecrano…
«Ascoltate, o avari, esclama il Crisostomo; meditate la sorte di Giuda! ha perduto il suo argento, ha commesso un delitto di cui non ha potuto scagionarsi, ha rovinato l'anima sua. Ecco che cosa suole produrre l'atroce tirannia dell'avarizia. Giuda non ha goduto né del danaro, né della vita che aveva ricevuto, non godrà della vita futura; egli ha perduto irreparabilmente tutto ad un tempo. Dopo di aver dato cattiva opinione di se stesso a coloro ai quali aveva consegnato il suo Dio, e in generale a tutti gli uomini, pose fine con un capestro alla triste e infame sua esistenza» (De avarit.). «Quello che Giuda fece al suo corpo, dice S. Agostino, avvenne anche all'anima sua. Come quelli che si strangolano, muoiono perché impediscono all'aria di arrivare ai loro polmoni, così quelli che disperano della misericordia di Dio, muoiono soffocati dalla loro disperazione la quale impedisce che il soffio dello Spirito Santo li visiti (Homil. XXVII)».
Osservate l'astuzia e la malignità del demonio: egli conduce Giuda l° all'avarizia; 2° al sacrilegio; 3° a vendere il suo maestro; 4° a tradirlo con un bacio; 5° ad abbandonarsi egli medesimo alla disperazione; 6° a strangolarsi; 7° finalmente all'inferno. Ecco come di passo in passo egli trascina l'uomo in tutti i delitti, e lo precipita nell'abisso donde più non si esce. Ah, diffidiamo della sua ingegnosa perfidia!
Con la confessione del suo misfatto e con la sua disperazione, Giuda rese una doppia splendida testimonianza all'innocenza di Gesù Cristo, testimonianza che avrebbe dovuto arrestare su la via del deicidio i Giudei; se avessero avuto un po' di coscienza e di pudore; ma tutto in loro era morto, eccetto l'odio e la volontà di commettere il delitto, aggiungendo al più feroce maltalento la più fina ipocrisia. Preso infatti il denaro gettato da Giuda nel tempio, i principi dei sacerdoti dissero: Questo è prezzo di sangue, non è lecito metterlo nel tesoro (MATTH. XXVII, 6). Che ipocrisia! Essi fingono delicatezza d’animo, zelo di religione, principi di giustizia, tanto che non si sentono in coscienza di deporre nel tesoro delle offerte il prezzo del sangue di Gesù Cristo, perché, secondo loro, è denaro impuro; ma non avevano essi forse cavato da quel medesimo tesoro pio, quell'argento che ora pareva loro un'empietà rimettervelo? Rifiutarsi di riprenderlo era un riconoscere implicitamente che, col servirsi di somme destinate a buone opere, per pagare il traditore che aveva messo Gesù Cristo nelle loro mani, avevano commesso una prevaricazione.
Tenuto consiglio adunque tra di loro, ne comprarono il campo di uno stovigliaio, destinandolo alla sepoltura degli stranieri (MATTH. XXVII, 7). Nuova infamia! essi sapevano che Gesù era nato in mezzo a loro e lo consideravano come straniero… Perciò quel campo ebbe il nome che tuttora porta di Haceldama, cioè campo del sangue. E allora si vide adempita la predizione di Geremia: «Hanno ricevuto trenta monete di argento, prezzo di colui che fu venduto, secondo la stima dei figliuoli d'Israele, e le spesero nella compra del campo di un vasaio» (MATTH. XXVII, 8-10). Il nome dato a questo luogo, nota S. Giovanni Crisostomo, grida più forte che ogni tromba, l'orribile crudeltà che mostrarono i Giudei nel mandare a morte Gesù Cristo. Se avessero posto quell'argento nel tesoro delle offerte, dove lo avevano preso, meno manifesta sarebbe stata la loro infamia; ma comprandone il campo di un vasaio e chiamandolo Campo del sangue, trasmisero il ricordo della ignominia a tutte le generazioni fino alla fine dei secoli. Questo nome non si cancellerà più e sempre ricorderà la maledizione che pesa sul loro capo, dal giorno in cui la provocarono gridando: Cada il sangue suo sopra i figli nostri (De Avarit.).
Gesù Cristo dispose che il campo, pagato coi trenta denari di Giuda, fosse messo a servizio degli stranieri, perché egli è morto per la salvezza di tutti. I Giudei comprarono quel campo per gli stranieri, hanno trattato Gesù da straniero; ebbene, Gesù Cristo diventerà tale per loro, non li conoscerà più; essi non saranno più suo popolo: il sangue del Salvatore sarà la loro rovina e la loro condanna per il tempo e per l'eternità…

 
13. CASTIGHI DEI GIUDEI DEICIDI. – I ciechi Giudei gridano: «Cada il sangue suo sul nostro capo e sul capo dei figli nostri», ed ecco ormai duemila anni, dacché il sangue di Gesù Cristo, sparso per la salvezza del mondo, imprime su la fronte dei Giudei l'obbrobrio e la maledizione. Gerusalemme giace distrutta; la nazione giudea è senza re e senza capitale, non ha più né legge, né tempio, né sacrifizi, né pontefici, né profeti, né leviti; i suoi figli errano dispersi per l'universo, oggetto di scherno e di abominazione a tutti i popoli; portano sempre e dovunque l'impronta di Caino; curvano la testa sotto la riprovazione di Dio e la maledizione degli uomini; somigliano a un corpo slogato, fatto a pezzi e disperso. Mostrano a tutte le famiglie del genere umano e a tutti i secoli, il loro deicidio, il castigo che ne fu la conseguenza e la vendetta che Dio ha preso della morte del Figliuol suo.
O Giudei, voi gridaste: Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli! I vostri voti, inspirati da un furore infernale, si compiono… All'assedio di Gerusalemme gli Ebrei, spinti dalla fame, fuggivano da una città che diventava la loro tomba; per ritenerveli e costringerli a sottomettersi, Tito ne mandava al supplizio della croce più di cinquecento al giorno, di maniera che, dice lo storico Giuseppe, mancarono ai Romani e le croci e lo spazio dove innalzarle. Chi non ravviserà in questo fatto un giusto castigo della crocifissione di Gesù Cristo?
Voi gridaste, o Giudei: Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli! Or bene, che cosa sei tu divenuto, o popolo, che altre volte eri il popolo di Dio, la nazione santa? tu da cui erano usciti i patriarchi e i profeti; tu che vedesti tanti miracoli e che possedevi le tavole della legge, l'arca dell'alleanza, il tempio del vero Dio; tu nel cui seno nacquero Maria, Gesù, gli Apostoli, dove ti trovi al presente? che ne è di te? Vedi l'enormità del tuo delitto e l'espiazione che ti fu imposta!… Ascolta, o disgraziato, quello che Davide, uno dei tuoi re, ha predetto: «Si oscurino i loro occhi affinché non vedano; curva, o Signore, il loro dorso sotto una servitù perpetua» (Psalm. LXVIII, 24). «Versa su di loro la tua collera, e il furore dell'ira tua li investa; la loro dimora sia deserta, non vi sia chi abiti sotto il loro tetto. Permetti che aggiungano iniquità a iniquità, e non divengano mai giusti agli occhi tuoi. Siano i nomi loro cancellati dal libro della vita e non ottengano posto in mezzo ai giusti. Perché perseguitarono colui che tu hai percosso, e aumentarono il dolore delle sue piaghe» (Ib. 25-29).
Ascolta, o popolo indurito, quello che dice Daniele, uno dei tuoi più grandi profeti: Il Cristo sarà messo a morte e il popolo che deve rinnegarlo non sarà più suo popolo. Verrà un popolo con a capo un duce il quale distruggerà la città e il tempio e terminerà la sua opera col mettere ogni cosa a ferro e fuoco; dopo la guerra succederà la desolazione che è stata stabilita. L'oblazione ed il sacrifizio cesseranno; l'abominazione della desolazione sarà nel tempio, e vi rimarrà fino alla consumazione ed al fine (DAN. IX, 26-27). Ascoltate ancora Osea, anch'egli tra i vostri profeti: I figli d'Israele resteranno lunghi giorni senza re e senza principi, senza sacrifizio e senza altare, senza ephod e senza teraphim (OSE. III, 4). Il mio Dio li rigetterà, perché non l'hanno ascoltato e saranno dispersi in mezzo. alle nazioni (Ib. IX, 17). Né meno chiaro è quello che disse il Salvatore; narra infatti S. Luca che Gesù, avvicinandosi a Gerusalemme, appena la vide ruppe in pianto e disse: Ah, se tu conoscessi almeno quest'oggi quello che conferirebbe alla tua pace! Ma ora queste cose stanno nascoste ai tuoi occhi. Verranno giorni su di te, nei quali i tuoi nemici ti cingeranno di assedio e tutt'intorno ti stringeranno in modo da chiuderti ogni sbocco, e ti getteranno a terra insieme con i tuoi figli che saranno nelle tue mura e non lasceranno. di te pietra sopra pietra, perché non hai conosciuto il tempo in cui ti ho visitata (Luc. XIX, 41, 44). Gridate ora, o deicidi: Cada il sangue di lui sopra il nostro capo e sul capo dei figli nostri!…
Ugo da S. Vittore fa parlare così il popolo ebreo: Noi abbiamo veduto Gesù Cristo e non abbiamo voluto riconoscerlo; l'abbiamo veduto, ma non ricevuto; l'abbiamo udito, ma gli abbiamo volte le spalle. Egli non ci ha fatto che del bene e mentre pregava per noi l'abbiamo crocefisso. Noi abbiamo udite le sue parole e siamo stati colmati dei suoi benefizi; abbiamo assistito da testimoni ai grandi e numerosi prodigi da lui pubblicamente fatti; ma abbiamo calpestato i suoi avvertimenti, ci siamo dimostrati ingrati ai suoi benefizi e beffati dei suoi miracoli. Lo abbiamo inteso allorché ci istruiva sul monte, ma siamo passati turandoci gli orecchi; di qui le disgrazie che soffriamo. Lo abbiamo veduto nutrire la folla che lo seguiva, ma ce ne siamo risi; di qui la triste nostra condizione. L'abbiamo veduto confitto in croce, ma noi l'abbiamo bestemmiato e maledetto; di qui il nostro terrore e la nostra rovina. Abbiamo inteso la sua dottrina e sappiamo che essa portava la vita, ma noi abbiamo scelto la morte. Le sue istruzioni dissipavano le nostre tenebre, ma noi abbiamo ricusato di prenderle per guida. Egli ci offriva la salute e la vita,e noi ci siamo rifiutati all'una e all'altra. La sua morte ha risuscitato i gentili; ma a noi che eravamo suo popolo, questa morte. opera nostra, ha impresso indelebile il marchio della riprovazione (De Anima).
Ah sì, dice S. Gerolamo, ha avuto il suo effetto l'imprecazione: Cada il sangue suo su di noi e sui figli nostri, fino al presente e lo avrà fino alla fine. Il sangue del Signore scorrerà sempre su di loro. Questo sangue, come dice il re Profeta, fa pesare sopra di essi un obbrobrio eterno (In Daniel.).