I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Niente dell’uomo

1. Che cosa è l’uomo?

2.
Che cosa è il corpo dell’uomo?

3. L’uomo è miseria e debolezza.
4.
Quanto sia mal fondato l’orgoglio dell’uomo.

5. L’uomo non ha di suo altro
che il peccato.
6. L’uomo è un nulla.

1. CHE COSA È L’UOMO? – Fermiamo il pensiero su queste domande:
I. Che cosa è l’uomo riguardo: 1° al suo
corpo o alla sua sostanza…; 2° alla sua estensione…; 3° alla sua
qualità…; 4° alla sua origine…; 5° alle sue azioni; 6° alle sue
infermità?..
 II. Dov’è l’uomo? 1° su la terra, tra il
cielo e l’inferno…; 2° quando è nato…; 3° com’è nato…; 4° quanto tempo vive…; 5° qual è la sua vita…; 6° quando morrà…; 7° come morrà?
 III. Qual è il suo stato? Ora sta bene ed
ora male…; ora in piedi, ora seduto, ora coricato… talvolta mangia, talvolta dorme, un istante ride, un istante piange, e andate via dicendo.
 IV. 1° Qual è il suo vestimento?.. 2° Quale
il suo cibo?
 Che cosa è
l’uomo? il ludibrio della fortuna, il ritratto dell’incostanza, un essere in
cui si vedono tutte le corruzioni, una vittima che il tempo si diletta di
spogliare, un viaggiatore che passa, il pascolo della morte, il bersaglio della
calamità e dell’invidia… A che cosa rassomigliarlo? alla banderuola… Quali
sono i suoi compagni? Il freddo e il caldo, la siccità e la pioggia… Sei cose
lo tengono del continuo in faccenda: la fame e il cibo, il lavoro e il riposo,
la veglia e il sonno.
 Che cosa è l’uomo? dimanda Seneca, e risponde: è un vaso fragile e screpolato,
un essere nudo, bisognoso dei soccorsi altrui ed esposto a tutti gli assalti
della fortuna; è la preda degli animali feroci, la vittima di tutto. L’odorato,
il gusto, gli alimenti, Il vegliare, il dormire, cose tutte di cui non potrebbe
far senza, si convertono per lui in veleno (Consol.
ad Martiam
, c. XI). L’uomo, dice Ippocrate, va soggetto fin dalla nascita ad ogni genere di
malattia. E che cosa è la malattia, se non la strada che mette alla morte e un
avviamento verso la medesima? L’uomo è inutile mentre si istruisce e implora il
soccorso degli altri; è debole e privo di saggezza mentre cresce; è
baldanzosamente temerario quando è sul fiore degli anni; è misero in tutto il
corso della vita (Maxim.).
 «Sappi che tu sei uomo, dice S. Agostino;
uomo il cui concepimento è corruzione, la cui nascita è miseria, la vita è
pena, necessità il morire. Abbi dunque gran cura di osservare e quello che fai,
e quello che devi fare (De Spiritu et Anima, n. 51)».
 
 2. CHE COSA È IL CORPO DELL’UOMO? – «Che
cosa sia la carne, ce lo insegna la carne medesima, dice S. Pier Damiani; essa ci mostra da viva quello che sarà dopo
morte… (Epist.)». L’uomo è fra tutti gli
esseri il più misero, il più acciaccoso, il più
corrotto nelle sue inclinazioni, il più infettivo sia in vita, sia dopo
morte… «Che cosa è il corpo dell’uomo? dice S. Gregorio, se non putridume e
vermi? E chi si pasce di desideri carnali, ama egli forse altro che i vermi?
Che cosa sia il corpo, si vede nei sepolcri. Qual è il parente o amico fedele,
che possa toccare il cadavere formicolante di vermi, di un amico, per quanto
caro gli fosse? (Moral. lib.
XVI)».
 A nome di tutti gli uomini parlava Giobbe
quando diceva: «La carne mia si è vestita di polvere fangosa e di marci urne,
la mia pelle si è disseccata e rattratta… Io ho
detto alla putredine: Tu sei mio padre; ed ai vermi: Voi siete mia madre e mie
sorelle». (Iob.
VII, 5-XVII, 14). «Il corpo che si corrompe aggrava l’anima, sentenzia il
Savio; e la terrena abitazione deprime il senso» (Sap. IX,
15). Il Salmista, dice: «Signore, il mio essere è davanti a voi, come il nulla»
(Psalm. XXXVIII, 5). «Dio, leggiamo nel Genesi,
formò l’uomo dal fango della terra» (Gen. II, 7). Il corpo si risente
sempre della sua origine: cavato dal fango, si sente attratto dal fango.
 Ciascuno di noi può dire con S. Gregorio Nazianzeno: lo non so comprendere la mescolanza che vedo in
me: sono l’immagine di Dio e per il corpo mi vedo in mezzo al fango. Se gode
florida salute mi muove guerra ed io non posso dominarlo se non facendogli guerra
a mia volta, e allora mi opprime di tristezza. lo l’amo come un servo ed un
compagno, e l’odio come un nemico. Ne impaurisco come di pesante catena, e lo
temo perché è parte del mio essere. Se cerco di stancarlo e d’indebolirlo, dove
attingerò vigore per le grandi azioni? Se al contrario lo tratto come un
ausiliario ed un compagno, ad ogni piccola occasione mi si avventa sopra, mi
stramazza e malmena e calpesta finché mi ha allontanato da Dio. E un amico
tutto schietto e dolce in apparenza, ed un nemico che mi tende ad ogni passo un
tranello. O unione e disunione meravigliosa! Abbraccio quello che temo e temo
quello che amo. – Se non lo combatto, mi ama, e amandomi mi uccide; se di lui
diffido, non avrò pace se non quando egli soccomberà alla morte (Orat. XVI).
 Chi abita sotto
una tenda, prova molti bisogni, incomodi, disagi; manca di letto e di sedie, e
molte volte di coperte o di frescura… Tal è la condizione dell’anima sotto il
tetto del corpo il quale, secondo la frase scritturale, non è che una tenda; e
come una tenda sta esposta alla pioggia, ai venti, alle ingiurie
dell’atmosfera, agli accidenti dei viaggi e dei combattimenti, così avviene del
nostro corpo… Scrive Virgilio che il tiranno Mesenzio
faceva legare corpo a corpo persone vive con cadaveri già in putrefazione;
pensate che orribile supplizio! e fate conto che quasi simile è la condizione
dell’anima rispetto al corpo.
 Solone, uno dei
sette sapienti della Grecia, diceva: l’uomo alla nascita è la debolezza per
essenza: mentre vive, ha istinti da bestia: dopo morte, serve di pasto ai vermi
(LAERTIUS). Il corpo, dice Trismegisto, è un luogo di
corruzione, una morte che vive, un cadavere che ha l’uso dei sensi, un sepolcro
ambulante, un velo opaco (Anton. in Meliss.). Un filosofo pagano diceva a un ‘giovane che
si prendeva troppa cura del corpo: «Deh! cessa, o sventurato, dal rafforzare a
tuo danno la prigione in cui sei chiuso!» (MAXIM.).

 3.
L
‘UOMO È MISERIA E DEBOLEZZA. – Ascolta, anima mia,
quello che tu sei, diceva Ugo da S. Vittore: Macchiata e carica di peccati,
gemi nei lacci del vizio; sedotta dalle lusinghe dei sensi, tu sei legata,
incatenata ai membri del corpo, lacerata dalle cure, dal timore, dagli affari;
oppressa dai dolori, abbandonata all’errore, tormentata dai sospetti,
affaticata dalle sollecitudini, straniera in terra nemica e macchiata per le
tue relazioni coi morti (De Spiritu et Anima).
 Io faceva altre
volte assegnamento su la mia forza, confessa di sé Sant’Agostino, e non era che
debolezza; quando ho voluto correre, credendomene capace, allora stramazzai più
presto. Quanto più pensavo di poter fare da me solo, tanto meno ho potuto. Io
tra me e me diceva: Farò questo, darò l’ultima mano a quell’affare, e non
faceva né l’uno né l’altro. Quando aveva la volontà di fare una cosa, mi
mancava il potere; quando potevo, mi faceva difetto la volontà, perché mi
fondava su le mie forze. – Ora, io lo confesso, o mio Signore, l’uomo non si
deve appoggiare alle proprie forze le quali altro non sono che debolezza;
perché da lui non dipende né volere quello che può, né potere quello che vuole,
e nemmeno conoscere quello che vuole e quello che può. Voi solo, o Signore,
sapete dirigere i nostri passi; in virtù della vostra, non della nostra forza,
noi possiamo vincere i nostri nemici.
 La vita presente è così piena di mali, che
la morte, in confronto, è rimedio e refrigerio, anziché castigo, nota S.
Ambrogio (Offic.). Il dolore nasce con noi,
dice Menandro, e ci accompagna fino alla tomba (Stob. Serm: LXXXIX).
Chi vuol farsi un’idea dei patimenti ai quali va incontro l’uomo, visiti le
prigioni e gli ospedali, e i luoghi in cui hanno ricovero le sventure umane.
 «Il bambino già sente, dice S. Agostino, e
senza saperlo fin dalla culla profetizza le mille calamità che lo aspettano, e
con i vagiti le deplora (Lib. de Spiritu et Anima)». Ecco
perché Geremia disse: «Maledetto l’uomo che è venuto a dire a mio padre: Vi è
nato un figlio! Maledetto sia il giorno della mia nascita! Non piova stilla di
benedizione su l’ora in cui la madre mia mi ha partorito!» (IEREM. XX, 14-15).
 Salomone, quel gran re che ebbe in
abbondanza tutti i beni della terra, così parla di se medesimo: «Anch’io sono
uomo mortale simile a tutti gli altri e della stirpe di colui che nacque il
primo Galla terra. Al mio nascere ho respirato l’aria comune a tutti; fui
deposto su una terra su la quale doveva incontrare uguali dolori; e anche per
me, come per tutti, i primi accenti furono vagiti e pianto» (Sap. VII,
1-3).

 4. QUANTO SIA MAL FONDATO L’ORGOGLIO DELL’UOMO.
– «La stessa per tutti, dice il Savio, è l’entrata e l’uscita dalla vita» (Sap. VII, 6). Or dunque, domanda S. Agostino, che
cosa è questo vostro millantarvi delle ricchezze, della nobiltà del sangue,
della bellezza del corpo, degli onori che vi sono resi, delle aderenze e della
patria? guardate a voi medesimi; voi siete mortali, plasmati di terra e
destinati a ritornare in
terra.
Considerate coloro che, prima di voi, godettero le vostre medesime prerogative.
Dove sono le persone di cui s’invidiava la pretesa grandezza? Dove i capitani
invincibili, i cavalieri intrepidi, i guerrieri invulnerabili, i governatori di
province, i re e gli imperatori? Dove gli arbitri dei regni, i ministri dei
monarchi, i membri delle assemblee e dei parlamenti? Dove i buontemponi, i
festaioli, e simile gente che ha fatto parlare di sé il mondo? Al presente
tutto è polvere e cenere; la loro memoria è caduta in oblio. Scavate nei
cimiteri e ditemi quale di quel cadaveri sia il padrone e quale il servo; quale
il povero e quale il ricco? Distinguete, se potete, il cranio dell’uomo dotto
da quello ignorante; le ossa del re da quelle de suddito; discernete il bello
dal brutto, il forte dal debole, se siete capaci. Ricordatevi dunque del vostro
niente, perché non vi avvenga mai di levarvi in superbia: e questo niente voi
non lo dimenticherete mai, finché terrete attento l’occhio su voi medesimi (Sentent. Sent. ult.).
 «Tu sei polvere, disse Iddio ad Adamo ed in
polvere ritornerai (Gen. III,
19). «E quello che fu detto ad Adamo, fu detto a tutti gli uomini, i quali in
verità non sono altro, dice l’Ecclesiastico, che terra e cenere» (XVII, 31). La terra o polvere indica
l’origine dell’uomo, la cenere ne dinota la fine…;
di modo che tutti possiamo dire con Giobbe: «Nient’altro mi resta quaggiù che
il sepolcro» (IOB. XVII, 1). Va ora, o
uomo, e gonfia la tua vanità in faccia al tuo nulla! stimati e persuaditi di essere qualche cosa di grande!

 5. L‘UOMO NON HA DI SUO ALTRO CHE IL PECCATO. –
Appena l’uomo ha schivato una tentazione, ne incontra un’altra, scrive S. Bernardo. La vanità lo solletica, la curiosità lo guida, la
concupiscenza lo stimola, il piacere lo seduce, la lussuria lo macchia,
l’invidia lo tortura, la collera lo conturba, la tristezza lo strazia. Quindi
con deplorevoli cadute, si sprofonda in tutti i vizi. E questo viene dall’avere
abbandonato quel Dio che solo poteva bastargli. – Si occupa di mille cose; si
logora in continui lavori; cerca da tutte le parti dove riposarsi e non trova
nulla che lo appaghi, finché non ritorni a Dio. Va di pensiero in pensiero per
trovare la pace; varia, a seconda delle sue occupazioni, le tentazioni e gli
affetti, ma la pace gli fugge, perché non la cerca dove si trova. Il demonio lo
tenta, il mondo lo acceca, la concupiscenza lo travaglia. Al di fuori
combattimenti; al di dentro timori; dovunque lotta (De Tentat.).
E tutte queste tentazioni non sono una prova della miseria dell’uomo?
 Ma vi è di più. Tanta é così radicale è
questa miseria, che noi da noi stessi non siamo capaci neppure di un buon
pensiero, dice San Paolo, ma ogni nostra capacità e sufficienza proviene da
Dio (II Cor III, 5). E prima di
lui già aveva detto la verità increata: «Senza di me
non potete fare nulla» (IOANN, XV, 5). Questa è la misura delle nostre f,orze
per il bene. Ma l’uomo che non può fare il bene da se stesso, può fare il male
e lo fa molto spesso. Anzi dal solo suo fondo nasce il male, perché la sua
volontà è quella che genera ogni peccato. Il male è opera dell’uomo, che tutta
a lui, e a lui solo spetta… «Nessuno ha di suo, dice S. Agostino, altro che
il peccato e l’errore (Sentent, n. CCXXII)».
 Affinché l’uomo faccia il bene, ha bisogno
di avere con sé Iddio; ma in quanto al male, lo fa tutto da sé; e lo fa appunto
perché si trova solo e non con Dio… «O uomo, dice S. Bernardo,
se tu ti vedessi, non ti compiaceresti di te stesso e piaceresti a Dio; ma
perché non ti vedi, perciò di te ti compiaci e a Dio dispiaci! Verrà tempo in
cui non piacerai più né a Dio né a te stesso: non a Dio, perché hai peccato;
non a te perché arderai in eterno (Serm.
III in cantic.
)».

 6.
L
‘UOMO È UN NULLA. – «I miei giorni passarono come
ombra, ed io seccai come fieno, dice il Salmista, perché l’uomo è simile al
niente, i suoi giorni scorrono come l’ombra» (Psalm.
CI, 12); (Psalm. CXLIII, 4). «E se qualcuno si
crede di essere qualche cosa, mentre che è un nulla, costui, per sentenza
dell’Apostolo, s’inganna» (Galat. VI, 3).
Certo, quando lo Spirito Santo afferma che ogni creatura è vanità di vanità (Eccle. I, 2), non ne eccettua l’uomo, anzi nei
paragoni, nelle similitudini, nelle figure che ha adoperato per bocca degli
autori ispirati, ribadisce sempre questa verità, che l’uomo è un nulla o, come
si esprime il Salmista, «la riunione di tutte le vanità» (Psalm. XXXVIII,
5). Isaia lo dice una goccia di rugiada, un fiore, un filo d’erba, un granello
di arena.
La Sapienza
lo somiglia ad un corriere, ad una nave col vento in poppa, all’uccello che
vola, ad un dardo scagliato da robusto arciere.
 Come il nome di Dio è l’essere: «Io sono
Colui che sono; questo è il mio nome eterno» (Exod.
III, 14-15); così il nome delle creature è il non essere, il niente. Se alla
terra, all’uomo si domandasse: chi siete voi? come vi chiamate? dovrebbero e
potrebbero rispondere: Noi siamo nulla; il nostro nome è niente. Perché? 1°
perché ogni cosa creata, prima che esistesse, era niente; 2° perché se è
corruttibile e peritura, si ridurrà di nuovo in niente; se è incorruttibile
come l’angelo, può nondimeno essere ridotta al nulla; difatti il suo essere
dipende dal potere di Dio che glielo conserva liberamente e può toglierlo
quando vuole; 3° perché mentre esiste, è variabile e mutevole; e per
conseguenza mescolata al nulla; poiché ogni cambiamento accusa una certa quale
negazione di ‘essere; 4° perché tutto ciò che è creato, partecipa più del
niente che dell’essere. L’uomo, per èsempio, ha solamente l’essere di uomo; ma
considerato come terra, cielo, angelo, ecc., egli è niente, cioè il suo essere
è estraneo a quello delle creature sopra citate. L’uomo ha dunque un solo modo
di esistenza ed una grandissima quantità di non essere.
 Vantatevi dunque, o superbi e orgogliosi, e
andate dicendo: Io sono questo, io sono quello… Voi mentite, voi siete un bel
nulla… Oh come savio è colui il quale sa che il suo essere non gli
appartiene! Questa preziosa conoscenza di se stesso, mostrò di avere in sommo
grado S. Giovanni Battista quando, interrogato se fosse lui il Cristo, o il
profeta, rispose: No – e soggiunse che egli era solo una voce che gridava nel
deserto (IOANN. I, 20-23). Noi tutti possiamo dire con ogni verità: Da me non
sono nulla, non so nulla, non posso nulla, non valgo nulla. «Ecco quello che
siete, dice Isaia: siete venuti dal nulla e le vostre opere sono sterili»
(ISAI. XLI, 24).

 Lèvati, disse un giorno il Signore a
Geremia, e va nella casa di uno stovigliaio; là intenderai la mia parola. Vi
andò il profeta e trovò il vasaio che formava su la ruota un vaso, e in quel
mentre il vaso gli si ruppe in mano (IER. XVIII, 2-4). Dio comanda a tutti di
discendere nell’officina dello stovigliaio, affinché ci vediamo la nostra
origine, il nostro nulla… «Perché abbiamo una volta abbandonato il nostro
spirito all’orgoglio, osserva S. Gregorio, noi portiamo ora un corpo di fango
che si scioglie (Moral.)».
 Chi conosce il suo nulla, mortifichi la
carne, e con digiuni e altre mortificazioni, tenga il suo corpo schiavo
dell’anima, a imitazione di S. Paolo il quale poteva affermare di se stesso:
«Castigo il mio corpo e lo riduco in servitù» (I Cor IX, 27). Umilii il suo spirito,
ricordando che, secondo la testimonianza del profeta Michea,
egli porta in se stesso tutti i motivi di umiliazione (MICH. VI, 14).
 Nessuna cosa, secondo S. Gregorio, tanto
giova a soggiogare la carne e a fuggire il peccato, quanto il considerare lo
stato a cui la morte riduce quello che noi amiamo pieno di vita. Dice
la Scrittura, che i
lussuriosi amando la voluttà, amano i vermi; poiché chi brucia di desideri
impuri, langue per un mucchio di putridume (Moral.
lib. XVI). Tomba, polvere e vermi, ecco quello. che
aspetta l’uomo, questo niente orgoglioso e ribelle; ecco nello stesso mentre
quello che può aiutarlo a diventare qualche cosa. Lavori pure l’uomo, dice Bossuet, a ingrandirsi, a moltiplicare i suoi titoli, i
suoi poderi, le sue vanità; non ci vuole mai altro ad, atterrarlo, che una sola
morte. Ma egli non ci pensa, e nella sua vanità non bada mai a misurarsi dalla
sua bara la quale saprebbe misurarlo al giusto.
 «All’asino, leggiamo nella Scrittura,
l’erba, la verga e il peso; allo schiavo il pane, il castigo e il lavoro» (Eccli.
XXXIII, 25). Il giumento e lo schiavo dell’anima è il corpo al quale si devono
per conseguenza tre cose: nutrimento ordinario, mortificazione, occupazione
continua e penosa.