Tre imperi di fronte al feudalesimo


Prof. A. Torresani. 10. 1 Le vicende dell’impero abbaside; 10. 2 La dinastia macedone a Costantinopoli; 10. 3 La fine dell’Impero carolingio; 10. 4 Cronologia essenziale; 10. 5 Il documento storico; 10. 6 In biblioteca


Cap. 10 Tre imperi di fronte al feudalesimo



Il feudalesimo è un fenomeno complesso: esso si presentò in ciascuno dei tre imperi che si dividevano l’Europa, l’Africa del nord e l’Asia secondo modalità peculiari. Nel grande califfato islamico, dopo il trionfo della dinastia abbaside prevalse il criterio che il potere andava esercitato non da coloro che erano imparentati col clan di Maometto o discendevano dai rappresentanti del più puro arabismo, bensì da coloro che per le qualità personali erano in grado di guidare l’islam alla conquista del mondo intero. Tuttavia, per salvare il principio dinastico che sembrava inseparabile dal principio dell’unità dell’islam, ben presto, fin dal IX secolo, si giunse alla divisione tra la carica religiosa, il califfato vero e proprio che rimase unico, e la carica politica che nelle varie parti dell’impero fu assunta dal comandante delle truppe ivi residenti. Queste forze locali iniziarono una serie interminabile di guerre civili durate cinque secoli, fino al 1258, quando i Mongoli, divenuti forza politico-militare padrona dell’Asia, sottomisero quel continente dalla Cina alla Polonia.


In Occidente, il particolarismo feudale, fino alla renovatio imperii degli Ottoni di Sassonia, si affermò al punto che i feudatari impedirono la nomina di un imperatore. La vittoria riportata a Lechfeld da Ottone I costrinse il papa Giovanni XII a incoronare Ottone I imperatore. Lentamente, l’impero d’Occidente intaccò il potere semindipendente dei grandi vassalli, sia pure a costo di favorire la nascita dei comuni, ossia le città che si svincolavano dalla subordinazione feudale, iniziando un ciclo di travolgente sviluppo culturale ed economico.


Nell’impero bizantino, una serie di notevoli sovrani da Michele III a Romano Lecapeno restituì vitalità a un organismo politico che sembrava sul punto di tracollare, ma che in realtà si rivelò vitale finché poté contare sul nerbo dei suoi contadini-soldati dei temi anatolici. Romano Lecapeno ne era consapevole al punto di affermare che su di essi, non sulla nobiltà, si fondava la salvezza dello Stato: le difficoltà economiche prima, i Turchi e i Mongoli poi, sottraendo l’Anatolia all’impero bizantino, ne decretarono il tracollo.



10. 1 Le vicende dell’impero abbaside



La rivoluzione abbaside iniziò nel 747 in Persia dove Abu Muslim aveva guidato la rivoluzione contro gli Omayyadi di Damasco. Abu Muslim condusse le sue armate fino all’Iraq dove il capo politico della nuova setta islamica Abul Abbas fu acclamato califfo dalle truppe nel 749. L’anno dopo il nuovo califfo fu riconosciuto anche in Siria.


La rivoluzione abbaside Il nuovo regime non fu solo un cambio di dinastia, ma rappresentò una vera e propria rivoluzione che contestava agli Arabi il diritto di governare, ed era l’espressione del disagio dell’elemento iranico dell’impero. Tuttavia, anche il movimento ora vittorioso ben presto si divise perché era formato da una coalizione di interessi che finirono per scontrarsi.


Baghdad Il primo e più importante cambiamento fu il trasferimento della capitale da Damasco a Baghdad, una città nuova posta sul fiume Tigri, edificata dal fratello e successore di Abul Abbas, al-Mansur, califfo dal 754 al 775. Baghdad si trovava all’incrocio di importanti strade carovaniere ed era raggiungibile dalle navi provenienti dal Golfo Persico. I discendenti di Abul Abbas presto si trovarono costretti a mettere fine alla rivoluzione scegliendo da una parte l’ortodossia sunnita e dall’altra la continuità col regime precedente: lo stesso Abu Muslim che con la sua predicazione aveva distrutto il potere degli Omayyadi, fu condannato a morte insieme con altri esponenti dell’ala estremista. L’opposizione sciita riprese.


La politica degli Abbasidi Gli Abbasidi non regnarono secondo lo stile patriarcale arabo, bensì imposero al loro impero cosmopolita un credo religioso e una cultura comune a tutti i sudditi. La vittoria degli Abbasidi si potrebbe definire come una vittoria della classe media: subito i tesori accumulati dallo Stato, dalle istituzioni religiose islamiche e dalla nobiltà furono rimessi in circolo e alimentarono un grande commercio internazionale che fa da sfondo alla più splendida creazione della letteratura in lingua araba, le Mille e una notti, una raccolta di novelle.


Gli Abbasidi migliorarono l’agricoltura, soprattutto estendendo le tecniche di irrigazione dei terreni aridi apprese nell’Iran. Progredì soprattutto l’industria tessile: i territori asiatici possedevano una mirabile tradizione di fabbricazione dei tappeti di lana e di seta divenuti oggetto di commercio internazionale. Nell’VIII secolo iniziò anche la produzione di carta, una tecnica appresa dalla Cina: l’impero abbaside permise per qualche decennio il trasporto a grandi distanze di questi prodotti assicurando tranquillità alle carovane che transitavano sulle piste del suo immenso territorio. La prosperità così conseguita determinò il tramonto dell’antica casta guerriera araba a vantaggio di un nuovo ceto di proprietari agrari, di mercanti e di studiosi del Corano, oltre che delle altre scienze profane; le città si trasformarono in mercati fiorenti, a differenza di quanto avveniva in Occidente, dove era in corso un processo di ruralizzazione della società.


Harun al-Rashid Il regno di Harun al-Rashid (786-809) è considerato il più splendido della storia islamica, ma già sotto di lui iniziò il distacco della Spagna e dell’Africa del nord; nell’868 si staccò anche l’Egitto. Come è facile comprendere, l’estrema vastità dell’impero arabo impedì di mantenere una burocrazia e un esercito centralizzati per assicurare l’effettivo dominio di Baghdad sui territori periferici. Dopo la morte di Harun al-Rashid, tra i suoi due figli scoppiò la guerra civile.


Al-Mamun Al-Mamun, quando risultò vittorioso, stava per trasferire la capitale ancora più a Oriente, desistendo solo quando si rese conto che, così facendo, avrebbe perduto l’Iraq, essenziale dal punto di vista strategico. Nell’820 il generale Tahir si rese indipendente nel Khorasan, iniziando la tradizione del riconoscimento formale da parte del califfo di Baghdad, ma in un contesto di sostanziale autonomia economica e politica dalla capitale. Con l’accrescimento delle autonomie periferiche crebbe la debolezza delle difese dell’impero.


Decadenza di Baghdad Nel 782 Harun al-Rashid compì l’ultima marcia contro Costantinopoli, del tutto inconcludente: da allora l’impero arabo subì l’iniziativa militare degli eserciti bizantini in Siria e in Mesopotamia, mentre i khazari attaccavano dal lato dell’Armenia e del Caucaso. La funzione politica di Baghdad finì per risultare limitata all’investitura dei governatori effettivi dei territori periferici, raggiungendo nell’esercizio di questa funzione una grande esperienza che permise la sopravvivenza per secoli di un impero sempre più debole, ma pur sempre rispettato. Finché Baghdad conservò il controllo delle principali vie commerciali, la sua debolezza politica non si tradusse in debolezza economica: la decadenza incominciò quando i suoi commerci divennero insicuri, in balia dei potentati locali.


Decadenza del califfato Con i regni di al-Muhasin (833-842) e al-Watiq (842-847) i califfi divennero uomini di paglia eletti e deposti dai loro generali. Nel X secolo la decadenza dell’autorità del califfo divenne massima allorché il governatore dell’Iraq ricevette il titolo di comandante dei comandanti, ossia capo supremo con tutti i poteri politici e militari: la carica di califfo equivaleva a quella di capo religioso senza influenza sugli affari politici. Fino all’XI secolo la preponderanza iranica fu completa e ciò permise la diffusione dello sciismo.


Declino economico Anche in campo economico si avvertivano i segni del declino: il commercio con la Cina diminuì in seguito ai disordini interni di quel lontano paese; il commercio con la Russia e col Baltico si ridusse a causa del declino delle spedizioni vichinghe; infine la rarefazione dei metalli preziosi ridusse il commercio interno. La scarsità di denaro liquido condusse al sistema di appalto delle rendite statali, ossia i funzionari, in luogo di ricevere lo stipendio dallo Stato, avevano il diritto di riscuotere le tasse imposte a un determinato territorio, impegnandosi a mantenere un certo numero di soldati, oltre a corrispondere al tesoro centrale una certa somma di denaro. Come si vede, si tratta di un vero e proprio contratto feudale con decentramento dell’attività politica dei califfi che nella regione concessa in appalto perdevano il dominio pieno. Il conseguente indebolimento politico favorì una serie di attacchi da parte dei nemici esterni e interni. Le forze cristiane avanzarono in Spagna e in Sicilia, i crociati arrivarono fino a Gerusalemme; in Africa l’eresia ismailita strappò tutta l’Africa del nord; in Egitto due grandi tribù beduine dilagarono nell’Egitto superiore, in Libia e in Tunisia, portando rovine e distruzioni nel sistema agrario. Infine arrivarono le popolazioni della steppa: i Turchi che, in qualità di mercenari, divennero il nerbo degli eserciti musulmani, esautorando arabi e persiani.


L’affermazione dei Turchi Nel 960 i turchi Qarakhanidi si convertirono all’islam. Dopo la conversione i Turchi parvero dimenticare le loro tradizioni asiatiche identificandosi con la realtà politica del Vicino Oriente. Come capita ai neofiti, i Turchi furono molto radicali nella difesa della nuova fede: si dovette ai Turchi la ripresa dell’ortodossia sunnita gravemente decaduta in Iran e Iraq. Ben presto i Turchi si spostarono verso Occidente occupando il Khorasan, ossia l’Iran orientale. Nel 1037 i Turchi Selgiukidi, così chiamati da Selgiuk capo di una tribù, avevano occupato le città di Merv e di Nishapur. Nel 1055 Toghrul Bag, nipote di Selgiuk, condusse il suo esercito contro Baghdad rovesciando l’ultimo emiro di origine persiana: era sorto un nuovo impero turco.


I Turchi nell’Asia Minore Nel 1071 i Selgiukidi sconfissero a Manzikert in Armenia un esercito bizantino comandato dall’imperatore Romano Diogene che fu fatto prigioniero: dopo la vittoria di Manzikert l’Asia Minore si aprì alla conquista turca che in breve cancellò le vestigia cristiane. I profughi armeni si insediarono in Cilicia, dando vita al regno della Piccola Armenia durato fino alla fine del XIV secolo. I Selgiukidi posero la loro capitale nell’antica Iconium (Konye). La perdita dell’Anatolia per l’impero bizantino fu determinante perché era il territorio di reclutamento dei suoi migliori soldati.


Decadenza dei Selgiukidi I Turchi Selgiukidi dovettero far fronte ai Mongoli proclamando la guerra santa contro di loro. Nel 1141 il sultano selgiukida combatté la cruciale battaglia nella steppa di Katvan, rimanendo sconfitto. Il califfo sunnita di Baghdad riuscì per breve tempo a riaffermare la sua indipendenza come capo di uno Stato religioso sunnita.


La rinascita dell’ortodossia sunnita La ripresa sunnita si proponeva di rovesciare il peso assunto dagli sciiti e di restaurare il califfato politico e religioso insieme; di elaborare una cultura sunnita al riparo dagli apporti culturali greci e persiani e di integrare gli istituti religiosi con quelli politici. Il primo di questi obiettivi fu quasi completamente raggiunto: in Oriente le dinastie sciite furono rovesciate; nel 1171 Salah ad-Din (Saladino), un fervente sunnita, riuscì a rovesciare il califfato fatimita in Egitto; i Turchi respinsero le offensive bizantine conquistando l’Anatolia, la Siria e la Palestina.


I Mongoli Nel XIII secolo i Selgiukidi si erano votati alla difesa militare dell’Islam contro le temibili popolazioni mongoliche che erano cresciute in una sperduta zona dell’Asia nordorientale sotto la guida di Temugin, divenuto padrone di tutta la Mongolia col nome di Gengiz Khan. Nel 1206 Gengiz Khan riunì le tribù mongole in un’assemblea nel corso della quale fu dispiegato il grande vessillo ornato di nove code di cavallo. Le tribù mongole confermarono la loro fedeltà a Gengiz Khan che iniziò una travolgente cavalcata per tutta l’Asia. Nel 1218 l’Asia centrale era stata occupata e perciò l’ondata mongola si diresse verso l’Asia occidentale giungendo fino al lago Aral. L’Amu Daria fu superato e le città carovaniere di Buchara e Samarcanda furono saccheggiate. Poi i Mongoli giunsero nell’Iran orientale, fermati per breve tempo dalla morte di Gengiz Khan avvenuta nel 1227. Dopo la nomina del nuovo Khan, l’offensiva riprese. Nel 1240 tutto l’Iran era stato occupato, poi fu la volta della Georgia, dell’Armenia e della Mesopotamia. Nel 1243 il sovrano selgiukida di Anatolia fu sconfitto. Infine, nel 1258 le orde mongole arrivarono a Baghdad: il califfo e gli altri membri della sua famiglia furono uccisi, cancellando la dinastia fondata da Abul Abbas cinque secoli prima e rimasta a capo dell’Islam ortodosso nel periodo del maggiore splendore culturale.



10. 2 La dinastia macedone a Costantinopoli



Fino all’843 l’impero bizantino si era dibattuto tra i problemi interni sollevati dalla crisi iconoclastica e i problemi esterni causati dalla pressione araba. Dalla seconda metà del secolo IX, l’impero bizantino conobbe una serie di sovrani che riportarono l’impero al rango di grande potenza, vittoriosa fino al secolo XI. Poi i Selgiukidi e i Normanni rinnovarono il loro attacco contro l’impero arrivando a fiaccarlo. Da ultimo, la Quarta crociata del 1202-1204 espugnò Costantinopoli imponendo per circa mezzo secolo una dinastia occidentale.


Leone IV Con la morte di Costantino V, avvenuta nel 775, terminò la prima fase della crisi iconoclastica. Sotto il regno del figlio Leone IV il Chazaro il culto delle immagini fu ripristinato. Leone IV morì nel 780 lasciando la vedova Irene e un figlio infante Costantino VI (780-797). Irene era una donna volitiva, ma dovette combattere di continuo contro usurpatori interni, comperare una tregua dagli Arabi e lasciare l’Italia a Carlo Magno per combattere gli iconoclasti.


Irene Irene nel 787 convocò a Nicea un concilio ecumenico alla presenza di due rappresentanti del papa. Il concilio spiegò il significato del culto delle immagini, distinguendo il significante (il dipinto, la statua), dal significato (Cristo, i santi ecc.): la venerazione si riteneva diretta solo al significato. Il concilio di Nicea fu un trionfo per Irene, ma ben presto sopraggiunsero gravi rovesci militari sul fronte bulgaro e arabo, oltre che sul fronte italiano dove avvenne la perdita dell’Istria (788). Sorto un grave contrasto tra l’imperatrice e il figlio Costantino VI, Irene cacciò dal trono il figlio e poi lo fece accecare (797), regnando da sola fino all’802. La debolezza dell’impero bizantino favorì l’elezione di Carlo Magno a imperatore d’Occidente. Forse Carlo Magno concepì il progetto di sposare Irene, ma i sostenitori di Niceforo, ministro delle finanze di Irene, organizzarono un colpo di Stato e Irene fu esiliata.


Niceforo I Niceforo governò Chiesa e Stato fino all’811, impegnato nel duro compito di riorganizzare le difese dell’impero. Uno dei primi provvedimenti di Niceforo I fu l’interruzione dei tributi agli arabi e perciò Harun al-Rashid invase l’Asia Minore. Più fortunata fu la sua azione contro gli Slavi stanziati in Grecia mediante la creazione dei due temi di Macedonia e del Peloponneso. Nell’807 Niceforo I tentò di penetrare in Bulgaria, ma le operazioni militari furono rese vane dalla resistenza di Khrum, il khan dei Bulgari. Anche i suoi provvedimenti amministrativi – trasferimento di molti greci nei Balcani, abolizione delle esenzioni fiscali, aumento delle tasse – furono criticati. In particolare furono prese di mira le grandi proprietà dei conventi: quando Niceforo I ritenne che la riforma fiscale fosse ben avviata, cominciò la guerra contro i Bulgari. L’inizio sembrava promettente, ma commise l’errore di penetrare nel territorio bulgaro prima di aver fortificato i passi di montagna. I soldati di Khrum chiusero i greci in una morsa distruggendo il loro esercito: Niceforo I fu decapitato.


Michele I Il successore fu Michele I. Tra i suoi primi atti ci fu il riconoscimento di Carlo Magno, data la debolezza dell’impero d’Oriente dopo la sconfitta bulgara. Quel riconoscimento valse la restituzione di Venezia e dell’Istria-Croazia all’impero bizantino. Khrum tuttavia non dette requie all’impero. Nell’813 Michele I fu nuovamente sconfitto dai Bulgari presso Adrianopoli e perciò i temi dell’Asia Minore elessero imperatore Leone V l’Armeno, che dovette occuparsi della difesa della capitale dall’attacco bulgaro. Sempre in quell’anno Leone V conseguì la sospirata vittoria e l’anno dopo Khrum morì. Il successore stipulò coi Bizantini una tregua di trent’anni.


Leone V e la ripresa dell’iconoclastia Leone V ripropose le tesi iconoclastiche. Il nuovo patriarca Teodoto Cassiteras convocò un concilio in Santa Sofia per annullare il concilio del 787 e richiamare in vigore i decreti iconoclasti del 754: non si dovevano confezionare nuove immagini, anche se le vecchie non erano giudicate idoli da distruggere. Le passioni scatenate dalla politica iconoclasta suscitarono una congiura che uccise Leone V nel Natale 820. Fu proclamato imperatore Michele II che regnò fino all’829.


Michele II In primo luogo Michele II dovette affrontare la guerra civile scatenata da un pretendente. La guerra prostrò l’impero che nell’827 perdette la Sicilia e poi l’isola di Creta.


Teofilo Alla morte di Michele II, avvenuta nell’829, gli successe il figlio Teofilo (829-842), un iconoclasta fierissimo. Le sconfitte militari divennero più numerose costringendo Teofilo ad aumentare le difese di Costantinopoli mediante la creazione di tre nuovi temi: di Paflagonia, di Chaldia e di Cherson, un segno tangibile del crescente timore indotto dai Russi. Durante il suo regno Palermo cadde in mano araba, con Ancira e Amorio in Asia Minore. Teofilo morì nell’842 lasciando come reggente la moglie Teodora fino alla maggiore età del figlio Michele III.


Fine dell’iconoclastia Teodora decretò la liceità del culto delle immagini, depose il patriarca iconoclasta e riaffermò la validità dei decreti del concilio di Nicea del 787. Dopo questa lunga lotta, l’impero e la Chiesa risultarono sempre più greci e sempre più impenetrabili alle influenze esterne e quindi sempre più incapaci di assorbire i mutamenti che ogni organismo vivo richiede. L’impero bizantino dovette affrontare ancora una volta le incognite di una reggenza femminile. Teodora riuscì a far approvare la restaurazione dell’ortodossia senza fare insorgere l’esercito che si coprì di gloria con la riconquista di Creta e l’attacco a Damietta in Egitto. Sulla cattedra patriarcale fu posto Ignazio che aveva un grande seguito popolare tra gli iconofili. Tale nomina dispiacque a Barda, fratello di Teodora, il quale avrebbe preferito un personaggio più moderato per non urtare gli iconoclasti ancora numerosi. Nell’855 il giovane Michele III fu proclamato autocrate, mentre Teodora era chiusa in monastero. Nell’858 anche Ignazio fu deposto dal seggio episcopale e sostituito da Fozio.


Michele III Il governo personale di Michele III durò fino all’867 con l’assistenza di Fozio che trattava le questioni religiose, e di Basilio il Macedone, che sarà il suo uccisore e successore. In quegli anni l’impero bizantino conobbe alcuni successi contro gli Arabi lungo l’Eufrate, in Siria e in Egitto. Più tardi Michele III dovette difendere la capitale da un’incursione russa nell’860, respinta con successo. Un grande merito di Michele III fu la conversione del khan dei Bulgari Boris, avvenuta nell’864. Nell’866 Basilio I fu nominato coimperatore ma pochi mesi dopo si liberò di Michele III facendolo assassinare (867).


Basilio I La dinastia macedone regnò per circa due secoli, risultando la più gloriosa e fortunata della storia bizantina. Basilio I cercò l’appoggio del partito popolare e perciò decise la deposizione di Fozio nell’867 reintegrando Ignazio nelle sue funzioni di patriarca, una decisione che segnava il riavvicinamento a Roma. Basilio I morì per un incidente di caccia nell’886.


Leone VI Gli successe il figlio Leone VI che ancora una volta depose Fozio, tornato a occupare il seggio di Ignazio. Fozio fu sostituito da Stefano, fratello dell’imperatore, un’innovazione interessante perché così l’imperatore poteva dirigere la Chiesa bizantina con maggior forza. I pericoli per l’impero venivano sempre dai Bulgari. La conversione di Boris non aveva risolto i problemi politici: Boris aveva abdicato nell’889, mentre il figlio Vladimiro era tornato al paganesimo. Nell’893, il terzo figlio di Boris, Simeone, depose il fratello ritenendo che la conversione dei Bulgari al cristianesimo aveva aperto prospettive da non perdere. Simeone era stato educato a Costantinopoli e conosceva sia la grandezza sia la debolezza del regime bizantino. Il nuovo scontro tra Bulgari e Bizantini avvenne per motivi commerciali. I Bulgari si ribellarono e sconfissero un esercito bizantino. L’impero reagì inviando il suo migliore generale, Niceforo Foca. Per stringere a tenaglia i Bulgari, i Bizantini chiesero aiuto ai Magiari stanziati allora tra il Dnepr e il Danubio. I Magiari devastarono la Bulgaria da nord, mentre Niceforo Foca attaccava da sud e la flotta chiudeva le bocche del Danubio. Simeone chiese la pace, ma prese anche una contromisura, l’alleanza con i Peceneghi che incalzavano alle spalle i Magiari. Costoro dovettero emigrare in Pannonia oltrepassando i valichi dei Carpazi e aggredirono il regno della Grande Moravia, incuneandosi tra gli Slavi occidentali. In seguito Simeone riuscì a sconfiggere i Bizantini imponendo a Leone VI il pagamento di un tributo annuo. Nel 904 Simeone approfittò della conquista di Tessalonica da parte di pirati arabi occupando la Tracia fino a venti chilometri dalla città. Anche la flotta bizantina subì alcune sconfitte: la maggiore fu proprio quella che determinò la presa di Tessalonica da dove furono deportati circa 30.000 prigionieri. Due anni prima (902) era caduta anche Taormina concludendo così per sempre il dominio bizantino in Sicilia.


Matrimoni di Leone VI Leone VI è noto per i suoi numerosi matrimoni. Dalle prime tre mogli non ebbe figli e secondo il diritto ecclesiastico bizantino già il terzo matrimonio era illecito. Dalla quarta moglie, Zoe Carbonopsina, ebbe il tanto sospirato erede, Costantino VII Porfirogenito. Secondo la legge costui era solo un figlio naturale e quindi non poteva succedere al padre: occorreva regolarizzare il matrimonio dei genitori. Fu trovato un prete disposto a sposarli, ma l’opinione pubblica della capitale era contro l’imperatore. Leone VI decise di deporre il patriarca Nicola il Mistico, il principale oppositore alle nozze imperiali.


Nicola il Mistico Nicola il Mistico fu accusato di cospirazione contro lo Stato, ma per deporre il patriarca occorreva l’assenso del papa e dei patriarchi di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. A Roma il quarto matrimonio non era ritenuto grave, se non c’erano prove che il vedovo si fosse liberato delle mogli precedenti con dolo, e perciò il papa Sergio III autorizzò la deposizione di Nicola il Mistico.


Costantino VII Porfirogenito Leone VI morì nel 912: gli successe il figlio Costantino VII ancora bambino, sotto un consiglio di reggenza. L’uomo forte era Costantino Dukas, comandante della guardia imperiale. Costantino Dukas tentò di usurpare il trono ma fu ucciso. Anche Simeone di Bulgaria tentò di entrare in lizza per la successione imperiale: fu ricevuto dal giovane imperatore che promise di sposare la figlia di Simeone, quando avesse avuto l’età. Simeone fu incoronato “imperatore dei Bulgari” in attesa di divenire suocero dell’imperatore di Costantinopoli, associato all’impero. A queste condizioni Simeone accettò di ritirarsi. Fu una grande vittoria della diplomazia bizantina esser riuscita a scongiurare, per il momento, il pericolo bulgaro.


Ripresa delle guerre bulgare Quando l’impero ritenne di essere sufficientemente forte, il fidanzamento bulgaro fu annullato e perciò la guerra riprese. Simeone conquistò Adrianopoli, saccheggiò la Tracia, ma la reggente Zoe trovò un valido appoggio in Leone Foca, un grande soldato. In Italia i Saraceni furono sgominati nella battaglia del Garigliano nel 915, ristabilendo il prestigio dell’impero in Occidente. Anche Zoe, tuttavia, fu sconfitta quando tentò di sposare Leone Foca per assicurare il trono a Costantino VII. Infatti, la flotta posta al comando di Romano Lecapeno si oppose vittoriosamente al progettato matrimonio. Romano entrò a corte e fece sposare la figlia Elena a Costantino VII, divenendo così “padre dell’imperatore”. Romano Lecapeno affrontò Simeone di Bulgaria, giunto nel 924 sotto le mura di Costantinopoli. Contro Simeone furono sollevati i Serbi e i Croati che costrinsero Simeone a lasciare Costantinopoli. Nel 927 anche Simeone morì. Il successore Pietro fu un sovrano pacifico e pio che sposò Maria Lecapena mantenendo per una generazione rapporti cordiali con l’impero.


Romano Lecapeno Approfittando della tregua sul fronte settentrionale, Romano Lecapeno poté volgersi alla conquista della regione dell’alto Eufrate sfruttando la crisi dell’impero abbaside. Romano iniziò una vigorosa offensiva sull’Eufrate e in Armenia culminata con la presa di Melitene che restituì all’impero la superiorità strategica. Dopo il 940 gli eserciti bizantini si resero disponibili per combattere su altri fronti: contro i Russi e contro i Saraceni in Provenza. I Russi attaccarono Costantinopoli nel 941 con una grande flotta posta al comando di Igor principe di Kiev. Tre anni dopo, nel 944, l’attacco fu ripetuto da Igor per via di terra, ma l’assedio fu scongiurato dalla diplomazia e da un trattato commerciale. L’impero di Romano Lecapeno è caratterizzato dalla strenua difesa della piccola proprietà dei contadini-soldati minacciati dalla povertà e dall’espropriazione da parte dei latifondisti. Il problema si può chiarire in breve.


La crisi della piccola proprietà La ripresa militare dell’impero richiese l’esazione di enormi tributi estesi anche ai piccoli proprietari. Ma nel 927, per ragioni climatiche, ci fu una terribile carestia che indusse molti piccoli proprietari a disfarsi della loro terra cedendola ai grandi proprietari o ai conventi, i quali avevano scorte di grano e perciò potevano far fronte alla carestia. Le grandi famiglie Foca, Maleino, Dukas e altre radunarono patrimoni favolosi offrendo ai contadini-soldati impoveriti una protezione più efficace del lontano imperatore, il quale però si rese conto di aver perso il potere politico e l’iniziativa delle decisioni, ormai in mano ai grandi feudatari. Come si vede, in questo modo il feudalesimo si affermò anche in Oriente, dove si configurò una possibile lotta tra l’imperatore e i grandi proprietari per il controllo dei piccoli proprietari. Romano Lecapeno comprese meglio di ogni altro questo dilemma.


Tentativo di difesa della piccola proprietà Nel 934, nel preambolo di una legge, Romano afferma che i grandi proprietari sono “più spietati della carestia e della miseria”, proprio perché quando fu conquistato il territorio di Melitene i grandi speculatori si erano gettati sulla preda prima degli eroici conquistatori. Con questa legge si obbligavano i grandi proprietari a restituire la terra ai piccoli contadini, senza indennizzo se l’acquisto era avvenuto pagando un prezzo inferiore alla metà del suo valore reale.


Caduta di Romano Lecapeno Nel 944 Romano Lecapeno fu deposto dal trono e quattro anni dopo morì da monaco. Forse la caduta di Romano fu provocata dai suoi stessi figli che gli rimproveravano di aver messo al primo posto nella successione Costantino VII Porfirogenito, facendo trionfare il legittimismo dinastico. I due figli ribelli del Lecapeno furono perciò esiliati da Costantino VII che aveva dalla sua parte l’opinione pubblica.


Costantino VII Porfirogenito Il regno di Costantino VII durò fino al 959: fu un colto cronista della sua famiglia e degli avvenimenti della sua epoca. Anche Costantino VII difese la piccola proprietà dei contadini-soldati, perché confermò che la proprietà dei soldati era inalienabile.


Guerra in Siria Sulle frontiere settentrionali ci fu pace fino al 969, ossia finché visse Pietro di Bulgaria che difese l’impero dagli attacchi dei Magiari. La guerra con gli Arabi riesplose su vari fronti. Nel 944 gli Arabi si impadronirono di Aleppo creando un forte Stato in Siria che subito fece guerra all’impero bizantino. Barda Foca condusse una guerra di scorrerie mediante reparti di cavalleria pesante in luogo di ricorrere alla fanteria e anche questo è un indizio del tramonto dei piccoli proprietari-soldati: infatti per mantenere un cavallo occorreva una proprietà più vasta.


Romano II Alla morte di Costantino VII salì al trono il figlio Romano II. Costui sposò in prime nozze Berta, figlia di Ugo di Provenza e quando costei morì, Teofano che soppiantò a corte la regina madre Elena Lecapena, determinando una nuova distribuzione dei comandi militari. Il regno di Romano II fu breve (959-963), ma illustrato da notevoli imprese militari, come la riconquista dell’isola di Creta (961) per merito di Niceforo Foca.


Niceforo Foca Il generale vittorioso partì subito per l’Asia Minore per affrontare i Siriani: fu invasa la Cilicia fino ad Aleppo. Quando Romano II morì, i soldati acclamarono imperatore Niceforo Foca, e Teofano capì che l’unica possibilità di assicurare ai figli Basilio II e Costantino VIII la successione era il matrimonio col potente generale.


Liberazione della Siria Il comando degli eserciti dell’Oriente fu affidato a Giovanni Zimisce che nell’inverno del 964 pose l’assedio intorno a Tarso, riportando una vittoria decisiva. Nel 969 si arrese ai Bizantini la città di Antiochia: gran parte della Siria risultava liberata. Nel 965 era stata rioccupata anche l’isola di Cipro e l’impero aveva raggiunto un’estensione mai uguagliata dal tempo di Eraclio. Come segno della grandezza militare conseguita, giunse a Costantinopoli una delegazione guidata da Liutprando di Cremona, inviato da Ottone I per chiedere la mano di una principessa bizantina per il figlio ed erede Ottone II. I Bulgari non compresero la nuova potenza dell’impero e nel 965 reclamarono per il mancato pagamento dei tributi. Niceforo Foca fece frustare gli ambasciatori bulgari e per premunirsi contro di loro ricorse all’aiuto di Sviatoslav, principe di Kiev che invase la Bulgaria e fece prigioniero lo zar bulgaro Boris II. Tuttavia, l’appello a una potenza così forte fu un errore, e Niceforo Foca ideò un rovesciamento delle alleanze, ossia la ripresa di rapporti cordiali con i Bulgari in funzione antirussa. Niceforo però dovette revocare il diritto di prelazione dei piccoli contadini sulle terre confinanti, una misura che favorì i ricchi i quali potevano acquistare le terre a contanti. Niceforo Foca proibì anche la fondazione di nuovi monasteri per impedire che i piccoli proprietari consegnassero la loro terra ai monasteri ricevendola in uso contro un piccolo canone d’affitto, ma è abbastanza chiaro che un simile provvedimento scontentava i religiosi. Niceforo dovette svalutare la moneta, un altro indizio delle sue difficoltà finanziarie. Nel dicembre 969 Niceforo Foca fu assassinato a causa del malcontento provocato dall’eccessivo prelievo fiscale.


Giovanni Zimisce Dopo l’assassinio di Niceforo salì sul trono Giovanni Zimisce, il più popolare dei generali. Le condizioni poste dal patriarca per incoronare il nuovo imperatore furono la punizione degli assassini, l’esilio di Teofano ritenuta responsabile del delitto, e la revoca delle limitazioni poste alla fondazione di nuovi monasteri: Giovanni Zimisce fu incoronato il giorno di Natale del 969. I membri della famiglia Foca furono esiliati. Barda Sclero divenne il nuovo comandante dell’esercito col compito di opporsi ai Russi penetrati in Bulgaria e di condurre una grande offensiva in Tracia. Il loro principe Sviatoslav fu costretto a evacuare la Tracia e a iniziare trattative necessarie anche ai Bizantini, perché Barda Foca si era proclamato imperatore in Asia Minore suscitando la guerra civile. La ribellione di Barda Foca convinse Giovanni Zimisce della necessità di rafforzare la sua posizione mediante un matrimonio che legittimasse la sua assunzione al trono. Sposò pertanto Teodora, figlia di Costantino VII, zia dei due eredi Basilio II e Costantino VIII. Sviatoslav abbandonò la politica filobizantina suggerita dalla madre Olga, già divenuta cristiana, lasciò Kiev e si spinse fino sul Danubio. La guerra scoppiò nel 971 quando una flotta risalì il Danubio per impedire la ritirata dei Russi. A luglio i Russi furono sconfitti in una battaglia decisiva. Sviatoslav offrì la restituzione dei prigionieri e l’evacuazione della Bulgaria in cambio del riconoscimento della Russia come nazione amica. Nel 972 Sviatoslav fu assalito e trucidato.


Guerra in Palestina Giovanni Zimisce celebrò un grande trionfo a Costantinopoli: la Bulgaria diveniva una provincia bizantina e perciò il suo patriarcato indipendente fu abolito. Giovanni Zimisce sistemò i suoi rapporti anche con l’impero d’Occidente, permettendo a una nipote, Teofano, di sposare Ottone II: il matrimonio fu celebrato a Roma nel 972. Infine fu ripresa la guerra contro gli Arabi dell’emirato di Mossul. Nel 975 Giovanni Zimisce iniziò la nuova campagna partendo da Antiochia e dalla Siria. Da Damasco l’imperatore marciò in direzione della Galilea, certamente con l’intenzione di conquistare Gerusalemme, ma l’esercito bizantino si fermò dopo aver raggiunto Tiberiade e Nazareth. Poi proseguì per Cesarea. La mancata conquista delle città della costa lo esponeva a gravi pericoli inducendolo a dirigersi verso Beirut e Sidone, che furono conquistate. Il resto del territorio fu rastrellato, ma alla fine l’imperatore tornò a Costantinopoli, minato da una malattia. Sembra che nel viaggio di ritorno Giovanni Zimisce abbia costatato l’entità delle usurpazioni di terre demaniali compiute dalla nobiltà. Giovanni Zimisce morì nel 976: subito furono incoronati Basilio II e Costantino VIII che regnarono per mezzo secolo.


Basilio II L’opera di questi due imperatori – o meglio di Basilio II perché il fratello non fu più che una comparsa – appare enorme. Essi dovettero difendersi da Barda Sclero, cognato di Giovanni Zimisce, subito destituito dal comando dell’Oriente. Basilio II dovette lottare in Bulgaria e contro Barda Sclero che gli Arabi avevano liberato per creare difficoltà ai loro nemici. Contro di lui fu inviato Barda Foca, riabilitato, che riuscì a sconfiggere il rivale, ma a sua volta Barda Foca si fece proclamare imperatore, forte del fatto che la famiglia Foca aveva un largo seguito popolare. A Basilio II rimaneva un solo alleato, Vladimiro principe di Kiev, figlio di Sviatoslav, al quale fu promessa la principessa Anna, sorella degli imperatori. I Russi inviarono 6000 uomini che giunsero a Costantinopoli nel 988. Barda Foca fu sconfitto e l’anno dopo morì: l’impero era stato salvato dai Russi. La guerra non era finita perché i Bulgari minacciavano Tessalonica, e i Russi erano irritati perché Anna non era stata inviata a Kiev. Come ritorsione i Russi occuparono Cherson in Crimea, la più importante base commerciale dell’impero. Basilio II si decise a inviare Anna a Cherson dove avvenne il battesimo di Vladimiro e il suo matrimonio con Anna (989).


Nuovo attacco contro la Bulgaria Verso la fine del 990 Basilio II iniziò la sua seconda campagna in Bulgaria, ma questa volta agì con fredda determinazione, iniziando la sistematica occupazione delle fortezze a facendo terra bruciata dovunque arrivasse. Nel 992 Basilio II strinse un accordo con Venezia che si impegnò a pattugliare l’Adriatico in cambio di privilegi commerciali, poi si alleò con i Serbi perché impegnassero i Bulgari da ovest. Nel 996 egli pubblicò una legge che imponeva ai possessori di terra di esserne anche i proprietari: questa legge fu applicata con severità e alla fine i latifondi apparvero ridimensionati.


Ripresa delle guerre bulgare Nel 997 i Bulgari furono sconfitti e per qualche anno non ebbero la forza di insorgere, ma poi Samuele si fece proclamare zar dei Bulgari e avanzò in Dalmazia e in Bosnia, certamente per rifarsi in Occidente di ciò che aveva perduto in Oriente. Esisteva il pericolo che i Balcani divenissero bulgari. Basilio II agì con prontezza: il protettorato sulla Dalmazia fu affidato a Venezia il cui doge Giovanni Orseolo ricevette in moglie la principessa Maria Argiro. Samuele di Bulgaria fu costretto ad arretrare mediante una guerra spietata durata fino al 1019 con episodi di crudeltà inaudita: nel 1014 un intero esercito bulgaro di 14.000 soldati cadde in mano ai Bizantini che accecarono 99 uomini su 100. Quando Samuele vide giungere un’armata di ciechi ebbe un collasso e morì. Da quel momento la resistenza bulgara venne meno. Croazia e Serbia ebbero l’autogoverno, sotto controllo bizantino.


Furono conquistate anche le terre intorno al Mar Nero e perciò nel 1023 l’impero bizantino si era esteso dall’Azerbaigian all’Adriatico e per il momento sembrava che non ci fossero nemici in grado di metterlo in difficoltà. Eppure, i Selgiukidi in Oriente, e i Normanni in Occidente, si apprestavano a travolgere un impero solo apparentemente tornato alla potenza di un tempo. Il pericolo di smembramento feudale a vantaggio delle grandi famiglie di proprietari, paralizzate dal terrore, ma sempre pronte a rivalersi quando fosse giunto al trono un imperatore debole, si realizzò ben presto. Nel 1025 il vecchio imperatore Basilio II morì: non aveva figli perché non era sposato, e il fratello Costantino VIII aveva solo figlie. Così tramontò la grande dinastia macedone: l’impero andò incontro agli anni più difficili della sua storia, proprio quando iniziava la ripresa politica dell’Occidente.



10. 3 La fine dell’impero carolingio



Con la morte di Carlo il Calvo avvenuta nel 877, l’impero creato da Carlo Magno si può considerare dissolto. Il capitolare di Quierzy sanciva l’ereditarietà dei feudi maggiori: di fatto re e imperatori potevano contare solo sui mezzi finanziari e sui soldati reclutati sul territorio direttamente amministrato. A Carlo il Calvo successe il figlio Lodovico il Balbo, incapace di guidare una politica di vasto respiro.


L’Italia L’Italia si trovava in preda all’anarchia, perché Lamberto duca di Spoleto era in contrasto col papa Giovanni VIII suscitandogli contro ogni tipo di opposizione. Giovanni VIII era alle prese con i Saraceni, avvertiva il pericolo del conflitto religioso con l’Oriente, era consapevole della debolezza politica dell’Occidente: per tutti questi motivi volle compiere un viaggio in Francia per indurre Lodovico il Balbo a venire in Italia. Nell’879 Lodovico il Balbo morì. La guerra civile riprese tra i Carolingi: nell’881 Carlo il Grosso fu invitato a Roma da Giovanni VIII per cingere la corona imperiale. Il viaggio in Italia di Carlo il Grosso fu brevissimo perché si affrettò a tornare in Germania. Rimase in vita solo il figlio postumo di Lodovico il Balbo, Carlo il Semplice, troppo giovane per governare. Carlo il Grosso per breve tempo ricostituì l’impero già appartenuto a Carlo Magno, ma era incapace di arrestare le scorrerie normanne. Nell’884 i Vichinghi ottennero l’enorme somma 12.000 libbre d’argento a patto di dirigere i loro attacchi in Inghilterra invece che in Francia. Partiti i Vichinghi ricominciò la guerra civile.


La difesa di Parigi Nel novembre 885 i Vichinghi attaccarono Parigi, esigendo di proseguire lungo il corso superiore della Senna: il duca Eude rifiutò il transito e perciò i Vichinghi assediarono per alcuni mesi Parigi. Carlo il Grosso giunse fin nei pressi della città, ma in luogo di attaccare i Vichinghi preferì pagare un tributo permettendo che svernassero in Borgogna. In seguito Carlo il Grosso si ammalò, fu deposto e poco dopo morì. Divenne imperatore Arnolfo di Carinzia.


Arnolfo di Carinzia Anche i contemporanei si resero conto che la deposizione di Carlo il Grosso significava la fine dell’impero di Carlo Magno. Arnolfo di Carinzia non fu riconosciuto nel regno occidentale dove gli venne preferito Eude di Parigi, il valoroso difensore di Parigi. In Italia si disputarono la corona Berengario marchese del Friuli e Guido duca di Spoleto. La nascita di questi Stati in embrione non deve far pensare a incipiente nazionalismo, bensì a spartizioni tribali, perché solo l’appartenenza a un nucleo compatto guidato da un capo locale sembrava garanzia contro i nemici. Arnolfo di Carinzia riuscì a ottenere qualche promessa che equivaleva a un omaggio feudale. Nell’890 il papa Stefano VI mandò un pressante appello ad Arnolfo perché si trovava alle prese con Guido di Spoleto. Al papa Stefano VI, Guido di Spoleto chiedeva l’elezione a imperatore tanto che, nell’891, il riluttante pontefice fu costretto ad accondiscendere, morendo poco dopo. Il successore fu papa Formoso, che non vedeva con favore un imperatore italiano insediato accanto a sé. Egli perciò fece appello ad Arnolfo che nell’894 scese in Italia. Ben presto i duchi italiani passarono dalla parte di Arnolfo che però non andò oltre Piacenza. Guido poco dopo morì. Nell’895 il papa mandò un altro appello ad Arnolfo che giunse fino a Roma. Il figlio di Guido, Lamberto di Spoleto, organizzò la resistenza e quando Arnolfo si ammalò e fu costretto a tornare in Germania, prese accordi con Berengario marchese del Friuli al quale lasciò l’Italia a nord del Po, mentre teneva per sé il resto fino a Roma. Nell’896 anche papa Formoso morì. Gli successe Stefano VII, ostile al predecessore. Forse per incitamento di Lamberto di Spoleto, il papa Stefano VII ordinò un lugubre processo alla presenza del cadavere di Formoso che fu condannato e gettato nel Tevere. Tutti gli atti di quel pontificato furono annullati. La brutalità del provvedimento scatenò un’insurrezione che provocò la morte di Stefano VII: il caos a Roma durò alcuni mesi. Lamberto di Spoleto morì nell’898, senza lasciare eredi. Berengario poté impadronirsi del regno d’Italia, iniziando l’epoca del regno italico indipendente, perché privo di subordinazione nei confronti dei regni carolingi di Francia e di Germania.


Morte di Arnolfo di Carinzia Arnolfo morì nell’899 senza aver potuto compiere grandi cose. Egli lasciava un figlio, Lodovico il Fanciullo, che nel 900 fu proclamato re di Germania. Il feudalesimo si era affermato in modo pressoché completo e sembrava volesse escludere ogni dipendenza dal potere centrale.


Le scorrerie dei Magiari A partire dall’892 erano iniziate le scorrerie dei Magiari. Nel 911 morì l’ultimo Carolingio del ramo orientale, Lodovico il Fanciullo. Poche settimane dopo i nobili tedeschi elessero re di Germania Corrado di Franconia che tentò, senza successo, alcune spedizioni contro Carlo il Semplice, ultimo Carolingio del ramo occidentale. Corrado concluse il suo regno nel 918 consigliando l’elezione di Enrico duca di Sassonia come il più degno a succedergli.


Gli imperatori della casa di Sassonia L’elezione a re di Germania di Enrico duca di Sassonia, avvenuta nel 919, fece seguito a un accordo tra Franchi orientali e Sassoni, a patto che Enrico concedesse indipendenza pressoché completa al duca di Franconia: non si concepiva che Enrico potesse governare la Germania come aveva fatto Carlo Magno mediante funzionari. Inoltre, Baviera e Svevia rimanevano fuori dalla giurisdizione di Enrico I.


Enrico I Il nuovo re di Germania dovette imporsi ai Franchi occidentali per ottenere il riconoscimento della sovranità sulla Lorena. Per lo più si occupò delle terre di Sassonia e di Turingia per far fronte ai Danesi, posti a nord, e ai Vendi posti tra l’Elba e l’Oder, ma soprattutto per contrapporsi ai Magiari che erano preceduti da una fama paurosa.


Le scorrerie dei Magiari I Magiari attaccarono in Germania e in Italia nel 924, mettendo in fuga le popolazioni. Enrico I non aveva potuto elaborare alcun piano difensivo, limitandosi a chiudere il suo esercito in un campo trincerato. Per fortuna riuscì a catturare un importante capo magiaro: per restituirlo Enrico chiese il ritiro dei Magiari dalla Sassonia per nove anni, pur dichiarandosi disposto a pagare tributo. Enrico I fece buon uso della tregua per creare un sistema di fortezze e di città munite di mura. Le città tornarono così a divenire centri economici, militari, amministrativi e religiosi, oltre che rifugio dei contadini in tempi calamitosi. Il territorio strappato ai Vendi fu diviso in feudi militari affidati a funzionari (non feudatari) col compito di guidare azioni di disturbo nei confronti del nemico. Questi soldati alle dirette dipendenze di Enrico I divennero il nucleo del futuro esercito, ben addestrato, in grado di opporsi ai Magiari.


Ripresa delle scorrerie magiare Nel 933, terminata la tregua di nove anni, Enrico I interruppe il pagamento del tributo. Subito i Magiari invasero la Sassonia, ma questa volta Enrico I fu in grado di affrontarli in battaglie separate costringendoli a tornare umiliati alle basi di partenza. Nel 934 Enrico I chiuse i conti con i Danesi: entrò in Danimarca e costrinse Gorm il Vecchio a chiedere la pace accettando di ritirarsi a nord del fiume Eider che faceva da confine. Negli ultimi anni di vita Enrico I si dedicò agli affari religiosi. Nel 935 Enrico fu colpito da paralisi e nel 936 convocò a Erfurt una dieta per nominare re Ottone I. Enrico I fu uno statista prudente e lungimirante, un generale coraggioso senza essere avventato, attento a perseguire l’obiettivo politico della guerra.


Ottone I Ottone I aveva un carattere duro, certamente ambizioso perché si proponeva di estendere un dominio effettivo su tutta la Germania. A Erfurt, nel 936, volle che la cerimonia di incoronazione fosse solenne quasi a significare che le tribù tedesche si erano finalmente unite. Quando scoppiarono rivolte in Franconia, Baviera e Lorena, Ottone I iniziò la tradizione di concedere i ducati ribelli a membri della sua famiglia.


Ci furono difficoltà anche in Lorena da sempre unita alla monarchia dei Franchi occidentali. Ottone I condusse una campagna in Francia contro Luigi IV, terminata con una pace imposta dal legato pontificio nel 942. Dopo aver sistemato le questioni pendenti in Francia, Ottone I compì la sua prima spedizione in Italia, alla morte del re Lotario che aveva lasciato la moglie Adelaide erede del titolo. Subito Berengario di Ivrea si fece incoronare re d’Italia a Pavia nel 950, ma Ottone I riuscì a far valere l’antico legame tra Italia e Germania che dall’899 non era più stato ribadito. Berengario di Ivrea, per sfuggire a Ugo di Provenza che mirava alla corona d’Italia, si rifugiò in Svevia dichiarandosi vassallo di Ottone I. Nel 951 ad Aquisgrana fu decisa la discesa in Italia. A Pavia Ottone I cinse la corona ferrea e sposò Adelaide dalla quale ebbe Ottone II. In Germania, nel frattempo, c’era stata una preoccupante assemblea di notabili che preludeva a una sollevazione, e Ottone I fu costretto a tornarvi in fretta all’inizio del 952. Il suo luogotenente rimasto in Italia, Corrado duca di Lorena, in luogo di combattere le pretese di Berengario di Ivrea, patteggiò una spartizione del potere. Nel 952 presso Augusta fu celebrata una dieta alla presenza di rappresentanti di tutte le stirpi tedesche e di ambasciatori bizantini: Berengario di Ivrea e il figlio Adalberto giurarono fedeltà a Ottone I; il duca Enrico di Baviera fu ricompensato dei suoi servigi con le marche di Aquileia e di Verona, sottratte a Berengario. Poco dopo nacque Ottone II mentre infuriava la ribellione dei duchi di Svevia, Franconia e Baviera. I Magiari furono la salvezza per Ottone perché attaccarono il più forte dei vassalli ribelli, il duca di Baviera costringendolo a chiedere la pace.


La sconfitta dei Magiari Nel 955 i Magiari, inorgogliti dai successi dell’anno precedente, attaccarono in forze. La città di Augusta fu difesa dal vescovo Ulrico che ebbe l’ardire di tentare una sortita, seminando lo sconcerto tra gli attaccanti. Il giorno dopo, il 10 agosto, mentre il vescovo Ulrico sembrava rassegnato a subire il contrattacco, fu informato dell’arrivo di Ottone che accorreva alla guida delle forze tedesche. La battaglia, combattuta nei pressi del fiume Lech, si trasformò in una strage di Magiari.


Nel 960 il dominio di Ottone I sulla Germania appariva saldo. Sconfitti i Magiari, domati i Vendi, la Lorena in pace, Ottone appariva il più grande sovrano d’Europa, alla cui corte accorrevano ambasciatori russi e bizantini, saraceni e italiani. Interessante risultò l’ambasceria del 959 inviata dalla principessa di Kiev, Olga, divenuta cristiana due anni prima e desiderosa di ricevere missionari tedeschi. Un’altra ambasceria importante fu quella del papa Giovanni XII che si lamentava delle angherie di Berengario di Ivrea. Poiché l’Italia rientrava nei piani di Ottone I, accettò di calare in Italia per la seconda volta rimanendovi a lungo. A Roma Ottone I ottenne che l’arcivescovado di Magdeburgo avesse la dignità di sede metropolitana insieme con Merseburgo, due città poste sui confini orientali del regno dalle quali doveva partire una grande evangelizzazione degli Slavi. A Roma Ottone I fu incoronato dal papa Giovanni XII operando così la rinascita dell’Impero Romano d’Occidente (962). Nel 973 Ottone I morì dopo aver compiuto una duratura opera, ossia estendere il cristianesimo a nord e a est stabilendo le basi dell’espansione futura della Germania.


Ottone II Ottone II era già stato incoronato imperatore nel 967 e aveva sposato la principessa bizantina Teofano. I primi anni di Ottone II furono spesi per risolvere i problemi posti dalla Lorena e dalla Baviera. Poi dovette affrontare una dura guerra contro Boleslao di Boemia e contro Aroldo Denteazzurro di Danimarca. Boleslao di Boemia rese omaggio feudale all’imperatore nel 978 e un anno dopo anche il duca dei polacchi Miezsco si sottomise all’autorità imperiale. Nel 980 Ottone II passò le Alpi con la moglie e col figlio Ottone III di pochi mesi con l’intento di unificare la penisola, poiché la moglie aveva portato in dote Puglia e Calabria. Nel dicembre 983 l’imperatore Ottone II, dopo una sconfitta in Calabria che infranse i sogni di riunificazione d’Italia, morì a Roma: il figlio Ottone III aveva tre anni. Si aprì il problema della reggenza spartita tra Adelaide e Teofano. Nel 991 anche Teofano morì e Adelaide assunse tutta la difficile reggenza. Nel 994 Ottone III fu dichiarato maggiorenne e il suo primo desiderio fu di visitare l’Italia dove giunse nel 996.


Ottone III Il giovane imperatore aveva imparato dalla madre ad apprezzare il solenne cerimoniale greco disprezzando la rozzezza sassone. Egli sognava la renovatio imperii Romanorum e verso il 1000 visitò ad Aquisgrana la tomba di Carlo Magno. Fece eleggere al papato il cugino Brunone (Gregorio V) e Gerberto di Aurillac, il suo maestro che assunse il nome di Silvestro II, anche questo un nome non scelto a caso perché l’imperatore si atteggiava a nuovo Costantino. I Romani non furono molto grati a Ottone III per aver scelto la loro città come capitale: si sollevarono contro di lui e gli chiusero le porte in faccia. Nel 1002 il giovanissimo imperatore fu colto da un attacco di vaiolo di cui morì. A onta di tutti gli sforzi profusi dagli Ottoni, il particolarismo feudale aveva trionfato, e i sogni di rinnovamento dell’impero caddero insieme col più romantico degli imperatori di Sassonia.



10. 4 Cronologia essenziale



786-809 Califfato di Harun al-Rashid.


787 A Nicea viene celebrato un concilio ecumenico che proclama la liceità del culto delle immagini sacre.


864 Conversione dei Bulgari al cristianesimo.


867 Basilio I inizia il governo della dinastia Macedone.


892 Inizio delle scorrerie magiare in Europa durate oltre mezzo secolo.


936 Inizio del regno di Ottone I in Germania.


955 Con la sconfitta di Lechfeld i Magiari cessano le loro scorrerie.


973 Morte di Ottone I cui succede il figlio Ottone II.


976 Inizia il regno di Basilio II sotto il quale l’impero bizantino raggiunge la massima estensione ma a prezzo di tensioni sociali.


983 Morte dell’imperatore Ottone II; il figlio Ottone III ha solo tre anni rimanendo sotto la reggenza di Teofano e della nonna Adelaide.


1002 Morte di Ottone III.


1071 I Turchi Selgiukidi sconfiggono l’imperatore bizantino Romano Diogene presso Manzikert in Armenia.


1206 Le tribù mongole sono riunite sotto il potere di Gengiz Khan che inizia la grande conquista di Asia ed Europa.


1258 I Mongoli occupano Baghdad distruggendo la dinastia degli Abbasidi.



10. 5 Il documento storico



Il secolo X appare il più difficile della storia dell’Occidente, soprattutto sul piano della cultura: eppure anche in quell’epoca ci furono personaggi di notevole spicco, in particolare Rosvita, una donna di nobile condizione, monaca nel monastero di Gandersheim in Sassonia, che scrisse in lingua latina una serie di Dialoghi drammatici di estremo interesse. La storia raccontata in Dulcitius, il piccolo dramma da cui sono state tratte le scene che seguono, mette in luce una notevole capacità drammatica e uno spiccato senso dell’umorismo.



“Scena III. Nel cortile del palazzo. È notte


Dulcizio. Che cosa combinano le prigioniere a quest’ora di notte?


Soldati. Cantano inni.


Dulcizio. Accostiamoci


Soldati. Già da lontano sentiremo il suono delle loro voci argentine.


Dulcizio (aprendo una porta). State di guardia davanti alla porta con le lanterne; io entro a saziarmi dei tanto sospirati amplessi.


Soldati. Entra, ti aspetteremo.



Scena IV. Nella stanza dove sono rinchiuse le fanciulle


Agape. Cos’è questo chiasso davanti alla porta?


Irene. È quel miserabile di Dulcizio. Sta entrando.


Chionia. Che Dio ci protegga!


Agape. Così sia.


Chionia Che cosa significa questo fracasso di pentole, paioli e padelle?


Irene. Vado a spiare. (Guarda dalle fessure della porta) Ehi, venite qui, guardate dalle fessure!


Agape. Che c’è?


Irene. Ecco, quello sciocco è uscito di cervello e crede di godersi il nostro amore.


Agape. Che cosa fa?


Irene. Si stringe teneramente al petto le pentole, abbraccia le padelle e i paioli, li bacia dolcemente.


Chionia. Che scena buffa!


Irene. Ha viso, mani e vestiti così impiastricciati, imbrattati e intrisi di fuliggine da sembrare un Etiope.


Agape. Il diavolo lo possiede, è nero dentro: è giusto che appaia nero anche fuori.


Irene. Guarda, sta per uscire. Vediamo cosa faranno quando uscirà, i soldati che lo aspettano davanti alla porta.



Scena V Nel cortile del palazzo


Soldati. Ma chi è lì sulla porta? Un essre demoniaco. Forse è addirittura il diavolo. Battiamocela!


Dulcizio. Dove fuggite, soldati? Fermi, aspettate, guidatemi con le lanterne fino alla mia stanza.


Soldati. La voce è quella del nostro signore, ma l’aspetto è quello del diavolo. Sbrighiamoci a filare: quell’apparizione vuole perderci (Si danno alla fuga)


Dulcizio. (Rimasto solo) Andrò a palazzo a riferire ai grandi dignitari l’affronto subito. (Si dirige verso il portone)



Scena VI. Una scalinata di accesso a palazzo


Dulcizio. (Rivolgendosi ai custodi del portone) Guardie, fatemi entrare a palazzo: devo conferire in privato con l’imperatore.


Guardie. Cosa vuole questo mostro odioso e abominevole, ricoperto di stracci laceri e sozzi? Prendiamolo a pugni, buttiamolo giù dalle scale, non concediamogli mai più libero accesso. (Lo gettano dalla scalinata)


Dulcizio. Povero me! Che mi è capitato? Non si accorgono che indosso abiti preziosi, che sono tutto pulito e azzimato? E invece basta che uno mi scorga e non sopporta la mia vista, come se fossi un orrore. Tornerò da mia moglie per sapere che cosa mi hanno fatto. (Si dirige verso casa) Eccola. Sta uscendo con i capelli scarmigliati e tutti quelli di casa la seguono in lacrime”.



Fonte: ROSVITA, Dialoghi drammatici, Garzanti, Milano 1986, pp. 91-95.



10. 6 In biblioteca



La complessa e poco documentata storia del regno italico indipendente si può trovare nel libro di G. FASOLI, I re d’Italia, Sansoni, Firenze 1949. Per comprendere il problema della disgregazione dell’impero carolingio si può leggere di G. BARRACLOUGH, Il crogiolo d’Europa, Laterza, Bari 1978. Fondamentale per la conoscenza dell’età carolingia di H. FICHTENAU, L’impero carolingio, Laterza, Bari 1972. La storia della moneta voluta da Carlo Magno, il denaro, è raccontata in modo spiritoso da C.M. CIPOLLA, Le avventure della lira, il Mulino, Bologna 1975.