VIVI O MORTI ?

di Nicola Tornese. Morti dicono i Testimoni di Geova. Vivi afferma la Bibbia. Opuscolo n° 2 della Piccola Collana “I Testimoni di Geova”

NICOLA TORNESE


VIVI O MORTI ?


MORTI DICONO I TESTIMONI DI GEOVA.


VIVI AFFERMA LA BIBBIA


 OPUSCOLO N° 2 della PICCOLA COLLANA “I TESTIMONI DI GEOVA”


 


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Padre Nicola Tornese


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Astuta propaganda


Proprio in un giorno di grande dolore (Era morto quel giorno proprio in quel rione, un giovanetto di nome Mario. Aveva solo 16 anni.) ho visto un volantino fatto cadere da mano ignota nelle cassette di posta in arrivo. Ho preso e ho letto:


 


“Speranza dei morti. Che la speranza dell’uomo di vivere dopo la morte sia basata sul possesso di un’anima immortale è una credenza tanto antica quanto diffusa (…).


I suoi sostenitori rispondono che essi hanno la prova scritturale. Ma che cosa dice la Bibbia?


Per la Bibbia tanto l’uomo che gli animali inferiori sono anime ( Il volantino è illustrato come una vignetta in cui accanto all’uomo compaiono un asino, un bue e una pecora qualificati tutti come anime viventi.) e perché essi muoiono tutti, si deve dedurre che le anime muoiono. E questo è  esattamente ciò che la Bibbia inequivocabilmente dichiara: “L’anima che ha peccato, quella morrà” (Ezechiele 18, 4-20). “Ogni anima vivente morì nel mare (Apocalisse 16, 3)” (E’ una traduzione infelice e ingannevole).


Invece di essere basata sul possesso di un’anima immortale, la Bibbia mostra che la speranza dell’uomo è fondata sulla risurrezione”.


Vediamoci chiaro


La mano ignota è quella dei testimoni di Geova. Vengono di nascosto come un ladro (cf. Giovanni 3,20), per rubare la vostra fede, approfittando del vostro dolore. E dopo questo tentativo di furto, che cosa vi danno in cambio? Vi dicono che dopo la morte non si va in cielo, ma si fa la fine dei pesci che muoiono nel mare, o del cane, che termina la sua esistenza sotto una macchina mentre attraversa la strada.


 


a) Vi dicono che la speranza dell’uomo di vivere dopo la morte tanto antica quanto diffusa, in cui l’umanità ha creduto fin dalle sue origini e in ogni parte della terra, è sbagliata.


 


Si risponde: Com’è possibile che la stragrande maggioranza degli uomini, tra cui tantissime elette intelligenze, si sia completamente sbagliata? Non è detto nel Vangelo che il Verbo Eterno di Dio, vera Luce del mondo, illumina ogni uomo? (cf. Giovanni 1,9).


 


b) Vi dicono che i giudei presero la loro credenza nell’immortalità dell’anima dai vicini pagani.


Si risponde: Chi sono questi giudei? Non sono forse quelle stesse persone che, ispirate da Dio, hanno scritto la Bibbia? Anche se il contatto coi popoli vicini ha contribuito a conoscere meglio certe verità, dopo che queste verità sono state avallate dallo Spirito Santo, devono dirsi parte integrante della Bibbia.


 


c) Vi dicono: Il gran numero di quelli che si professano di essere cristiani ritengono similmente che la speranza dell’uomo nella vita futura sia basata sul suo possesso d’un anima che alla morte va in cielo, purgatorio o inferno.


Si risponde: Dunque tutti (e sono miliardi!) si sarebbero sbagliati? Come mai Gesù Cristo, che è la Verità (cf. Giovanni 14,6), avendo assicurato i suoi discepoli di essere presente in mezzo a loro fino alla fine del mondo (cf. Matteo 28,20), li ha poi abbandonati in balìa dell’errore? Come mai lo Spirito di verità (cf. Gv. 16,13), mandato dal Padre perché rimanesse sempre coi discepoli (cf. Gv.14,16), non ha avuto la capacità di intervenire in difesa della verità?


 


d) Vi dicono: gli scienziati non hanno potuto scoprire nessuna prova che l’uomo abbia un’anima immortale.


 


Si risponde: Che valore ha la prova degli scienziati a favore o contro una verità di fede? Non dicono i geovisti che bisogna seguire la Bibbia come unica guida? Che significa questo appello agli scienziati? Se l’appello geovista alla scienza fosse valido, noi potremmo dire  che non c’è futura risurrezione perché gli scienziati non hanno potuto scoprire nessuna prova che l’uomo debba risorgere!


Comunque, noi sappiamo che moltissimi scienziati di ieri, di oggi, di sempre, hanno creduto e credono, da veri cristiani, che la vita umana continua subito dopo la morte: la scienza, in cui erano e sono versatissimi, non ha scoperto nessuna prova contro la loro fede cristiana nella sopravvivenza dell’uomo. Ecco qualche nome: Biagio Pascal, Isacco Newton, Lazzaro Spallazzani,  Luigi Pasteur,  Gregorio Mendel,  Enrico Medi,   Antonino Zichichi, fisico vivente di fama mondiale, e tantissimi altri.


 


Aspetto la risurrezione dei morti


Certo, la Bibbia parla della futura risurrezione dei morti e i veri cristiani, sempre fedeli agli insegnamenti della Bibbia, professano questa verità, nutrono questa speranza da secoli, anzi da millenni, prima ancora che apparissero sulla terra i tdG. Nel Credo che noi recitiamo i tdG danno rinnegato, è detto: Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.


La vita d’oltretomba


La Bibbia, comunque, non parla solo di futura risurrezione: essa insegna anche in modo inequivocabile che l’uomo sopravvive alla morte. La nostra fine terrena non è come quella degli animali. Questo lo possono pensare e dire i tdG, non veri cristiani. Tra l’uomo e gli animali vi è un abisso incolmabile: Il Dio della Bibbia ha fatto l’uomo di poco inferiore agli angeli (Salmo 8,6).


Gli animali cessano di respirare e di esistere: muoiono per sempre. Non così l’uomo. Per lui cessare di respirare non significa cessare di esistere: Dopo la vita terrena, condizionata dalle presenti leggi biologiche, l’uomo continua a vivere in un nuovo stato di vita, seguita a suo tempo dalla risurrezione dei corpi.


Per evidenziare meglio la truffa geovista (perché d’una grande truffa si tratta), noi preferiamo parlare di vita d’oltretomba, di sopravvivenza dopo la morte, piuttosto che di immortalità dell’anima. Non già perché non vi sia nell’uomo una componente immortale, che sfugge cioè alla morte del corpo e che possiamo chiamare anima, ma solo perché tutta la truffa geovista è basata sui loro cavilli ed equivoci circa la parole “anima”.




PARTE PRIMA


 


L’INSEGNAMENTO DELL’ANTICO TESTAMENTO


 


La creazione dell’uomo


Analizziamo, prima di tutto, il racconto biblico della creazione dell’uomo. Questo aiuterà a capire meglio la dottrina biblica della sopravvivenza dell’uomo dopo la morte o, che è lo stesso, l’immortalità dell’anima.


 


“Allora Jahve Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle narici un alito di vita (neshamah); così l’uomo divenne un essere vivente (nefesh hayyâh)” (Genesi 2,7, Garofalo).


 


Spiegazione:


 


a) Tutti gli studiosi della Bibbia sono unanimi nel dire che l’autore sacro descrive qui due distinte operazioni divine: la prima riguarda la formazione del corpo senza vita; la seconda, l’origine della vita umana mediante l’aggiunta di un soffio divino (neshamah), causato direttamente da Dio.


La polvere del suolo plasmata da Dio è una figura inerte, cioè un corpo senza vita. Allora Jahve aggiunse al corpo senza vita il soffio divino. In virtù di questo nuovo elemento la figura inerte divenne nefesh hayyâh. “Qui si vuol dire che Javhe pose in quel corpo (soffiò) ciò che lo fece diventar vivo” (Salvatore Garofalo, La Sacra Bibbia, vol. I, commento a Genesi 2,7).


 


Il nefesh hayyâh equivale a figura umana plasmata più soffio divino. Schematicamente, il pensiero dell’autore sacro può essere espresso con la formula seguente:


 


polvere plasmata +


soffio divino          =


nefesh hayyâh.


 


Commenta la Bibbia di Salvatore Garofalo:


“Noi sappiamo che quanto fa vivo l’uomo è l’anima, sostanza spirituale. Che l’Autore voglia qui insegnare la presenza nell’uomo, di due elementi risulta dal confronto col verso 19, dove gli animali dono modellati dal suolo, ma non si parla a loro riguardo di un alito soffiato direttamente da Dio”.


 


b) L’espressione ebraica nefesh hayyâh, ossia il composto umano (polvere plasmata più soffio divino) può essere tradotta in vari modi. L’antica versione latina detta    Volgata traduce anima vivens; così pure alcune versioni in lingue moderate hanno “anima vivente”.


Ma qui “anima” vuol dire “persona”, ossia l’uomo tutto intero, l’essere vivente umano.(Così traducono quasi tutte le Bibbie moderne. Ne citiamo alcune: La sacra Bibbia di Salvatore Garofalo, La Bibbia Concordata, La TOB, La Bibbia di Gerusalemme, La Bibbia della CEI, La Bibbia Nuovissima versione dai testi originali, EP., La Sacra Bibbia in lingua moderna, La Revised Standard Version, La Sacra Bibbia a cura di Louis Pirot (francese) ecc.). Non vuol dire anima quale soffio divino o sostanza spirituale, com’è intesa abitualmente nel linguaggio corrente. Questi due significati di anima come parte spirituale e immortale dell’uomo e come persona sono distinti nel Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli.


I traduttori moderni, per maggior chiarezza e per evitare equivoci, preferiscono rendere il nefesh hayyâh con essere vivente, persona e simili. Se qualche traduttore usa ancora il termine anima per Genesi 2,7b, si premura di precisare che tale parola, in tal caso, va intesa nel senso di composto umano o persona, non come soffio divino o anima spirituale (La Sacra Bibbia a cura dell’Istituto Biblico, Roma, nota a Genesi 2,7 e a Ezechiele 18,4). Fanno eccezione i tdG che preferiscono giocare sempre sull’equivoco per turlupinare la gente.


Un imbroglio geovista


L’errore:  ” Per creare l’uomo,  prese Dio un’anima néfesh o psyché che svolazzava nei cieli invisibili come una farfalla e la imprigionò in un corpo umano (…). No: ma leggiamo ciò che nella sua propria Parola scritta il Creatore dice di essa: “E Geova Dio formava l’uomo dalla polvere della terra e gli soffiava nelle narici l’alito (neshamáh, ebraico) della vita, e l’uomo divenne un’anima (néfesc) vivente”. Così venne all’esistenza la prima ani,a umana” (tratto da “Cose nelle quali è impossibile che Dio menta” , pp. 139-140).


 


La verità: Per creare l’uomo, Dio non prese certamente una farfalla svolazzante nei cieli invisibili, ma aggiunse alla polvere plasmata il soffio di vita proveniente da Lui stesso. Questo soffio si può chiamare anima nel senso di elemento spirituale. Questa “anima” non è il nefesh.


Alla base dell’imbroglio geovista sta la confusione che essi volutamente fanno dei due significati, che la parola anima può avere: quello di soffio divino (neshamah) o elemento spirituale aggiunto al corpo; e quello di composto umano o essere vivente umano o persona (nefesh).


Il nefesh hayyâh non significa “anima” nel primo senso. Tradurlo “anima vivente” è una traduzione infelice, che si presta a tradire la Parola di Dio come fanno appunto i geovisti.


 


“La parola anima è usata per tradurre l’ebraico nefesh. La traduzione è infelice. L’ebraico nefesh non corrisponde al nostro concetto abituale di anima.


Il nefesh non è l’anima


Insistiamo nel dire che la parola ebraica nefesh non significa anima nel senso in cui questo vocabolo è usato ordinariamente nel linguaggio comune.


Secondo gli studi più accurati dei biblisti la parola ebraica nefesh può avere i seguenti significati:


1 – Essere vivente, uomo o animale, così come appare ai nostri sensi.


2 – Persona (uomo o donna), quando il nefesh è detto d’un essere vivente umano.


3 – Animale, quando il nefesh indica un essere vivente infraumano.


4 – Vita, sia umana che infraumana, secondo i casi, come risulta dal contesto.


5 – Tutti questi significati del nefesh possono essere espressi nelle nostre lingue coi pronomi corrispondenti io, tu, egli, ella, noi, voi, loro, essi, esso, essa, essi, esse.


I tdG, nella loro unica versione della Bibbia, quella autorizzata dalla setta, hanno deciso di usare sempre la parola anima per tradurre l’ebraico nefesh. Sulla testimonianza di tutti i grandi biblisti dobbiamo dire che la loro è una traduzione infelice.


 


Ecco un primo esempio di traduzione infelice:


 In Genesi 1, 20-21 sta scritto: “Dio disse: Le acque brulichino di un brulichio di esseri vivi (nefesh) … E così avvenne. Dio creò i grandi cetacei e tutti gli esseri vivi (nefesh) guizzanti di cui brulicano le acque, secondo la loro specie” (Garofalo). E’ ovvio che qui la Bibbia parla di pesci, non di anime.


Malgrado questo inequivocabile significato del testo biblico i tdG traducono:


 


 “E Dio proseguì dicendo: Brulichino le acque di un brulichio di anime viventi (nefesh)… E Dio creava i grandi mostri marini e ogni anima vivente (nefesh) che si muove, di cui le acque brulicano secondo la loro specie”.


 


In nessuna lingua moderna la parola anima indica un pesce, piccolo o grosso che sia; e neppure un animale selvatico o domestico, come per esempio la tigre, l’asino, il gatto, la pecora ecc. La traduzione geovista è sbagliata linguisticamente e concettualmente.


Perché lo fanno ?


La risposta non è difficile. Con la traduzione infelice della parola nefesh (anima anziché essere vivente) i geovisti preparano il terreno per convincere i meno accorti che l’anima muore, vale a dire che non vi è sopravvivenza per l’uomo subito dopo la morte. L’uomo farebbe la fine del cane. Si tratta evidentemente di un grossolano sofisma, ossia di un inganno.


Per scoprire l’inganno e il gravissimo errore antiscritturale basta ricordare ciò che abbiamo appena detto, vale a dire che secondo tutti i biblisti, che fanno autorità, l’ebraico nefesh non corrisponde al nostro concetto abituale di anima, quale componente spirituale e immortale dell’uomo.


 


Da ciò segue logicamente e sicuramente che la morte del nefesh non equivale alla morte dell’anima. Dalla morte dell’essere vivente umano, ossia della persona, non possiamo dedurre che l’uomo faccia la fine degli animali inferiori. La Bibbia non giustifica questa erronea deduzione.


Per illustrare: se uno dice: “Nella peste di Milano sono morte centomila anime”, non intende affatto dire che la vita di quei deceduti sia cessata completamente, in modo assoluto. Egli intende dire che quelle persone (anima = Persona) hanno perso la vita terrena. Che tutti quei morti vivano ancora nel loro Signore in attesa della risurrezione dei corpi il vero cristiano lo sa da numerosissime prove bibliche. Lo diremo in seguito dettagliatamente.


 


Norma pratica


Per scoprire l’inganno geovista suggeriamo la seguente norma:


Sempre che nella traduzione della Bibbia geovista o citazioni da essa, specie dall’Antico Testamento, trovate la parola “anima”, sostituitela con termini meglio corrispondenti al testo ebraico (nefesh) come “essere vivente”, “persona”, “uomo”, “animale” e simili, oppure coi relativi pronomi.


 


Attenendovi a questa norma, troverete il vero significato della Parola di Dio, scartando quello falso della propaganda geovista. Scoprirete pure quanto sia errata l’affermazione dei tdG che hanno scritto:


 


“Secondo più di sessanta dichiarazioni che si potrebbero citare dalle Scritture Ebraiche, l’anima umana non deve dirsi senza morte o a prova di morte. Essa deve essere mortale. (da “Cose nelle quali è impossibile che Dio menta” p.144).


 


Esempi di equivoci geovisti


1 – L’errore: “Per la Bibbia tanto l’uomo quanto gli animali inferiori sono anime, e perché essi muoiono, si deve dedurre che le anime muoiono. E questo è esattamente ciò che la Bibbia inequivocabilmente dichiara ‘L’anima che ha peccato, quella morirà ‘ ” (Ezechiele 18, 4.20)


 


La verità: Nel testo ebraico di Ezechiele 18, 4.20 non vi è anima ma nefesh. La traduzione esatta e fedele è la seguente: “Morirà la persona che pecca” (Garofalo). Qui non centra la morte dell’anima. Ezechiele voleva dire che la persona o uomo che pecca, non un suo discendente, sarà punito da Dio con la privazione della vita terrena. Ezechiele credeva nello Sceol, ossia nella sopravvivenza dell’uomo subito dopo la morte. (cf. Ezechiele 32, 17-32).


 


2 – L’errore: I tdG traducono Numeri 31,19: “Ognuno che ha ucciso un’anima …. Vi dovreste purificare”. Parimenti Giosuè 10,35: “E quel giorno votarono ogni anima alla distruzione”


 


La verità. E’ una traduzione infelice ed equivoca nell’uno e nell’altro caso, come in tantissimi altri. Sia in numeri 31,19, che in Giosuè 10,35 non si tratta di anime, ma di persone o nemici uccisi in guerra. Ad essi è stata tolta la vita terrena. Nulla si può ricavare contro la sopravvivenza dopo la morte. Gli Ebrei credevano che tutti i morti andavano nello Sceol.


 


3 – L’errore: “Genesi 2,7 “Geova Dio formava l’uomo dalla polvere della terra e gli soffiava nelle narici l’alito della vita, e l’uomo divenne un’anima vivente”. (Si noti che non vien detto che all’uomo fu data un’anima, ma che egli divenne un’anima, una persona vivente). (Il termine ebraico qui tradotto “anima” è nèphesh” (da Ragioniamo facendo uso delle Scritture, p.30)


 


La verità:


a)   – In Genesi 2,7 è detto che Dio ha prima formato l’uomo dalla polvere e poi soffiato l’alito di vita. Questi due elementi, cioè polvere plasmata e alito di vita (neshamah), hanno costituito l’uomo cioè il nefesh vivente, la persona umana. Sì,       alla polvere plasmata fu dato l’alito di vita o spirito o anima immortale.


 


b)   – Come abbiamo già detto, nefesh non significa anima, ma persona, essere vivente. Tradurre anima equivale a dare una traduzione infelice. Quasi tutte le traduzioni moderne della Bibbia traducino Genesi 2,7 con persona, essere vivente e simili. Fanno eccezione i tdG.


 


4 – L’errore  “Gen. 9,5: “Oltre a ciò, io richiederò il sangue delle vostre anime ( o “vite”; ebraico, da nèphesh)”. (Qui è detto che l’anima ha sangue)” (da Ragioniamo facendo uso delle Scritture p.30)


 


La verità:


Ripetiamo ancora una volta che qui si tratta di persona o essere vivente umano. Tanto più che nella seconda parte del versetto si specifica che Dio domanderà conto “dall’uomo”. Qui è detto che l’uomo, non l’anima, ha sangue.


 


5 – L’errore: “Giosuè 11,11 “Colpirono ogni anima (ebraico, nèphesh) ch’era in essa col taglio della spada”. (Si noti che l’anima può essere raggiunta dalla spada, per cui queste anime non potevano essere spiriti)” (da Ragioniamo facendo uso delle Scritture, p.30).


 


La verità:


Lo stesso imbroglio di prima, di sempre. L’anima che può essere raggiunta dalla spada è l’essere vivente, uomo o animale. Di questo parla il testo citato da Giosuè 11,11. Sì, queste anime, cioè questi esseri viventi, uomini o bestie, non sono puri spiriti. Ma da ciò non segue che Dio non abbia dato all’uomo, e a lui solo, un soffio vitale, uno spirito, un’anima spirituale e immortale, che non può essere raggiunta dalla spada (cfr. Matteo 10,28: Luca 12, 4-5, infra).


 


6 – L’errore:  “Lev. 24, 17-18: “Nel caso che un uomo colpisca mortalmente alcun’anima (ebraico nèphesh) del genere umano, dovrebbe essere messo a morte senza fallo. E chi colpisce mortalmente l’anima (ebraico nèphesh) di un animale domestico dovrebbe darne il compenso, anima per anima”. (Si noti la stessa parola ebraica per anima è usata sia per il genere umano che per gli animali)”.


 


La verità:


a)   – Si noti come i tdG, mediante un uso aberrante della Bibbia, degradono l’uomo a livello delle bestie. Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Genesi 1,27), i tdG lo fanno a immagine e somiglianza degli animali.


 


b)   – Sì, in ebraico la stessa parola nefesh è usata sia per il genere umano che per gli animali. Ma tale parola non significa anima. Il suo significato di base è quello di essere vivente. Stando così le cose, noi possiamo dire che sia l’uomo che l’anima sono esseri viventi, senza degradare l’uomo al livello delle bestie. L’animale è un nefesh o essere vivente di una specie radicalmente diversa da quella dell’uomo.


 


La fede degli antichi Ebrei


Gli antichi Ebrei credevano nella sopravvivenza dell’uomo subito dopo la morte.


Questa credenza era loro proprio fin dalle origini. Non l’avevano presa né dagli egizi, né dai babilonesi, né dai greci. Ci credevano prima ancora che conoscessero questi popoli.


a) Nei libri della Bibbia, nei quali sono ricordate le credenze più antiche degli Israeliti, si trovano spesso espressioni come queste: “I morti vanno in pace presso i loro padri”  (Genesi 15,15); “sono riuniti ai loro antenati” (Genesi 25, 8-9; 35,29; 49,33).


 


Questi modi di esprimersi non equivalevano a dire semplicemente che uno morisse, come erroneamente spiegano i tdG. No! Morire e riunirsi ai propri antenati indicavano due cose distinte. Di Abramo è detto: “Spirò e morì in felice canizie, vecchio e sazio di giorni, e si riunì ai suoi padri” (Genesi 25, 8-9). Si tratta di due affermazioni diverse: per lo scrittore ispirato una cosa era morire, e un’altra riunirsi ai propri padri.


 


E neppure significavano quelle espressioni che il defunto era seppellito nella tomba di famiglia. Abramo morì e fu sepolto in Palestina nella grotta di Macpela (Genesi 25,9) e lì rimase. I suoi antenati erano stati sepolti assai lontano, in Mesopotamia, a centinaia di chilometri di distanza, in una altra tomba. Eppure di lui la Bibbia dice che si riunì ai suoi padri. La riunione non avveniva dunque nello stesso sepolcro. L’autore sacro aveva in mente qualche altra cosa.


 


Parimenti di Davide è detto che “dopo avere servito i disegni di Dio, morì e di unì ai suoi padri e andò in corruzione” (Atti 13,46, Garofalo). Chi va in corruzione non si riunisce ai propri padri.


 


b) La Bibbia, dunque, distingue assai bene tra tomba o sepolcro di famiglia, dov’era deposto il corpo soggetto alla corruzione, e una regione dove si credeva che si radunassero tutti i viventi: “la casa dove si riunisce ogni vivente” (Giobbe 30,23): lo Sceol.


 


Nello Sceol le creature umane continuavano a vivere come ombre di ciò che erano stati in vita. Queste ombre erano chiamate Refaim (Giobbe 26,5):


La vita dei Refaim nello Sceol era concepita come in uno stato inconscio, un vagare nelle tenebre; come una forzata inattività, senza desideri né passioni. Ma tutto ciò solo in forte contrasto con quanto avviene sulla terra. (Qoèlet 9, 5-10).


 


Non era comunque una distruzione, un ritorno nel nulla, una perdita completa della energia vitale. Alcune volte i Refaim sono presentati in grande agitazione come quando accolgono con amaro sarcasmo il potente re di babilonia, che arriva in mezzo a loro (Isaia 14, 3-15; cf. Ezechiele 32, 17-32).


 


c) Gli antichi Israeliti credevano che i morti continuassero a vivere e potessero anche comunicare coi vivi. La Legge mosaica proibiva non solo di consultare gli spiriti, ma anche di evocare i morti: “Presso di te non si troverà (…) chi consulti gli spettri e gli spiriti familiari, chi interroghi i morti” (Deuteronomio 18, 10-11, Garofalo). Il comando divino riguarda sia gli spiriti sia i morti. Se esistono gli spiriti, devono avere un’esistenza anche i trapassati.


False spiegazioni


1 – L’errore: A parere dei tdG, non fu il defunto Samuele a parlare con Saul, ma uno spirito maligno, il diavolo.


 


La verità: Anche se fosse così, rimane la verità di fondo, vale a dire che dopo la morte l’uomo continua a vivere. Infatti lo spirito evocato risponde a Saul: “Domani, tu e i tuoi figli sarete con me!” (1 Samuele 28,19). E così fu. Saul e i suoi figli furono uccisi dai Filistei (cf, 1 Samuele 31,2) e non finirono nel  nulla, ma andarono a fare compagnia a Samuele!


 


2 – L’errore: “E’ impossibile parlare con i morti; i tentativi sono condannati come spiritismo”. Come prova citano Isaia 8,19; Deuteronomio 18, 10-12; 1 Cronache 10, 13-14.


 


La verità: Si tratta evidentemente di un tentativo d’inganno. La Parola di Dio non dice ciò che dicono i geovisti. Sia in Isaia 8,19 che in Deuteronomio 18, 10-12 non è questione di impossibilità di parlare coi morti, ma di illiceità. La Bibbia condanna tale pratica non perché impossibile, ma perché era considerata possibile ed offensiva alla maestà divina.


 


3 – L’errore: “Nel Salmo 146, 3-4 è detto: “Non confidate nei nobili, né nel figlio dell’uomo terreno, a cui non appartiene nessuna salvezza. Il suo spirito se ne esce, egli torna alla sua terra; in quel giorno periscono in effetti i suoi pensieri”. Quando l’uomo muore, il suo spirito “se ne esce”. Non esiste più”.


 


La verità: Il salmista consiglia di avere fiducia solo in Dio, non nei potenti di questa  terra. Infatti, tutti i progetti, le promesse, le garanzie anche dei potenti della terra sono fragili perché anche il potente muore. Qui nulla si dice di ciò che avviene o non avviene dopo la morte.


 


PARTE SECONDA


 


L’INSEGNAMENTO  DEL NUOVO TESTAMENTO


 


Alla scuola del Maestro Divino


La Bibbia, dunque, nella sua Prima Parte o Antico Testamento contiene numerose testimonianze attestanti la sopravvivenza dell’uomo subito dopo la morte. Tuttavia agli antichi Israeliti Dio non fece conoscere nella sua pienezza la dottrina circa il destino dell’uomo subito dopo la morte. Gesù ha portato a compimento questa prima rivelazione. Disse un giorno Gesù:


 


“Non crediate che io sia venuto per abolire la  Legge o Profeti: non sono venuto per abolire, ma per portare a compimento” (Matteo 5,17).


 


Da parte sua san Paolo insegna:


“Dopo avere Iddio, a più riprese e in modi parlato un tempo ai padri per il tramite dei profeti, ora, alla fine dei giorni, ha parlato a noi per il tramite di un Figlio” (Ebrei 1,2, Garofalo).


 


Obiettano i geovisti:


“La venuta di Gesù Cristo su questa terra non recò alcun cambiamento. Dio non cambia la sua personalità o le sue giuste norme. Mediante il suo profeta Malachia egli dichiarò: ‘Io sono Geova; non sono cambiato’ (Malachia 3,6)”.


 


Si risponde:


a) L’affermazione geovista è antiscritturale. La venuta di Gesù Cristo su questa terra ha recato molti cambiamenti. Se ciò non fosse vero, dovremmo annullare tutti gli scritti del Nuovo Testamento.


No, mediante Gesù Cristo Dio ha fatto nuove tutte le cose (cf. Apocalisse 21,5); “le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate delle nuove” (2 Cor. 5,17).


 


b) I tdG tentano di oscurare tanta bellezza biblica con la citazione di Malachia 3,6 strappato dal suo contesto. Dio, mediante il profeta Malachia voleva dire semplicemente che egli era sempre fedele alle sue promesse, anche se gli Israeliti si mostravano infedeli ai loro impegni verso di Lui. Questo significa che Dio in se stesso mai cambia. Ma le parole di Malachia non vogliono affatto dire che non possa cambiare ossia arricchirsi la conoscenza che noi abbiamo di Dio, della sua bontà, delle sue giuste norme ecc., se a Lui piace rivelarsi attraverso il tempo. Questo appunto Dio ha fatto mediante il Figlio.


 


c) Tra le cose che il figlio di dio ci ha fatto conoscere meglio vi è il destino dell’uomo subito dopo la morte. Gesù ha confermato con la sua autorità divina che, secondo la giusta norma o volontà di Dio, la fine dell’uomo non è come quella del cane, ma con l’ingresso gioioso del servo fedele nella Casa del Padre (cf. Matteo 25,21), oppure per chi volontariamente si è separato dall’Amore, come il rifiuto di essere ammessi nella gioia del Regno (cf. Luca 16,23).


 


Voi siete in grande errore (Mt. 22,29)


In una disputa coi sadducei, che negavano la risurrezione, Gesù rispose e disse più di quanto gli era stato chiesto:


“Voi siete in grande errore e non comprendete le Scritture né la potenza di Dio. Alla risurrezione infatti non si prende moglie né marito, ma si è come angeli in cielo. Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quel che vi è stato detto da Dio: ‘ Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe?’. Non è il Dio dei morti ma dei viventi” (Matteo 22, 29-32).


 


Due cose afferma Gesù assai chiaramente:


La prima riguarda la futura risurrezione. Contro i sadducei che la negavano, Gesù dichiara che i morti risorgeranno (cf. Giovanni 5, 28-29). La dichiarazione di Gesù va riferita alla risurrezione dei corpi alla fine del mondo.


 


La seconda è una esplicita affermazione della sopravvivenza dell’uomo subito dopo la morte o, che è lo stesso, dell’immortalità dell’anima.


 


Commenta La Sacra Bibbia di Salvatore Garofalo:


“Gesù cita le parole dette da Dio a Mosè dal roveto (Esodo 3,6) per provare l’immortalità dell’anima. Perché Dio sia Dio di qualche cosa o di qualcuno, la cosa o la persona devono esistere; d’altra parte, se Dio dopo la morte dei patriarchi, continua a dirsi loro Signore (io sono e non io ero) è segno che non li ha abbandonati alle tenebre dell’oltretomba (lo Sceol) e tanto meno alla distruzione completa, ma si riserva di glorificarli nel futuro, con la risurrezione del corpo perché l’uomo sia completo secondo natura”.


 


I tre patriarchi, dunque Abramo, Isacco, Giacobbe – secoli dopo la morte – sono raltà viventi, hanno un modo di essere che è vita.


 


Obiettano i geovisti: Gesù non intendeva dire che i tre patriarchi fossero anime viventi nell’oltretomba. Egli voleva solo far capire che, dopola sua morte, Dio “controlla le prospettive di vita futura dell’individuo. Spetta a Dio decidere se ridarà al deceduto lo spirito o forza vitale” (da “E’ questa vita tutto quello che c’è?”, p.52).


 


Si risponde:


a) Si tratta evidentemente d’una spiegazione superficiale, che va direttamente contro la Scrittura. In effetti, i deceduti conservano lo spirito o forza vitale (meglio anima) nella regione dei morti, che gli antichi israeliti chiamavano Sceol, ma Gesù chiamava  “seno di Abramo” (cf. Luca 16,22) o anche Ade (cf. Apocalisse 20,12), o cielo (cf. Matteo 5,12) o paradiso (Luca 23,43).


 


b) Inoltre Dio ha già deciso di dare il corpo risuscitato a tutti indistintamente.


 


“Perché verrà l’ora in cui tutti (greco pantes) coloro che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Giovanni 5, 28-29; Atti 24,15).


 


Apparvero Mosè ed Elia (Mt. 17,3)


E poi Gesù stesso ha dato una prova tangibile che i defunti sono realtà viventi, non semplici ricordi nella memoria di Dio. Basta ricordare il racconto della Trasfigurazione (cf. Matteo 17, 1-9); Luca 9, 28-36; Marco 9, 2-8; 2Pietro 1, 16-18).


Gesù fa vedere ad alcuni suoi discepoli due grandi personaggi dell’antichità. Uno di essi, Mosè, era vissuto e morto circa milletrecento anni prima di Gesù Cristo. L’altro Elia, visse e morì nel nono secolo sempre avanti Cristo.


Nella Trasfigurazione del Signore, Mosè ed Elia parlano con Gesù. I tre discepoli presenti alla scena sentono le loro voci, capiscono ciò che dicono ( Luca 9, 30-31). I due personaggi apparivano vivi e reali come Gesù col quale conversavano.


 


Obiettano i geovisti:  Si è trattato di un sogno. Infatti Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno (cf. Luca 9,32).


 


Si risponde:


a) Veramente il vangelo di Luca dice: “Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui” (Luca 9, 32). Alcuni decenni dopo Pietro ricordava questa visione e scriveva: “Siamo stati testimoni oculari della sua grandezza” (2 Pietro 1, 16-18).


 


b) Se si fosse trattato d’un sogno o di una allucinazione, non si capirebbe perché “Gesù, mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti” (Marco 9,9; cf. Matteo 17,9). Il Maestro non poteva ingannare i suoi discepoli facendo loro capire che avevano visto, mentre avevano sognato.


 


Dicono pure i tdG: Mosè ed Elia erano in cielo perché del numero dei 144.000


 


Si risponde: Dov’è scritto nella Bibbia che Mosè ed Elia erano di quel numero? E poi non è più vero che i privilegiati membri di quella classe cominciarono ad essere trasferiti in cielo solo nell’anno 1918 dopo Cristo? Come mai Mosè ed elia erano saliti lassù già dai tempi di Cristo?


 


Il ricco egoista e Lazzaro povero


Dopo la morte del corpo la vita umana non finisce come quella delle bestie. Le bestie dopo la morte non sono giudicate. Gli uomini, sì. Nella parabola del ricco egoista e di Lazzaro povero, Gesù ha puntualizzato ciò che attende gli uomini subito dopo la morte.


“C’era un uomo ricco, il quale vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno banchettava splendidamente. Un povero di nome Lazzaro, giaceva al portone di lui, coperto di ulcere e bramoso di sfamarsi con ciò che cadeva dalla tavola del ricco: ma perfino i cani venivano a leccargli le ulcere. Or accadde che il mendico morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Nell’ Ade fra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro nel seno di lui. Allora gridò: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere la punta di un dito nell’acqua per rinfrescarmi la lingua, perché spasimo in questa fiamma”. Ma Abramo disse: “Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro, similmente, imali; ora, invece qui egli è consolato e tu spasimi. Oltre a tutto ciò, fra voi e noi sta scavata una grande voragine, perché chiunque voglia di qui passare dalla vostra parte non lo possa, né di costì si venga a noi”” (Luca 16, 19-26, Garofalo)


 


La vera spiegazione:


Ricordiamo anzitutto che la parabola è un racconto immaginario e simbolico. Essa tuttavia serve a inculcare verità reali in una forma semplice e chiara perché siano recepite più facilmente dagli uditori. Nel cap.16 di san Luca, dov’è inserita questa parabola, Gesù intende dare una lezione sull’uso, buono e cattivo, delle ricchezze, e sulle conseguenze eterne secondo il giudizio di Dio, che conosce i cuori (verso 15).


 


In questo contesto Gesù insegna:


– Che i beni terreni usati egoisticamente attirano il castigo di Dio. I beni materiali appartengono a tutti e non sono un privilegio dei più furbi (Leggere le belle parole di Amos 8, 4-10; Luca 6,20; Giacomo 2,1-11).


 


– Che i sofferenti, gli ammalati, gli emarginati sono i prediletti di Dio.


 


– Che una ricompensa grande e senza fine sarà data subito dopo la morte a coloro  che hanno sofferto con fede e amore.


 


– Che una punizione atrocissima  ed eterna attende subito dopo la morte quelli che in questa vita hanno chiuso egoisticamente il cuore alla giustizia sociale e alla bontà.


 


Notate bene. Gesù pone il povero Lazzaro nel seno di Abramo, ossia riunito ai padri nella gioia di Dio, e il ricco tra i tormenti dell’inferno, ora al presente,  subito dopo la morte (Luca 16,23)


 


Una spiegazione falsa e settaria


Scrivono i tdG: “Considerate: E’ ragionevole o scritturale credere che un uomo sia nel tormento semplicemente perché  è ricco?”


 


Si risponde: Nella parabola il ricco è condannato non semplicemente perché era ricco, ma perché aveva chiuso egoisticamente il suo cuore alla necessità, cioè ai diritti altrui. La sua condanna è scritturale. In Luca 6, 24-25 Gesù dice: “Guai a voi ricchi, guai a voi sazi, perché avrete fame”.


 


Scrivono ancora: “E’ scritturale credere che uno sia benedetto con la vita celeste solo perché mendicante?”.


 


Si risponde: Di Lazzaro è detto che i cani venivano a leccargli le ulcere e li lasciava fare. Ma a lui neppure delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco era permesso sfamarsi. Era povero e buono. Di questi poveri Gesù dice: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Luca 6,20).


 


E ancora: “Considerate anche questo: Si trova l’inferno letteralmente a una tale distanza dal cielo che vi potreste fare un’effettiva conversazione?”.


 


La risposta: Poche righe prima (ivi, p.42) l’anonimo testimone di Geova afferma che Gesù pronunciava una parabola o illustrazione, cioè usava espressioni simboliche, non letterali. Ora lo stesso anonimo scrittore afferma che bisogna prendere le cose letteralmente.  Vi può essere serietà in chi cade in contraddizioni così stridenti? Affermare e insieme negare la stessa cosa?


 


Hanno pure detto: Nel ricco vanno identificati i farisei e la classe sacerdotale che non credettero a Gesù, e in ultima analisi gli ecclesiastici della cristianità, che non vogliono accettare oggi gli errori dei testimoni di Geova.


 


Si risponde: Secondo il contesto, cioè nel cap.16 di san Luca, Gesù condanna il cattivo uso delle ricchezze. Nel ricco egoista vanno identificati tutti coloro che sono attaccati egoisticamente al denaro e chiudono il cuore ai diritti degli altri. Tali ricchi egoisti possono appartenere a qualunque classe sociale. Ve ne possono essere anche tra le file dei tdG.


E’ poi contro la Scrittura affermare che i farisei e la classe sacerdotale rifiutarono l’insegnamento di Gesù. Sappiamo infatti dal libro degli Atti che folti gruppi di sacerdoti si sottomettevano l’uno dopo l’altro alla fede (Atti 6,21). Molti delle decine di migliaia convertiti al Vangelo, di cui parla san Giacomo (cf. Atti 21,20), erano certamente farisei; alcuni di essi presero parte al concilio di Gerusalemme (cf. Atti 15,5).


Questa è la verità contro l’errore e la calunnia dei tdG.


Il caso del buon ladrone   (Luca 23,40-43)


La verità: Luca, l’evangelista della misericordia divina, ci ha conservato le parole che Gesù morente disse al buon ladrone. Questi aveva rivolto a Gesù una preghiera: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Gli rispose: ‘In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso’” (Luca 23, 42-43). Con questa sua chiara risposta Gesù assicura che quella preghiera veniva esaudita: in quello stesso giorno, subito dopo la morte, sarebbero stati insieme in un nuovo modo di essere, in uno stato felice di vita: in paradiso.


 


Commenta la Bibbia di Salvatore Garofalo:


 


“Al tempo di Gesù, negli scritti non canonici, paradiso era usato sia nel significato generale di giardino recinto, sia per indicare il paradiso terrestre o una regione del cielo (cf. 2 Corinzi 12,4); Apocalisse 2,7) o luogo dove vanno le anime dopo la morte. Qui designa il luogo dove erano raccolte le anime dei giusti in attesa della redenzione e dove Gesù sarebbe disceso (cf. Atti 2, 24-31: 1 Pietro 3, 18-20 ecc.), in attesa del trionfo della risurrezione, al quale seguirà il definitivo ritorno in cielo”.


 


Dunque, quello stesso giorno, il corpo del ladrone sarebbe finito chissà dove. Eppure egli, il suo io spirituale e immortale, sarebbe sfuggito alla morte del corpo e avrebbe continuato a vivere con Cristo.


 


L’errore: Questa indubbia dichiarazione di Gesù sull’immortalità dell’anima crea una seria difficoltà ai tdG. Per superbia, spostano arbitrariamente la punteggiatura, cioè la virgola, e fanno dire a Gesù: “Veramente io ti dico oggi: Tu sarai con me in Paradiso”.


 


Questa spiegazione è sbagliata e da scartarsi:


a) Va notato anzitutto che nel testo originale di san Luca (testo critico), ricuperato scrupolosamente e scientificamente dai migliori studiosi della Bibbia, la virgola è posta prima e non dopo “oggi”. I tdG dicono che la loro traduzione della Bibbia  è una versione fedele del testo critico, di cui riconoscono sia l’autenticità che l’integrità generale. Vi sarebbero solo occasionali scostamenti. Nel caso di Luca 23, 42-43 hanno introdotto uno scostamento sostanziale al testo critico e hanno dato ai loro seguaci una infedele traduzione. Una cosa dicono ma un’altra fanno. Quanta ipocrisia!!!


 


b) In secondo luogo è risaputo che le espressioni Io ti dico, In verità ti dico e simili, senza determinazioni di tempo (come oggi), sono formule di stile biblico paragonabili alle altre Dice il Signore, Oracolo di Jahve ecc. Usandole, gli autori sacri vogliono mettere l’autorità di chi parla.


Nel caso presente, san Luca intende mettere in evidenza la maestà di Gesù. Benché apparentemente sconfitto, Egli parla da sovrano che distribuisce favori ed assegna posti a chi lui si rivolge. Gesù ha perciò usato la formula biblica abituale: Sono io a dirtelo! Te l’assicuro io! Senza aggiunta. Egli ha detto: “Io ti dico: oggi sarai con me in Paradiso” (Luca 22,43).


 


Obiettano i geovisti:  Quel giorno Gesù non andò in paradiso. Quindi non poteva promettere al ladrone di essere con lui in paradiso.


 


La risposta: Quel giorno Gesù “discese agli inferi”, ossia andò col suo spirito nell’Ade o regno dei defunti (cf. Atti 2,31) per annunciare la liberazione ai morti dell’antichità: “Cristo morto una volta per sempre per i peccati (…) per ricondurvi a Dio (…); in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1 Pietro 1, 18-19). Il buon ladrone era con Lui.