Tomismo e scolastica

…I Pontefici, che hanno patrocinato il tomismo, hanno ripetutamente insistito sulla distinzione fra la dottrina propria dell’Angelico e quella d’una scolastica generica …

S. TOMMASO DI FRONTE AL PENSIERO MODERNO – V


 


Tomismo e Scolastica


Ma non è ancora tutto, ci sembra: c’è ancora l’altra faccia della medaglia, il lato obiettivo, cioè delle carenze reali della scolastica e dello stesso tomismo storico. Infatti, e anzitutto, quale filosofia (e teologia) si è insegnata in tanti seminari e forse anche in non pochi istituti universitari superiori? Una dottrina eclettica e incolore, fatta di tesi e di definizioni astratte, senza problematica e senza mordente alcuno: nelle grandi università medioevali tutto era polemica e controversia, scuola contro scuola… Che vigore e quale convinzione può mai dare una simile formazione? Nessuna meraviglia, allora, che covi dappertutto ormai un malumore, un senso manifesto d’insoddisfazione, e ai manuali aridi e stantii, presentati da professori spesso incapaci e anch’essi poco convinti, si preferisca una letteratura più agile e moderna, di maggior rendimento (sembra) e di minore fatica (questo è certo). I Pontefici, che hanno patrocinato il tomismo, hanno ripetutamente insistito sulla distinzione fra la dottrina propria dell’Angelico e quella d’una scolastica generica, ma con scarso anzi scarsissimo frutto: quando, e questo in senso diametralmente opposto, non si prenda l’occasione per rivendicare l’eguale diritto a tutte le direzioni della scolastica di essere accolte sullo stesso piano del tomismo. Ma non saremmo obiettivi ed equanimi se parlassimo solo delle carenze speculative della scolastica antitomista, già giudicata dalla storia: bisogna riconoscere che anche il tomismo, la stessa scuola tomista, non ne va esente. Manca purtroppo ancora una storia critica del tomismo, del suo sviluppo, delle sue crisi e delle sue alterne vicende: a nostro avviso non sarà possibile, o sarà quanto mai precaria e difficile, un’autentica ripresa del tomismo fin quando non si faccia un po’ di lume su non pochi aspetti tutt’altro che chiari di questa storia, e non si riesca a separare il buon grano del tomismo essenziale dal troppo loglio infiltratosi nei lunghi secoli della scuola. Importanti cambiamenti di terminologia, collisioni dottrinali dovute a intemperanze o a ingenuità polemiche, volontà di sistema perseguita a ogni costo e sovrapposizioni razionalistiche di smaccata evidenza, dovevano sfociare a lungo andare in una denuncia che è avventato condannare in blocco da parte di chi non conosce san Tommaso, dovendo essere invece una richiesta di chiarificazione, ossia di netta distinzione fra le posizioni e gli atteggiamenti assunti dalla scuola tomista nella storia e l’autentico pensiero di san Tommaso. Parlando soprattutto di filosofia, si è nel diritto di chiedere questa distinzione e chiarificazione: spesso si tratta solo di una ‘difformità modale’ che non voleva intaccare il fondo dei problemi, ma non mancano slittamenti sul fondo ultimo dei problemi, di cui le stesse figure più rappresentative e più celebrate del tomismo non vanno esenti, e forse sono le maggiori responsabili. Qualcosa è in movimento da qualche tempo, in questo campo, ma gioverà a tutti accelerare i tempi poiché ormai troppo tempo è stato perduto, con gli effetti che si conoscono. Si avrà veramente il coraggio, anche qui, di mettere il dito sulla piaga? Poiché non è vero, come pretende Giovanni di san Tommaso, che il primo criterio per comprendere il pensiero dell’Angelico sia la fedeltà alla sua scuola, in quanto è proprio san Tommaso a insegnarci che in filosofia il criterio di autorità sta all’ultimo posto. Del pensiero di san Tommaso il primo vero garante è san Tommaso stesso con i suoi scritti autentici, studiati alla luce della critica storica e con riferimento alla problematica del tempo e delle fonti dirette e indirette alle quali egli s’ispira: tutto questo ha una importanza capitale e incomparabilmente superiore – per affermare il suo pensiero autentico – a quanto possono aver detto i suoi massimi commentatori quando si mostrano sprovvisti, come si può mostrare, di quei criteri indispensabili alla lettura e comprensione di qualsiasi classico. Può perciò essere, e torneremo fra poco su questa riflessione, che sia stata proprio la ‘scuola’ uno dei maggiori ostacoli alla comprensione e all’accettazione del tomismo: è un paradosso, ma non è il primo né l’unico nella vita dello spirito. C’è di più ancora, ci sembra, in questa barriera che si avventa contro 1’accettazione del tomismo come orientamento speculativo propugnato dal magistero ecclesiastico: è san Tommaso stesso che può fare ostacolo, coi limiti e coi difetti che presenta la sua opera, la quale, malgrado la sua riconosciuta grandezza, non poteva andare esente dai segni della contingenza di ogni opera umana. L’argomento merita di essere trattato con molta serenità e obiettività, in una sede più adatta e con tutti i mezzi più opportuni. Notiamo soltanto alcuni aspetti, così come ci possono essere venuti in mente nella ormai lunga e attenta frequenza delle sue opere: forse non sono i più importanti, ma possono servire ad avviare l’indagine. Anzitutto, quanto alla terminologia, p. es., san Tommaso è di una libertà vulcanica: raramente procede per tesi rigide o con termini fissi una volta per sempre, ma si tuffa nei ‘problemi’ con tutta l’energia creativa del suo spirito. Allora i termini son trascinati dall’impeto dell’idea e possono cambiare di volta in volta, oppure assumono sfumature nuove che possono mutare completamente la direzione del problema stesso. Soltanto lettori estremamente sensibili e attenti possono accorgersi, e così ripiegarsi con ostinato amore sui testi nell’avanzare della vita del Dottore Angelico e riviverne il mirabile dramma spirituale; gli altri preferiscono la via larga della terminologia generica e incolore. Si pensi, per dare un esempio, alla varietà di sensi (che nessun tomista ha ancora classificato) che ha nelle opere di san Tommaso il termine esse: eppure fra essi c’è un senso ben definito e di tal forza che costituisce l’asse speculativo di tutto il suo pensiero. E invece la tradizione tomistica che arriva imperterrita fino ai nostri giorni (e con nomi di gran calibro) ha sostituito allegramente quel termine di fuoco con quello sterilizzato di existentia, con la conseguenza, come fra poco diremo, di aver smarrito l’asse centrale del tomismo. Inoltre, quando san Tommaso modifica o cambia un’opinione precedente, raramente lo dice; e anche questo può generare incomprensioni e confusioni. Ancora, e questo ci sembra particolarmente grave e importante a un tempo, c’è tutto il problema del rapporto di san Tommaso con le fonti; l’Angelico è stato un instancabile ricercatore dei testi originali, come attestano, fra l’altro, i suoi commenti a Boezio, lo Pseudo-Dionigi, il De causis e soprattutto Aristotele. Ma si deve altrettanto riconoscere che spesso il significato che egli ne trae è tutto e soltanto suo, frutto della sua perspicacia e del balzo del suo ingegno, e quindi nuovo: così, per ritornare all’esempio appena accennato, egli riferisce il suo concetto di esse a Boezio, allo Pseudo-Dionigi, al De causis e allo stesso Aristotele, mentre in verità è una sua personale conquista che lo porta proprio alla grande matrice speculativa parmenidea, come e più di Hegel e di Heidegger. L’osservazione vale in particolare per i suoi rapporti con Aristotele, i quali nessuno può sognare di negare, ma sul significato dei quali c’è ancora molto da dire. Infatti o san Tommaso non ha avuto coscienza dell’effettiva originalità del proprio pensiero rispetto ad Aristotele, oppure per umiltà o per qualche ragione ce l’ha celato, e questo ha provocato lo slogan dell’aristotelismo tomista, quando invece si deve parlare di tomismo e basta. San Tommaso sta ad Aristotele come Hegel a Kant: non di più, forse di meno. Solo che Hegel comincia sia in Fenomenologia come in Enciclopedia con la critica a Kant: magari l’avesse fatto anche san Tommaso con Aristotele! Ecco quindi alcuni elementi che non ci sembrano del tutto impertinenti per prospettare quello che potrebbe essere lo spirito del ‘tomismo di domani’, del ‘tomismo essenziale’ raccomandato dalla Chiesa, ma che finora non è stato compreso dagli avversari e poco attuato dagli stessi difensori e discepoli. Confessiamo perciò candidamente che, sul piano pragmatico esistenziale, la situazione è tutt’altro che rosea per le sorti del tomismo, e ne abbiamo indicato ora alcuni motivi di non lieve gravità e preoccupazione, i quali esercitano sulle masse non preparate una facile e decisiva suggestione. Se possiamo (e dobbiamo) ammettere che le cose, quanto al tomismo, dalla pubblicazione della Aeterni Patris (4 agosto 1879) fino a oggi, non sono andate come dovevano andare e come i Papi speravano che andassero, non è affatto detto che tutto sia perduto e che perciò stesso causa Thomismi acta est. Le deficienze reali della scuola tomistica e quelle ammissibili (e ammesse) dello stesso tomismo non possono sminuire e tanto meno estinguere la scintilla di verità eterna scoperta da san Tommaso e articolata nelle linee maestre del suo pensiero. t questo uno dei valori più profondi dell’umanità, per cui appunto si dice che il tempo è galantuomo, che nell’inarrestabile opera di erosione della storia sopravvivono solo le conquiste essenziali, emergono solo i picchi e le vette dei monti eccelsi. Fra questi figura certamente san Tommaso, non meno di Parmenide, Democrito, Eraclito, Platone, Aristotele, Plotino, Proclo, Agostino, lo Pseudo-Dionigi, Boezio… per passare a Spinoza, Leibniz, Kant, Hegel: come pensatore, il suo posto è con loro. Glielo riconoscono anche gli storici più spregiudicati del pensiero moderno, molto più aperti, a questo riguardo, di tanti storici di ispirazione cattolica ma viziati dalle confusioni dianzi indicate (25).


(Continua)


Note:


(23) È alla luce di questa corrispondenza del plesso di essentia-existentia col Wille zur Macht che Heidegger fa la diagnosi del preteso ateismo di Nietzsche. Ma la formula è anzitutto un giudizio critico storico: Die Weise wie das Seiende im Ganzen, dessen ‘essentia’ der Wille zur Macht ist, existiert, seine ‘existentia’, ist die ewige Wiederkunft des Gleichen (Nietzsches Wort “Gott ist tot”, in Holzwege, Francoforte s. M. 1950, p. 219. Cfr pp. 223, 307, spec. 233). È lo spunto che ha dato l’avvio del suo opus maximum su Nietzsche del 1961. Sono convinto che lo studio di quest’opera, fatto in chiave tomistica, porterebbe allo sfrondamento essenziale dei sistemi e alla chiarificazione dell’ultimo fondamento della verità mediante il ‘passaggio’ dal plesso di ens all’Atto puro che è lo Ipsum esse subsistens. Vedi al riguardo: C. FABRO,Il trascendentale esistenziale e la riduzione al fondamento (La fine della metafisica e l’equivoco della teologia trascendentale), in Giornale critico della filosofia italiana, 52 (1973), pp. 469 ss.
(24) Ueberwindung der Metaphysik, in Vortrage und Aufsatze, Pfullingen 1954, p. 73. Sulla medesima linea di degenerazione del logo filosofico sta la logistica (Cfr Zur Seinsfrage, ed. cit., p. 13, Was heisst Denken?, Tubinga 1954, p. 10; Die Frage nach dem Ding, Tubinga 1962, p. 122) che Heidegger attribuisce soprattutto alla cultura angloamericana e ai paesi dove la tecnica tende a sopraffare lo spirito.
(25) Scrittori, p. es., di assoluta spregiudicatezza ai nostri giorni come W. KAUFMANN (Critique of Religion and Philosophy, New York 1961) e A. KOESTLER (The Act of Creation, New York 1964) non hanno nessuna difficoltà a riconoscerlo, come molti altri prima di loro.