San Nicolò Politi

Si ringrazia il sito: http://www.sannicola.tk/ dal quale la biografia seguente è tratto


Nicolò nacque nel 1117 nella città d’Adernò (oggi Adrano – Catania -)  presso nobile casato dei Politi. I genitori già avanti in età, dopo molte preghiere ed opere di carità, ottennero dal Signore questo unico figlio.


Già alla nascita,  dei segni straordinari furono testimoni della volontà di Dio; infatti, l’acqua con la quale fu lavato, appena nato, versata in terra, fece zampillare una tiepida sorgente.


Iniziò ad astenersi dal latte materno il mercoledì, il venerdì ed il sabato, ciò nonostante crebbe in salute e nella grazia di Dio.

Crebbe nell’affetto dei genitori, fu istruito alla dottrina cristiana, imparò a leggere e scrivere (in quegli anni in Adernò vi erano i Normanni e la cultura cristiana più diffusa nella zona era quella bizantina).


Nicolò crebbe in grazia di Dio e si avvicinò sempre più alla contemplazione dei misteri della passione di Cristo ed alla preghiera costante della Vergine Maria,  finché decise di consacrare la sua vita al Signore. Ancora fanciullo, con la sua fede, permise la conversione di molti e tale era la sua fiducia in Gesù che col segno della croce scacciava i lupi che assalivano gli ovili, sanava le pecore e, non ultimo, intercedeva per la guarigione dai malati e la liberazione dai demoni.


Iniziò la sua penitenza con preghiere e mortificazioni, finché,  nel giorno delle nozze imposte dai genitori, un Angelo del Signore lo esortò dicendo:


“Nicolò! Alzati e Seguimi. Ti mostrerò un luogo salutare di penitenza dove, se vorrai, potrai salvare la tua anima.”


Egli subito obbedì fuggendo dalla casa paterna.


Così a 17 anni iniziò la sua vita eremitica, fortificando il suo spirito in una grotta alle falde dell’Etna sita ad alcuni chilometri da Adernò, armato della fede in Cristo e di un bastone crociato,  rendendosi docile strumento dell’Eterno Amore (la tradizione riporta tale eremitaggio nella grotta d’Aspicuddu).


La famiglia di Nicolò non si diede pace e lo cercò a lungo, tanto che un giorno,  dopo tre anni dalla sua fuga, furono prossimi alla grotta dove dimorava. In tale circostanza un Angelo avvisò Nicola, consigliandolo di recarsi presso il monte Calanna in terra d’Alcara per fuggire la tentazione e perfezionare la  vocazione, promettendogli inoltre che quel luogo sarebbe stato la sua finale dimora.


Nicola s’incamminò, con la scorta miracolosa di un’aquila e abbandonato il paesaggio segnato dal vulcano giunse in una radura presso un bosco. In questo luogo il Demonio in veste di ricco mercante lo tentò.


Satana lo lusingò,  promettendogli ricchezza e piaceri terreni qualora egli l’avesse seguito, abbandonando i suoi propositi. Nicolò riconobbe in quel mercante il Tentatore dell’uomo e subito si pose in preghiera. Meditando le piaghe di Gesù innalzò la rustica croce e nel nome di Cristo Signore invocò di essere liberato da quella tentazione e subito il mercante svanì.


Lungo il cammino sostò presso l’abbazia basiliana sita a Maniace dove incontrò un giovane monaco, San Lorenzo da Frazzanò.


Lorenzo, che aveva pressappoco la stessa età di Nicolò, comprese la volontà del Cielo e con affetto fraterno indirizzò Nicola verso il Monastero di Santa Maria Del Rogato e la guida spirituale dell’abate padre Cusmano, il Teologo.


Il Santo eremita proseguì da Maniace il difficoltoso viaggio valicando i Nebrodi. Giunse così nel territorio della città d’Alcara (l’odierna Alcara Li Fusi – Messina ).


Discese lungo la vallata; passò il fiume “a piedi asciutti” (come narra la leggenda), seguì poi l’aquila sua amica risalendo lungo lo scosceso pendio verso il monte Calanna.


Stremato, giunto a metà della salita presso una zona caratterizzata da grandi massi, fu costretto a fermarsi. La calura e l’assenza d’acqua lungo la via non lo dissuasero dal compimento della volontà del Cielo. Pertanto con fiducia incrollabile invocò l’aiuto di Dio e non tardò dal Cielo il divino avviso di battere la roccia col bastone ed ottenerne acqua (quel luogo è ancor oggi detto Acqua Santa). Così Nicolò colpì col suo bastone cruciforme il masso che aveva innanzi e subito questo cominciò a trasudare acqua.


Poté pertanto riprendere il cammino inerpicandosi lungo il pendio. D’un tratto vide l’aquila posarsi su una roccia dalla forma singolare. Un luogo che avrebbe stretto il cuore in gola, si svelò ai suoi occhi: non una grotta ma un riparo, una spelonca, un rifugio di serpenti e vipere, la sua nuova ed ultima abitazione.


L’aquila s’allontanò e poco dopo ritornò portando con se mezzo pane fresco e fragrante che depose all’ingresso della nuova dimora di Nicolò.


Il mattino seguente, come indicatogli da Lorenzo, Nicola si recò presso il Monastero basiliano di Santa Maria del Rogato. Qui trovò la guida spirituale dell’abate teologo padre Cusmano e divenne monaco laico accettando il piccolo abito e la regola basiliana. Per il resto della sua vita, ogni sabato, si recò in questo monastero percorrendo un impervio tragitto per confessarsi e ricevere l’Eucaristia.


Per sette volte al giorno meditava la passione di Gesù e versava non poche lacrime al pensiero delle piaghe del Signore. Recitava i Salmi e pregava con infinito amore la Madonna, chiamandola “Immacolata Agnella”, donandole il suo cuore.


Sedava i desideri del cuore e del corpo con la penitenza e con i cilizi, flagellando il suo casto corpo, volgendo il suo spirito completamente a Dio. Si rese duttile alla mano di Dio divenendo l’immagine riflessa del Suo figlio, nostro Signore.


Soleva spesso levare al Cielo la preghiera:


 “O Padre, o Figlio, o Spirito Santo, accogli la mia preghiera, giacché mi trovo in questa solitudine e in te soltanto ho posto le mie speranze: quando sarò partito dalla vita, ti supplico, accogli la mia anima”.


Nel 1162 Nicola, trovandosi presso il Rogato, vide l’amico Lorenzo. Entrambi erano molto cambiati dal loro primo incontro, ma i loro sguardi erano rimasti quelli di un tempo.


I due amici trascorsero insieme quella santa giornata presso l’eremo del Calanna; Lorenzo rabbrividì vedendo l’orribile condizione in cui Nicola aveva vissuto tutti quegli anni e si stupì di come l’amico avesse fatto a sopravvivere così a lungo in quelle condizioni (nonostante anch’egli manifestasse segni straordinari e miracolosi di santità).


Pregarono e lodarono l’opera mirabile di Dio, cenarono con erbe, radici e col pane (stavolta intero) portato dall’aquila; infine, Lorenzo confidò all’amico (avendo avuta una rivelazione dal Cielo) che il 30 Dicembre di quell’anno egli sarebbe morto.


Al mattino del dì seguente si scambiarono l’abbraccio dell’addio, Lorenzo benedì Nicola e gli promise ancora un segno di saluto su questa terra.


Nicolò non comprese subito, ma il 30 dicembre, domenica, allorché alla sera la sua grotta fu inondata di luce soave e da un profumo di rose, capì che in quel momento l’Anima di Lorenzo saliva al Cielo e gli mandava l’ultimo saluto.


Sabato 12 agosto 1167 Nicolò, si recò come di solito al Rogato e poi rientrò alla sua grotta affaticato, esausto. Sentiva il suo spirito sempre pronto e disposto a soffrire, ma il corpo era infermo, si reggeva a stento. Pregò il Signore di liberarlo dai lacci che lo legavano alla vita terrena e di accoglierlo in Cielo. Poco dopo una voce angelica gli rivelò che, due giorni dopo la festa dell’Assunzione di Maria, la sua anima sarebbe salita in Cielo. Nicola ebbe il cuore colmo di gioia e, ringraziato il Signore, si preparò all’ora sospirata della liberazione da questo mondo.


Martedì 15 Agosto si recò al Rogato per l’ultima confessione e ricevere per l’ultima volta l’Ostia santa, si congedò da tutti i monaci raccomandandosi alle loro preghiere.


Nicolò confidò al Teologo Cusmano il giorno della propria morte e promise di ritornare al monastero.


Sulla via del ritorno, a poca distanza dalla sua dimora, fu spinto dalla debolezza a sostare sedendosi su un masso.


Passarono due donne dirette verso il paese d’Alcara, ciascuna delle quali portava un cesto pieno di frutta. Nicolò tese umilmente la mano chiedendo in nome di Dio la carità di un frutto.


La prima donna rifiutò con disprezzo e passò avanti, mentre la seconda gli presentò la cesta invitandolo a servirsi a sua scelta;  Nicolò, preso il frutto, invocò su di lei la benedizione del Cielo.


Entrambe le donne rincasarono, e accadde che quella avara trovò il cesto colmo di frutti marci, mentre la donna caritatevole trovò nel cesto coi frutti delle rose di rara bellezza e di profumo soave.


Il 16 agosto, vigilia del gran giorno, Nicolò ricevette l’ultima visita della fedele aquila che, dopo aver deposto il consueto pane miracoloso, si librò in alto e prima di scomparire in lontananza compì sulla grotta vari giri per dare l’ultimo saluto all’amico eremita. Nicolò si commosse per quel gesto e ringraziò e benedì quella creatura di Dio.


Per 50 anni fu come fiaccola ardente assiduo nella preghiera costante e nella penitenza, mantenendosi candido come un giglio e puro come acqua cristallina, nascosto al mondo come un tesoro preziosissimo e di inestimabile valore.


All’alba del 17 Agosto 1167, Nicolò, che aveva vegliato tutta la notte in preghiera, era nella grotta, inginocchiato, con la croce fra le braccia ed il libro delle orazioni aperto sulle mani, lo sguardo levato al cielo in estasi.


In tale atteggiamento, all’apparir del sole, un coro d’Angeli suonò per la vallata muovendo le campane d’Alcara e del Rogato. Proprio in quell’istante avvenne il sereno transito, l’Anima dolcissima di Nicolò si dislacciò dal gracile corpo e volò tra le braccia di Dio.


La popolazione alcarese udendo lo scampanio prodigioso e ignara dell’eremita d’Adrano, ritenne che presso qualcuno dei monasteri dei dintorni fosse accaduto uno straordinario evento. I cittadini si recarono pertanto al Monastero di Santa Maria del Rogato e dal Teologo Padre Cusmano seppero dell’esistenza di tal Beato Nicola dei Politi eremita e che probabilmente lo scampanio udito era l’annunzio della sua morte.


Si iniziò una novena di preghiere all’Assunta, Patrona del Paese. Proprio alla fine della novena, il 26 agosto, un nuovo annunzio giunse al popolo. Le campane suonarono nuovamente in maniera prodigiosa ed un pastore, Leone Rancuglia, precipitatosi in piazza liberò da ogni dubbio. Egli, cercando un bue che aveva smarrito, giunse davanti l’eremo del Santo. Vedendo il corpo di Nicolò, ignaro del suo trapasso gli rivolse alcune domande. Non udendo alcuna risposta e vedendolo immobile nella posizione genuflessa, Leone pensò che Nicolò dormisse e lo toccò col suo bastone per svegliarlo, ma istantaneamente il suo braccio rimase paralizzato.


Venne informato il padre Cusmano, e presto tutta la comunità, guidata da Leone, si recò all’eremo del Santo. Qui il pastore indicò il Sacro corpo ed immediatamente riebbe il braccio sanato.


Fu così che la città d’Alcara scoprì il Giglio del Calanna, e subito lo amò.


Dopo anni trascorsi da quel dì un gran miracolo accaduto il 10 maggio 1503 ad opera della sua intercessione ne accrebbe la fama e lo portarono alla canonizzazione nel 1507 ad opera di Papa Giulio II.


Le notizie corsero e giunsero in Adernò, ove il ricordo della prima sorgente miracolosa e del primo eremitaggio erano ancora vivi nei ricordi della gente.


Così gli abitanti di questa nobile città, perso un fanciullo tanti anni addietro, ritrovò il tesoro prezioso, il Santo concittadino.


Nell’anno 1926, infine, in accoglimento delle preghiere del popolo d’Adernò, l’ insigne reliquia (il capo) di Nicolò fu concessa alla città natia.


Gaetano Sorge