S. VINCENZO MARIA STRAMBI (1745-1824)

Questo discepolo di S. Paolo della Croce nacque a Civitavecchia 1′ 1-1-1745, da Giuseppe ed Eleonora Cori, farmacisti. Da bambino Vincenzo fu gracile, estremamente vivace, ma molto incline alla preghiera e all’amore verso i poveri, ai quali donava persino le proprie vesti. Sentendosi inclinato alla vita sacerdotale volle indossare molto presto la veste talare, felice di poter comunicare ai bambini del catechismo parrocchiale quanto imparava nelle scuole private.

Lo Strambi intraprese nel 1762 i regolari studi ecclesiastici nel seminario di Montefiascone. Nel 1764 apprese la sacra eloquenza nel Collegio Calasanziano di Roma; l’anno successivo la teologia nel convento domenicano di Santa Maria in Gradi a Viterbo, e quindi in quello di Santa Sabina a Roma. Benché fosse rimasto figlio unico, al padre aveva detto un giorno: “Io non voglio avere altra eredità che Gesù Crocifisso”. Prima che ricevesse il suddiaconato gli fu proposto un ottimo matrimonio. Vincenzo scrisse sotto un’immaginetta della Madonna: “Questa è la mia sposa”; e la mandò al padre senza aggiungere altro.

Il Santo fu ordinato sacerdote nel 1767 dal vescovo di Bagnoregio, che lo aveva già nominato rettore del suo seminario. Durante gli esercizi spirituali, fatti in preparazione alla sua ordinazione sacerdotale nel ritiro dei Passionisti di Monte Fogliano, ottenne da S. Paolo della Croce ( + 1775), benché cagionevole di salute, di abbracciare la sua regola. L’anno successivo entrò nel noviziato di Monte Argentario. Suo padre, a Civitavecchia, non sapeva darsi pace della risoluzione presa dal figlio, e giunse a incolparne il fondatore dei Passionisti, il quale gli scrisse: “Se Don Vincenzo non fosse stato più che costante, dalle nostre parole avrebbe preso motivo di scegliere un altro Istituto più mite e non il nostro… A procedere con giusto giudizio, dovrebbe sommamente rallegrarsi nel vedere che il Signore sceglie il suo figlio per farlo un gran santo”.

Fu profeta! Lo Strambi diventò subito la Regola vivente e l’amante del Crocifisso. Il fervore del suo noviziato andò crescendo ancora nei 32 anni trascorsi nel chiostro, che dedicò alle missioni popolari nell’Italia centrale e alla predicazione degli esercizi spirituali; all’insegnamento della teologia a Roma, nel ritiro dei SS. Giovanni e Paolo (1773-75); all’ufficio di Rettore e Provinciale (1775-84), di consultore provinciale e poi di consultore generale (1784-98), Nel 1786 diede alle stampe la vita del Fondatore del suo Ordine, di cui promosse la causa di beatificazione in qualità di postulatore; e nel 1790 l’opera Dei Tesori che abbiamo in Gesù Cristo. Tra tante occupazioni trovò pure il tempo di guidare alla perfezione la B. Anna Taigi, mistica Terziaria dell’Ordine Trinitario (+1837), la Ven. M. Luisa Maurizi, mistica mantellata servitana (+1831), la Ven. M. Adelaide Clotilde (+1802) e il suo consorte Carlo Emanuele IV di Sardegna (+1819) che rinunciò al trono e si fece gesuita dopo la morte della sposa. S. Gaspare del Bufalo (+1837) sali al sacerdozio, di cui si riteneva indegno, e fondò i Missionari del Preziosissimo Sangue, in seguito alle sue esortazioni. Quando l’ebbe compagno delle missioni al popolo egli, che pur era considerato uno dei migliori oratori del tempo, non si saziò mai di ammirarne l’abilità e l’efficacia del dire.

Una luce così splendente non poteva rimanere sotto il moggio. Nel 1801 Pio VII elesse l’intrepido operaio del Vangelo vescovo di Macerata e Tolentino: ufficio che accettò con riluttanza. Preso a modello S. Carlo Borromeo, appena giunse in sede riservò le prime cure ai poveri, ai malati e ai carcerati. Al popolo fece subito predicare le missioni; alle claustrali raccomandò la comunione frequente; al clero impose l’uso della veste talare, proibì la frequenza al teatro, raccomandò lo studio, la meditazione e la celebrazione quotidiana della Messa. Per i seminaristi costruì un nuovo edificio e lo dotò di una ben fornita biblioteca; compose un nuovo regolamento e pubblicò 2 libri di meditazioni. Il conferimento degli Ordini costituiva la sua principale sollecitudine. Diceva infatti: “Non è la quantità dei preti che santifica i popoli, ma il loro spirito-ecclesiastico. Ne voglio pochi, ma buoni”.

Del resto, costoro avevano solo da guardare come viveva il loro pastore, come pregava e si mortificava. In episcopio visse difatti come, in un romitorio, passionista fino al midollo. La sera si toglieva l’abito prelatizio per indossare quello religioso. A mezzanotte, mentre i suoi confratelli si alzavano per mattutino, egli si metteva per un’ora in orazione al finestrino del coretto di San Giovanni Battista. Intensificò l’uso dei cilici, delle discipline e delle croci armate di punte di ferro. Talvolta nelle discipline si piagava talmente il dorso da avere bisogno del medico per rimarginare le ferite. Alle meraviglie di costui, il Santo penitente si limitava a rispondere: “I peccati del popolo meritano bene qualche riparazione”. Attestò il Cardinale Pianetti: “Era tanto il suo zelo per la salute delle anime, che sarebbe disceso anche nell’inferno per estrarle di là”. Alle volontarie afflizioni si univano frequenti malattie, e soprattutto 2 ernie, che nessun cinto riusciva a sostenere.

Preoccupato del buon andamento della diocesi, durante le visite pastorali lo Strambi esaminava la condotta dei sacerdoti, faceva rispettare i giorni festivi, sorvegliava le scuole e l’insegnamento del catechismo, combatteva con rigore la bestemmia, la moda invereconda e la stampa cattiva. Accortosi che molte persone povere e anziane disertavano per vergogna l’istruzione religiosa, dispose che ogni giovedì nella cattedrale di Macerata e nella chiesa di Santa Maria di Tolentino si facesse il catechismo esclusivamente per loro. Al termine della riunione, ognuno dei partecipanti riceveva un “baiocco” e, nelle feste principali, “un grosso”.

Vero padre dei poveri, per i vecchi senza tetto il Santo fondò un ricovero. Per l’educazione delle ragazze più abbandonate chiamò a Macerata le Maestre Pie, e per la cura degli orfani ampliò il locale che i Somaschi avevano messo a loro disposizione. “I poveri sono i miei. padroni – soleva dire- ; io non sono che un loro economo; quando mi domandano elemosina, non fanno che chiedere il proprio”. Il Cardinale Pianetti depose nei processi: “Era così avido di soccorrere i poveri quanto può essere avido un avaro di accumulare denari”. Per aiutarne il maggior numero possibile, specialmente se occulti o vergognosi, non teneva carrozze, camminava a piedi, viveva poveramente, vestiva dimessamente, all’occorrenza vendeva oggetti preziosi e chiedeva insistentemente a lontani e a vicini elemosine. I signori di Macerata si vergognavano di avere “un vescovo pitocco”.

Quando lo Strambi nel 1804 dovette andare in esilio prima a Novara, ospite dei Barnabiti, e poi a Milano, ospite della famiglia Litta-Modignani, perché non aveva voluto prestare il giuramento di fedeltà a Napoleone 1, usurpatore delle terre della Chiesa, fu grande il dolore provato specialmente dai poveri perché sapevano di aver perduto il loro servo. Durante l’esilio al Santo non fu permesso di uscire dalla città, di comunicare con il Papa e di predicare nelle pubbliche chiese, ma egli esercitò ugualmente un proficuo apostolato consigliando, confessando e scrivendo opuscoli spirituali e lettere alle sue diocesi.

Soltanto nel 1814 lo Strambi poté fare ritorno tra il suo gregge. Per restaurare la disciplina ecclesiastica, un po’ scossa in seguito alla dominazione francese, riprese con zelo le cure pastorali, specialmente la predicazione catechetica al popolo. Nel 1815, che segnò il tramonto della stella napoleonica, preservò Macerata dalle devastazioni delle truppe di Gioacchino Murat, sconfitte a Tolentino da quelle austriache. Lo sfortunato generale con il Proclama di Rimini non era riuscito a convincere gli italiani a schierarsi sotto la sua bandiera.

Sentendosi ogni giorno sempre più aggravato dagli anni e dagli acciacchi, il Santo chiese più volte di essere esonerato dal governo pastorale. L’ottenne nel 1823 dal nuovo papa Leone XII, che lo chiamò con sé al Quirinale e lo fece suo consigliere. A chi gliene faceva le congratulazioni rispondeva sconsolato: ” Ah, poveretto me! Questo è un castigo per i miei peccati. Preghi perché in mezzo alla corte non prevarichi del tutto! ” Quando lasciò Macerata tutto il suo equipaggiamento consisteva in un sacco di libri e alcuni indumenti rappezzati. Il resto, compreso l’anello episcopale da cui non aveva mai avuto l’animo di separarsi, lo donò ai poveri che lo piangevano desolati.

Leone XII, subito dopo la sua incoronazione, era caduto gravemente malato. Lo Strambi incaricò Don Raffaele Natali, marchigiano, che abitava in casa della B. Anna Taigi, di sollecitare da lei preghiere per la salute del Papa. La mistica diede un’occhiata al misterioso sole che per 47 anni le brillò davanti agli occhi e mediante il quale Dio le manifestava quanto bramava sapere per il bene delle anime e della Chiesa, ed esclamò: “Il Papa non muore; Monsignore se ne andrà. A giorni sarà esposto in chiesa”.

Effettivamente lo Strambi, dopo aver conosciuto per rivelazione che Leone XII sarebbe vissuto ancora per oltre 5 anni, morì di apoplessia 1’1-1-1824 e fu sepolto a Roma nella basilica dei SS. Giovanni e Paolo. Pio XI lo beatificò il 26-4-1925 e Pio XII lo canonizzò l’11-6-1950. Le sue reliquie dal 1957 sono venerate a Macerata, nella chiesa di San Filippo.

 

 Sac. Guido Pettinati SSP,

I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 34-38. 

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