S. Patrizio

Quattro o cinque anni dopo la morte di S.Martino un ragazzo nel Galles viene fatto prigioniero ed è portato via dai pirati, come schiavo. Ha sedici anni e si chiama Patrizio. “Fui condotto in Irlanda in cattività con tante migliaia di altri uomini ” racconta in una delle due opere che ha lasciato, la Confessione . ” Dopo essere giunto in Irlanda, tutti i giorni custodivo le mandrie e spesso pregavo, nella giornata. Sempre più cresceva in me l’amore di Dio, e anche il timore del Suo Nome. La mia fede aumentava… Nelle foreste, sulle montagne, mi svegliavo prima dell’alba per pregare, sotto la neve, col gelo e la pioggia. Non badavo alle fatiche. Nessuna pigrizia mi incatenava, se oggi giudico bene. ” Per due volte sente un appello misterioso, mentre dorme; la prima volta una voce gli dice: “Andrai presto nella tua patria”, e una seconda volta:

” Ecco che il tuo vascello è pronto “.

Ma, continua Patrizio, “il mare era lontano; c’erano forse duecento miglia di distanza dal porto. Non vi ero mai stato e laggiù non conoscevo nessuno, ma decisi di fuggire e lasciai l’uomo presso cui ero stato sei anni “.

Dunque sei anni di servitù in quell’Irlanda che per lui era una terra sconosciuta; poiché era originario della Scozia, probabilmente di Dumbarton all’estuario della Clyde; intende tornare dalla sua famiglia e dai suoi genitori (suo padre era un diacono chiamato Calpornio, ci dice), verso l’anno 410, quando questo appello lo decide a fuggire. ” Per la forza di Dio percorsi la strada sotto la sua guida. Non avevo paura di niente, finché arrivai al porto. Il giorno stesso del mio arrivo un vascello era lì pronto a salpare”; ma il nocchiero a cui si rivolge lo respinge. Se ne va, pregando. ” E allora sentii qualcuno che mi gridava con tutte le sue forze, di dietro: “Vieni, presto: quella gente ti chiama”; tornai subito da loro e mi dissero: “Vieni, ti prendiamo sulla parola; fa’ amicizia con noi come ti piacerà”.” Dunque Patrizio si imbarca con questi sconosciuti, pagani con cui fa una traversata di tre giorni; poi il vascello approda, probabilmente in Gallia, ma il paese è deserto; è un luogo boscoso dove i naviganti, incapaci di orientarsi, girano in tondo senza trovare anima viva. “Per ventotto giorni ci muovemmo così in quel luogo deserto; alla fine ci mancò il cibo, e fummo attanagliati dalla fame. Un giorno il nocchiero mi disse: “Che cosa pretendi, cristiano? Che il tuo Dio sia grande e potente? Allora perché non preghi per noi che stiamo morendo di fame? Ormai non abbiamo più molte probabilità di vedere esseri umani”; e io risposi loro: “Convertitevi con tutto il vostro cuore al Signore Dio nostro, poiché nulla gli è impossibile; e oggi stesso vi può inviare viveri al punto di saziarvi; poiché ovunque ne ha in abbondanza”. E grazie a Dio la cosa avvenne. Ecco apparire una mandria di porci; ne uccisero molti, e restammo due giorni a nutrirci… E allora resero grazie a Dio, e io acquistai grande prestigio ai loro occhi… ”

Episodio tipico della foresta gallica, o diciamo già della foresta medievale, dove si portano a pascolare i porci e gli animali in genere; analogamente Patrizio un po’ più avanti parla del miele selvatico, che si raccoglie nella foresta celtica come si farà nei tempi successivi – e che egli d’altronde rifiuta, poiché quel miele era stato offerto agli idoli; eccolo nuovamente prigioniero, ma questa seconda cattività dura poco, due mesi al massimo. Finalmente Patrizio lascia per una seconda volta le rive dove lo ha portato il mare, e riesce a ritrovare quella della Gran Bretagna, la sua famiglia, i suoi genitori. Si colloca questo ritorno verso il 415; ha ventiquattro anni. Il suo racconto continua, con una visione che orienterà la sua vita: “Una notte vidi venire da me, dall’Irlanda, un uomo chiamato Vittorizio. Mi portava una quantità innumerevole di lettere, e in cima a una di esse lessi le parole: “Voci degli irlandesi”. E mentre leggevo ad alta voce l’inizio di quella lettera, mi pareva di sentire delle voci… che dicevano: “Ti preghiamo, santo giovane, di venire e di vivere ancora in mezzo a noi”; e io ne fui estremamente commosso, e non potei leggere oltre. E mi destai. Grazie a Dio, in capo a molti anni i loro desideri furono esauditi “.

Tanto che, nonostante gli sforzi dei suoi genitori per trattenerlo, Patrizio riparte. Con ogni probabilità si dirige verso la Gallia, per prepararsi all’apostolato a cui si sente ormai chiamato; verosimilmente vi risiede diciassette anni, dal 415 al 432. È anche probabile che abbia visitato i principali monasteri della Gallia, quello di Marmoutier presso Tours, forse quello di Lérins nel Mediterraneo. Ciò che è assolutamente certo è che risiedette più anni ad Auxerre, presso i due vescovi che si succedettero allora nella città, prima sant’Amatore e poi san Germano; in seguito fu ordinato vescovo, forse da san Germano, forse dal papa san Celestino; vescovo senza sede, itinerante (come si addice perfettamente al suo tipo di apostolato, e di santità, diremo tra parentesi). Nel 432 sbarca di nuovo in Irlanda, probabilmente nel luogo che oggi è chiamato Downpatrick, e dove nel nostro tempo gli è stata dedicata una statua .

Fu allora che cominciò veramente la storia dell’Irlanda. Il paese ha certamente un ricco passato, le cui origini si perdono nella notte dei tempi; resta tutto un mondo di enigmi e di mitologia iscritta nelle profondità del suolo, in quei labirinti sotterranei che l’archeologia moderna ha riscoperto; restano anche le vestigia sorprendenti di vasti recinti, muri di pietra a secco eretti sulle isole di Aran o sui pendii rocciosi della costa occidentale, dove sembrano altrettanti posti di guardia di fronte all’oceano; e leggende epiche e racconti fiabeschi sono le nostre fonti migliori intorno a questo mondo celtico, culla di tulio il nostro Occidente. Ma è con san Patrizio, con i primi semi del Verbo evangelico destinati a fruttare messi incredibili, che l’Irlanda si inserisce nella storia documentata; e ciò è dovuto in parte al fatto che san Patrizio, buon servitore del Verbo, le riveli la scrittura – quella comune e quella sacra. I celti rifiutavano la scrittura; rifiutavano ogni tradizione che non fosse orale, segnata dalla vita presente, dalla voce stessa del poeta o del narratore; è con la Bibbia che imparano a scrivere, e un manoscritto della Bibbia resta la più antica testimonianza di una civiltà originale, il Cathach.

Come Martino, Patrizio percorrerà infaticabilmente la contrada, e anche il suo apostolato sarà legato alla terra, al suolo stesso, e straordinariamente fecondo; è certo che dovette sostenere delle lotte, e il contrario sarebbe anormale; si rivolgeva a un popolo che aveva una sua profonda religiosità, in cui i druidi formavano una casta venerata; si narra che nell’antica Irlanda tre personaggi fossero particolarmente onorati: il re, il druido e il poeta. A più riprese Patrizio ebbe con i druidi conflitti che non furono soltanto verbali, poiché dice di essere stato gettalo in prigione parecchie volte. Resta il fatto unico nella storia dell’evangelizzazione: quest’ultima non conta nessun martire, in Irlanda; è dunque una differenza radicale rispetto ai popoli romani, greci ed ebraici; come le campagne galliche, anche quelle irlandesi si rivelano aperte alla fede cristiana. Patrizio parla la lingua del paese; ne conosce i costumi e gli usi; sa fare leva sulle credenze esistenti, per trasfigurarle; per lui il culto del sole simboleggia quello di Cristo, Sol invictus; il suo trionfo è il trifoglio che un giorno, alla Roccia di Cashel, presenta come un’immagine della Santa Trinità; in quel celebre sermone colma d’entusiasmo l’uditorio, al punto che il trifoglio diventa simbolo della fede e simbolo della stessa Irlanda. I celti sono abituati alle triadi: le loro forme di pensiero, le loro poesie spesso assomigliano a quelle strane figure in cui tre volti sono fusi in uno solo; Patrizio può fare accettare loro il Dio uno in tre persone, il Dio d’amore, di cui questo amore costituisce non solo un legame, ma l’unità reale; la bella poesia dello Scudo di san Patrizio testimonia le difficoltà vinte con un fervore e una fede ineguagliabili:


Sulla mia strada perigliosa,
io, Patrizio, il servo di Dio,
invoco dall’alto
l’amore del cherubino…
Oggi mi rizzo armato della forza dei cieli
la gloria del sole
il fulgore della luna
lo splendore del fuoco, la rapidità dell’alba
la velocità del vento
la profondità del mare
la corsa rapida della terra
la solidità della roccia.
Avanzo per la mia strada
con la forza di Dio come appoggio.


A immagine dei carmi dei bardi, Patrizio sgrana litanie che sembrano ritmare la sua marcia per la strada, quella che lo conduce attraverso l’Ulster, il Connaught, il Meath e Munster, la contea di Limerick – in breve, in tutta l’Irlanda dei monti, dei burroni, delle torbiere, dei campi di grano e dei pascoli, con probabili certami oratori, in mezzo a quelle popolazioni che amano parlare e discutere, e con un successo impressionante, in conclusione; ” attraverso il mio ministero il Signore ha avuto pietà di migliaia e migliaia di uomini ” scrive; e ancora: ” I figli degli scoti e le figlie dei re sono ora, agli occhi di tutti, monaci e vergini di Cristo”. Gli sono attribuite 365 consacrazioni di vescovi – numero che sembra un po’ esagerato -, ma ha realmente convertito l’intera isola, e tale conversione è stata durevole, come vedremo. Sicura è la fondazione, nel 445, del vescovato di Armagh, che comprende due monasteri; Patrizio vi nomina, come abate e vescovo al tempo stesso, il nipote che lo accompagna, san Mel.

Sarà una caratteristica dell’Irlanda: dall’inizio della sua evangelizzazione, i monasteri fioriscono, e occupano il posto che altrove è occupato dalla gerarchia ecclesiastica (vescovi assistiti dai preti secolari). La vita religiosa sarà fin dall’inizio contraddistinta da questo carattere monaslico; alcuni pensano che interi collegi di druidi avrebbero abbracciato il cristianesimo, e che in questo modo sarebbero sorti i conventi irlandesi, in futuro autentici vivai di santi. Così l’opposizione dei druidi non sarebbe stata quella immaginata da alcuni – un’ostilità dichiarata, una serie di lotte feroci.

Non si vede nulla di simile nell’apostolato di san Patrizio, che certo deve dispiegare lutto il suo zelo di evangelizzatore, ricorrere a tutte le sue risorse di teologo, nelle discussioni che lo oppongono ai pagani, ma che s’inserisce anche nei costumi e nelle tradizioni celtiche con una sorta di rispetto che gli consente di individuarvi gli addentellati per la rivelazione. Quando muore, nel 461, l’Irlanda è cristiana.

L’apostolato di san Martino era caratterizzato da miracoli che rendevano evidente la forza del Verbo; quello di san Patrizio pare fondarsi soprattutto sulla preghiera e sulla penitenza – le quali certo contraddistinguono ogni cristiano fervente, ma che Patrizio e i suoi successori portano a un grado sorprendente: la lezione del breviario del 17 marzo, giorno della festa di san Patrizio, assicura che egli “recitava ogni giorno l’intero salterio con le cantiche e gli inni, e vi aggiungeva duecento orazioni “. (Il salterio è il complesso dei centocinquanta salmi dell’ufficio liturgico, distribuiti nella settimana.) E si assicura che nei monasteri irlandesi la sua recita era quotidiana; si aggiungevano pratiche ascetiche: genuflessioni, prostrazioni, segni di croce, e anche quella posizione detta crosfigill, “vigile della croce”, ossia in piedi, con le braccia aperte in forma di croce, che i monaci tenevano per ore e ore, giorni interi, alcuni persino per anni, si dice, come san Coemgen (Kevin), l’eremita di Glendalough; si racconta che gli uccelli venissero a fare il nido nella mano di quella statua vivente.

Ciò caratterizza bene la spiritualità irlandese, quale si diffonde attraverso i monasteri creati sulla scia di san Patrizio: è degna dei vecchi racconti celtici in cui gli eroi moltiplicano i gabs, le scommesse insensate; è fervida e generosa, con un briciolo di esagerazione, legata alla natura, alla bellezza dei laghi e dei torrenti, ai canti degli uccelli, ai siti affascinanti dell’isola affacciata sull’oceano.


Come immaginare un monastero irlandese? Forse ce ne possiamo fare un’idea sulla base delle celle che permangono negli skelligs, isolotti battuti dal mare e dai venti e situati all’estremità della costa occidentale dell’Irlanda; oggi vi si vedono ancora rifugi di pietra a secco che probabilmente furono altrettante cappelle o casette per coloro che vi vivevano una vita insieme anacoretica e comunitaria; questi esordi della vita monastica in Irlanda sono forse paragonabili alle laure orientali, e, d’altra parte, a quelle caverne dei paesi della Loira che furono le abitazioni trogloditiche dei monaci contemporanei di san Martino. Il Gallarus oratory, ugualmente sulla costa occidentale, è un bell’esempio di grande cella di pietra a secco realizzata con una cura che raggiunge la perfezione, poiché le pietre sono disposte con tanta abilità che non vi è mai penetrata una goccia d’acqua; del resto in tutti i paesi celtici si ritrovano quelle costruzioni in pietra a secco che in Provenza si chiamano bories, e che sono tipiche di una civiltà che ignora il cemento o che forse non ne ha voluto sapere.

In ogni caso tali celle raggruppate erano raccolte intorno alla chiesa dove i monaci si ritrovavano per le ore canoniche: cinque volte al giorno, tre ogni notte. A queste ore di preghiera comune si aggiungeva la preghiera privata, basata soprattutto, come abbiamo visto, sulla recitazione dei salmi; in ogni capanna, come nelle casette dei certosini, il monaco aveva il suo letto, probabilmente di paglia e di pelli di animali, un cuscino di pietra coperto di paglia, un banco, una croce e un piccolo lume di midollo di canna alimentato da sego; è probabile che le celle più grandi, come l’oratorio di Gallarus, fossero refettori, oppure foresterie, forse, o ancora laboratori; infatti qui il lavoro manuale è molto importante e tutte le corporazioni dei mestieri sono rappresentate all’interno del monastero che vive come il feudo, in autarchia: muratori, fabbri, falegnami, orafi e cuochi, senza parlare dei tessitori e dei ciabattini, tutti operano per fornire alla comunità ciò che è necessario alla sua vita. Soprattutto c’è il laboratorio degli amanuensi, di cui si dovrà riparlare perché hanno lasciato al mondo un’eredità incomparabile.

Non pare che san Patrizio abbia dato ai suoi monaci una regola precisa (sarà questa l’opera di san Colombano), però ha certamente istituito la carica dell’abate incaricato di vegliare alla preghiera, alla regolarità della vita, alla santità di tutti, alla formazione dei più giovani, in ogni monastero. Ecco come è descritta la vita che questi monaci conducono in un monastero del VI secolo, quello che san Fintàn ha creato a Clonenagh nel 548: ” Lavoravano con le mani alla maniera degli eremiti, coltivavano la terra con una semplice zappa. Si rifiutavano di impiegare qualsiasi animale, anche una mucca; se si offriva loro un po’ di latte o di burro, declinavano l’offerta riangraziando… La comunità si nutriva solo di erbe selvatiche e di verdure, e l’acqua era la sua unica bevanda”; si aggiunge che lo stesso Fintàn nella sua vita non consumò altro che pane d’orzo secco, e acqua.

È poco dopo la morte di san Patrizio, verso il 487, che si menziona il primo monastero femminile, quello di santa Brigida a Kildare; si vota a Dio sotto l’egida di un vescovo chiamato Maccaglio, e poiché molti accorrono da lei, uomini e donne, ben presto fonda nella pianura della Liffey un monastero duplice, il primo di un genere che si moltiplicherà in tutti i paesi celtici. Santa Brigida resterà una delle patrone dell’Irlanda.

Meglio di un elenco, intrinsecamente fastidioso, una carta geografica potrebbe esprimere la straordinaria espansione di questa vita monastica che, a dire il vero, abbraccia tutta l’organizzazione ecclesiastica in senso proprio e impregna la vita religiosa dell’Irlanda stessa; però i principali monasteri devono essere menzionati; così quello di Clonmacnoise, fondato sulla riva sinistra dello Shannon, nella contea di Offaly, nel 548; il suo fondatore, Ciarano il giovane, si era formato in un monastero delle isole di Aran, Enda; il monastero sopravvive fino all’invasione dei danesi nel X secolo; si dice che ebbe un’influenza preponderante su quasi metà dell’Irlanda durante quattro o cinque secoli, e lo possono testimoniare i suoi resti tuttora impressionanti.

Ma ciò che soprattutto è straordinario e segna in maniera imperitura la cristianità dell’Irlanda è quel carattere itinerante che abbiamo già notato in san Martino, e che diventa vertiginoso con i monaci irlandesi; essi incarnano il tipo di una santità sempre in movimento, in espansione, che ha una capacità creativa illimitata, e che da origine a monasteri a ogni tappa del suo cammino.

Questa forza di espansione si manifesta dal VI secolo, poco più di cento anni dopo la predicazione di san Patrizio; uno dei primi di questi monaci pionieri è quel Colomba che, per non confonderlo col quasi omonimo Colombano, si chiama più volentieri Columcille; discende da una stirpe nobilissima, quella dei re di Leinsler, ed è il nipote del re di Tara; ma rinuncia a tutte le dignità terrene e, giovanissimo, entra nel monastero di Clonard, fondato da san Finniàn nella contea di Meath – quel monastero che nel VI secolo avrebbe contato oltre tremila monaci! A sua volta nel 546 fonda il monastero di Derry, in quella provincia settentrionale dell’Ulster che oggi è diventata tristemente famosa, e che non ha ancora potuto ritrovare la sua identità e libertà, nel nostro XX secolo; dieci anni dopo fonda il monastero di Durrow; poi quello famosissimo di Kelis; gli ultimi due monasteri sono oggi familiari agli eruditi, grazie ai bellissimi manoscritti che ci hanno lasciato; altri monasteri ancora sarebbero sorti per opera di Columcille; ma il più importante di tutti è quello fondato addirittura fuori dell’Irlanda, in Scozia, nell’isola di Iona.


Regine Pernoud,

I santi del medioevo, edizioni Rizzoli, Milano 1986, traduzione di Anna Marietti, pagg. 63-72