S. PIETRO NOLASCO (1189-1256)

Un giorno, come inizio della sua divina missione, si recò in Catalogna a visitare la celebre abbazia benedettina di Montserrat, ove fin da tempi antichissimi sorgeva un santuario mariano. Sciolse il voto che aveva fatto, e poi si diresse a Valenza ancora sotto la dominazione dei saraceni per consacrare la sua vita al riscatto dei cristiani. Per liberarne il più gran numero possibile questuò presso i suoi migliori amici. La sua opera fu criticata da molti, ma egli, senza perdersi di coraggio, non cessava di ripetere che bramava di essere caricato delle loro catene e di vendere se stesso pur di ridonare ad essi la sospirata libertà.

S. Pietro, della nobile
famiglia di Nolasco, nella Linguadoca (Francia), nacque verso il 1189 in un
borgo dell’antica diocesi di Saint-Papoul (Aude). Ricevette nella casa paterna
un’educazione conveniente alla sua condizione sociale e quando, a quindici
anni, rimase orfano di padre, visse sotto la tutela della madre. Un giorno
costei lo esortò a fare presto a sposarsi, ma il figlio le rispose che aveva
scelto Dio come parte della sua eredità.
In quel tempo nella Francia
meridionale imperversava la setta dei càtari o albigesi. Infetti di
manicheismo, ammettevano un Dio buono, creatore degli spiriti perfetti, e un
Dio malvagio, creatore delle cose terrene e imperfette. Condannavano il
matrimonio, l’uso delle carni e del latte; vietavano la venerazione delle
immagini; la costruzione di edifici sacri; rigettavano il magistero della
Chiesa e interpretavano la scrittura secondo il proprio capriccio.
Rappresentavano pure per la società un pericolo in quanto negavano ubbidienza
alle autorità terrene, proibivano i giuramenti, la guerra, la pena di morte,
ecc. L’apostolato di S. Domenico in mezzo a loro non fu decisivo perché si
erano cattivati l’animo dei signori favorendone la cupidigia. Innocenzo III fu
perciò costretto a bandire contro di loro una crociata (1209-1229), che ebbe
inizio sotto la guida di Simone di Montfort con un’estrema asprezza. Anche il
Nolasco si arruolò sotto la bandiera di lui, prese parte alla battaglia di
Muret, sulla Garonna, contro Raimondo VI di Tolosa, potente protettore degli
albigesi e il suo alleato, Pietro II d’Aragona, che vi trovò la morte. Il
figlio di costui, Giacomo, fu fatto prigioniero, ma siccome non aveva che
sedici anni, Simone pieno di compassione, lo affidò al Nolasco, che aveva
allora venticinque anni, perché lo conducesse in Spagna alla corte di Giacomo
I, re d’Aragona e ne avesse cura.
Al suo reale allievo il santo
s’industriò d’instillare, più con l’esempio che con le parole, la pietà verso
Dio, l’ubbidienza alla Chiesa e l’amor al prossimo. Visse lontano dai piaceri
della corte dedito alla preghiera, alla penitenza e alla meditazione della
Scrittura. Fu soprattutto di una grande liberalità verso i poveri. Per i
cristiani caduti nelle mani dei saraceni che dominavano gran parte della Spagna
fin dal secolo VIII, provò una tenera compassione onde prese la risoluzione di
sacrificare i suoi beni per liberarli dalla schiavitù degli infedeli.
Un giorno, come inizio della
sua divina missione, si recò in Catalogna a visitare la celebre abbazia
benedettina di Montserrat, ove fin da tempi antichissimi sorgeva un santuario
mariano. Sciolse il voto che aveva fatto, e poi si diresse a Valenza ancora
sotto la dominazione dei saraceni per consacrare la sua vita al riscatto dei
cristiani. Per liberarne il più gran numero possibile questuò presso i suoi
migliori amici. La sua opera fu criticata da molti, ma egli, senza perdersi di
coraggio, non cessava di ripetere che bramava di essere caricato delle loro
catene e di vendere se stesso pur di ridonare ad essi la sospirata libertà.
Quanto fosse accetto a Dio
quel suo desiderio lo comprese la notte del 1° agosto 1218, festa di S. Pietro
in Vincoli. Gli apparve difatti la Vergine per comunicargli quanto suo Figlio
gradiva la fondazione di una famiglia religiosa che si occupasse della
redenzione degli schiavi. Con il permesso del vescovo di Barcellona, Berengario
IV di Palau, cominciò subito a radunare attorno a sé una confraternita di
discepoli poiché il canone 13 del Concilio IV del Laterano (1215) vietava la
fondazione di nuovi ordini. Sotto la guida di S. Raimondo di Penafort, canonico
della cattedrale, e l’aiuto economico di Giacomo I, re d’Aragona,
l’associazione si consolidò così che il Nolasco fu in grado di ricevere con i
suoi primi compagni, nel 1223 o meglio ancora forse nel 1228, dalle mani del vescovo
e con l’approvazione orale di Onorio III, l’abito bianco e lo scapolare
dell’Ordine di Maria SS. della Mercede. La culla della nuova famiglia fu
l’ospedale di S. Eulalia che Giacomo I le aveva donato. Il re concesse pure a
quegli ardimentosi religiosi lo stemma d’Aragona che portano ancora con la
croce sull’abito bianco, simile a quello dei Domenicani.
I Mercedari, come i figli di
S. Domenico, adottarono la regola di S. Agostino, alla quale furono aggiunte
alcune semplici costituzioni. Il loro confessore S. Raimondo di Penafort
ottenne nel 1235, durante la sua permanenza presso la Curia romana, la conferma
dell’Ordine mediante una brevissima bolla di Gregorio IX. Il Nolasco stabilì
che non solo tutti i beni e le attività dell’Istituto fossero dedicate alla
liberazione e alla rieducazione morale degli schiavi, ma che “tutti i
religiosi, come figli di vera ubbidienza, fossero lietamente disposti in ogni
tempo a dare, se necessario, la propria vita, come Cristo la dette per
noi” e che ogni religioso assumesse l’obbligo con un voto di rimanere egli
stesso schiavo per liberare coloro che corressero pericolo di perdere la fede.
Il suo religioso più illustre S. Raimondo Nonnato (+1240), rimase in Algeria
prigioniero otto mesi per la redenzione degli schiavi e sopportò orribili
sevizie.
Il numero delle vocazioni non
tardò ad aumentare. Il santo le plasmò e le incitò a riscattare anche gli
schiavi dei regni non cristiani. Gli addetti a queste più difficili missioni
furono chiamati col nome di “redentori”. Nel corso delle due prime
spedizioni nei reami di Valenza e di Granada, occupate dai saraceni, Pietro
Nolasco liberò 400 schiavi. Nei trent’anni che diresse l’Ordine e lo diffuse in
Catalogna, Aragona, Valenza e nella Francia meridionale, egli si recò due volte
nell’Africa del nord dove i mori conducevano gli schiavi, e vi liberò 890
prigionieri anche con pericolo della vita. Ben presto si aggregarono
all’Ordine, come confratelli, famiglie e individui isolati che aiutavano il
santo con donazioni, raccogliendo elemosine e prestando cure e assistenza ai
liberati, agli infermi e ai pellegrini nelle infermerie dei conventi. Con gli
stessi intenti sorse nel 1265, per opera di S. Maria di Cervellón, il
second’Ordine femminile al quale fu imposta la clausura con la B. Marianna di
Gesù (+1624) in ottemperanza ai decreti del Concilio di Trento.
L’Ordine ebbe da principio un
carattere prevalentemente militare e, nel primo secolo di vita, quando i
cavalieri mercedari prendevano parte alla liberazione della Spagna dai
saraceni, fu retto da maestri generali laici. Dal 1317 a capo dell’Ordine fu
posto un sacerdote. Da allora ci fu la separazione dei preti dai cavalieri
laici. Il Nolasco nel 1248 si trovò a Siviglia con S. Ferdinando III, re di
Castiglia e di Leon, il quale con la conquista della città riuscì ad isolare i
mori nel regno, di Granada.
Quando S. Raimondo nel 1240
diede le dimissioni da Maestro Generale dei Domenicani, scrisse al suo
penitente di non imitarne l’esempio. Il fondatore dei Mercedari lo ascoltò
soltanto in parte perché ottenne che fosse eletto un vicario generale che lo
secondasse per le visite alle varie case e le altre cure del governo. Sollevato
in parte dalle sue occupazioni, egli poté darsi con rinnovato zelo ai più umili
ministeri della comunità. Provava una viva consolazione a distribuire elemosine
ai poveri alla porta del monastero perché poteva approfittare di quegl’incontri
per esortare tutti alla pazienza e all’amor di Dio. Avendo fatto voto di
verginità, conservò sempre una illibata castità. Praticò eroicamente la
pazienza, l’umiltà, l’astinenza. È tradizione che fosse frequentemente visitato
dall’angelo custode, dalla Vergine SS. e dal Signore stesso. Predisse a Giacomo
I che avrebbe preso ai mori il regno di Valenza, il che si verificò realmente tra
il 1231 e il 1238.
La fama delle imprese del
Nolasco giunse alla corte di S. Luigi IX, re di Francia, il quale manifestò il
desiderio di vederlo. Quando verso il 1243 egli fece un viaggio in Linguadoca,
il Nolasco andò a visitarlo. Il sovrano gli comunicò i suoi disegni per la
liberazione dei cristiani di Terra Santa; lo invitò a prendere parte alla
prossima crociata, ma mentre il nostro santo stava facendo i preparativi per la
partenza, fu colto da una grave malattia. Dovette limitare la sua cooperazione alla
preghiera e allo scambio di lettere.
Aggravandosi il male, volle
ricevere tutti i sacramenti. Chiamò quindi i suoi religiosi attorno al suo
letto e disse loro: “Ho due grazie da chiedervi: l’una che mi perdoniate
il cattivo esempio e la negligenza nel governo dell’Ordine; l’altra che
eleggiate al mio posto un generale perché possa morire con il merito
dell’ubbidienza”. Gli fu concessa l’ultima soddisfazione. Morì nella notte
del Natale 1256 dopo aver detto il versetto 9 del salmo 110: “Il Signore
mandò a riscattare il suo popolo”. Alessandro VII nel 1657 fece inserire
il nome di S. Pietro Nolasco nel Martirologio romano e il suo ufficio nel
Breviario universale, ma non fu mai canonizzato.
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Sac. Guido Pettinati SSP,

I Santi canonizzati del
giorno
, vol. 1, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 355-358.

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