S. PAOLO PRIMO EREMITA (228-341)

S. Girolamo ci dice che Paolo fu il primo eremita, l’autore anzi della vita monastica. Una fase iniziale di essa, invero, s’incontra già nell’ascetismo cristiano diffuso da vergini e continenti desiderosi di praticare nel mondo i consigli evangelici. A partire dal secolo III in alcuni individui si sviluppò l’aspirazione alla vita ascetica, che li spinse ad appartarsi in località lontane e deserte per vivere di erbe e di radici oppure dei prodotti di un piccolo orto. Per il loro isolamento questi penitenti e oranti venivano chiamati monaci, oppure anacoreti, e più tardi eremiti. Possono aver contribuito allo sviluppo dell’anacoretismo cristiano le frequenti persecuzioni, lo innate tendenze pessimistiche di certi individui, l’esempio di Gesù Cristo, ma soprattutto il desiderio di vivere in un ininterrotto contatto con Dio.

15 gennaio

Quello che sappiamo di S. Paolo di Tebe lo deduciamo dalla vita romanzata che di lui ci ha lasciato S. Girolamo. Il celebre bollandista, P. Ippolito Delehaye S.J., ne ha sostenuta con altri studiosi la storicità. Del resto, la festa di lui compare in antichi calendari sotto date diverse, per l’incertezza del giorno della sua morte, o di una traslazione delle sue reliquie.

S. Girolamo ci dice che Paolo fu il primo eremita, l’autore anzi della vita monastica. Una fase iniziale di essa, invero, s’incontra già nell’ascetismo cristiano diffuso da vergini e continenti desiderosi di praticare nel mondo i consigli evangelici. A partire dal secolo III in alcuni individui si sviluppò l’aspirazione alla vita ascetica, che li spinse ad appartarsi in località lontane e deserte per vivere di erbe e di radici oppure dei prodotti di un piccolo orto. Per il loro isolamento questi penitenti e oranti venivano chiamati monaci, oppure anacoreti, e più tardi eremiti. Possono aver contribuito allo sviluppo dell’anacoretismo cristiano le frequenti persecuzioni, lo innate tendenze pessimistiche di certi individui, l’esempio di Gesù Cristo, ma soprattutto il desiderio di vivere in un ininterrotto contatto con Dio. Tale forma di vita apparve in Egitto, nei deserti della Tebaide, nella valle della Nitria, nelle solitudini di Scete. Questo movimento fu iniziato da S. Paolo di Tebe e sviluppato specialmente da S. Antonio il Grande (251-356) il quale, però, organizzando la vita eremitica, le fece compiere il primo passo verso la monastica.

S. Paolo nacque da genitori molto ricchi nella bassa Tebaide. A quindici anni rimase orfano del padre e della madre che gli avevano fatto impartire un’educazione conveniente alla sua posizione sociale. Avendo soltanto una sorella più grande di lui e già sposata, si trovò improvvisamente a capo di una ricca proprietà. Nel 250 l’imperatore Decio scatenò una feroce persecuzione contro i cristiani. Paolo, diffidando delle proprie forze, si ritirò allora in una casa molto appartata della campagna per sfuggire alla violenza dei persecutori. Suo cognato, però, bramoso di entrare in possesso di tutte le sostanze di lui, concepì il malvagio disegno di consegnarlo agli idolatri. Quando il giovane ventiduenne ne giunse a conoscenza, preferendo la salvezza dell’anima alle ricchezze della terra, decise di abbandonare tutto piuttosto di mettersi inconsideratamente tra le mani dei nemici della fede. S’inoltrò quindi nella solitudine finché, giunto ai piedi di una montagna, trovò una caverna la cui entrata era chiusa da una pietra. Appena la rimosse, si presentò al suo sguardo un grande vestibolo formato dai rami incrociati di una palma, poco lontano dal quale zampillava una sorgente di acqua cristallina che si perdeva in terra. Osservando le pareti esterne della montagna, trovò resti di diverse capanne con incudini, martelli, mole e pinze.

Quel luogo evidentemente era già stato abitato da falsari di monete. Paolo lo considerò come la dimora preparatagli dalla Provvidenza. La palma infatti gli avrebbe dato il vitto e il vestito; l’acqua gli avrebbe permesso di coltivare un piccolo orto; il profondo silenzio del deserto avrebbe favorito la sua continua unione con Dio nella meditazione, nella preghiera e nella lettura della Bibbia. In seguito, con un continuo miracolo, il Signore gli mandò tutti i giorni per mezzo di un corvo un pezzo di pane. Un fatto simile viene descritto nel primo libro dei Re (1-6) riguardo al profeta Elia. Dopo che ebbe predetto una grande siccità, costui ricevette da Jahvé l’ordine di andare ad abitare nel torrente Cherit, di fronte al Giordano, dove i corvi gli portavano pane e carne la mattina e la sera.

Per Paolo quello straordinario genere di vita durò novant’anni. Egli aveva 113 anni quando S. Antonio, a novant’anni concepì l’idea che nessuno prima di lui avesse condotto la vita di un solitario perfetto nel deserto. Gli fu allora rivelato in sogno che, in luoghi molto remoti, viveva un solitario migliore di lui, e che doveva affrettarsi ad andare a rendergli visita. S. Antonio, malgrado l’avanzata età, si mise in viaggio di buon mattino. Dopo due giorni di marcia estenuante i due anacoreti s’incontrarono, si diedero il bacio di pace, e benché non si fossero mai visti prima si salutarono con il proprio nome.

Mentre s’intrattenevano in santi discorsi, e Antonio, più al corrente di quanto avveniva nell’impero romano, informava l’amico dei bisogni della Chiesa, continuamente esposta agli attacchi degli ariani, sopravvenne un corvo il quale depose ai loro piedi un pane intero. Allora Paolo disse al suo visitatore: “Ammira la bontà di Dio che ci ha mandato da mangiare. Sono sessant’anni che ricevo tutti i giorni, in questa maniera, la metà di un pane; al tuo arrivo il Signore ha raddoppiato la razione ai suoi soldati”. Essi presero cibo con azioni di grazie vicino ad una fontana e, dopo essersi cosi alquanto rifocillati, resero di nuovo, secondo la consuetudine, grazie a Dio, e passarono tutta la notte nelle lodi divine.

Sul far del giorno, Paolo, sentendo che la sua morte era prossima, ne avvertì Antonio e lo pregò di andare a prendere, per involgergli il suo corpo, il mantello che aveva ricevuto da Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto. Mentre era di ritorno, Antonio vide l’anima di Paolo salire al cielo fra schiere d’angeli, in compagnia dei profeti e degli apostoli. Giunto che fu alla cella di lui, lo trovò in ginocchio, con la testa alzata, le mani sollevate in alto, il corpo esanime; e mentre lo involgeva nel mantello e cantava inni e salmi, non avendo uno strumento per scavare la terra, ecco accorrere dal deserto due leoni, fermarsi vicino al corpo del santo vegliardo, e raspare a gara per terra con le loro zampe per fare una fossa capace di contenere un uomo. Dopo che si furono allontanati, Antonio seppellì in quel luogo il corpo di Paolo, lo ricoprì di terra, eresse sopra di esso un tumulo alla maniera dei cristiani, ma portò via con sé la tunica di Paolo, ch’egli stesso si era tessuta a mo’ di sporta con foglie di palma, e, finché visse, se ne rivestì nei giorni solenni di Pasqua e di Pentecoste.

S. Girolamo concluse la vita del primo eremita con una profonda considerazione. “Io domando, dice, a coloro, che non possono fare il conto dei loro beni, che costruiscono palazzi di marmo, che racchiudono in un solo monile di diamanti e di perle il prezzo di svariate eredità, cos’è mai mancato a questo vecchio spoglio di tutto? Voi bevete in coppe arricchite di pietre preziose, ed egli, con il concavo della mano estingueva la sua sete. Voi siete rivestiti di stoffe indorate, ed egli non ha avuto il più vile abito che voi potreste donare ad uno schiavo. Ma, per strano contrappasso, il paradiso è stato aperto a questo uomo tanto povero; voi, con la vostra magnificenza, sarete precipitati nelle fiamme eterne. Per quanto spoglio di tutto, ha conservata la veste candida di cui Gesù Cristo l’aveva rivestito nel battesimo; voi, con questi abiti sontuosi, l’avete perduta. Paolo, coperto soltanto di vile polvere, si leverà un giorno per risuscitare glorioso; queste tombe così lavorate e superbe, che vi racchiuderanno sulla terra, non v’impediranno di bruciare miserabilmente nell’inferno. Ve ne supplico, abbiate pietà di voi stessi, non portate almeno la vostra vanità più lontano della sepoltura. Chiunque siate che leggerete questo racconto, ve ne scongiuro, ricordatevi del peccatore Girolamo il quale, se Dio gliene lasciasse la scelta, preferirebbe immensamente di più la tunica di Paolo con i suoi meriti, alla porpora dei re con tutta la loro potenza”.

Il corpo di Paolo, scoperto verso la metà del secolo XII, fu portato a Costantinopoli e deposto nella chiesa della Vergine. La testa, separata dal corpo, fu traslata a Roma in un luogo rimasto sconosciuto. Dopo la presa di Costantinopoli da parte dei Latini (1204), un veneziano, Giacomo Lancellotti, ne fece trasportare le reliquie a Venezia nella chiesa di S. Girolamo (1240). I monaci di S. Paolo primo eremita, di vita contemplativa, fondati nel 1215 da Bartolomeo, vescovo di Cinque Chiese (Ungheria) a Pdtach sul monte S. Giacomo, ottennero una traslazione delle ossa del loro protettore da Venezia a Buda nel 1381.

Nel deserto arabico, dove la tradizione ha ritenuto fosse la cella di S. Paolo, sorse un grandioso monastero di fronte al Monte Sinai fondato, si dice, da Giustiniano. Esso comprende una grande torre di difesa, un ospizio per i pellegrini, il monastero e quattro chiese: in onore di S. Paolo con grande cupola e cripta naturale nella roccia, dove si conserva il sarcofago dell’eremita; di S. Michele, con dodici cupole; di S. Mercurio e della Vergine nella torre. Il monastero, abbandonato in seguito alle devastazioni dei beduini, fu riedificato e ripopolato verso la fine del secolo XVIII.

 Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 186-189.
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