S. ODILONE di CLUNY (962-1049)

Questo santo abate nacque in Alvernia (Francia), verso il 962, dalla nobile famiglia di Rerardo, signore di Mercoeur. Ancora in giovanissima età fu colpito da una specie di paralisi alle gambe, ma guarì in seguito al ricorso alla Vergine, alla quale fu sempre devotissimo. Molto presto Odilone fu aggregato al clero della chiesa di San Giuliano di Brioude; ma sentendosi attratto ad una vita di maggiore perfezione, decise, a 29 anni, di andarla a praticare nell’abbazia di Cluny (991), governata allora da S. Maiolo, che lo rivestì dell’abito monastico e ricevette la sua professione.

Molto rapidi dovettero essere i suoi progressi nella vita religiosa, molto brillanti dovettero apparire le sue doti agli occhi dell’Abate, se questi ritenne opportuno nominarlo suo coadiutore nel governo della celebre abbazia, fondata nel 910 da Guglielmo, duca di Aquitania, con a capo S. Bernone. Per impedire che il monastero potesse essere confiscato dall’autorità laica, il fondatore ne fece dono perpetuo a S. Pietro, mediante un atto legale deposto sulla tomba dell’Apostolo, in Vaticano. Qualsiasi affronto fatto al monastero s’intendeva fatto all’Apostolo medesimo, e traeva con sé la scomunica. Il monastero, esente dalla giurisdizione episcopale, godeva pienamente dei propri diritti pagando un lieve tributo al papa, come riconoscimento della proprietà apostolica. È qui che fu introdotta la riforma di Cluny, che rappresentò un ritorno al primitivo rigore della regola benedettina: silenzio continuo, confessione pubblica delle colpe, rigorose penitenze, molto lavoro manuale, il ripristino delle scuole, la pratica dell’ospitalità e delle elemosine.

Fu modificato il primitivo individualismo benedettino che faceva di ogni monastero un centro indipendente di vita religiosa, retto soltanto dall’abate. A Cluny, invece, all’abate generale o arciabate erano sottoposti tutti i priori che governavano le varie case e che egli eleggeva nelle visite canoniche e nella celebrazione dei capitoli. La riforma cluniacense per la sua salda unità fu accolta con favore e si propagò per tutta l’Europa cattolica.

I postulanti accorsero a schiere ed in soli 30 anni ben 278 carte di donazione furono deposte sull’altare della chiesa dell’abbazia che venne ad essere guida di una grande unione monastica o Congregazione. Al principio del secolo XII comprendeva circa 2.000 fra abbazie e priorati.

Cluny ebbe l’inestimabile fortuna di avere nei secoli X e XI una serie di abati santi, abili organizzatori e sovente di vita lunga: S. Oddone (926-942), che consolidò la riforma approvata da papa Giovanni XI (931); il B. Aimaro (942-965) e S. Maiolo (965-994), che la diffusero; S. Odilone (994-1048), che la difese per 56 anni. Monaco di grandi risorse e d’intensa attività, Odilone, quinto abate, consolidò la riforma e la estese fino alla Spagna, portando le case filiali da 37 a 65. Da ogni parte si faceva appello al suo zelo per la riforma dei monasteri, il che spiega i frequenti viaggi che fu costretto a intraprendere. I principi ebbero per lui la più grande venerazione, perché sotto la sua direzione Cluny cominciò ad esercitare un preponderante influsso da un capo all’altro dell’Europa.

Di grande austerità con sé stesso, Odilone nel suo governo si mostrò sempre con tutti di una tenerezza materna. Non mancarono confratelli intransigenti che gli rimproverarono l’eccessiva dolcezza. A costoro rispondeva con un sorriso: ”Preferisco essere punito per un eccesso di misericordia che di durezza!”. Ovunque esercitò il suo ministero, fu a tutti di edificazione con la sua grande umiltà. In uno dei suoi nove viaggi in Italia, si recò a Monte Cassino e, a motivo della grande venerazione che nutriva per S. Benedetto, volle baciare i piedi a tutti i religiosi residenti nell’abbazia madre.

Odilone dovette sostenere un’aspra lotta contro Burcardo, arcivescovo di Vienne, quando si recò a Cluny per conferire gli ordini, in difesa dell’indipendenza e dei privilegi della Congregazione monastica. Guazelino. vescovo di Màçon, lo citò per lo stesso motivo al concilio d’Anse (1025). Il santo abate mostrò le bolle ricevute da Gregorio V (998), ma siccome non furono prese in considerazione, allora appellò a Roma. La conferma dei privilegi venne da parte di Giovanni XIX (+1032) con una solenne riprensione per i vescovi pervicaci (1027), i quali ripresero per altro la lotta alla morte di Guazelino. Il sunnominato Papa doveva conservare per i Cluniacensi molta gratitudine perché, se non lo avessero messo sull’avviso di guardarsi dal riconoscere ai patriarchi bizantini il superbo titolo di “patriarchi ecumenici”, nella sua scarsa cultura ecclesiastica avrebbe commesso quell’errore.

Le solide amicizie, che Odilone contava alla corte papale, gli permisero di difendersi pure contro i feudatari che volevano appropriarsi dei beni cluniacensi. Per questi meriti egli fu salutato da Fulberto, fondatore della scuola di Chartres, “l’arcangelo dei monaci”. Le ricchezze dell’Ordine erano del resto patrimonio dei poveri. Odilone soccorse sempre tutte le miserie del prossimo. Durante la terribile carestia del 1006 egli si mostrò prodigo delle risorse della sua abbazia. Per soccorrere gli affamati si fece mendicante, ordinò la fusione dei vasi sacri, vendette gli ornamenti preziosi della sua chiesa, alienò la corona d’oro offertagli dall’imperatore S. Enrico II, suo amico, con gli altri 17.000 regali, al dire del cronista Udalrico, ricevuti in un solo anno dal medesimo.

Una quantità di donazioni affluirono a Cluny in seguito all’introduzione, il due novembre, della festa della Commemorazione dei fedeli defunti, istituita da Odilone per i suoi monaci, analogamente alla festa di tutti i Santi.

Nel secolo XV la pia pratica era già diffusa ovunque. Le offerte dei fedeli fatte in suffragio dei loro morti, un po’ alla volta resero ricchi e potenti i cluniacensi fino a causarne, con l’indebolimento della disciplina, il rapido tramonto, al sorgere nel secolo XII.

Odilone esplicò pure notevole attività nel campo politico. Amico e consigliere di papi, imperatori e prìncipi, durante le continue guerre del tempo seppe svolgere un’abile opera di mediazione tra il re di Francia, Roberto il Pio, e il ducato di Borgogna (1009), che voleva occupare; tra Corrado II il Salico e la città di Pavia (1027), che voleva punire con rappresaglie. La corrispondenza di Odilone dovette essere considerevole. A noi è giunto un frammento di una sua lettera indirizzata all’imperatore Enrico III al tempo del concilio di Sutri (1046), in cui pare che lo preghi di deporre i contendenti alla tiara, Gregorio VI e Benedetto IX, e di ristabilire i negozi ecclesiastici con la riunione dei rappresentanti della cristianità.

Odilone ha contribuito a fare stabilire la pace e la tregua di Dio con l’aiuto dell’imperatrice S. Adelaide, vedova di Ottone I, dell’imperatore S. Enrico II e di S. Stefano, re d’Ungheria. La “pace di Dio” aveva per oggetto la sottrazione alla violenza di soldati belligeranti, chierici, chiese, religiosi, monasteri, donne e fanciulli, mercanti e contadini con le rispettive dimore, con i raccolti e i bestiami. Essa non segnava per sé stessa una sosta delle frequenti e interminabili falde e guerre feudali. Nel 1027 il sinodo di Eine (Pirenei Orientali) per iniziativa di Odilone, a quanto pare, stabili che fossero sospese anche le azioni guerresche dal sabato sera al lunedì mattina tra l’Avvento e l’Epifania e dalla Settuagesima a tutta l’ottava di Pasqua. Tale sospensione passò alla storia con il nome di “tregua di Dio”, e doveva estendersi anche alle vendette o violenze private fra i cristiani per dare a tutti la possibilità di attendere ai propri affari senza essere ricercati né per debiti, né per delitti.

Animato da vero spirito di compunzione Odilone, quando pregava, piangeva. Un giorno andò in estasi e cadde a terra al canto del versetto del Te Deum: “Per salvare l’uomo non hai disdegnato il seno di una Vergine”. A ricordo dell’avvenimento i benedettini, quando lo cantano, s’inchinano profondamente.

Odilone era salito in tanta considerazione presso i suoi contemporanei che durante le competizioni per la successione di Burcardo (1033) all’arcivescovado di Lione, i suffraganei lo elessero loro metropolita e gli ottennero da Roma persino il pallio. Il Santo rifiutò energicamente l’episcopato, nonostante le insistenze di Giovanni XIX e di Benedetto IX (1044). Odilone volle invece compiere ancora un viaggio a Roma per pregare sulle tombe dei SS. Pietro e Paolo. I suoi ultimi anni furono contrassegnati da frequenti infermità. Appena si senti un po’ meglio intraprese l’ultima visita ai monasteri, ma affranto dall’età e dalle malattie si arrestò a Souvigny, dove morì la notte tra il 1048 e il 1049, dopo aver ricevuto i sacramenti disteso sopra un letto cosparso di cenere. Fu venerato subito dopo la morte. Clemente VI lo canonizzò nel 1345.


Sac. Guido Pettinati SSP.

I Santi canonizzati del giorno, vol. 1 Udine: ed. Segno, 1991, pp. 25-28.

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