S. LEONE IGNAZIO MANGIN e COMPAGNI (1857-1900)

Entrò nella Compagnia di Gesù il 5 novembre 1875 e partì per la Cina nel 1882 nel piccolo villaggio di Tchou-kia-ho. A motivo degli attacchi dei boxers vennero a rifugiarsi nel suo villagio molte altre persone. Gli abitanti opposero resistenza ai loro attacchi e li respinsero. Quando riuscirono ad entrare nel villaggio, i Padri Mangin e Denn riunirono le donne e i bambini nella chiesa. I boxers offrirono la salvezza a coloro che avrebbero rinunciato alla fede cristiana. Quando Padre Denn intonò il confiteor, e Padre Mangin pronunciò le parole dell'assoluzione i boxers iniziarono il massacro.

Alla fine del secolo XIX l'imperatore della Cina, Kouang-Siu, cercò d'introdurre grandi riforme tra il suo popolo rimasto fino allora refrattario all'influsso della civiltà moderna. Il partito conservatore, con a capo la vecchia imperatrice Tse-Hsi, gli si oppose tanto violentemente che fu costretto ad abdicare (1898). La riorganizzazione del governo, dell'esercito, della pubblica istruzione da lui voluta rimase lettera morta.
L'imperatrice, mal sopportando che le potenze europee avessero in Cina delle sfere d'influenza tanto vaste, nel maggio del 1900 ritenne giunto il momento di servirsi della società segreta dei "boxers" o "dei pugni patriottici", sorta per reagire contro le concessioni di territori nazionali a potenze straniere, per combattere gli europei.
Certi viceré, coscienti dell'assurdità del metodo, trattarono i boxers come dei banditi, altri, soprattutto nelle province vicine a Pechino, seguirono le direttive dell'imperatrice fino al punto di accordare ai boxers l'appoggio delle truppe regolari. Nelle loro stragi costoro ricercavano e massacravano di preferenza i missionari, i catechisti, le maestre di scuola, le battezzatrici, e uccidevano persino i bambini di pochi mesi per stroncare il cristianesimo dalle radici. I loro capi diffondevano proclami simili a questo: "I cristiani perturbano l'universo. Protetti dagli europei si mostrano arroganti, opprimono i deboli, insultano la dinastia, disprezzano le cose sacre e la vera dottrina. I loro capi costruiscono chiese sulle rovine delle nostre pagode, ingannano gl'ignoranti, pervertono la gioventù, strappano gli occhi ai fanciulli per farne filtri, avvelenano i pozzi. Popoli, sollevatevi! Non abbiate che un cuore ed un'anima sola per distruggere i diavoli d'occidente e annientare i cristiani. A partire da questo momento, voi, abitanti delle campagne, siete avvertiti che in qualunque villaggio si trovino dei cristiani, devono essere immediatamente espulsi e devono venire bruciate senza riguardo e senza eccezione le loro chiese e le loro case".
I Missionari, per impedire che le loro cristianità scomparissero interamente, si videro costretti a fortificarsi in alcuni villaggi con il consenso delle competenti autorità civili. Nei territori evangelizzati dai Gesuiti il periodo del terrore ebbe inizio con la strage di U-ì in cui perirono due francesi: il B. Remigiolsoré, nato a Bambecque, nella diocesi di Cambrai, il 22-1-1852, e il B. Modesto Andlauer, nato il 22-5-1847 a Rosheim, nella diocesi di Strasburgo.
I boxers di un grosso villaggio vicino a U-ì il 18-6-1900 penetrarono in detta città per esigere dal mandarino la liberazione dei loro compagni, imprigionati durante una repressione invernale. Avendo saputo che i due missionari europei si trovavano nella residenza, invece di ritirarsi dopo aver ottenuto la libertà per i loro prigionieri, decisero di rimanervi per ucciderli. Cominciarono ad aggirarsi intorno alla missione lanciando ogni tanto dei mattoni al di sopra del muro di cinta e bloccando ogni via di uscita. Il 19 giugno, a sera, la folla che circondava la residenza dei Gesuiti ingrossò talmente che il catechista e il portinaio, vedendo inutile qualsiasi opposizione, si salvarono scavalcando il muro. I due missionari invece attesero la palma del martirio in cappella, inginocchiati davanti all'altare. Là furono massacrati dai boxers a colpi di lancia. Le loro teste più tardi furono esposte alle porte della città.
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Alla notizia del massacro dei Gesuiti di U-ì, tanti cristiani si rifugiarono nel villaggio fortificato di Tchou-Kia-ho, pronti a difendersi con le armi. L'organizzatore della resistenza fu il B. Leone Ignazio Mangin.
Costui nacque, ultimo di una famiglia di undici figli, a Verny, nei pressi di Metz (Francia), il 30-7-1857. Fece i primi studi nel pensionato diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane a Beauregard, e quindi nel collegio di San Clemente di Metz, diretto dai Gesuiti, quando suo padre si trasferì a Sedan ( 1867). Con l'espulsione dei Gesuiti da Metz da parte dei tedeschi (1872), il beato trascorse tre anni nel loro collegio di Amiens. Sempre allegro e dinamico, era molto amato dai compagni. Essi rimasero sorpresi quando seppero che era entrato nel noviziato dei Gesuiti a St.-Acheul ( 1875). Dopo gli studi letterari e filosofici compiuti a Lovanio, fu mandato a trascorrere un periodo di pratica didattica nel collegio di San Gervasio di Liegi. Nel 1882 il Provinciale gli propose bruscamente di partire per la Cina. Il Mangin in principio rimase un po' costernato, ma poi accettò. A Tien-Tsin egli studiò la teologia e la lingua cinese per quattro anni.
Quando fu ordinato sacerdote (1886), aveva ventinove anni. Suo primo posto di apostolato fu il distretto di Ku-Tchang nella missione del Tche-Li, dove si rivelò uomo di governo e si fece notare per il suo zelo e il carattere gioviale. Dopo tre anni fu collocato alla testa della sezione di Ho-Kien-fu in qualità di ministro. La carica gli impose di vigilare sugli interessi di 20.000 cristiani del distretto, che doveva difendere davanti ai fùnzionari civili. Costoro, benché pagani, non tardarono ad apprezzarne l'amabilità e le qualità amministrative. Egli però rimpiangeva di essere talmente assorbito dalle attività esterne da non potere dedicare molto tempo al ministero delle anime. Tuttavia era felice di fare la volontà di Dio. Fu molto soddisfatto quando, alla fine del 1897, i superiori gli affidarono la cura della sezione di King-Tcheu, che comprendeva anche la cristianità di Tchou-Kia-ho.
Dopo che il Mangin aveva appreso la notizia del massacro di U-i, si era rifugiato nel villaggio che aveva fatto precedentemente fortificare. Anzi, aveva supplicato il suo confratello vicino, il B. Paolo Denn, nato a Lillà il 1-4-1847, di raggiungerlo quanto prima a Tchou-Kia-ho. Avendo saputo che la parte settentrionale del suo distretto era già stata devastata dai boxers, egli riteneva che il villaggio sarebbe stato ben presto attaccato. L'assedio cominciò difatti il 15-7-1900, ma gli assalti delle bande dei boxers furono respinti fino a tanto che, in loro aiuto, non giunsero 2000 soldati dell'esercito regolare. I due missionari dal tetto della chiesa li videro avanzare, muniti di cannoni. Avrebbero potuto ancora trovare scampo nella fuga, ma vi rinunciarono. A chi si offriva di fare loro da guida, risposero: "Come potremmo lasciare senza alcuna parola di conforto e senza assoluzione tanti vecchi, donne e fanciulli votati alla morte?".
I difensori ressero ancora due giorni, ma il 20 luglio furono travolti dagli assalitori. Più di un migliaio di persone si rifugiarono terrorizzate in chiesa. Il P. Mangin e il P. Denn, rivestiti di cotta e di stola, si erano seduti su due poltrone che i catechisti avevano posto sulla predella dell'altare, rivolte verso il popolo. Costoro, sopraggiunti da tutta la sezione, si erano inginocchiati nel coro di fronte ai missionari e al crocifisso, tutti decisi a dare la vita per la fede. I boxers quando sfondarono la porta della chiesa ebbero come un momento di esitazione dinanzi al commovente spettacolo di una folla in preghiera. Poi gridarono: "Uscite, uscite, e non sarete uccisi". Alcune ragazze accolsero l'invito e furono risparmiate, ma dovettero poi rimanere al seguito della truppa.
Tutti gli altri rimasero fermi al loro posto continuando a pregare. Allora, furenti, i boxers presero a sparare all'impazzata sui cristiani. Al rantolo delle vittime, al pianto dei bambini, la folla fu come invasa da un panico generale. Il P. Denn si alzò e intonò con voce stentorea il Confiteor. Come per incanto svanirono le ansie e i terrori di tutti. A quel canto di pentimento e di fiducia seguirono altre preghiere alternate da assoluzioni sacramentali e da brevi fervorini dei missionari. Da quel momento si udirono risuonare sulle labbra di tutti le invocazioni: "Gesù, salvami!
Madre santa, salvami! San Giuseppe, dammi una santa morte!" Nessuno uscì in lamenti, nessuno apostatò. I boxers puntarono i fucili contro i missionari gridando agli altri: "Scostatevi, sono i due europei che noi vogliamo uccidere". Alla prima scarica il P. Denn, che stava predicando, cadde a terra, ma riuscì a rialzarsi e ad inginocchiarsi ai piedi del P. Mangin che lo assolse per l'ultima volta. Una seconda scarica al petto lo fece cadere ai piedi dell'altare. Il P. Mangin, colpito una prima volta, s'inginocchiò davanti alla croce, mormorò una preghiera e poi si accasciò, colpito da un secondo proiettile. Frattanto i boxers, sempre più eccitati alla vista e all'odore del sangue, cominciarono a scagliare contro i cristiani quanto capitava tra le loro mani, soprattutto fasci di sorgo infiammati che finirono con il propagare il fuoco al tetto della chiesa. La navata fu ben presto inondata da un fumo denso e nauseabondo. Verso mezzogiorno il tetto si sfasciò, cadde sui morti e sui moribondi trasformando l'edificio in un immane rogo. I boxers si ritirarono dopo aver fatto bottino dei pochi oggetti preziosi che ancora si trovavano sui corpi carbonizzati delle vittime. Per quindici mesi essi rimasero sotto le macerie. Soltanto verso la fine del 1901 le ossa spolpate e biancheggianti furono raccolte in cinquantasette bare e collocate nella nuova chiesa, eretta nel 1903 sulle rovine di quella antica. Le vittime fatte in quei giorni dai boxers a Tchou-Kia-ho e nei dintorni furono 1370. Di esse solamente cinquantasei furono beatificate il 17-4-1955 da Pio XII, non essendo stato possibile raccogliere delle altre sufficienti notizie storiche.
Alcuni beati sono degni di menzione per il coraggio dimostrato nella prova. Durante il massacro compiuto dai boxers in chiesa, un certo numero di uomini e di giovani erano riusciti a fuggire attraverso la finestra della sacrestia. I boxers, appena se ne accorsero, bloccarono l'uscita sparando sugli evasi. Una cinquantina di loro furono risparmiati e consegnati, nel pomeriggio, al generale delle truppe regolari di stanza ad un vicino villaggio. Tra i prigionieri c'era pure un giovane di diciannove anni, il B. Pietro Tchou-Jeu-sinu, ex-alunno del P. Mangin. Quando se lo vide innanzi lacero e afflitto, il comandante, mosso a compassione, decise di fare l'impossibile per salvarlo. Gli disse con voce paterna: "Lascia dunque una buona volta la tua religione e sarai libero". "No, no" rispose il prigioniero inorridito. "Di' soltanto una parola e avrai salva la vita". – "Non voglio". – "Fa anche solo un piccolo cenno di apostasia, altrimenti ti faccio uccidere". – "Grande uomo, come voi non potete rinnegare il padre e la madre, così neppure io posso rinnegare il mio Dio!". "Vattene, stupido che non sei altro!" gli urlò allora dietro il comandante, e ordinò che fosse subito decapitato.
Il B. Pietro Wang-tsouo-lung fu condotto davanti agl'idoli affinchè li venerasse. Non desistendo dal proclamarsi cristiano, fu sospeso per i capelli ad un piolo. Sotto il peso del corpo la pelle del capo si strappò ed egli cadde a terra ripetendo che niente lo poteva separare dalla carità di Cristo.
La B. Rosa Wang-hoei, maestra di scuola, fu denunziata ai boxers i quali le chiesero: "Tu sei cristiana?" – "Sì". – "Vuoi apostatare?" – "No". – Con un coltello le tagliuzzarono le gote, ma ella persistette nel rifiuto. Le tagliarono un'orecchia, ma ella protestò: "No, non voglio apostatare. Sono figlia di Dio, non lo rinnegherò". Fu uccisa a colpi di sciabola e gettata in un canale.
Quando i boxers la mattina del 21-7-1900 entrarono in Ma-Kia-tchoang, la quattordicenne B. Anna Wang, che si era votata a Dio per diventare una delle vergini catechiste, benché dal padre fosse stata fidanzata ad un giovane, si trovava in casa con la nonna e la matrigna. Ai primi segni di tumulto la nonna era fuggita attraverso i campi, Anna invece, con la matrigna, aveva cercato rifugio in una scuola con altre cristiane, e i loro figli. All'apparire dei boxers una vecchia battezzatrice, sopraffatta dal terrore, protestò: "Badate, io non sono cristiana!". Anna, tutta contristata, ammonì l'apostata: "Non dire questo, vecchia mamma. Tu sei sempre stata cristiana. Non vuoi andare in paradiso? Ricordati dei bimbi che hai battezzato e ti aspettano lassù! E tu vorresti andare all'inferno?". La vecchia rientrò tra le compagne senza fiatare.
Nel pomeriggio le vittime furono trasportate a Ta-ning e chiuse in una casa, separata da un cortile da quella in cui presero stanza i soldati. Il comandante andò a dichiarare loro: "L'imperatrice non permette di essere cristiane. Apostatate e sarete libere, altrimenti sarete uccise! Riflettete". Appena il comandante si allontanò, la matrigna di Anna si diresse verso la casa di fronte. La beata, inorridita, la supplicò in ginocchio: "Mamma, mamma! Torna indietro! Non è vero che tu sei cristiana?". La matrigna fu sorda ai richiami della figlia, anzi, avendo costatato, appena giunta alla casa di fronte, che sarebbe stata veramente libera, ritornò sui suoi passi e gridò in tono autoritario ad Anna: "Vieni con me, rientriamo nella nostra casa". "Mamma – replicò Anna – uscire da questa casa vuol dire apostatare e io non voglio rinnegare la mia fede. Mamma, torna, torna anche tu!". Pochi minuti dopo i soldati videro la matrigna lanciarsi su Anna, afferrarla per un braccio e trascinarla fuori a viva forza. La beata prese a gridare dibattendosi tra le lacrime: "Sono cristiana! Non voglio apostatare. Gesù, salvami!". Vedendo inutile ogni insistenza la matrigna abbandonò la presa e si allontanò sorda alla voce della figlia che ancora una volta la supplicò: "Mamma, torna, torna! Saremo martiri insieme!".
La notte fu trascorsa dalla beata nella preghiera, con la faccia rivolta alla chiesa di Wiets-unn in cui si conservava il SS. Sacramento. Il giorno dopo le vittime furono trasportate in corteo fuori del villaggio e fatte scendere con i carnefici in una grande fossa. "Prima di ucciderci – supplicò Anna – aspettate un momento". E cantò con solennità, con le altre candidate al martirio, alcune preghiere. Fu riservata per ultima. Il comandante mormorò: "E se la risparmiassimo? Ci potrebbe fare da serva". I boxers fecero notare : "Sì, ma prima deve apostatare". La martire era rimasta estatica nella preghiera, con le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo. Non avendo risposto all'invito del comandante di apostatare, costui glielo ripeté mettendole una mano sulla fronte. "Non mi toccare! – esclamò allora la fanciulla balzando in piedi. – Io sono cristiana e non voglio apostatare. Preferisco morire piuttosto di rinnegare il mio Dio!". – "Se apòstati ti offrirò un ricco fidanzamento e vivrai felice!". – "Sono già fidanzata!" – sussurrò la martire pensando alla sua promessa di verginità. Un boxer estrasse la spada. Anna allora s'inginocchiò di nuovo e sorridendo esclamò: "La porta del cielo è aperta!". Poi piegò il collo sul busto eretto e sospirò: "Gesù! Gesù". Un istante dopo la sua testa rotolò per terra.
Nel 1901, sopravvenuta la pace religiosa in seguito all'intervento armato delle potenze europee, i corpi delle vittime furono disseppelliti e trovati intatti, sotto gli occhi attoniti dei pagani che gridarono al miracolo, dei cristiani che ne piansero di gioia.
Il B. Marco Ki-tien- slang, medico, amministratore della piccola cristianità di Ye-tchoang-teu, aveva preso l'abitudine di fumare l'oppio come rimedio ad una dissenteria ribelle ad ogni cura. Non riuscendo a vincersi, il missionario da principio lo assolse, in seguito, per evitare lo scandalo ai cristiani, gli proibì di accostarsi alla comunione. Marco soleva dire desolato: "Non ho più che una speranza di salvezza, il martirio".
Dopo trent'anni di una condotta così anormale, il Signore lo prese in parola. La mattina del 7-7-1900 duecento boxers irruppero nel suo villaggio per massacrarvi i cristiani. Marco e i suoi dodici familiari erano riusciti a nascondersi per tempo in un cimitero, ma due amici li tradirono. Furono immediatamente tradotti al tribunale del prefetto Fan, il quale inviò un subalterno a domandare loro se persistevano nel professare la religione cristiana, nonostante fosse condannata dalla legge. Marco fu supplicato da molti notabili a proferire una sola parolina di apostasia per la salvezza sua e della propria famiglia, egli invece rispose con fierezza: "Siamo cristiani da due secoli, cioè dal tempo della dinastia dei Ming. Noi preferiamo la morte all'apostasia".
Il subalterno ritornò con un foglio rosso su cui era scritto: "Costoro hanno pronunciato parole di superbia; siano dunque condotti alla porta principale e decapitati". Le vittime furono trasportate al luogo indicato su carri. Durante il percorso il piccolo Francesco domandò a Marco: "Dove ci conducono, nonno?". Additandogli il cielo, il vecchio bisbigliò: "Ritorniamo a casa, bimbo mio!". E prese a recitare le Litanie della Madonna alle quali tutti risposero in coro: "Prega per noi". Giunti al luogo del supplizio Marco disse ai suoi familiari: "Figli miei, non temete!
Ecco il paradiso aperto e vicino". I boxers invitarono i condannati ancora una volta ad apostatare, ma rispose per tutti Marco: "È inutile ritornare sopra la nostra decisione; noi vogliamo andare tutti in Paradiso!". E per assicurarsi che nessuno mancasse all'appuntamento, chiese e ottenne di essere decapitato per ultimo.
La folla, al vedere come gli stessi bambini offrissero serenamente il collo alla spada dei carnefici, si dicevano l'un l'altro: "Costoro di certo devono avere bevuto un filtro". Ignoravano che in loro si rinnovava semplicemente la storia eroica di primi martiri della Chiesa.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 201-207
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